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TORQUATO TASSO
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RIME SCELTE
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TORQUATO TASSO
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MILANO
DAIXA SOdBrX TIPOGRAFICA DE' CLASSiU tXALlANI
MDCCCXXIV
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THE NEW YORK
PflBLIC LIBRARY
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ASTOR. LENOX AND
TIU>£M FOUJ
H 1930
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A' LETTORI
k^eguendo Y ordine tenuto nella nostra
prima edizione, ma rallargandoci notabil-
mente nella quantità delle materie , ab-
biamo stampato in questo Volume VAmiri'-
ta^ preceduto dalla Prefazione dell'abate
Serassi e dalla Lettera dedicQ,toria del
cavalier Vincenzo Monti (*), — Y Amore
fiiggidi?o 9 --^ e una dilìgente trascelta di
Bime pastorali e Uriche.
La Lettera dedicatoria del cav. Vincenzo
Monti è stata riveduta dall'autore mede*
Simo per compiacere alle nostre istanze;
giaccbè, essendoci abbattuti a quel verso
dell'edizione bodoniana che dice:
Chiusi a pietade trovato avrei i petti ^
h giudicammo subitamente per una stor-
{*) Questa Lettera (la quale comparve la prima
volta in fronte alf edizione bodoniana dei 1 789 ) »
mercè delle più squisite bellezze che tutta la infiorano^
ha sì strettamente associato il nome dei cavalier Monti
con quello deir autor dellVmvi/a, che pare oramai
stabilito per universale consenso non dover Tun com-
ponimento andar piii scompagnato dall'* altro.
^10
(0
TI
piatura del tipografo; e benché ne fosse
agevolissima e pronta T emendazione, tras-
portando avrei nella sede di trovato ^
nondimeno bastò quel verso a fame an-
cor diffidenti della sincerità degli altri :
la qual diffidenza ha prodotto quest'ot-
timo effetto, ch'essa Lettera verrà pre-
sentemente in pubblico sì perfetta , come
desidera il sonuno poeta che sia traman-
data a' posteri, e come non si trova in
nessuna delle stampe anteriori.
Quanto al testo da valerci per la Pre-
fazione del Serassi, non ci potea nascer
dubbiò veruno ; poiché , avendola egli
distesa per Y edizione del Bodqni , e ,
com'è verisimile, riveduta e corretta di
proprio pugno sulle bozze, a quella si
dee ricorrere, omettendo però le poche
cose che all'edizione medesin[ia si riferi-
scono.
Per ciò che risguarda VAminta^ abbiam
tpjto ad esemplare la suddetta stampa bo-
doniana del 1789, come quella che fu
dal Serassi emendata col riscontro dell'o-
riginate del Tasso e delle prime e più
stimate edizioni {*). Ma, in quella guisa
•(*) a Non dovrà riuscir che molto gradevole
H ad ogni persona di buon gusto il nobile pensiero
vn
che siam proceduti nell' attendere alla im«'
pressione della GerusàCèmme ^ abbiamo
voluto parimente certificarci dell'operato
dal Serassi nell'emendazione dell'^minto,
collazionando ancora noi verso per %^so
r edizioni da esso accennate ( * ) : e me-
diante questa fatica e diligenza n'è riu*
scito di correggere alcuni errori che scap-
parono dall'occhio del celebre tipografo,
e di ridurre certi luoghi a miglior lezione
che non è quella, al parer nostro, ac-
cettata dal Serassi. Eccone un saggio.
Jtto /, se. /, y. 36.
Che si poteano impiegar in quest^uso.
Cosi leggono pure unitamente le aldine
del i58i — 8iì ~ 83 e la cominiana del
1 7aa. Tuttavia nessuno ci persuaderà mai
« che si è preso T incomparabile Direttore della R. ti-
« pografia parmense signor Giambatista Bodoni .....
tt di riprodurre questa maravigliosa Pastorale;
tt tanto più avendo procurato non solo di darla emen-
« data e corretta, ma eziandio ridotta alla sua vera
« lezione ; il che si è fatto col riscontro delP originale
tt del Tasso e delle prime e più stimate edizioni, che
tt tutte si trovano presso T autore della Prefazione pre-
tt sente, n ( Serassi nella Prefazione deWAmr'nta, )
(*) Le più antiche e più rare edizioni òeWAminta
ci furono liberalmente< proflèrte dal signor avvocato
Francesco Reina, letterato di chiarissimo nome, ed a
cui professiamo, oltre a questo, altri obblighi infiniti.
TflI
che dalla penna del Tasso uscisse un verso
cosi sgraziato. Nelle varianti cavate dal
codice Barufifaldi, e pubblicate la prima
volta da monsignor Fontaninì insieme col-
Y Aminta difeso ^ si trova quest'altra le-
zione :
Che poteansi impiegare in cotest' uso ;
la qual leeone fu poi seguita nella stampa
de^ Tartini e Franchi; ma, benché meno
infelice della prima , non ci lascia né pur
essa pienamente soddisfatti; ed anzi siam
più presto inclinati a reputarla un capric-
cioso rassettamento del possessore di quel
codice, che legittima scrittura del Tasso.
Nell'edizione romana del 1700, ordinata
dal suddetto Fontanini, il verso medesimo
pigUa quest' altra forma :
Che si poteano spendere in quest^uso;
assai buona lezione, e che avremmo an-
cora noi accettata, s'ella non fosse arbi-
traria (*). Noi dunque pensiamo che nella
('*) Che sia arbitraria la soprarrecata lesione si prova
da ciò, ch^ella non trovasi neir aldina del i583^ alla
quale protesta il Fontanini d* èssersi strettamente ed
unicamente attenuto. A malgrado però di tale prote-
stazione, altri cambiamenti parecctii ei fece ai suo
capo nella stampa deW j^minta ; il che gioverà per av-
ventura d^aver qui notato.
IX
leeone delle aldine si contengano tutti gli
elementi del verso dettato dal Tasso, ma,
per inavvertenza del copista o deff im-
pressore , tramutati dal proprio luogo , in
quella stessa guisa che avvenne nel vei^so
del. Monti accennato più sopra ; e per-*
ciò, rimettendoli nella lor sede, abbiamo
stampato :
Che impiegar si potevano in quest^uso.
La quale emendazione è si ovvia, che la
potea chicchessia ritrovare da sé; e di
iatlo, prima di noi, la vide e la intro-
dusse l'anonimo Letterato a cui fu com-
messo il vegliar ¥ edizione che n' usci
in Orleans l'anno 1785 dall'officina dì
G. A. L Jacob.
Jtto ly se. ly r. 69.
Del vincitore umiltà, e sofferenza ,
d, sospiri, e dimandar ^mercede.
L'inutilità, anzi la disutilità della co-
pula e nel primo de' versi citati è si
mamTesta, che non accade fermarci a
giustificar con ragionamenti l'aver noi
seguito le tre aldme e la cominiana, le
qastVi .ne son prive.
i
Atto /, ConOy y. 5.
Non perchè i frutti loro
Dièr €Ìie/r aratro intatte
Le terre, ec.
Le terre inlatte dell' aratro è errore di
stampa che non si trova in nessun' altra
edizione: tutte leggono unitamente dal^
r aratro intatte.
Atto II ^ se. I^ v. 3g e seg.
Questa mìa faccia di color sanguigno^
Queste mie spalle larghe; e queste braccia
Torose e nerborute , e questo petto
SetosO; queste mie vellute coscie
Son di virilità y di robustezza
Indicio : ec.
Le tre aldine , la oomìniana e la ro-
mana del Fontanini, in vece di vellute
coscie y leggono velate coscie; e questa
infelice lezione, si saria forse perpetuata ,
se non veniano ad esploderla le varianti
del codice BarufFaldi: ma^ prescindendo
da tale errore, in quelle vecchie stampe
il verso è più pieno, e diremo ancora
più conforme alla buona sintassi, che non
apparisce nella bodoniana, trovandosi quivi
repetuta la congiunzione e fra setoso e
queste mie , ec. Noi dunque abbiamo
\
^^^ ^^z — i
restituita a quel verso la detta congianzìo*
ne; e chi s'intende d'armonia poetica ne
saprà grado che ancora alle sì fatte mi-
nute avessimo l'occhio nella nostra im-
pressione.
Atto 11^ se. II, r. 34 e seg.
Io la trovai
Là presso la cittade in quei gran prati ^
Ove fra stagni giace un^ isoletta,
Sovra essa un lago limpido e tranquillo ,
Tutta pendente in atto, che parea
Vagheggiar sé medesma, ec.
Tutte le vecchie stampe, non che la
bodoniana, leggono concordemente Sovra
essa un lago limpido e tranquillo : se
non che l'edizione fiorentina pe' Tartini
e Franchi, la quale, come è noto, fu
condotta da monsignor Bottari, in cam-
bio di Sovra essa un lago^ ha Sovr^ essa
un stagno; leadone ancor più torta, che
monsignore accettò senza disamina dalle
varianti del codice Baruffaldi. Non era
per altro diflScile a comprendere che quel
Sovra essa o Sovr^essa non ha senso al-
cuno e conturba tutto il periodo, e che
in quella vece s'ha a leggere Sov/esso o
Sùvresso ; dove esso sta per ripieno, ed
è mamersL elegantissima di nostra lingua.
Questa correzione fu già da noi introdotta
nella edizione del Teatro scelto ^ e oppor-
tunamente se n'è valuto chi ristampò, a *
questi ultimi giorni, sopra dì essa VAmin^
ta: ma , siccome per inavvertenza non
fu d'ivi levata la virgola dopo tranquillo
(la quale è ben vero che sì trova in tutte
l'altre stampe, ma si rompe a sproposito
la continuità del concetto), ancor egli
queir accurato editore la ritenne. Né qui
si ristette la sua buona fede; perocché,
essendo scorsi nella medesima edizione due
altri errori, cioè quel incantato (At. I,
se. II, V. a47 ) in luogo di quelV incan-
tato , — e mai povertà ( At. II , se. I ,
V. 3a) in luogo di mia povertà y egli ne
fece la cortesia di ricopiarli ambedue re-
ligiosamente {*). Il che ci è stato cagione
di rìso; e in grazia di quel ridere abbiam
voluto perdonargli Tessersi il medesimo
editore fatto bello dell'^^/gome^ito che per
la prima volta fu da noi posto innanzi
alla Favola, e che perciò essendo nostra
proprietà, nessuno' ha diritto di porvi so-
pra le mani.
(*) Noi però, appena accortici di tali errori, ab-
biamo ristampate le carte che li contenevano; sicché
la nostra edizione al presente ne va pui*gata.
Xllf
Atto II, se. Ili, r. 67 e seg.
Perchè dunque non osi oitra sua voglia
Prenderne quel, che; se ben gra\^a in prima,
Atfin alfin le 'sarà caro e dolce
Qìe rabbi preso?
Nel luogo del verbo grava pareva a
noi che saiia stato meglio l'aggettivo gra^
ve^ messo in opposizione al caro e dolce
del verso che siegue; tuttavia, tra per-
chè quel verho non lascia in qualche
modo di farvi il medesimo officio, e per-
chè tutte quante le stampe di pregio con-
cordano in questo passo, abniam fatto
tacere l'opinion postra, e lasciato correre
la le2done comune.
Atto //, se. IIIj r. Qi e seg.
AmL E .chi m'accerta
Che il suo desir sia tale?
Tir, Oh mentecatto!
Ecco, tu chiedi pur quella certezza ,
Ch'a lei dispiace , e che spiacer le deve
Dirittamente ; e tu cercar non dei.
Ma chi t'accerta ancor che non sia tale?
Or ^ ella fosse tale^ e non v'andassi?
Eguale è il dubbio e '1 rischio.
L'errore che vogliamo notare è nel pen-
ultimo verso del passo allegato, dove si
XIT
/ '
trova un élla che a nostro giudizio si con*
viene cambiare in egli. Di fatto. Aminta
vuol sapere chi mai lo accerta che il de-
sire di Silvia sia tale, cioè- d'essere sor-
presa da lui mentre ch'ella si bagna nel
fonte di Diana: e Tirsi gli risponde, bef-*
fandolo, ch'egli non dee cercare quella
certezza che dirittamente spiace a Silvia;
tuttavia soggiugne: Ma chi t'accerta art--
cor che non sia tale?y cioè che tale non
sia il desiderio di lei? e poi concfaiude
dicendo : Ora se tale fosse ( cioè , se tal
fosse il suo desiderio)^ e tu non andarsi
a sorprenderla, non vedi tu che saresti
il più sciocco uomo del mondo? ~ Se
questo adunque è il piano discorso di
Tirsi, si fa manifesto che l'aggettivo tale
del penultimo verso si riferisce a desire,
come vi si riferisce pur quello del verso
avanti; e quindi il pronome che lo pre-
cede, stando in vece di de sire ^ vuol esser
egfi e non élla. Ritenendo il pronome
ella^ non veggiamo che ad altro e' po-
tesse riferirsi, che a Silvia; ma, ne' versi
arrecati, qual diritto sentimento si po-
trebbe cavar mai dalle parole = Or s'ella
fosse tale? «■, cioè, ^e Silvia fosse tale?
Laonde, non ostante che tutte le stampe da
noi vedute si riscontrino colla bodoniana
nel leggere eUay ci siamo risoluti alla le-
zione che ne venia mostrata dalla Crìtica,
Atto JII, se, /, r. 21 — aa,
, Noi visto non Fabbiaoiy da poi che teco^
Buona pezz* ha , partì :
Buona pezz^ìia è lessione comparsa la
prima volta nella cominiana del 17^2.129
ed ignoriamo con quale autorità ve la
introducessero que' per altro dilìgenti edi-
tori. Tutte le stampe antecedenti hanno
huoTia pezza: onde noi ci siam volentieri
ad esse attenuti; che buona pezza è
forma ellittica non pure usatissima da^
Classici, ma d'assai più leggiadra che
r altra , e di suono sì migliore , che ha
orecchio ben duro clii indugiasse a seb-
tirlo.
Jtto /II, se. II, r. 89.
Oh velo! ho sangue!
Atto III, se. II, y. 109.
Ta mal negasti^ ec.
Notiamo queste due mende òx ho ^
Ferbo, in cambio di oh interiezione, — e
di mal n^asA in cambio di 77^2 negasti ,
XVI
acciocché si vegsa da coloro i quali, per
non essere pratichi di tali faccende, ad
ogni minima inesattezza levano le grida ,
per quante vie possano entrare infiniti
errori nelle stampe, ingannando ancor gli
occhi più acuti e più esperti.
«
Atto IV^ se. /, r. 70 — 71.
. . . . ^ elle y se creduto
V asbesti, avresti amato chi t'amava, ec.
God pur tutte quante Fedisdoni più
stimate. E come mai ninno si fu accorto
che non (wesli (seconda persona del pas-
sato perfetto delP indicativo), ma è forza
leggere avessi (seconda persona del pas-
sato imperfetto del soggiuntivo condizio-
nale), cosi richiedendo il sentimento de^
terminato dall' apre^fo che sìegue? Questo
errore fu schivato per la prima volta nel
nostro Teatro scelto già citato, e quindi
ne va netta ancor qualche altra stampa
condotta sopra di esso.
Atto IV, se. I, r. 73.
n credo io ben^ anzi Fho visto ^ e solo:
Si riscontri il luogo, e di sùbito si
parrà che non solo ^ ma sòUo ^ cioè lo
xvri
SO, si vuol leggere con tutte l'altre edi-
zioni.
j4tto IP^, se. /, r. i44 — '45.
e s^era
Tao de$tin che tu fosti in morte amato; ec.
Qui pure è scorso fosti in luogo di
fossi; della qual macchia van lorde tutte
le stampe anteriori al nostro Teatro scelto.
Atto V, y, 53.
Si che sarà del lor volere il suo.
Sarà per farà e errore tutto proprio
della bodoniana.
Atto V^ v. 6i e seg.
Quivi con Tirsi ragionando andava
Pur di colei y che nelFistessa rete
Lui prima, e me dappoi ravvolse, e strinse}
£ preponendo alla sua fuga, al suo
Libero slato il mio dolce servìgio ; ec.
Da' versi allegati si comprende che
£lpino (è questi che park) prepone al
Ubero slato di Tirsi lo stato suo di dolce
serpftò. Or pare a noi che la voce servi'^
gio contenga un significato attivo, se cosi
può dirsi gramaticalmente, e importi ciò
che altri fa seivendo^ non già lo slato
Tasso, Fai IV. b
XYIII
in che è ridotto chi serve ^ il quale è stato
passivo 9 — e che il proprio vocabolo espri-
mente questa seconda idèa sìa servaggio.
Anche al Petrarca (Capit. iV, verso la
fine) si fece dire negli stampati:
E vidi a quel servigio, ed a qual morte ,
Ed a che strazio va chi s'innamora;
ma ne' migliori testi a penna si legge ^er-
poggio; e servalo ha quivi novellamente
restituito l'ottima edizione del professore
Marsand. Noi dunque pensiamo che F e-
guale alterazione succedesse nel copiare il
testo del Tasso; e quindi, benché in tutte
le stampe si trovi servigio^ v'abbiamo
francamente sostituito servalo (che è
voce usata pur altrove dal nostro poeta ),
presagendone il cuore che buoni codici
giustificheranno il nostro ardire.
Jtto V. r. 139.
#
Aminta è sano si; ch'egli^fa fuori
Siel rischio della vita?
A questo istesso modo leggono le tre
aldine, la cominìana, ec« ec«; ma l'ordine
del discorso richiede che nella sede di fia
si ponga sia^ e noi ve l'abbiam posto.
Tali sono i più notabili difetti che
XIX
scemano il pregio dell' edizione da noi presa
per testo, e che abbiamo fuggiti. Oltre-
diche ce ne siamo assai volte scostati
in quanto alla puntatura, riducendola a
queUa esattezza che per noi si poteva
madore; tantoché varj passi, che in essa
e nell'altre sUmpe riescono a prima giunta
oscuri, si presentano subito chiarissimi in
questa nostra, senz'ajuto d'altra cosa, che
d'una più ragionata distribuzione delle
pause e degli accenti. Non diremo per
questo d'aver finalmente ridotto Y Aminta
alla vera lezione : ciò disse il Serassi in
fronte all'edizione bodoniana (*)!; e le no-
stre postille dimostrano abbastanza quanto
fosse immodesta quell'asserzione: l'esem-
pio suo pertanto, s'^ altro non fosse, ci
dee far mettere in guardia a non ci la-
sciar levare in simili borie. Ma, dawan-
tag^o, noi medesimi stiamo tuttora in
forse della sincerità d'alcuni passi, i quali
nondimeno non abbiam voluto toccare,
non tanto rattenuti dalla concorde lezione
delle stampe migliori, quanto perchè ben
vedevamo che a un bisogno non potreb-
bero mancar ragioni per difenderli; e né
pur ci parve d'avvertirli, fatti accorti dal
(*) Vedi indieti*o la nota a car. vi.
Tasso medesimo, il qual s'ebbe gi-andc
mente a pentire d'aver comunicato co'
Letterati di Siena certi suoi dubbj intorno
ad alcune parole e cose della Gerusalein"
me; perocché di poi si fece di esse infinito
remore, laddove ninno per avventura vi
^ avrebbe mai rivolta l' attenzione s' egli si
fosse taciuto.
JJAmor fugff^dvo è correttissimo nella
suddetta edizione bodoniana ; onde V ab-
biamo fedelmente seguita.
Le Poesie pastorali da noi raccolte si
ristringono a sei componimenti, fra' quali
ne parve di non dover omettere quella
graziosissima egloga che fu la prima volta
data a luce in sull' occasione delle nozze
del conte Giulio Perticari, e che noi in-
titoliamo La Festa campestre. Ma ridurre
questi sei componimenti a ragionevole le-
zione fu certo non lieve fatica; e special-
mente il Rogo di Corinna è così guasto
nell'edizioni e vecchie e recenti da noi
esaminate, che troppo lunghi saremmo
a voler tutti indicare i difetti che abbiam
procacciato di medicarvi. A fine però di
dare a' Lettori alcuna testimonianza delle
cure da noi impiegate per meritarci qui
XXI
pure il loro aggradimento, abbiamo di
quando in (piando (nel jRogo di Corinna)
notalo a pie di pagina gli errori più mas-
sicci da noi rimossi,' o le magagne che
hanno bisogno di maggiore industria che
non è la nostra, ad essere sanate. \
4
Resta ora che diciamo delle Poesie li-
riche. E primamente 9 vedendo che il Mu-
ratori, il Salvini, il Parini ed altri insigni
Letterati s'accordano in affermare che il
Tasso riusci incomparabile nelle canzoni^
le abbiamo tutte ristampate, fuor sola-
mente d'alcune poche le quali ci hanno
viso d' essere de' primi sperimenti giovenili,
o che lasciano molto aubitare della loro
legittimità. Non vorremmo però cha ta-
luno si credesse che noi le avessimo tutte
quante in egual pregio : certo che noi
non ci teniamo da tanto da farci giudici
di quel grand' uomo; pur conosciamo che
alcune, colpa forse de' testi alterati, rie-
scono qua e là più oscure, che sublimi,
o per altre cagioni assai pèrdono dalle
compagne; ma, che si sia, non dubi-
tiamo di dire ninna avercene dove non
si manifesti in qualche tratto il sovrano
maestro, e dove non si trovino più cose
da poter imparare.
xxn
Quanto poi a' sònetd ed a* madrigali^
il Tasso ne compose tante e tante cen-
tìnaja, che per necessità ve ne doveano
esser parecchi (come già disse giudizio-
samente il Serassi) da non conìspondere
all'usato suo valore. E però, dopo rac-
colti tutti quelli che meritamente sono
lodati da' più sottili Critici, e aggiùn-
tivi tutti quelli che furono dal Tasso
medesimo cementati (parendoci che l'a-
versi tolta si gran fatica sia probabilis-
simo indizio della stima ch'ei ne facea),
ci siamo ristretti a scegliere fra i rima-
nenti que' soli che maggiore impressione
ci fecero al cuore od alla fantasia, avendo
inoltre avuto riguardo a dare a quelli la
preferenza , i cui concetti racchiudono
una bellezza assoluta e da piacere in ogni
tempo, non già relativa alla difficoltà del
tema, o risultante dal confronto fra l'oc-
casione che li fé' nascere e l'artifizio im-
piegato a significarli. Laonde pare a noi,
che, posto per fondamento di non ri-
stampare ogni verso che fu dettato dal
Tasso, ma quelli soltanto che sono pro-
porzionati all'espettazione che ha il mondo
di quel maraviglioso ingegno, non ci fosse
miglior via da conseguire un tal fine. A.
ogni modo, la si fatta trascelta otterrà
XXIIl
ella r approvazione del Pubblico? Lecito
è sperarlo; tenersene certi sarebbe teme-
rità: che dove entrano a dar sentenza i
gusti degli uomini 9 il trovare concordia
è quasi una impossibile cosa. Quello per
altro che possiamo asseverare^ si è che
non perdonammo a fatica ed a medita-
zione per ottener d'uscire con qualche
onore dalla nostra impresa. Non c'intrat-
terremo però a cavare in mostra gl'in-
finiti racconciamenti d'ogni maniera da
noi fatti comparando insieme le differenti
stampe che potemmo consultare , ed aju-
tandoci co' lumi della critica , > si perchè
il recare in mezzo anco i soli principali
saria troppo maggior fascio che si possa
stringere fra i brevi termini d' una Pre-
{azione, e né tampoco si saria potuto
farlo di mano in mano per via di note
a pie di pgina, che troppo spesso avreb-
bere turbato l'ordine del testo, — e si
ancora perchè ne giova sperare che i di-
screti Lettori, avendo avuto neUe com-
posizioni antecedenti non picciola caparra
della minuta diligenza e delle gelose caur
tele con che seghamo condurre simili la-
vori, non isdegneranno un tratto d'aveif
fede nella nostra parola (*). E questo sia
{*) In qualche luogo per altro, e specialmente in
XXIV
brevemente detto per una cotal giustifi-
cazione de' mentovati racòbnciamentì , i
quali sarebbero stati ancora in numero
più spessi , se dall' una parte la nostra
grande venerazione al Tasso, e dall' altra
la poca fidanza nel nostro parere non ci
avessero astretti parecchie volte a passar
oltre a più cose di che il nostro intimo
senso non si appagava pienamente. Sic-
ché, mentre abbiam qualche cagione di
credere che questa nostra ristampa del
Canzoniere del Tasso sarà sottosopra giu-
dicata migliore dell'edizioni che ne gira-
vano intorno da prima , la reputiamo
tuttavia ancor essa lontana da quell'ul-
tima perfezione che avremmo desiderata;
né ciò (lo diciam ^ul sicuro) sarà pxM
conseguito infino a tanto che non ven-
gano in abile mano così le proprie corre-
zioni di Torquato già possedute o vedute
dal Serassi (*), come i diversi autografi
che si conservano in varie librerie.
fine di questo volume, a car. 607 e seg., abbiamo avver-
tite alcune poche cose, le quali o non ci parevano da
potersi passare in silenzio, o giovava che fosser note
al Lettore, acciò ei possa, piacendogli , esercitarvi an-
cor egli il proprio ingegno.
(*) Alcune di tali correzioni sono riportate dal Se-
rassi nella Vita del Tasso, e noi ne abbiamo a suo
luogo fatto uso.
XXV
Da ultimo, per non lasciare indietro,
quanto era a noi, cosa alcuna da poter
rendere più accetta al Pid>blico la pre-
sente edizione, a ciascuna poesia abbiam
posto un poco d'argomento, sempre di-
steso con succosa brevità; nella quale ope*
razione ci è stato forza dipartirci il più
delle volte da ciò che fecero i precedenti
editori (*), i quali o non ispecificano
cosa alcuna, — o, coli' accennar troppo
poco, lasciano il lettore così al bujo, *
come se niente accennassero, — o, che
è peggio, interpretano talvolta inesatta-
mente ed anche a rovescio i sentimenti
del poeta. Gonvien però confessare che il
Tasso nelle Rime liriche usa benespesso
una tessitura di concetti si artifizìati e
misteriosi, che a trame il sugo è uopo
di molta considerazione.
Milano, il i5 di giugno i8a4«
(*) Tra redizioni da noi vedute, gli argomenti di
quella del Marchetti (Brescia, 1592 — 98) sono i mi-
gliori; tuttay/a non li stimiamo dettali dal Tasso me-
desimo, come taluno suppose; che la qualità dello stile
e alcuna volta la loro inesattezza assai li accusa per
iattura d^ altra mano.
PREFAZIONE
DELL'ABATE
PIERANTONIO SERASSI
LjAnunia dì Torquato Tasso è componi-
mento cosi leggiadro^ elegante e perfetto in
ogni sua parte , ch^ ei viene meritamente ripu-
tato per uno de^ più cari giojeifi che abbia
Fitaliana poesia. La gloria di questo nuovo ge^
nere di dramma, affatto incognito a' Greci ed
ai Latini , egli è fuor di dubbio che tutta è do-
vuta alla nostra Italia. Perciocché e gP Italiani ne
furono gf inventori^ ed essi soli lo nobilitarono
e rìdusserlo a quel sublime grado di perfezione
a cui si vide salire in poco tempo , mercè T in-
dustria e il fine e delicato gusto de^ nostri va-
lorosi poeti.
Agostino Beccari ferrarese ^ uomo, a dir ve-
ro, di non esquisite lettere, ma di fecondo e
felicissimo ingegno, fu il primo ad introdurre
sulle scene i pastori , e formarne col suo dramma
intitolato // Sacrificio una regolata e compiuta
azione; mentre prima di lui non s'erano vedute
che nude e semplici egloghe, senza favola^ senza
intreccio e senza ver un convenevole scioglimento.
Questa Pastorale iìi per ben due volte rappre-
sentata con grandissimo applauso in Ferrara
xxviii
Tanno i554; e nel i555 fu data in luce sotto
la protezione delle due principesse estensi Lu-
crezia e Lionora ^ in quel tempo assai giova-
nette.
L'esito felice di questa Favola del Beccarì non
potè non destare dell'emulazione ne' Letterati
ferraresi j onde Alberto Lollio^ oratore e poeta
illustre; si diede quasi sùbito a comporre an-
ch' esso una commedia pastorale , che intitolò
YAretusa; la quale essendo scritta con artificio
e politezza maggiore dell' altra ^ posta poi sulle
scene l'anno i563; riusci cosa molto dilettevole,
e venne perciò a vie più nobilitarsi questa nuova
maniera di. poesia boschereccia. Ne passarono
quattro anni , che se he vide comparire una ter-
za, e questa fu Lo Sfortunato ^ Favola pasto-
rale di Agostino Argenti, anch^esso gentiluomo
ferrarese , la cui rappresentazione segui con
molta pompa nel maggio del 1 567 alla presenza
del duca Alfonso II, del cardinal Luigi suo fra-
tello, e del principe Francesco loro zio, essendone
prìncipal attore quel celebre Verato (*) che fu
comunemente riputato il Roscio de' tempi suoi.
Il Tasso, che non guari innanzi era venuto in
Ferrara a' servigi del cardinal d'Este, intervemie
fortunatamente a questo spettacolo; né si po-
trebbe esprimere il diletto cli^ egli ne provò , e
quanto perciò s'invaghisse di questo bellissimo
genere di dramma. Vide bensì che in mano di
più abile artefice poteva migliorarsi di Uiolto, e
riuscir cosa esquisita; ond^è credibile che insin
(*) V. il son. XIV a car. 374. — (Gli Edit. )
XlIX
da questo punto ei concepisse il disegno di scri-
vere il suo Aminta , al quale per altro non pose
mano che parecchi anni dappoi.
Era in quel tempo il Tasso tutto occupato
intorno al lavoro del suo poema ^ ripigliato da
lai con molto impegno per compiacere il duca
Alfonso che se ne mostrava invogliatissimo, e
gli facea perciò infiniti favorì: sicché gli con-
venne per allora metter da parte questa idea y
e rìserbarlasi a tempo migliore. Non lasciò per
altro, nella lettura che egU andava facendo de^
Greci e de^ Latini, di notare a questo efietta
e di far conserva delle forme e de concetti più
leggiadri e gentili per adornarne a tempo de*
bito la sua Favola ; di che può essere buon te-
stimonio un Teocrito che io posseggo, tutto
segnato e postillato da lui.
Una scorsa però che il duca ebbe a fare in*
sino a Roma nel gennajo del iSyS, porse final-
mente al nostro poeta f opportunità di eseguir
r ideato disegno^ onde, trovandosi più libero del
solito , e , ciò che più importa , coW animo ri-
posato e tranquillo , si mise a stendere il suo
Aminùij e vi lavorò intomo con tanto genio e
con si fortunata facilità ( * ) , che in meno di due
mesi Tebbe ridotto a compimento; e cosi venne
a formar questo perfettissimo dramma, che sarà
sempre riguardato per il modello più nobile che
abbia la lingua e la poesia italiana, della purità,
deir eleganza e del vezzo-, e pari a cui, per giudi-
zio degl' intendenti , non s'è per anco veduto altro
(*) La bodoniana in vece di fiicililà ìe^^e. felicità ^
ma, crediam noi* erroneamente. — (Gli Edit )
XXX
componimento in qualunque altro linguaggio^
o vogliasi risguardare la gentilezza e proprietà
de^ concetti adattati al costume delle persone
introdotte^ o considerar le natie grazie e la ve-
ramente attica venustà dell'espressione.
È poi cosa degna di meraviglia il vedere eoa
quanta eccellenza abbia il Tasso saputo confor-
mare il proprio stile ai varj generi, cioè al su-
blime, al mezzano e all'umile, non punto dis-
somigliante anche in questo dal suo Virgilio^
ch'egli s'avea proposto per esemplare. In fatti
quanto egli si mostra grande, sollevato ed eroico
nel suo maggior poema , altrettanto è sedato ,
gentile e semplice in questo boschereccio com-
ponimento. Perciocché convenendogh d'accomo^
darsi interamente al costume ch'avea tolto ad
imitare, non gli fu mestiero d'andar in traccia
di parole, frasi o giri che avessero del pelle-
grino, o si scostassero punto dal comune lin-
guaggio poetico 3 ma solo dovette scegliere nella
nostra lingua le voci più pure e più leggiadre,
e le maniere di favellare più gentili, e queste
accozzare insieme in guisa, che nel verso venis*-
sero a formare un suono tutto semplice nello
stesso tempo e tutto grazioso.
Più d'ogn' altra cosa però si vede ch'ei pose
cura di andar imitando negli eccellenti Greci e
massimamente in Ànacreonte, in Mosco, e, come
detto abbiamo, in Teocrito, certe figure, certi
traslati, certe immaginette, certi vezzi in somma
che sembrano affatto naturali, e pur sono arti-
ficiosissimi e sommamente delicati : nella quale
imitazione il Tasso si contenne veramente da
quel grand^uomo ch'egli era; perciocché non
XXXI
ricopiò già egli 9 né troppo da vicino imitò ^ ma
sol tronco delle greche bellezze innestò^ per così
dire j le sue proprie e quelle della sua lingua ^
di modo che uè venne a produrre un frutto
nostrale assai piacevole^ e per avventura anche
più saporoso del piimo ed originario.
Né meno riguardevoli e sorprendenti sono i
pregi interiori di questa incomparabile Pastorale.
La favola v'è benissimo intessuta , eccellente*-
mente condotta e sciolta con nuovo ed inaspet-
tato artificio. U azione è una sola, accompagnata
da' suoi verisimili episodj^ e i varj accidenti
che vi 8^ incontrano , si veggono prodotti con
molta naturalezza Funo dall'altro, senza biso-
gno d* ajuti esteriori j e cosi viensi a sciogliere
felicemente il viluppo del dramma con la peri-
pezia e con una spezie di riconoscimento, il
quale, tuttoché non sia come quello deìVEdipo
tiranno, tanto lodato da Aristotile, né di quella
perfezione che si richiede nelle tragedie, é tut-
tavia molto appropriato alla quahtà de' perso-
naggi e dell'azione, e genera perciò la meravi-
gtia accompagnata dal credibile e dal verisimile,
che sono li due cardini principali deli' arte poetica.
• Al ritomo del duca a Ferrara furon sùbito
fatti i debiti preparamenti per la rappresenta-
zione deìTyinUnta, la quale fu appunto eseguita
noUlissimamente nella primavera dello stesso
anno 1573 con quel diletto degli spettatori ed
applauso del poeta che ognuno si può immagi-
nare. Madama Lucrezia da Este, principessa di
Urbino^ al cui orecchio erano giunte ben pre-
sto le meraviglie che si dicevano di questo ga-
lantissimo componimento, s'invogliò oltra misura
di sentirlo: e com^ella era padrona confidentis-
sima deir autore y fece opera elisegli con buona
grazia del duca se ne venisse a Pesaro^ e quivi
glielo leggesse, come fu fatto. Piacque maravi-
gliosamente a tutta la corte ; onde la prìnci-
?essa^ avutane con bel modo una copia dal
asso , volle che nel seguente carnovale da al-
cuni giovani cavalieri si recitasse.
Come poi riuscisse nuovo questo spettacolo ^
e quanto piacere apportasse a cliiunque vi si
trovò presente, si ha da una lettera inedita di
Tiberio Àlmerici, comunicatami cortesemente dal
dottissimo signor Annibale degli Abati Olivieri.
In questa , ch^ è scrìtta da Pesaro V ultimo di
febbrajo del 1674 a Virginio Almerìci, che si
trovava allo Studio di Padova , dopo d' aver
parlato d'un bellissimo tomeamento che fu
fatto in quel carnovale^ e della recita di una
commedia di Sforza degli Oddi perugino, inti-
tolata V Erqfilomachia , owero Duello d Amore
e d Amicizia , soggiunge : « li terzo spettacolo
<f che si è goduto questo carnovale, è stato
«f un*' egloga del Tasso ^ che fu recitata questo
« giovedì passato da alcuni giovani d^ Urbino
« nella sala che fu fatta per la venuta della
u principessa} ed è stata tenuta per una delle
•I vaghe composizioni che siano finora uscite
« in iscena in tal genere; perchè ci erano bel-
« fissimi e piacevolissimi concetti ; e V azione ,
u ancoraché semplice, è molto piacevole ed af-
« fettuosa. È ben vero che per venta non è
Ci stata in alcune parti , e principali , cosi ben
(• rappresentata, come meritava^ massime negli
« aftctli, da' quaU nasceva il principale diletto
XXXIII
« deir egloga. Pure da quelli che ne hanno gu-
« sto, è stata giudicata per cosa rara; e quello
« che di grana s^è aggiunto a quest^ egloga, e
« e* ha piaciuto più che mediocremente , è la
« novità del coro fra ciascuno atto, che ren-
« deva maestà mirabile, e recava con piacevo*
« fissimi concetti infinito diletto agli spettatori
« ed ascoltatori, n Passa poi a dire come que^
recitanti erano partiti per Fossombrone, a fine
di rappresentarla al cardinal della Rovere che
n^ era desiderosissimo.
Dopo alquanti anni fu pure questa Favola rap-
presentata in Mantova con quella, magnificenza
ch'era propria del duca Guglielmo; e il Tasso
medesimo V invitò diversi signori, e tra gli al-
tri il principe di Molfetta, e Ranuccio Farnese
principe di Parma. Ma con molto maggior ma*
gnificenza d^ apparato fu circa il iSqo fatta re-
citare in Firenze dal granduca Ferdinando, il
quale essendosi* per le macchine e per le pro-
spettive valuto dell^ opera di Bernardo Buonta*
lenti, celebre ed ingegnosissimo dipintore, riuscì
perciò fazione si fattamente applaudita, e con
tanta meraviglia degli spettatori, che è fama
che Torquato medesimo si movesse a portarsi
nascostamente a Firenze per conoscere il Buon-
talenti, ed appena salutato e baciatolo in fron-
te, se ne partisse, senza altrimenti presentarsi
al granduca, che molto desiderava di vederlo
e & onorarlo (*).
{*) Merita d^ esser qui notato che YAnunta fu pure
Tasso, F"oL IV, e
XXXIV
Non sì tosto poi usci alla luce questa vaghis-
sima Pastorale (il che fu Fanno iS8i per le
stampe di Aldo il giovine ), eh' ella accese della
sua bellezza non pur la nostra Italia , ma tutte
le nazioni più colte j sì ch^ elle fecero a gara
nel ristamparla e nel volerla eziandio traslatata
nel proprio Unguaggio. Tra queste la lettera-
tissima nazione francese fu^ com'era ben da
credersi^ la prima a mostrarsene altamente in-
vaghita; giacché nel ì584> oltre all'averla ri-
prodotta in Parigi secondo F originale per Abel
r Angelier ^ in - 1 a ^ la vide altresì tradotta lo
stesso anno in versi francesi da Pietro de Brach
consigliere del re^ ed impressa in Bordeaux sotto
gli auspicj di madama Margherita di Francia ^
reina di Navarra : e questa traduzione fu poi
seguita in appresso da altre quattro, due delle
quali in versi j la prima del sig. di Raissìguier,
1 altra dell' abate de Torclies ; e due in prosa ,
l'una di Mr. Pecquet, e l'ultima di Mr. 1 Esca-
lopier.
Quasi contemporaneamente alla prima ver-
sione francese ne comparve una in lingua illi-
rica, fatta da Domenico Slaturichia, celebre in
i*appresentato il i° di maggio del i58i nel P Accademia
di Verona da alcmii di que' giovanetti. Avendo essi
invitati gli Accademici a ridursi air ombra de^ lauri
vicini, senza accennar loro a qual fine il facessero, al-
r improvviso si scoperse quivi una scena pastorale, o ve ^
con gran piacere degli ascoltanti, e^ recitarono la detta
Favola. (Let. d'Alberto Lavezzola, riportata dal dottor
Pietro Mazzticchelli dopo le Lettere ed altre prose di
Torquato Tasso da lui pubblicate in Milano il 1822 co'
tipi del Pogliani. ) — ( GU Edit. )
XXXV
Dalniazia per allre simili traduzioni. Poco di
poi; doè nel 1607 , anche la Spagna n^ebbe
una bellissima , ingegnoso lavoro di don Gio-
Tamii di Jauregui, della quale Don Michele di
Cervantes, quel grande scrittore spagnuolo, non
<faibiiò di pronunziare, essere cosi felice e leg-
giadra , che mal si potrebbe distinguere qual sia
la tradazione e qual F originale.
Nel 161 5 ne fu altresì fatta in Gei^nania
im^ elegante versione latina in versi senarj , fa-
tica di Andrea Hdebrando Pomerano, che la
pubblicò in Francfort per le stampe dei Vecheli,
in 8.^; e nel 1628 se ne vide comparir alla luce
una inglese del sig. Oldmixon, assai pregiata, e
impressa in Londra , dove sino dal 1 Sg 1 erasi già
stampato l'originale italiano da Giovanni Volfeo
a spese di Jacopo Castelvetro. Nel 1 642 & que-
sta Pastorale tradotta parimente in lingua tede^
sca da Michele Schneidem, e stampata in Am-
borgo^ in 12.^; nel 1715, nell'idioma olandese
da G. B. Dellekens , impressa in Amsterdamo y
e finalmente nel in4^^ in greco volgare da in-
certo , e stampata m Venezia per Niccolò Glica
de* Giovannini, in 8.^
Più di tutte r altre provincie però la nostra
Italia corse appresso perdutamente a questo bel-
lissimo genere di dramma; né vi fu quasi rima-
tore, verso la fine del sedicesimo secolo e sul
principio del diciassettesimo, che non impren-
desse a scrìvere una Favola boschereccia, o una
tragicommedia pastorale -, cosicché nel 161 4
Clemente Bartoli, gentiluomo urbinate, secon-
dochè racconta Lodovico Zuccolo , ne , avea
\
XXTVI
raccolte insino a ottanta; e Tanno 1700, tempo
in cui nions. Fontanini pubblicò il suo Aminta
difeso 9 Giannantonio Moraldi ne mostrava in
Roma sopra dugento. Tuttavolta, trattene alcune
poche che sono belle veramepte e degne di
molta laude 9 come la Filli di Sciro del conte
Guidobaldo Bonarelli^ le Pompe funebri di Ce-
sare Cremonino , il Postar fido del Guarìni ,
\ AmariìU di Cristoforo Castelletti , e la Fiorì
di Maddalena Campiglia , quasi tutte le altre
vaglion pochissimo ) e sono perciò meritamente
andate in dimenticanza.
E per altro osservabile che cosi nelle buone ,
come nelle mediocri,, se vi sMncontra qualche
bel tratto ; o alcun gentile e delicato pensiero, si
riconosce o tolto quasi di peso , o per lo meno
imitato dvSÌ^Amintat cui gli autori si proposero
per norma e per ' supremo ed unico modello
della boschereccia poesia; onde P arguto Bocca-
lini ebbe tutta la ragione di fingere nel cinquan-
tottesimo de' suoi Radiagli di Parnaso^ che
certi poeti ladroncelli, rotto lo scrigno più se-
greto del Tasso , dove conservava le compo-
sizioni sue più stimate , ne rubassono YAminta,
e questa poi fra loro si dividessero: ma scoperti
gli autori del furto, e data perciò loro la cac-
cia dal bargello, benché si riparassero, come
in luogo di franchigia, nella casa dell^ Imitazione ,
furpno tuttavia estratti d'ordine di Apollo, e
condotti vergognosamente prigioni.
Da tutto ciò si rende cosa incontrastabile
che il Tasso , come giunse ad occupar con la
sua Gerusalemme il primo seggio nell'epopèa
XXXVII
italiana y così con la squisitezza del suo AnUnta
recò la Favola boschereccia ad un si alto grado
di bellezza e di perfezione , che nelF un genere
e nell'altro rìman tolta ad altrui ogni speranza
di poterlo raggìugnere^ non che di avanzarlo
giammai.
Tasso, Voi IV. e
^
VERSI
DEL
CAV. VINCENZO MONTI
ALLA. MARCHESA
ANNA MALASPIPfA DELLA BASTIA
1 QVAU SUYOVO DI DEDICATORIA VELL' BDIZIOIB PAftlfBBSB
BELlJ jÌMINTjì
A lOMB DBL TIPOGRAFO CIO. BATTISTA BODOBI
I
bei carmi divini, onde i sospiri
In tanto grido si levar d** Aminta ,
Sì che parve minor della zampogna
L* epica tromba, e al paragon geloso
Dei primi onori dubitò Gofifredo,
Non è, Donna immortala senza consiglio
Che al tuo nome li sacro, e della tua
Per senno e per beltate inclita figlia
L'orecchio e il core a lusingar li reco.
Or che di prode giovinetto in braccio
Amor la guida. Amor più che le Muse
A Torquato dettò questo gentile
Ascréo lavoro; e infino allor pili dolce
Linguaggio non avea posto quel Dio
Su mortai labbro, benché assai di Grecia
Erudito r avessero i maestri ,
Et quel dì Siracusa, e T infelice :>' <
Esul di Ponto. Or qual v* ha cosa in pregio v.:
Che ai misteri d^Amor più si convenga z.^i
D^ amoroso volume? E qual può dono
Al Genio Malaspino esser più grato, .j
Che il canto d^ Elicona? Ai suo favore vis
Più che air ombre cirfÉe crebber mai sempre .^
Famose e verdi TapoUmee frondi, ^;y
c< Onor d^ imperatori e di poeti, n . j.
Del gran padre Alighier ti risovvenga , .j
Quando ramingo dalla patria, e caldo ,^
DMra e di bile ghibellina il petto, .^^
Per ritale vagò guaste contrade^
Fuggendo il vincitor Guelfo crudele ,
Simile ad uom che va di porta in porta
Accattando la vita. Il fato avverso
Stette contra il gran vate> e contra il fato
Morello Malaspina. Egli air illustre
Esul fu scudo: liberal raccolse
L^ amistà sulle soglie; e il venerando
Ghibellino parca Giove nascoso
Nella casa di Pelope. Venute
Le fanciulle di Pindo eran con esso,
Lutala Poesia bambina ancora '
Seco traendo^ che gigante e diva
Si fe^ di tanto precettore al fianco ; ^
Poiché un Nume gli avea fra le tempeste
Fatto quest^ ozio. Risonò il castello ^
Dei cantici divini, e il nome ancora '
Del sublime cantor serba la torre.
Fama è ch^ ivi talor melodioso
Errar s^oda uno spirto, ed empia tutto
Di riverenza e d'horror sacro il loco.
/
tu
Del vate è quella la mugnaaiin* Ombra,
Che tratta dal desio del nido antico
Viene i silenzi a visitarne, e, grata
Beir ospite pietoso alla memoria.
De** nipoti nel cor dolce e segreto
L* amor tramanda delle sante Muse.
E per Gimante già tutto Tavea,
Eccelsa Donna^ in te trasfuso: ed egli
Lieto air ombra de^ tuoi possenti auspicj »
Trattando la maggior lira di Tebe ,
Emulò quella di Venosa, e fece
Parer raen dolci i Savonesi accenti;
Padre incorrotto di corrotti figli,
Cbe prodighi d'ampolle e di parole
Tutto contaminar d'Apollo il regno.
Erano d'ogni cor tormento allora
Della vezzosa Malaspina i neri
Occhi hicentì, e corse grido in Pindo
Che a lei tu stesso, Amor, cedesti un giorno
Le tue saette; né s^ accorse l'arco
Del già mutato ^rciero : e se il destino
Non s** opponeva, nel tuo cor s^apria
Da mortai mano la seconda piaga.
Tutte allor di Mnemdsine le figlie
Fur viste abbandonar Parnaso e Gira,
E calar sulla Panna; e le seguia
PaUa Minerva, con dolor fuggendo
Le cecropie mine. E qui, siccome
Di Giove era il voler, composto ai santi
Suoi studi il seggio, e degli spenti altari
Ridestate le fiamme, d^Academo
Fé* riviver le selve, e di sublimi
Ragionamenti risonar le volte
XLII
D'un altro Peripato, che di gravi
Salde dottrine j dagli eterni fonti
Scaturite del Ver, vincea Y antico :
Perocché 9 duce ed auspice Fernando,
D^un Pericle novel Topra e il consiglio,
E la beltate, 1* eloquenza, il senno
D* un* Aspasia miglior, sciéhxe ed arti.
Che le città fan belle e chiari i regni.
Suscitando^ allegrar Febo e Sofia.
Tu fulgid* astro dell* ausonio cielo.
Pieno d*alto saver, splendesti allora.
Dotto Paciaudi mio; nome che dolce
NelP anima mi suona ^ e sempre acerba.
Così piacque agli Dei, sempre onorata
Rimembranza sarammi. Ombra diletta.
Che sei sovente di mie notti il sogno,
£ pietosa a posarti in su la sponda
Vieni del letto ov^io sospiro, e vedi
Di che lagrime amare io pianga ancora
La tua partita; se laggiù ne* campi
Del pacifico Eliso, ove tranquillo
Godi il piacer della seconda vita.
Se colà giunge il mio pregar, né troppo
Sbalza su l^ali il buon desio ^ Torquato
Per me saluta, e digli il lungo amore
Con che sculsi per lui questa novella
Di tipi leggiadrìa; digli in che scelte
Forine più care al cupid* occhio offerti
I lai del suo pastor fan dolce invito;
Digli il bel nome che gli adoma, e cresce
Alle carte splendor. Certo di gioja
A quel divino rideran le luci^
Ed Anna Maiaspina andrà per T ombre
11
XLIIt
Ripetendo d* Eliso, e fia che dica:
Perchè non Tebbe il secol mio! memoria
Non sonerebbe sì dolente al mondo
Di mie tante sventure. E se domato
Non avessi il livor (che tal nemico
Mai non si doma, né Maron lo vinse.
Né il Meonio cantor), non tutti almeno
Chiusi a pietade avrei trovato i petti :
Stata ella fòra tutelar mio Nume
La Parmense Eroina; e di mia vita.
Ch'ebbe dalPopre del felice ingegno
Sì lieta aurora e splendido merìggio.
Non ibrse avrebbe la crudel Fortuna
Né Amor tiranno in negre ombre ravvolto
L*" inonorato e torbido tramonto.
AMINT A
T4SSO, f^ol. ly,
INTERLOCUTORI
AMORE, in abito pastorale.
PAFNE, compagna di Silvia.
SILVIA, amata da Aminta.
AMINTA, innamorato di Silvia.
TIRSI, compagno d* Aminta.
SATIRO , innamorato di Silvia.
NERINA, messaggiera.
ERGASTO , nunzio.
ELPINO , pastore,
CoEO di pastori*
\
AMINTA
FAVOLA BOSCHERECCIA
PROLOGO
AMORE
VJhi credeila che sotto ornane forme
E sotto queste pastorali spoglie
Fosse nascosto un Dio? non mica un Dio
Selvaggio, o della plebe degli Dei,
Ma tra' grandi e celesti il più potente,
Che fa spesso cader di mano a Marte
La sanguinosa spada, ed a Nettuno,
Scotitor della terra, il gran tridente,
£ le folgori eterne al sommo Giove.
In questo aspetto, certo, e in questi panni
Non riconoscerà sì di leggiero
Venere madre me suo figlio Amore.
Io da lei son costretto di fuggire,
E celarmi da lei, perdi* ella vuole
ChMo di me stesso e delle mie saette
Faccia a suo senno; e qual femmina, e quale
Vana ed ambùaosa, mi rispinge
Pur tra le corti e tra corone e scettri,
E quivi vuol che impieghi ogni mia prova}
4 ÀMINTA
£ solo al volgo de* loinistrì mìei;
Miei minori fratelli, ella consente
U albergar tra le selve , ed oprar Farmi
Ne^ rozzi petti. Io, che non son fanciullo
(Sebben ho volto fanciullesco ed atti),
Voglio dispor di me come a me piace;
Che a me fu , non a lei , concessa in sorte
La face onnipotente e Farco d^oro.
Però spesso celandomi, e fuggendo
liMmperìo no, che in me non ha, ma i preghi,
Chan forza, porti da importuna madre,
Ricovero ne* bo^hi e nelle case
Della gente minuta. Ella mi segue.
Dar promettendo a chi mMnsegna'a lei
O dolci baci, o cosa altra più cara;
Quasi io di dare in cambio non sia buono
A chi mi tace, o mi nasconde a lei,
O dolci baci, o cosa altra più cara.
Questo io so certo almen, che i baci miei
Saran sempre più cari alle fanciulle.
Se io, che son FAmor, d'amor m'intendo.
Onde sovente ella mi cerca invano,
Che rivdarmi altri non vuole, e tace.
Ma per istame anco più occulto, ond'ella
Ritrovar non mi possa ai contrassegni.
Deposto ho Fali, la faretra e Farco.
Non però disarmato io qui ne vengo;
Che questa, che par verga, è la mia face
(Così Fho trasformata), e tutta spira
P* invisibili fiamme: e questo dardo,
Sebbene egli non ha la punta d^oro,
È di tempre divine, e imprime amore
Povunque fiede. Io voglio oggi con questo
PROLOGO 5
Far cupa e immedicabile feritil
Nel duro sen della più cruda ninfa
Che mai aeguiase il coro di Diana.
Né la piaga di Silvia fia minore
(Che questo èl nome deir alpestre ninfa )^
Che fosse quella che pur feci io stesso
Nel molle sen d' Aminta , or son molf anni^
Qnando lei tenerella ei tenerello
Seguiva nelle cacce e nei diporti.
E^ perchè il colpo mio^più in lei sMnterui^,
Aspetterò che la pietà moUisca
Quel duro gelo che dintorno al core
Le ha ristretto il rigor delT onestate
£ del virginal fasto; ed in quel punto
Ch^^ fia più moUe^ lancerogli il dardo.
£^ per far sì belFopra a mio grand^agio^
Io ne vo a mescolarmi infra la turba
De' pastori festanti e coronati
Che già qui s^è inviata, ove a diporto
Si sta ne dì solenni y esser fingendo
Uno di loro schiera; e in questo modo,
E in questo luogo appunto io farò il colpo,
Che veder non potrallo occhio mortale.
Queste selve oggi ragionar d^ Amore
S'udranno in nova guisa; e ben parrassi
Che la mia deità sia qui presente
In sé medesma, e non ne suoi ministri.
Spirerò nobU sensi a^ rozzi petti ;
Raddolcirò nelle lor lingue il suono.'
Perchè, ovunque T mi sia, io sono Amore ^
Ne' pastori non men, che negli eroi;
E la dìsagguaglianza de' soggetti.
Come a me piace, agguaglio. E questa è pure
àmenta proloqo
Suprema gloria e gran miracol mio^
Rènder simili alle più dotte cetre *
Le rustiche sampogne. £ se mia tnadre^
Che si sdegna vedermi errar fra' boschi,
Ciò non conosce y è cieca eUa, e non io^
Cui cieco a torto il cieco volgo appella.
ATTO PfllMO
SCENA PRIMA
V
DAFNE, SILVI!
Daf V orrai dunque pur y Silvia ^
Dai piaceri di Venere lontana
Menarne tu questa tua giovanezza?
Né 1 dolce nome di madre udirai?
N& intomo ti vedrai vezzosamente
S«:herzar i figli pargoletti? Ahi cangia ^
Cangia, prego ^ consiglio,
Pazzerdla che sei.
SU Altri segua i diletti delT amore
(Se pur v^è nell^amor alcun diletto):
Me questa vita giova j el mio trastullo
È la cura dell^arco e degli straU,
Seguir le fere fugaci, e le forti
Atterrar combattendo: e se non mancano
Saette alla faretra, o fere al bosco, •
Non tempio cfa^a me manchino diporti.
Z)^ Insipidi diporti veramente,
. Ed insipida vita: e, s^a te piace,
È sol perchè non hai provata F altra.
Co^ la gente prima, che già visse
Nel mondo ancora semplice ed infante,
Stimò dolce bevanda e dolce cibo
L'acqua e le ehiande; ed or F acqua e le ghiande
Sono cibo e bevanda d' ammali ,
Poi che s'è posto in uso il grano e Fava.
8 ABnNTA
Forse ^ se tu gustassi anco una volta
La millesima parte delle gioje
Che gusta un cor amato riamando ^
Diresti y ripentita, sospirando:
Perduto è tutto il tempo
Che in amar non si spende:
Oh mia fuegita etate ,
Quante vedove notti,
Quanti dì solitarj
Ho consumato indamo,
Che impiegar si potevano in quest'uso,
B qual più replicato è più soave!
Cangia, cangia consiglio,
Pazzerella che sei;
Che 1 pentirsi da sezzo nulla giova.
Sii Quando io dirò, pentita, sospirando,
Queste parole eh* or tu fingi ed orni
Come a te piace, torneranno i fiumi
Alle lor fonti, e i lupi fuggiranno
Dagli ami, el veltro le timide lepri,
Amerà i orso il mare , e 1 delfin 1 alpi.
Z^éj^ Conosco la ritrosa fanciullezza:
Qual tu sd, tal io fui; cosi portava
La vita e '1 volto, e così biondo il crine,
E così vermigUuzza avea la bocca,
£ cosi mista col candor la rosa
Nelle guance pienotte e delicate.
Era il mio sommo gusto (or me n^aweggio,
Gusto da sciocca ) sol tender le reti ,
Ed invescar le panie, ed aguzzare
n dardo ad una cote , e spiar V orme
E '1 covil ddle fere : e se talora
Vedea guatarmi da cupido amante.
Chinava gli occhi, rustica e selvaggia,
ATTO PRIMO 9
Piena di sàBgpo e di vergogna; e m*era
Mal grata la mia grazia, e dispiacente
Quanto di me piaceva altrui , pur come
Fosse mìa colpa e mia onta e mio scoma
V esser guardata, amata, e desiata.
Ma che non può te il tempo? E che non puote,
Servendo, meritando, supplicando,
Fare un fedele ed importuno amante?
Fui vinta; io tei confesso: e furon Fanm
Del vincitore umiltà, soflferenza,
Kantì, sospiri, e dimandar mercede.
Mostrommi r ombra d^una breve notte
Allora quel che '1 lungo corso e 1 lume
Di mille ciomi non m'avea mostrato.
Ripresi alior me stessa e la mia cieca
Sònplicitate , e dissi sospirando:
Eccoti, Cintia, il corno; eccoti Farco:
ChMo rinunziò i tuoi studi e la tua vita.
Così spero veder eh' anco il tuo Amiota
Par un giorno domestichi la tua
Rozza salvatìchezza , ed ammollisca
Questo tuo cor di ferro e di macigno.
Forse ch'ei non è bello? o ch'ei non t'ama?
O ch'altri lui non ama? o ch'ei si cambia
Per Famor d'altri, ovver per Fodio tuo?
Forse ch'in gentilezza egli ti cede?
Se tu sei figha di Qdippe a cui
Fu padre il Dio di onesto nobil fiume,
Ed egli è figlio di Silvano a cui
Pane fu padre, il gran Dio de' pastori.
Non è men di te beUa (se ti guardi
Dentro lo specchio mai d'alcuna fonte)
La candida Amarilli; e pur ei sprezza
Le sue dolci lusinghe, e segue i tuoi
to AMINTA
Dispettosi fastidi. Or fingi (e vogCa
Pur Dio che questo fingere sia vano!)
Ch^egU, teco sdegnato ^ alfin procuri
Ch?a lui piaccia colei cui tanto ei piace:
Qnal animo fia i^ tuO; o con quali occhi
n vedrai fatto altrui? fatto fdice
Neil* altrui braccia ^ e te schernir ridendo?
SU. Faccia Aminta di sé e de' suoi amori
Quel eh' a lui piace: a me nulla ne cale;
E pur che non sia mio^ sia di chi vuole:
Ma esser non può mio; s'io lui non voglio;
Né y s* anco egu mio fosse y io sarei sua.
Do^Onde nasce il tuo odio?
Sii Dal suo amore.
jD^Piacevol padre di figlio crudele.
Ma quando mai da' mansueti agnelli
Nacquer le tigri ^ o da' bei cigni i corvi?
0 me inganni, o te stessa.
SiL Odio il suo amore
Ch'odia la mia onestate; ed amai lui
Mentirei volle di me quel ch'io voleva.
Dq^Tn volevi il tuo peggio: egli a te brama
Quel eh' a sé brama.
SiL Dafiie, o taci, o parla
D'altro, se vuoi risposta.
Dq/1 Or guata modi:
Guata che dispettosa giovinetta.
Or rispondimi almen: S'altri t'amasse,
Gradiresti il suo amore in questa guisa?
SiL hi questa guisa gradirei ciascuno
Insidiator di mia virginitate,
Che tu dimandi amante, ed io nemico.
Daf. Stimi dunque nemico
n monton dell' agnella?
ATTO PRIMO II
Della giovenca il toro?
Slinù dunque nemico
n tortore alla fida tortorella?
Stimi dunque stagione
Di mmicizia e d'ira
La dolce primavera,
Ch'or allegra e rìdente
Biconsiglia ad amare
n mondo e gli animali,
£ gli uomini e le donne? E non t^ accorgi
Ck>me tutte le cose
Or sono innamorate
Fun amor pien di gioja e di salute?
Mira là quel colombo
Con che dolce susurro lusingando
Bacia la sua compagna j
Odi queir usignuolo
Che va di ramo in ramo
Cantando: Io amo, io amo: e, se noi sai,
La biscia or lascia il suo veleno, e corre
Cupida al suo amatore}
Yan le tigrì in amore j
Ama il leon superbo: e tu sol y fiera
Più che tntte le fere.
Albergo gli dineghi nel tuo petto.
Ma che dico .leoni e tigrì e serpi.
Che pur han sentimento ? Amano ancora
Gli alberì: veder puoi con quanto affetto
£ con quanto iterati abbracciamenti
La vite s'avviticchia al suo nìarìto;
L^ abete ama F abete, il pino il pino;
L'omo per l'omo, e per la salce il salce,
E l'un per l'altro faggio arde e sospira.
Quella quercia, che pare
s
19 - AMINTA
Si ruvida e selvaggia,
Sente anch' ella il potere
Dell'amoroso foco: e, se tu avessi .
Spirto e senso d'amore, intenderesti
I suoi muti sospiri. Or tu da meno.
Esser vuoi deUe piante,
Per non esser amante?
Cangia, cangia consiglio,
PazzereUa che sei.
SU. Orsù, Quando i sospiri
Udirò delle piante.
Io son contenta allor d' esser amante.
Daf.Tn prendi a gabbo i miei fidi consigli,
E burli mie ragioni. Oh in amore
Sorda non nien, che sciocca! Ma va pure,
Che verrà tempo che ti pentirai
Non averli seguiti. E già non dico
Allor che fuggirai le fonti ov' ora
Spesso ti specchi, e forse ti vagheggi^
AJlor che fuggirai le fonti, solo
Per tema di vederli crespa e brutta ,
Questo avverratti ben: ma non t'annunzio
GAk questo solo , che , bendi' è gran male ,
E però mal comune. Or non rammenti
Ciò che r altr^ ieri Elpino raccontava ,
n saggio Elpino alla beila Licori,
Licori che m Elpin punte con gli occhi
Quel ch'ei potere in lei dovria col canto,
Se '1 dovere in amor si ritrovasse )
E '1 racconteva udendo Batto e Tirsi ,
Gran maestri d' amore ; e '1 raccontava
Nell'antro dell'Aurora, ove sull'uscio
È scritto: Lwigi, ah lungi ite, pn^ani.
Diceva egli (e diceva die gliel disse
y
^
ATTO PRIMO i3
Quel grande die cantò Famii e gli amori ^
Ch'a lui lasciò la fistola morendo)
Che laggiù nello Werno è un nero speco y
Là dove esala un fumo pien di puzza
Dalle triste fornaci d^Acuerontej
£ che quivi punite eternamente
In tormenti di tenebre e di pianto
Son le femmine ingrate e sconoscenti.
Quivi aspetta ch^ albergo s^ apparecchi
Alla tua ferìtate:
E dritto è ben ch^ il fumo
Tragga maisempre il pianto da quegh occhi,
Onde trarlo giammai
Non potè la pietate.
Segui y segui tuo stile y
Ostinata che sei.
SU, Ma che fé' allor Licori? e com' rispose
A queste cose?
Daf Tu de* fatti propri
Nulla ti curi, e vuoi saper gli altrui?
Con gli occhi gli rispose. .
SiL Come risponder sol puote x^on gh occhi ?
Z^i;^ Bisposer questi con dolce sorriso
Vòlti ad Èlpino: Il core e noi siam tuoi;
Tu bramar più non dei; costei non puote
Più darti. — E tanto solo basterebbe
Per intera mercede al casto amante ,
Se stimasse veraci, come belli,
Quegli occhi, e lor prestasse intera fede,
iSil E perchè lor non crede?
Dqf Or tu non sài
Gò che Tirsi ne scrisse allor ch'ardendo
Forsennato egli errò per le foreste.
Si ch'insieme movea pietate e riso
t4 AMINTA
Nelle veszose ninfe e ne^ pastori?
Né già cose scrìvea degne di rìso,
Sebben cose facea degne di riso.
Lo scrisse in mille piante, e con le piante
Crebbero i versi ; e cosi lessi in una:
/ Specchj del cor, follaci infidi lumi,
Éen riconosco in wi ^ ingamni wstri;
Ma che prò, se schivarli Amor mi to^?
Sii Io qui trapasso il tempo ragionando,
Né mi sovviene ch^ oggi é 1 di prescritto
Ch'andar si deve alla caccia ordinata
NelTeliceto. Or, se ti pare, aspetta
Ch^io pria deponga nel soUto fonte
n sudore e la polve onJier mi sparsi.
Seguendo in caccia una damma veloce,
Clvalfin giunsi ed uccisi.
Dq^ Aspetterotti ;
E forse anch'io mi bagnerò nel fonte.
Ma sino alle mie case ir prima voglio.
Che Fora non é tarda, come pare.
Tu nelle tue m^ aspetta eh' a te venga;
E pensa intanto pur quel che più importa
Della caccia e dei fonte: e, se non sai,
Credi di non saper, e credi a' savj.
SCENA IL
AMINTA, TIRSI.
JmiMo visto al pianto mio
Risponder per pietàte i sassi e Fonde;
E sospirar le fronde
Ho visto al {Hanto mio :
ATTO PRIMO 15
Ma non ho visto mai^
JHè spero di vedere
Compassion nella crudele e bella ^
Che non so s^io mi chiami o donna o feraj
Ma niega d'esser donna,
Poiché niega pietate « ^
A chi non la negaro
Le cose inanimate.
Ut. Pasce Fagna T erbette , il lapo Fagne;
Ma il crudo Amor di lagrime si pasce ^
Né se ne mostra mai satollo.
JmL Ahi lasso!
Ch'Amor satollo é del mio piauto omai,
E solo ha sete del mio sangue; e tosto
Voglio ch'egli e quest'empia il sangue mio
Be?an con gu occhi.
Tir. Ahi, Aminta, ahi, Aminta ,
Che parli, o che vaneggi? Or ti conforta 3
Ch' un' altra troverai , se ti disprezza
Questa crudele.
Ami. Oimé! come possMo
Altri trovar, se me trovar non posso?
Se perduto ho me stesso, quale acquisto
Faro mai che mi piaccia/
Tir. O miserelio,
Non disperar, ch'acquisterai costei
La lunga etate ^insegna all' uom di porre
Freno ai leoni ed alle tigri ircane.
^milMa il misero non puote alla sua morte
^Indugio sostener di lungo tempo.
Tir. Sarà corto l'indugio: in breve spazio
S'adira, e in breve spazio anco si placa
Femmina, cosa mobil per natura
Più che fraschetta al vento, e più che cima
i6 AMIKTA
Di pieghevole spica. Ma, ti prego ^
Fa chMo sappia più addentro della tua
Dura condizione e deir amore:
Che 9 sebben confessato mMiai più volte
D^ amare, mi tacesti però dove
Fosse posto r amore: ed è ben degna
La fedele amicizia ed il comune
Istudio delle Muse , eh' a me scuopi^
Qò ch'agli altri si cela.
Ami. Io son contento,
Tirsi, a te dir ciò che le selve e i monti
£ i fiumi sanno, e gli uomini non sanno:
Ch'io sono ornai si presso alla mia morte,
Ch' è ben ragion eh' io lasci chi ridica
La cagion del morire, e che F incida
Nella scorza d'un faggio, presso il luogo
Dove sarà sepolto il corpo esangue;
Si che talor passandovi quell'empia
Si goda di calcar l'ossa infelici
Col pie superbo, e tra sé dica: È questo
Pur mio trionfo j — e goda di vedere
Che nota sia la sua vittoria a Xntti
Li pastor paesani e pellegrini
Che quivi il caso guidi: e forse (ahi, spero
Troppo alte cose) un giorno esser potrebbe
Ch' ella , commossa da tarda pietate ,
Piangesse morto chi già vivo uccise,
Dicendo : Oh pur qui fosse , e fosse mio ! —
Or odi.
Tir. Segui pur, ch'io l>en t'ascolto,
E forse a miglior fin, che tu non pensi.
^/Tij. Essendo io fanciulietlo, si che a pena
Giunger potea con la man pargoletta
A córre i frutti dai piegati rami
ATTO PRIMO ' 17
Tìedì arboscelli, intrinseco divenni
Ddla più vaga e cara verginella
Che mai spiegasse al vento chioma cToro.
Lia figliuola conosci di Cidippe
£ di Montan ricchissimo d'armenti^
Silvia, onor delle selve, ardpr dell'alme? ... :
Di qaesta parlo, ahi lasso! vissi a questa
Co^ avvinto alcun tempo, che fra due
Tortorelle {hù fida compagnia
Non sarà mai, liè fiie.
G>ngìunti eran gli alberghi,
Ma più congiunti i corìj
Gonlorme era T etate,
Ma H pensier più conforme :
Seco tendeva insidie con le reti
Ai pesci ed agli augelli, e seguitava
I cervi seco e le vdoci damme;
E 1 diletto e la preda era comune.
Ma , mentre io fba rapina d* animali ,
Fui, non so come , a me stesso rapito:
A poco a poco nacque nel mio petto ,
Non so da qual radice,
Com'erba suol che per sé stessa germini,
Un incognito affistto
Che mi fea desiare
D'esser sempre presente
Alla mia bella SÙvia;
E bevea da* suoi lumi
Un' estranea dolcezza
Che lasciava nel fine
Un non so che d'amaro;
Sospirava sovente, e non sapeva
La cagion de' sospiri.
G)sl mi prima amante, ch'intendessi
i8 AMUTTA
Che cosa fosse amore.
Ben me n^ accorsi alfin; e con qaal modo^
Ora m'ascolta, e nota.
Tir. È da notare.
^m.ÀlF ombra d'mi bd faggio Silvia e Filli
Sedean un giorno , ed io con loro insieme*
Quando un' ape ing^osa, che cogliendo
Sen giva il mei per que' prati fioriti ^
Alle guance di Fillide volando,
Alle guance vermiglie come rosa.
Le morse e le rimorse avidamente;
Ch'alia similitudine ingannata
Forse un fior le credette. Allora Filli
Cominciò lamentarsi, impaziente
Deir acuto dolor della puntura:
Ma la mia bella Silvia disse: Taci,
Taci, non ti lagnar, Filli; perch'io
Con parole d'incanti leverotti
n dolor della picdola ferita.
A me insegnò già questo secreto
La saggia Artesìa, e n'ebbe per mercede
Quel mio corno d'avorio ornato d^oro.
Cosi dicendo, avvicinò le labbra
Della sua bella e dolcissima bocca
Alla guancia rimorsa, e con soave
Susurro mormorò non so che versi.
Oh mirabili effetti! sentì tosto
Cessar la doglia, o fosse la virtute
Di que' magici aetti, o, com'io credo.
La virtù della bocca
Che sana ciò che tocca.
Io, che sino a quel punto altro non volli
Che 1 soave splendor degli occhi belli,
£ le dolci parole, assai più dolci
•1
ATTO PRIMO 19
C3ie 1 mormorar d^ un lento fiumicello
Che rompa '1 corso fra minati sassi y •
O che U garrir dell' aara infra le firondi ^
AUor sentii nel cor novo desire
D'appressar alla sua questa mia bocca;
E fatto, non so come, astuto e scaltro
Più deir usato (guarda quanto Amore
Aguzza FintdUetto), mi sovvenne
D'un inganno gentile, col qual io
Recar potessi a fine il mio talento:
Che y fingendo eh' un' ape avesse morso
n mio Iwbro di sotto, incominciai
A lamentarmi di cotal maniera ^
•Che quella medicina che la lingua
Non richiedeva, il volto richiedeva.
La semplicetta Silvia^
Pietosa del mio male,
S'offrì di dar aita
Alla finta ferita ; ahi lasso! e fece
Più cupa e più mortale
La mia piaga verace
Quando le labbra sue
Giunse alle labbra mie.
Né Fajn d'alcun fiore
Colgon SI dolce il sugo,
Come fu dolce il mei eh* allora io colsi
Da quelle fresche rose;
Sebben gli ardenti baci^
Che spingeva il denre a inumidirsi,
Rafl&cnò la temenza
E la YergoguBy o felli
Più lenti e meno audaci.
Ma, mentre al cor scendeva
Quella dolcezza mista
f^
90 AMINTA
D^uD àecreto veleao^
Tal diletto n'ayea,
Che, fingendo ch^ ancor non mi passasse
Il dolor di quel morso ,
Fei sì ch^ ella più volte
Yi replicò F incanto.
Da indi in qua andò in guisa crescendo
n desire e 1 affiamo impaziente,
Che, non potendo più ca|Hr nel petto,
Fu forza cne n^ uscisse: ed una volta
Che in oeroliio sedevam ninfe e pastori,
E facevamo alcuni nostri giuochi,
Che ciascun nell^ orecchio del vicino
Mormorando diceva un suo secreto.
Silvia, le dissi, io per te ardo, e certo
Morrò, se non m'aiti. -^ A quel parlare
Chinò ella il bel volto, e fiior le venne
Un improvviso insolito rossore
Che diede segno di vergogna e d^ ira :
Né ebbi altra risposta che un silenzio,
Un silenzio turbato e pien di dure
Minacce. Indi si tolse, e più non volle
Né vedermi, né udirmi. £ già tre volte
Ha il nudo mietitor tronche le spighe ,
Ed altrettante il verno ha scossi i boschi
Delle lor verdi chiome j ed ogni cosa
Tentata ho per placarla, fuor che morte.
Mi resta sol che per placarla io mora:
Y* morrò volentier, pur chMo sia certo
Ch^lla o se ne compiaccia, o se ne doglia}
Né so di tai due cose qual più brami.
Ben fórn la pietà premio maggiore
Alla mia fede, e maggior ricompensa
Alla mia morie j ma bramar non deggio
ATTO PRIMO at
Cosa che torbi il bel lume sereno
Agli occhi cari, e affiinm quei bel petto^
Sr. È possibil però , che j^ s' ella un giorno
Udisse lai parole, non tramasse?
AmL^on so, né '1 credo; ma fugge i miei detti,
G)me Faspe P incanto.
Tir. Or ti confida,
CVa me dà il cor di far ch^ella t^ ascolti.
^lnii.0 nulla impetrerai, o, se tu impetri
Ch'io parli, io nulla impetrerò parlando.
Tir. Perchè disperi A 1
JmL Giusta cagione
Ho del mio disperar; che il saggio Mopso
Mi predisse la mia cruda ventura:
Mopso, ch'intende il parlar degli augelli
£ m virtù dell'erbe e delle fonti.
Tir. Di qnal Mopso tu dici 7 di quel Mopso
Cha nella lingua melate parole,
E nelle labbra un amichevol ghigno,
E la fraude nel seno , ed il rasoio
Tien sotto il manto? Orsù, sta ai buon core;
Che i sdanrati pronostici infelici,
Ch'ei vende a' malaccorti con quel grave
Suo soperciUo, non han mai erotto;
E per prova so io ciò che ti dico :
Anzi da questo sol eh' ei t' ha predetto
Mi giova di sperar felice fine
Air amor tuo.
AmL Se sai cosa per prova
Che conforti mia speme, non tacerla.
7Vr. Dirolla volentieri. AUor che prima
Mia sorte mi condusse in queste selve.
Costui conobbi; e lo stimava io tale
Qual tu lo stimi : intanto un di mi venne
da AMUfTA
E bisogno e talento d'ime dorè
Siede la gran Ciltade in ripa al fiume ^
Ed a costui ne feci motto} ed egli
Così mi disse: Andrai nella gran Terra
Ove gli astuti e scaltrì dttadim
E i cortigian malvagi molte volte
Prendonsi a gabbo e fanno brutti schemi
Di noi rustici incauti: però, figlio,
Va su P avviso, e non t'appressar troppo
Ove sian drappi colorati e d^oro,
E pennacchi e divise e fogge nove;
Ma sopra tutto guarda che mal fato
0 giovenil vaghezza non ti meni
Al magazzino delle ciance: ah! fuggi,
Fuggi quell^ incantato alloggiamento. —
Che luogo è questo? io chiesi; ed ei soggiunse:
Quivi abitan le maghe , che incantando
Fan traveder e traudir ciascuno.
Gò che diamante sembra ed oro fino,
È vetro e rame; e quelle arche d'argento,
Che stimeresti piene di tesoro,
Sporte son piene di vesciche buge.
Quivi le mura son fatte con arte,
Che parlano e rispondono ai parLintì;
Né eia rispondon la parola mozza,
ConrEco suole nelle nostre selve.
Ma la repUcan tutta intera intera.
Con giunta anco di quel ch'altri non disse.
1 tréspidi, le tavole e le panche,
Le scranne, le lettiere, le cortine,
E gli arnesi di camera e di sala
Han tutti lingua e voce, e grìdan sempre.
Quivi le ciance in forma di bambine
Vanno trescando; e se un muto v'entrasse,
^'^
ATTO PRIMO a3
Un muto ciancerebbe a suo dispetto.
Ma questo è U minor mal che ti potesse
Incontrar: tu potresti indi restarne
Converso in salce^ in fera^ in acqua , o in foco;
Acqua di pianto , e foco di sospiri. —
Coà diss'egli: ed io n* andai con questo
Fallace antiveder nella Gttade;
Ey come volse il Ciel benigno, a caso
Passai per là dov' è '1 felice albergo.
Quindi uscian fuor voci canore e «dolci
E di cigni e di ninfe e di sirene j
Di sirene celesti j e n^ uscian suoni
Soavi e chiarì, e tanto altro diletto,
Ch* attonito , godendo ed ammirando ,
Mi fermai buona pezza. Era su F uscio,
Quasi per guardia delle cose belle,
Uom a aspetto magnanimo e robusto,
Di cui, per quanto intesi, in dubbio stassi
S'egli sia miglior duce o cavaliere;
Che, con fronte benigna insieme e grave,
Con regal cortesia invitò dentro,
Ei grande e 'n pregio , me negletto e bassa
Oh che senili! che vidi allora! T vidi
Cdesti Dee, ninfe leggiadre e belle;
Novi Lini ed Orfei; ed altre ancora
Senza vel, senza nube, e, quale e quanta
Agl'Immortali appar vergine Aurora,
&>arger d'argento e d'or rugiade e n^gi}
E fecondando illuminar d'intorno
Vidi Febo e le Muse; e fra le Muse
Elinn seder accolto: ed in quel punto.
Sentii me iar di me .tesso maggiore,
Pien di nova virtù, pieno di nova
Dèitade; e cantai guerre ed eroi.
AmNTA
Sd^ando pastoral ruvido carme.
E, fiebben poi (come altrui piacque) feci
Ritorno a queste selve , io pur rìtemii
Parte di quello spirto; né già suona
La mia samposna umil come soleva ^
Ma di voce più altera e più sonora ,
Emula delle trombe, empie le selve.
Udimmi Mopso poscia, e coti maligno
Guardo mirando àfiàscinommi ; ond'io
Roco divenni, e poi gran tempo tacqui,
Quando i pastor oredean chMo fossi stato
Yìsto dal lupo , e 1 lupo era costui*
Questo t^ho detto, acciò che sappi quanto
Il parlar di costui di fede è degno:
E dei bene sperar, sol perch'ei vuole
Che nulla speri.
jtmi. Piacemi d'udire
Quanto mi narri. A te dunque rimetto
La cura di mia vita.
Tir. Io n'avrò cura.
Tu fra mezz'ora qui trovar ti lassa.
CORO
O bella età dell^oro.
Non già. perchè di latte
Sen corse il fiume, e stillò mele il bosco;
Non perchè i frutti loro
Dièr dall'aratro intatte
Le terre, e gli angui errar senz'irà o tosco;
Non perchè nuvol fosco
Non spiegò allor suo velo;
Ma in primavera etema,
• Ch'ora s'accende e verna,
ATTO PRIMO »5
Bue di loee e di sereno il cielo ^
Né portò peregrino
O guerra o merce agli altrui lìdi il pino:
Ma sol perchè -quel vano
Notne senza soggetto,
Queir idolo d'errori, idol J inganno ^
Quel che dal volgo insano
Qnor poscia fu detto
( Che di nostra natura il feo tiranno )|
Non mischiava il suo aflbnno
Fra le Bete dolcezze
Beir amoroso gregge^
Né fu sua dura legge
Nota a qudTalme in iibertate avvezze j
Bla legge aurea e felice
Che iNatura scolpì : S" ei piace , ei Uce*
Allor tra fiorì e linfe
Traean dolci carole
Gli Amoretti senz'archi e senza faci;
Sedean pastorì e ninfe
Heschiando alle parole
Vezzi e susurri, ed ai susurri i bad
Strettamente tenaci}
La verginella ignude
Scopila sue fresche rose,
Ch'or tien nel velo ascose,
£ le poma del seno acerbe e crude;
£ spesso in fonte o in lago
Schenar si vide con l'amata i} vago.
Tu prima, Onor, velasti
La fonte dei diletti,
Negando l'onde all'amorosa sete;
Tu a' begli occhi insegnasti
Di stame in sé rìstretti
a6 AMDfTA ATTO PHIMO
E tener lor bellesEse altrui -«ecrete ;
Ta raccogliesti in rete
Le chiome alTaara sparte;
Tu i dolci atti lascivi
Pèsti ritrosi e schivi;
Ai delti il firen ponesti; ai pasrà Parte:
Opra è tua sola^ o Onore;
Che furto sia aud che fu dpn J Amore.
E son tuoi nitd egregi
Le pene e i pianti nostri.
Ma tU; d'Amorfe e di natura donno ^
Tu domator de* regi;
Che fai tra questi chiostri
Che la. grandezza tua capir non ponno?
Vattene; e turba il sonno
AgF illustri e potenti:
Noi qui; negletta e bassa
Turba; senza te lassa
Viver ndTuso delF antiche genti.
Amiam; che non ha tregua
Con gli anni umana vita; e si dilegua.
Amiam; che 1 Sol si muore; e poi rinasce
A noi sua breve luce
S'asconde; e'I sonno etema notte adduce.
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
SATIRO, solo.
JT icdola è Fape^ e fa col picciol morso
Pur fjrvn e pur moleste le ferite:
Bla <pial cosa è più picdola d'Amore,
Se in ogni breve spazio entra, e s^ asconde
In ogni breve spazio? or sotto all'ombra
Delle i>alpd>re^ or tra' minuti rivi
D'un Diondo crine, or dentro le pozzette
Che forma un dolce riso in bella guancia;
E pur fa tanto crandi e A mortali
E cosi immedicabili le piaghe.
Oiinèl che tutto piaga e tutto sàngue
Son le viscere mie; e mille spiedi
Ha negli occhi di Silvia il crudo Amore.
Crudel Amor! Silvia crudele ed empia
Più che le selve! Oh come a te confassi
Tal nome! e quanto vide chi tei pose!
Celan le selve angui, leoni ed orsi
Dentro il lor verde: e tu dentro al bel petto
Nascondi odio, disdegno ed impietate,
Fere peggior ch'angui, leoni ed orsi;
Che SI placano quei, questi placarsi
Non possono per prego, né per dono.
Oimè! quando ti porto i fior novelli,
Tu li ricusi ritrosetta, forse
Perchè fioi^ via più belli hai nel bel volto.
a8 AMINTA
OimèJ quandMo ti porgo i vaghi pouà^
Tu li rifiuti disdegnosa^ forse
Percliè pomi più vaglii bai nel bel seno.
Lasso! quandUo t^offrisco il dolce mele|
Tu lo disprezzi dispettosa, forse
Perchè mei via più dolce hai delle labbra.
Ma se mia povertà non può donarti
Cosa chMn te non sìa più bella e dolce ;
Me medesmo ti dono. Òr perchè; iniqua ,
Scherni ed abborri il dono? Non son io
Da disprezzar y se ben me stesso vidi
Nel liquido dd mar quando F altrieri
'Taceano i venti , ed d giacca senz'onda.
Questa mia faccia di color sanguigno ,
Queste mie spalle larghe , e queste braccia
Torose e nerborute, e questo petto
Setoso, e queste mie vellute cosce
Son di virilità, di robustezza
Indido; e, se noi credi, fanne prova.
Che vuoi tu far di questi tenerelii
€he di molle lanugine fiorite
Hanno appena le euance, e che con arte
Dispongono i capelli in ordinanza?
Femmine nel sembiante e nelle forze
Sono costoro. Or di' ch'alcun ti segua
Per le selve e pei monti, e ^ncontra gli orsi
Ed incontra i cinghiai per te combatta. '
Non sono io brutto, no; né tu mi sprezzi
Perchè si fatto io sia , ma solamente
Perchè povero sono. Ahi, che le ville
Seguon r esempio delle gran cittadi!
E veramente il secol d'oro è questo.
Poiché sol vince l'oro, e i*egna l'oro.
O chiunque tu fosti che insegnasti
/
^
ATTO SECONDO
Primo a vender Famor^ aa maledetto
n tuo cener sepolto e Fossa fredde;
E non si trovi mai pastore o niofa
Che lor dica passando: « Abbiale pace »;
Ma le bagni la pioggia y e mova il vento ,
E con pie immondo la greggia il calpesti
£ 1 peregrin. Tu prima svergognasti
La nobiltà d^amor; tu le sue bete
Dolcezze inamaristi. Amor venale.
Amor servo delibero è il maggior mostro
£d il più abbominabile e il più sozzo
Che produca la terra o 1 mar fra F onde.
Ma perchè invan mi lagno? Usa ciascuno
QuelFarmi che gli ha d^ite la natura
Per sua salute: u cervo adopra il corso ,
B leone gli artigli, ed il bavoso
Gnghiale il dente 3 e son potenza ed aimi
Della donna bellezza e leggiadrìa.
Io, perchè non per mia salute adopro
La violenza, se mi fe^ natura *
Atto a far violenza ed a rapire?
Sforzerò, rapirò quél che costei
Mi niega, ingrata, in merto delF amore:
Che, per quanto un oaprar testé mi ha dettO|
Ch'osservato ha suo stile, ella ha per uso
D^ andar sovente a rinfrescarsi a un fonte;
E mostrato m^ha il loco. Ivi io disegno
Tra i cespugli appiattarmi e tra gli arbusti.
Ed aspettar sin che vi venga: e, come
Vegda Foccasion, correrle aadossOf
Qua! contrasto col corso o con le braccia
Potrà fare una tenera fanciulla
Contra me, si veloce e sì possente?
Piaiifa ^ sospiri pure^ usi ogni sform
9
3o AMINTA
Dt pietài di bellezza: che, sUo posso
Questa mano ravvoguerle nel crine ^
Indi non partirà ^ elisio pria non tinga
L'armi noe per yendelta od suo sanen
SGENA IL
DAFNE, TIRSI.
DqflTiniy compio t'ho detto | io m'era accorta
Ch'Ajninta amava Silvia: e Dio sa quanti
Baoni offici n* ho (atti j e son per farli
Tanto più volentier, quant'or vi aggiungi
Le tne preghiere: ma torrei pia tosto
A domar un giovenco | un orso, un tigre ^
Che a domar una semplice fanauUa;
Fanciulla tanto sciocca ^ quanto bella ,
Che non s'avveggìa ancor come sian calde
L'armi di sua bellezza, e come acute;
Ma. ridendo e piangendo ^ uccida altrui,
£ l'uccida e non sappia di ferire.
Tir. Ma quale è coA semplice fanciulla , .
Che, uscita dalle fasce, non apprenda
L'arte del parer bella e dd piacere 7
Deir uccider piacendo, e del sapere
Qual arme fera, e qual dia morte, e quale
Sani e ritomi in vita?
Daf. Chi è '1 mastro
Di cotant'arte?
Tir. Tu iBngi, e mi tenti:
Quel che insegna agli augelli il canto e 1 volo,
A' pesci il nuoto, ed a' montoni il cozzo.
Al toro usar il corno, ed al pavone '
ATTO SECONDO 3t
Sjùegar la pompa delT occhiute piume.
Du^. Come ha nome 1 gran mastro?
Tir. Dafne ha nome.
jD^ lingua bugiarda.
Tir. E perchè? Tu non aei
Atta a tener mille fanciulle a acuoia?
£enchè| per dir il ver, non han Inaogno
IK maestro: maestra ò la natura;
Ma la madre e la balia anco Vhan parte.
Daf. In somma tu sei goflb insieme e trista
Ora 9 per dirti il ver, non mi risolvo
Se Slvia è semplicetta, come pare
Alle parole, agh atti. ler vidi un segno
Che me ne détte dubbio, fo la trovai
Là presso la Cittade in quei gran prati
Ove fra stagni giace un^ isoletta ,
Sovi'esso un hgo limpido e tranquillo
Tutta pendente in atto che parca
Vagheggiar sé medesma | e 'nneme inaeme
Chieder consiglio alT acque, in qual maniem
Dispor dovesse in su la fronte i crini,
£ sovra i crini il velo ^ e sovra '1 velo
I fior che tenea in grembo; e spesso spesso
Or prendeva un ligustro, or una rosa,
E raccostava al bel candido collo,
Alle guance vermiglie, e de* colori
Fea paragone; e poi, d come lieta
Ddla vittoria, lampeggiava un riso
Che parca che dicesse: Io pur vi vinco.
Né porto voi per ornamento mio.
Ma porto voi sol per vergogna vostra,
Perché si veggia quanto mi cedete. —
Ma, mentre ella s ornava e vagheggiava.
Rivolse gli occhi a caso, e si fu accorta
3a AMINT^
Ch'io di lei m'era accorta ^ e vergognando
RÌZ20S8Ì tosto; e i fior lasciò cadere.
Intanto io più ridea del suo rossore ^
Ella più s^arrossia del riso mio.
Ma, perchè accolta una parte de' crini ,
E F altra aveva sparsa ^ una o due volte
Con gli occhi al fonte consiglier ricorse ^
E si mirò quasi di furto, pure
^ Temendo caio nel suo guatar guatassi}
Ed incolta si vide, e si compiacque,
Perchè bella si vide ancor che incolta.
Io me n'avvidi; e tacqui
77r. Tu mi narri
Quel ch'io credeva appunto. Or non m' apposi?
Daf.Bea t^ apponesti: ma pur odo dire
Che non erano pria le pastorelle '
Né le ninfe si accorte; né io tale
Fui in mia fanduUeiza. U mondo invecchia,
E invecchiando intristisce.
Tir. Forse allora
Non usavan si spesso i cittadini
Nelle selve e nei campi, né si spesso
Le nostre fbrosette aveano in uso
D^ andare alla cittade. Or son mischiate
Schiatte e costomi. Ma lasciam da parte
Questi disoorsL Or non farai eh' un giorno
Silvia contenta sia che le ragioni
Aminta, o solo, o almeno in tua presenta?
Dn^.lSon so: Silvia è ritrosa fiior di modo.
Tir. E costui rispettoso è fuor di modo.
JPi^È spacciato un amante rispettoso.
Consigliai pur che faccia altro mestiere,
Poich egli è tal. Chi imparar vuol d'amare,
Pisimpaii il rispetto: osi, domandi|
ATTO SECONDO 33
SoUeciti y importuni y alfine invoH ;
E^ se questo non basta ^ anco rapisca.
Or non sai tu com'è fetta la donna?
Fugge I e fuggendo vuol ch'altri la giunga }
Miega^ e negando vuol ch'altri si togliaj
Pugna, e pugnando vuol ch'altri la vinca.
\^y Tirsi; io parlo teco in confidenza:
Non ridir ch'io ciò dìcaj e sovra tutto
Non porlo in rime. Tu sai s'io saprei
Renderti poi per versi altro che versi.
T'ir. Non hai cagìon di sospettar ch'io dica
Cosa giammai che aa contra tuo grado.
Ma ti prego ; o mia Dafiie, per la dolce
Memona m tua fresca giovanezza ,
Che tu m'aiti ad aitar Aminta
IMiserel che si muore.
Daf Oh che gentile
Scongiuro ha ritrovato questo sciocco
Di rammentarmi la mia giovanezza ,
Il ben passato e la presente noja!
Ma che vuoi tu ch'io faccia?
Tir. A te non manca
Né saper ; né consiglio: basta sol che
Ti di^nga a voler.
Drf. Otsvlj dirotti:
Debbiamo in breve andare Silvia ed io
Al fonte che s'appella di Diana,
Là dove alle dolci acque fa dolce ombra
Quel platano ch'invita al fresco seggio
Le ninfe cacdatrici : ivi so certo
Che tufferà le beUe membra ignudo.
Tir. Ma che però?
Dqf Ma che però? Da poco
Intenditori s'hai senno ^ tanto basti.
Ta««o, roL IF. ^ 3
34 AMINTA
Tir. Intendo; ma non so àe^ avrà tanto
D'ardir.
Drf, S^ei non Favrìi^ stiasi; ed aspetti
Ch'altri lui cerchi.
Tir. Egli è ben tal che U merta.
Daf.ìlLh non yogliamo noi parlar alquanto
Di te medesmo? Orsù, Tirsi; non vuoi
Tu innamorarti? Sei giovane ancora,
Né passi di quattr'anni il quinto lustro ,
Se ben sovviemmi quando eri fanciullo.
Yum vìver neghittoso e senza gioja?
Che, sol amando ; uom sa che sia diletto.
Tir. I diletti di Venere non lascia
L'uom che schiva Pamor; ma coglie e gusta
Le dolcezze d' amor senza F amaro.
i7ij^ InsijMdo è quel dolce che condito
Non è di qualche amaro , e tosto sazia.
Tir. È meglio saziarsi y eh* esser sempre
Fameuco nel cibo e dopo 1 cibo.
Pq^M^ non, se '1 cibo si possedè e piace,
E gustato a gustar sempre n'invoglia.
Jìr. Ma ohi possedè si quel che gli piace,
Che l'abbia sempre presto alla sua fame?
PafMvi chi ritrova il ben, s'^ noi cerca?
77n Periglioso è cercar quel che trovato
Trastulla si, ma più tormenta assai
Non ritrovato. Allor vedrassi amante
Tirsi mai più, ch'Amor nel regno suo
Non avrà più né pianti, né sospiri.
Abbastanza ho già pianto e sospirato:
Faccia altri or la sua parte.
Dqf. Ma non bai
Già goduto abbastanza.
Tir. Né desio
ATTO SECONDO M
Goder, se con caro egli si compra.
/X^Sarà forza Tamar, se non fia voglia.
TV. Bla non si può sforzar chi sta lontano.
Z)^ Ha chi kmg' è d'Amor?
Tir. Chi teme e fugge.
DtjfE che giova fuggir da lui e* ha Tali?
T'ir. Amor nascente ìia corte T ali ; a pena
Può su tenerle, e non le apiega a volo.
Drf.'Pnr non 8*30001^ fuom quand'egli nasce;
E, quando uom se n'accorge, è grande e vola.
Tir. Non «'altra volta nascer non Fha visto.
D^Vedrem, Tirsi, s'avrai la fuga agli occhi,
Come tu dici. Io ti protesto, poi
Qie fai del corridore e del cerviero,
Che, quando ti vedrò chieder aita,
I4on moverei-, per ajutartì, un passo,
Un dito, un detto, una palpebra sola.
Tir, Cnidel, ti darìi il cor vedermi morto?
Se vuoi pur ch'ami, ama tu me; facciamo
L'amor d'accordo.
D<^. Tu mi schemi; e forse
Non merti amante cosi fatta. Ahi quanti
N'inganna il viso colorito e liscio!
Tir. Non burlo io , no ; ma tu con tal pretesto
Non accetti il mio amor, por come è l'uso
I)i tulle quante. M;
Viverò senza amor.
Più cba^Bfossi,j
Che nJ
V'^i
Tir. 0 dJI
Hme iJ
m
ij
36 AMINTA.
Còlti di fecondissime campagne^
E per gli alpestri dossi d'Appennino.
Egu mi disse y allor che suo mi fece:
Tirsi^ altri scacci i lupi e i ladri, e guardi
I miei murati ovili; altri comparta
Le pene e i premj a' miei ministri; ed altri
Pasca e curile greggie: altri conservi
La lane e 1 latte , ed altri le dispensi :
Tu canta, or che se' 'n ozio. — Ond'è ben giusto
Che non gli scherzi di terreno amore,
Ma canti gli avi del mio vivo e vero
Non so s'io lui mi chiami Apollo o Giove;
Che nelPopre e nel volto ambi somiglia
Gli avi più degni di Saturno o Celo:
Agreste Musa a regal merto; e pure,
Cniara o roca che suoni, ei non la sprezza.
Non canto lui, però che lui non posso
Degnamente onorar, se non tacendo
£ riverendo: ma non fian giammai
Gli altari suoi senza i miei fiori e senza
Soave fumo d'odorati incensi;
Ed allor questa semplice e devota
Religion mi si torrà dal core.
Che d'aria pasceransi in aria i cervi,
E che, mutando i fiumi e letto e corso,
n Perso bea la Sona, il Gallo il Tigre.
i7^0hl tu vai alto. Orsù, discendi un poco
Al proposito nostro.
Tir. n punto è questo.
Che tu, in andando al fonte con colei,
Cerchi d'intenerirla; ed io frattanto
Procurerò eh' Aminta là ne venga:
Né la mia forse men difficil cura
Sarà di questa tua. Or vanne.
Dqfi Io vado;
ATTO SECONDO S7
Bla il proposto nostro altro intendeva.
Tir. Se ben ravviso di lontan la faccia,
Aminta è qael che di là spunta^ È desso.
SGENA IIL
AMINTA» TIRSI.
^mi Vorrò veder ciò che Tirsi avrìi fatto:
E , s^avrìi fatto nulla y
Prima ch'io vada in nulla ^
Uccider vo* me stesso innanzi agli occhi
Della crude! fanciulla.
A lei 9 cui tanto spiace
La piaga del mio cprC;
Colpo de' suoi begh occhi,
Altrettanto piacer dovrà per certo
La piaga del mio petto,
Colpo della mia mano.
Tir. Nove, Aminta, t'annunzio di conforto:
Lascia ornai cruesto tanto lamentarti.
JmLOimèl che di ? che porte?
O la vita, o la morte?
Tir. Porto salute e vita, s'ardirai
Di farti loro incontra: ma fa d'uopo
D'essere un uom. Aminta, un uoin ardito.
^m^Qual ardir mi bisogna, e 'ncontra a cui?
Tir. Se la tua donna fosse in mezz' un bosco ,
Che, cinto intomo d'altissime rupi.
Desse albergo alle tigri ed a' leoni,.
^.andresti tu?
JmL V andrei sicuro e baldo
Hù che di festa villanella al ballo.
38 AMINTA
Tir. E j s'ella fosse tra ladroni ed amii^
V'andresti tu?
Ami. V andrei più lieto e pronto
Che l'assetato cervo alla fontana.
Tir. Bisogna a maggior prova ardir più grande.
Ami.hnàiò per mezzo i rapidi torrenti
Quando la neve si discioglie, e gonfi
la manda al mare ) andrò per mezzo '1 foco
E nell'inferno, quando ella vi sia,
S'esser può inferno ov'è cosa ù bella.
Orsù, scuoprìmi il tutto.
Tir. Odi.
And. Di/ tosto.
Tir. Silvia t'attende a un fonte, ignuda e sola.
Ardirai tu d' andarvi ?
AmL Oh, che mi dici!
Silvia m'attende ignuda e sola?
Tir. Sola}
Se non quanto v' è Dafne , eh' è per noi.
^/7i£. Ignuda ella m'aspetta?
Tir. Ignuda: ma...
Ami.Oìnìhl che ma? Tu taci; tu n|! uccidi.
Tir. Ma non sa già che tu v'abbi d'andare.
^iiii.Dura conclusìòn che tutte attosca
Le dolcezze passate! Or con qual arte,
Crudel, tu mi tormenti?
Poco dunque ti pare
Che infelice io sia ,
Che a crescer vieni la miseria mia?
Tir. S'a mio senno farai, sarai felice.
AmL'Eé che consigli?
Tir. Che tu prenda quello
Che la fortuna amica t'appresenta.
^/lu. Tolga Dio che mai faccia
ATTO SECONDO Jg
Cosa che le dispiaccia.
Cosa io non feci mai che le spiacesse ^
Foor che Pamaria: e questo a me fu forza,
Forza di sua bellezza , e non mia colpa.
Non sarh dunque ver chMn quanto io posso
Non cerchi compiacerla.
T?r. Or mi rispondi:
Se fosse in tuo poter di non amarla ,
Lasceresti d' amarla per piacerle ?
^m£.Nè questo mi consente Amor chMo dica,
Ne ch^mmagini pur d^aver giammai
A lasciar il suo amor, bendilo potessi.
J^r. Dunque tu V ameresti al suo dispetto j
Quando potessi far di non amarla.
j4mi. Ai suo dispetto, no; ma P amerei. .
Tir. Dunque fuor di sua voglia.
j4mL Sìy per certo.
Tir. Perchè dunque non osi oltra sua voglia
Prenderne quel, che, sebben grava in prima,
Alfin alfin le sarà caro e dolce
Che Pabbi preso?
AmL Ahi, Tirsi, Amor risponda
Per me j che quanto a mezz' il cor mi parla
Non so ridir. Tu troppo scaltro sei
Già per lungo uso a ragionar d'amore;
A me lega la lingua
Quel che mi lega il core.
Tir. Dunque andar non vogliamo?
Jmi. Andare io voglio.
Ma non dove tu stimi.
Tir. E dove?
jénU. A morte.
S'altro in mìo prò non hai fatto che quanto
Tasso, FoL JF. 3*
4o AMINTà
Ora mi narri.
Tir. £ poco pftrti questo?
Credi tu dunque , sciocco ^ cne mai Dafiie
Consigiiasae Tandìar, se non vedesse
In parte il cor di Silvia? E forse cb'ella
li sa, né però vuol ch'altri risappia
Cb'ella ciò sappia. Or se '1 consenso espresso
Cerchi di lei, non vedi che tu cerchi
Quel che più le dispiace 7' Or dov' è dunque
Questo tuo desiderio di piacerle?
E s'ella vuol che 1 tuo diletto sia
Tuo furto o tua rapina, e non suo dono,
Né sua mercede, a te, folle, che importa
Più Tun modo che F altro?
And. E chi m'accerta
Che il suo desir sia tale?
Tir. Oh mentecatto!
Ecco, tu cliiedi pur quella certezza
Ch'a lei dispiace, e cne spiacer le deve
Dirittamente, e tu cercar non dei.
Ma chi t'accerta ancor che non sia tale?
Or s'egli fosse tale, e non v'andassi?....
Eguale é il dubbio e '1 rischio. Ahi , j/or é meglio
Come ardito morir, che come vile.
Tu taci: tu sei vinto. Ora confessa
Questa perdita tua, che fia cagione
Di vittoria maggiore. Andianne.
Aììii. Aspetta.
THr. Che aspetta? non sai ben che 1 tempo fugge?
AmLJyehl pensiam pria se ciò dee farsi, e coinè.
Tir. Per strada penserem ciò che vi resta :
Ma nulla fa clii troppe cose pensa.
)
ATTO SECONDO 4i
CORO
Amore ^ in quale scucia ,
Da qual mastro s^ apprende
La tua si lunga e dubbia arte (T amare?
Chi n'insegna a spiegare
Ciò che la mente intende
Mentre con Tali tue sovra il cìel vola?
Non già la dotta Atene,
Né 1 Liceo nel dimostra j
Non Febo in Elicona,
Che si d^Amor ragiona,
Come colui chMmpara:
Freddo ne parla, e poco;
Non ha voce di foco,
Come a te si conviene;
Non alza i suoi pensieri
A par de* tuoi misteri.
Amor, degno maestro
Sol tu sei di te stesso,
E sol tu sei da te medesmo espresso.
Tu di legger insegni
Ai più rustici ingegni
Quelle mirabil cose
Che con lettre amorose
Scrivi dì propria man negli occhi altrui ;
Tu in bei facondi detti
Sciogli la lingua de* fedeli tui:
E spesso (oh strana e nova
Eloquenza J Amore ! ) , *
Spesso in un dir confuso
E *n parole interrotte
Meglio si esprìme il core,
43 AMINTA ATTO SECONDO
E più par che si mova,
Che don si fa con voci adorne e dotte :
£ '1 silenzio ancor suole
Aver prieshi e parole*
Amor, leggan pur gli altri
Le socratiche carte,
ChMo in due begli occhi apprenderò quest'arte:
E perderan le rime
Ddile penne pm sagge
Appo le mie selvagge ,
Che rozza mano in rozza scorza imprime.
/
ATTO TERZO
SGENA PRIMA
TIRSI, CORO
É
Tir. xjh cmdeltate estrema! oh ingrato corei
Oh donna ingrata! oh tre fiate e quattro
Ingratissimo sesso! £ tu. Natura,
Negligente maestra ^ perone solo
Alle donne nel volto* e in quel di fupri
Ponesti quanto in loro è di gentile,
Di mamsueto e di cortese, e tutte
L'altre parti obbiiastì? Ahi, misereUo!
Forse ha sé stesso ucciso: ei non appare:
Io Fbo cerco e ricerco ornai tre ore
Nel loco ov'io il lasciai, e nei contomi;
Né trovo lui, né orme de' suoi passi.
Ahi, che 8^ è certo ucciso! Io vo^ novella
Chiederne a que' pastor che colà veggio. *—
Amici, avete visto Aminta, o inteso
Novella di lui forse?
Cot. Tu mi pari
Cod turbato: e qual cagion t'aflanna?
Ond^è questo sudor e questo ansare?
Avvi nulla di mal 7 fa che 1 sappiamo.
Tir. Temo del mal d^ Aminta: avete! visto?
Cor. Noi visto non V abbiam da poi che teco ,
Buona pezza, parti: ma che ne temi?
Tir. Ch^ egli non s' abbia ucciso di sua mano.
Con Ucciso di sua mano ! Or perchè questo ì
44 AMIIfTA
Che ne atimi cacone?
Tir. Odio ed amore.
Cor. Duo potenti inimici . insieme aggiunta ,
Che mr non ponno/ Ma parla più chiaro.
7Vr. Uamar troppo una ninfa ^ e f esser troppo
0(&ato da lei.
Cor. Deh! narra il tutto.
Questo è luogo .di passo , e forse intanto
^cun verrìi die nova di lui rechi j
Forse arrivar potrebbe anch' egli istesso.
Tir. Dirotto yolentier; che non è giusto
Che tanta ingratitucUne e à strana
Senza F infamia debita si resti.
Presentito avea Aminta (ed io fui, lasso!
Colui che riferillo, e che 1 condussi:
Or me ne pento) che Silvia dovea
Con Dafne ire a lavarsi ad una fonte.
Là dunque sMnviò dubbio ed incerto,
Mosso non dal suo. cor, ma sol dal mio
Stimolar importuno; e spesso in forse
Fu di tornar indietro : ed io '1 sospinsi ,
Pur mal suo grado, innanzi. Or, quando ornai
Cera il fonte vicino, ecco sentiamo
Un femminil lamento, e quasi a un tempo
Dafoe yeggiam che battea palma a palma;
La qual, come ci vide, alzò la voce:
Ali correte, gridò : Silvia è sforzata. —
LMnnamorato Aminta, che ciò intese,
Si spiccò com^ un pardo ; ed io seguillo.
Ecco miriamo a un arbore legata
La giovinetta ignuda come nacque.
Ed a legarla fune era il suo enne:
11 suo crine medesmo in mille nodi
Alla pianta era avvolto; e '1 suo bel cinto ^
ATTO TERZO 45
Che dd aen virginal fii pria custode^
Di quello stupro era ministro^ ed ambe
Le mani al duro tronco le strìngea^
E la pianta ìnedesma avea prestati
Legami contra lei 3 oh* una ritorta
' D'un pieghevole ramo avea a ciascuna
Delle tenere eambe. A fronte a fronte
Un Satiro viUan noi le vedeqimo^
Che dì legarla pur allor finia.
Ella, quanto potea, faceva schermo:
Ma che potuto avrebbe a lungo andare?
Aminta con un dardo , che tenea
Nella man destra, al Satiro avventossi
Come un leone 3 ed io frattanto [ùeno
M'avea di sassi il grembo: onde fuggissi.
Come la fuga dell'altro concesse
Spazio a lui di mirare, egh rivolse
I cupidi occhi in quelle membra belle,
Che, come suole tremolare il latte
Ne' giunchi, si parean morbide e bianclie^
E tutto 1 vidi sfavillar nel viso.
' Poscia accostossi pianamente a lei.
Tutto modesto, e disse: O bella Silvia,
Perdona a queste man, se troppo ardire
È r appressarsi alle tue dolci membra.
Perchè necessità dura le sforza:
Necessità di scioglier questi nooi:
Né questa grazia, che fortuna vuole
Conceder loro, tuo malgrado sia.
Cor. Parole da ammollir un cor di sasso!
Ma che rispose allor?
Nulla rispose;
Ma disdegnosa e vergognosa a terra
Chinava u viso; e 1 delicato seno,
J
46 ÀMINTÀ
Quanto potea ^ torcendosi edava.
Egli , fattosi innanzi , il biondo crine
G>niinciò a sviluppare, e disse intanto:
Già di nodi d bei non era degno
Cosi ruvido tronco: or che vantaggio
Hanno i servi d'Amor, se lor comune
È con le piante il prezioso laccio?
Pianta crudel, potesti quel bel crine
Offender tu, eh a te feo tanto onore? —
Quinci con le sue man le man le sciolse
In modo tal, che parca che temesse
Pur di toccarle e desiasse insieme:
Si chinò poi per islegarle i piedi.
Ma, come Silvia in libertà le mam
Si vide, disse in atto dispettoso :
Pastor, non mi toccar: son di Diana;
Per me stessa saprò sciogliermi i piedi.
Cor. Or tanto orgoglio alberga in cor di ninfa ?
Ahi d'opra graziosa ingrato mertol
Tir. Ei si trasse in disparte riverente ,
Non alzando pur gli occhi per mirarla ;
Negando a sé medesmo il suo piacere,
Per tórre a Id fatica di negarlo.
Io, che m'era nascoso, e vedea il tutto,
Ea udia il tutto , allor fui per gridare ;
Pur mi ritenni. Ór odi strana cosa.
Dopo molta fatica ella si sciolse ;
E, sciolta appena, senza dire addio,
A fuggir cominciò com' una cerva ;
E pur nulla cagione avea di tema,
Ch^è Fera noto il rispetto d* Aminta.
Cor. Perchè dunque fuggissi?
Tir. Alla sua fuga
Volse P obbligo aver, non all'altrui
ATTO TEBZO 47
Modesto amore.
Cor. Ed in quest^anco è ingrata*
Ma che &? 1 miserello allor? che disse?
Tir. Noi so ; chMo pien di mal talento corsi /
Per arrivarla e ritenerla j e 'nvano^ . .
Ch'io la smarru: e poi^ tornando dove
Lasciai Aminta al fonte, noi trovai.
Ma presaeo è il mio cor di qualche male i
So ch'e^h era disposto dì morire
Prima che ciò avvedisse*
Cor. È uso ed arte
Di ciascnn ch'ama minacciarsi morte j
Bla rade volte poi segue F effetto.
Tir. Dio faccia eh' A non aa' tra questi rari !
Cor. Non sarà, no.
Tir. Io voglio irmene alT antro
Del saggio Elpino: ivi, s^è vivo, forse
Sarà nootto. ove movente suole
Raddolcir gh amarìssimi martìri
Al dolce suon della sampogna chiara, '
Ch' ad udir trae dagli alti monti i sassi ,
E correr fa di puro latte i fiumi,
£ stillar mde dalle dure scorze.
SGENA IL
AMINTA» DAFNE , HEEINA,
^mt Dispietata pietate
Fu la tua veramente , 0 Dafiie j allora
Che ritenesti il dardo 3
Però che 1 mio morire
amaro sarii, quanto più tardo.
ff %
48 AMINTA
Ed or perchè m' avvolgi
Per A diverse strade, e per si vari
Raeionamenti invano? di che temif
Ch io non m! uccida ? Temi del nùo bene.
Aj/TNon disperar, Amiata}
Che io lei bea conosco:
Sola vergogna fu, non cmdeltate,
Quella che mosse Silvia a fuggir via*
jimLOimèì che mia salute*
Sarebbe il disperare,
Poiché sol la speranza
È stata mia rovina^ ed anco, ahi lasso!
Tenta di germogliar denti^ al mio petto,
Sol perchè io viva: e quale è maggior male
Della vita d*un misero compio?
JRj^Vivi, misero^ vivi
Nella miseria tua; e questo stato
Sopporta sol per divenir felice
Quando che sia« Fia premio della speme
(Se vivendo ^ speranno ti mantieni)
Quel che vedesti nella bella ignuda.
jind^^on pareva ad Amor e a mia Fortuna
Ch^ appien misero fossi | s^ anco appieno
Non m^era dimostrato
Quel che m'era negato.
JVen Dunque a me pur convien esser sinistra
Cormce Jamarìssima novella.
O per maisempre misero Montano,
Qual animo fia '1 tuo quando udirai
DelT unica tua Silvia il duro ca^o?
Padre vecchio, orbo padre { ahi, non più padre!
Daf.Odo una mesta voce.
Ami. Io odo 1 nome
Silvia , che gli orecchi e '1 cor mi fere.
I
ATTO TERZO 49
Ma chi è che la noma?
Ik^. Ella è Nerina,
Ninfii gentil, che tanto a Cintia è cara^
C'ha a begli occhi e cod belle mani ,
£ modi n ayrenenti e graziosi.
Ner. E por voglio che '1 sappi , e che procuri
Di ritrovar le reliquie infelici •
Se nulla ve ne resta. Ahi, Silvia! ahi dura
Infelice tua sorte!
^jiu.Oimè! che fia che costei dice?
Ner. Oh Dafne!...
Pliche parli fra te stessa? e perchè nomi
lu Sìlvia, e poi sospmi
Ner. Ahi, ch^a ragione
Sospiro Faspro caso!
AmL Ahi! di qual caso
Può ragionar costei? Io sento, io sento
Che mi s* agghiaccia il core, e mi si chiude
Lo spirta — È viva? '
/)i;^ Narra qual aspro caso è quel che dici.
Ner. Oh dio ! perchè son io
La messaggiera? E pur convien narrarlo.
Venne Silvia al mio albergo ignuda; e quale
Fosse Foccasion, saper la dei.
Poi, rivestita, mi pregò che seco
Ir volessi alla caccia, che ordinata
Era nel bosco e* ha nome dall'elei.
Io la compiacqui: andammo j e ritrovammo
Molte ninfe ridotte: e indi a poco
Ecco, di non so donde, un lupo sbuca.
Grande fuor di misura, e dalle labbra
Gocciolava una bava sanguinosa.
Silvia un quadrdlo adatta su la corda.
D'un arco ch'io le diedi, e tira, e '1 coglie
Tasso, Voi IF. 4
5o AMINTA
A sommo 1 capo: ei si rìnselva; ed ella,
Vibrando un dardo, dentro '1 bosco il segue.
jimi Oh dolente principio! oimè! qual fine
Già mi s annunzia.
Ner. Io con un altro dardo
Seguo lor traccia, ma lontana assai,
Che più tarda mi mossi. Come fòro
Dentro alla selva, più non la rividi*
Ma pur per Torme lor tanto m'avvolsi,
Che giunsi nel più folto e più deserto.
Quivi il dardo di Silvia in terra scòrsi,
Né molto indi lontano un bianco velo
ChMo stessa le ravvolsi al orine; e, mentre
Mi guardo intomo, vidi sette lupi
Che leccavan di terra alquanto sangue
Sparto intomo a cert'ossa afl<o nude;
E fu mia sorte chMo non fui veduta
Da loro; tanto intenti erano al pasto:
Tal che, piena di tema e di pietate.
Indietro ritornai. E questo è quanto
Posso dirvi di Silvia; ed ecco 1 velo.
^mi, Poco parti aver detto? Oh velo! oh sangue!
Oh Silvia, tu se^ morta!
Pqf. Oh miserello!
Tramortito è d* affanno, e forse morto.
iVer. Egli rìspira pure: questo fia
Un breve svenimento .... Ecco, riviene.
y^iTi^'. Dolor, che si mi omci.
Che non m'uccidi ornai? Tu sei pur lento!
Forse lasci T officio alla mia mano.
Io son, io son contento
Ch' ella prenda tal cura ,
Poi che tu la ricua, o che non puoi,
Oimè! se nulla manca
ATTO TERZO - 5i
Alia certezza amai,
£ nulla manca al colmo ' '
Della miseria mia,
Che bado? che più aspetto? — O Dafne, o Dafiie,
A questo amaro fin ta mi salvasti?
A questo fine amaro?
Belio e dolce morir fu certo allora
Che uccidere io mi volli.
Tu mei negasti^ el Ciel, a cui parca
Ch'io precorressi col morir la noja
Ch'apprestata m'avea,
Or, cne fatt'hst F estremo
Della sua cmdeltate ,
Ben sofiiirà ch'io moja}
£ tu soffrir lo dei.
D^ Aspetta alla tua morte
Sin che 1 ver meglio intenda.
^mi.Qimèl che vuoi ch'attenda?
Oimèl. che troppo ho atteso, e troppo inteso.
iVer. Deh, foss'io stata muta!
^iTiL Ninfa, dammi, ti prego.
Quel velo ch'è di lei
Solo e misero avanzo.
Sì ch'egli m'accompagne
Per questo breve spazio
E di via e di vita che mi resta}
£ .con la sua presenza
Accresca quel martire,
Ch'è ben picciol martire,
S' ho bisogno d' ajuto al mio morire.
iVer. Debbo darlo, o negarlo?
La cagion perchè '1 chiedi ,
Fa ch'io debba negarlo.
«.Crudeli sì picciol dono
5« AMINTA ATTO TERZO
Mi nieghi al punto estremo?
E 'n questo anco maUgno
Mi si mostra il mio fato. Io cedo, io cedo:
A te si resti; — e voi restate ancora,
ChMo TO per non tornare.
Daf.kmmtà^ aspetta, ametta. -^
Girne, con quanta furia egli si parte!
iVer. E^li ya sì veloce,
Che fia vano il seguirlo ; end' è pur meglio
Ch^ io segua il mio viag^o : e forse ò meglio
ChMo taccia, e nulla conti
Al mìsero Montano. ,
OOEO
Non bisogna la morte}
Ch^a stringer nobil core
Prima basta la fede, e poi F amore.
Né quella che si cerca
È si difficil fama,
Seguendo chi ben amaj
Ch'amore è merce, e, con araar si merca;
£^ cercando F amor , si trova spesso
Giona immortai appresso.
ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
DAFNE, SILVIA, CORO
Daf. J\ie porti il vento) con la ria novella
Che s'era di te sparta, ogni tuo male
E presente e futuro. Tu sei viva
E sana, Dio lodato; ed io per morta
Pur ora ti tenea: in tal maniera
M'avea Nerìna il tuo caso dipinto.
Ahi fosse stata muta, ed altn sordo I
SiL Certo 1 rischio fu grande; ed ella avea
Giusta cagion di sospettarmi morta.^
Z>ij^Ma non giusta cagion avea di dirlo.
Or narra tu qual fosse 1 rischio , e come
Tu Io fuggbti.
Io, seguitando un lupo,
Ili rinselvai nel più profondo bosco ^
Tanto chMo ne perdei la traccia* Or mentre
Cerco di ritornare onde mi tolsi,
n vidi, e riconobbi a un strai che fitto
Gli aveva di mìa man press^ un orecchio,
n vidi con moie altri intorno a un corpo
D'un animai eh' avea di fresco ucciso;
Ma non distinsi ben la forma. H lupo
Ferito , credo , mi conobbe , e 'ncontro
Ifi venne con la bocca sanguinosa.
Io rispettava ardita, e con la destra
Vibrava un dardo. Tu sai ben s'io sono
54 AMINTA .
Maestra di ferire^ e se mai soglio
Far colpo in fallo. Or^ quando il vidi tanto
\ic]n^ che giusto spazio mi parea
Alla percossa . lanciai mi dardo , e 'nvano j
Chè^ colpa di fortuna o pur mia colpa;
In vece sua colsi una pianta. Allora
Più ingordo incontro ei mi venia; ed io
Chel vidi sì vìcin^ che stimai vano
L'uso dell'arco, non avendo altr'armi;
Alla fuga ricorsi. Io fuggo ^ ed egU
Non resta di seguirmi. Or odi caso:
Un vek); ch'avea avvolto intomo al crine,
Si spiegò in parte, e giva ventilando
Si ch'ad un ramo awiluppossi. Io sento
Che non so che mi tien e mi ritarda.
Io, per la tema del morir, raddoppio
La forza al corso, e d'altra parte il ramo
Non cede, e non mi lascia: alfin mi svolgo
Del velo, e alquanto de' miei crini ancora
Lascio svelti col v^lo ; e cotant' ali
M' impennò la paura ai pie fugaci ,
Ch'ei non mi giunse, e salva uscii del bosco.
Poi, tornando al mio albergo, io t'incontrai
Tutta turbata, e mi stupii vedendo
Stupirti al mio apparir.
Daf. OimèI tu vivi;
Altri non già.
Sii. Che dici? ti rincresce
Forse eh' io viva sia ? m' odii tu tanto ?
Def.ìliì piace di tua vita, ma mi duole
Dell'altrui morte.
SiL E di qual morte intendi?
/7ii^ Della morte d' Aminta.
SiL Ahi! come è morto?
I
ATTO QUARTO 55
/>d^ Il come non so dir; né so dir anco
S* è ver V effetto : ma per certo il credo.
53. Ch^è ciò che tu mi dici? ed a chi rechi
La cagion di sua morte?
Di^ Alla tua morte.
Sili Io non tMntendo.
Do/T La dura novella
Della tua morte ^ ch'egli udì e credette ^
Avià porto al meschino il laccio o U ferro j
Od altra cosa tal^ che Favrà ucciso.
SiL Vano il sospetto in te delk sua morte
Sarà, come fu van della mia morte j
Ch'ognuno a suo .poter salva la vita.
Daf.Q Silvia ) Silvia^ tu non sai, né credi
Quanto '1 foco a Amor possa in un petto ^
Che petto sia di carne , e non di pietra ^
Com'è cotesto tuo: che, se creduto
L'avessi, avresti amato chi t'amava
Pili che le care pupille degli occhi,
Piìì che lo sprto oella vita sua.
n credo io ben, anzi flio visto, e sóllo:
Il vidi, quando tt| fuggisti (oh fera
Più che tigre crudeli) ed in quel punto
Ch'abbracciar lo dovevi, il vicU un dardo
Rivolgere in sé stesso, e quello al petto
Premersi disperato, né pentirsi
Poscia nel fatto; che le vesti ed anco
La pelle trapassossi ^ e nel- suo sangue
Lo tinse 3 e 1 ferro sana giunto addentro ,
E passato quel cor che tu passasti
Più duramente, se non ch'io gli tenni
H braccio, e l'impedii ch'altro non fésse.
Ahi lassa! e forse quella breve piaga
Solo una prova fii del suo furore
/
56 AMINTA
E della disperata sua costanza;
E mostrò quella strada al ferro audace ^
Che correr poi dovea liberamente.
SiL Oh^I che mi narri?
Daf. n vidi poscia, allora
Ch'intese Famarissima novdla
Della tua morte, tramortir d* affanno,
E poi partirsi furioso in fretta
PeV uccider sé stesso; e s* avrà ucciso
Veracemente.
SiL £ ciò per. fermo tieni?
Daf. lo non v'ho dubbio.
SiL ' Oimè! tu noi seguisti
Per impedirlo? Oimè! cerchiamlo, andiamo;
Che, poi ch'egli morìa per la mia morte.
Dee per la vita mìa restar in vita.
Daf lì seguii ben; ma correa sì veloce^
Che mi ^ari tosto dinanzi, e 'ndamo
Poi mi girai per le sue orme. Or dove
Vuoi tu cercar, se non n'hai traccia alcuna?
SiL Egli morrà, se noi troviamo, ahi lassa!
E sarà l'omicida ei di sé stesso.
Z'^Crudel! forse t' incresce eh' a te tolga
La gloria di quest'atto? esser tu dunque
L'omicida vorresti? e non ti pare
Che la sua cruda morte esser debb'opra
D'altri, che di tua mano? Or ti consola.
Che , comunque egli muoja , per te muore ,
E tu sei che l'uccidi.
SìL Oimél che tu m'accori; e quel cordoglio.
Ch'io sento del suo caso, inacerbisci
Con l'acerba memoria
Della mia crudeltate^
^Ch'io chiamava onestate: e ben fu tale;
ATTO QUARTO «7
Ma fu troppo severa e rigorosa:
Or me n' accorgo e p0pto.
A^ Oh, quel chUo odo!
Tu sei pietosa, tu? tu senti al core
Spirto aicuo di pietatel Oh, che veggio?
Tu piangi^ tu, superba? Oh maravigliai
Che pianto è questo tuo? pianto cT amore 7
SiL Pianto cTamor non già, ma di pietate.
DqflA jHetà messaggera è dell^ amore,
Come 1 lampo del tuono.
Cor. Anzi sovente,
Quando egU vuol ne^ petti verginelli
Occulto entrare y onde fu prima escluso
Da severa onestà, F abito prende,
Prende T aspetto della sua ministra
E sua nunzia pietate; e , con tai larve
Le semplici ingannando, è dentro accollo.
Daf Questo è pianto d^amor; che tro]^ abbonda.
Tu taci? Anii tu, Silvia? Ami, ma invano.
Oh potenza d^ Amor I giusto castigo
Mandi sovra costei. Misero Aminta I
Tu, in guisa d^ape che ferendo muore |
£ nelle piaghe altrui lascia la vita,
G>n la tua morte hai pur trafitto al fine
Quel duro cor che non potesti mai
Punger vivendo. Or ^ se tu spirto errante
( Si come io credo ) e delle membra ignudo
Qui intorno. .sei, mira il suo pianto, e godi|
Amante in vita , amato in morte : e s^ era
Tuo destin che tu fossi in morte amato,
E se questa crudel volea F amore
Venderti sol con prezzo così caro^
Désti quel prezzo tu ch'ella richiese,
£ r amor suo col tuo morir comprasti.
8B AMINTA
Cor. Caro prafaso a chi 1 diedej a chi *1 riceve^
Prezzo mutile e infSune.
iSiJL Oh potess' io
Con r amor mio comprar la vita sua ^
Anzi pur con la mia la vita sua^
Scegli è pur morto!
Daf Oh tardi saggia^ e tardi
Pietosa I <{uando dò nulla rilevai
SCENA IL
EEGASTO, CORO, SILVIA, DAFNE.
Erg. Io ho A {neno il petto di pietate |
£ ai pieno d^orror^ che non rimiro ,
Né odo alcuna cosa^ ond'io mi volga ,
La qual non mi spaventi e non m* affanni.
Cor. Or ch^ apporta costui ,
Ch' è si turbato in vista ed in £iveUa ?
Erg. Porto F aspra novella
Della morte d^ Aminta.
Sii Oimè ! che dice?
Ejg. n più nobil pastor di queste selve ^
Che fìi cosi gentil . cosi leggiadro ,
CoA caro alle ninie ed alle Muse^
Ed è morto fanciullo y ahi di che morte !
Cor. Contane ^ prego ^ il tutto , acciò che teco
Pianger possiam la sua sciagura e nostra.
Sii OimèI cnMo non ardisco
Appressarmi ad udire
Quel eh' è pur forza udire. Empio mio core,
Mio dmt> alpestrcj core,
Di che, di che paventi?
f
ATTO QDAATO S9
Yattene incontra pure
A qua coltei pungenti
Che costui porta nella lingua, e quivi
Mostra la tua fierezza. —
Pastore, io vengo a parte
Di quel dolor che tu prométti altrui;
Che a me ben si conviene
Più che forse non pensi; ed io U ricevo
Come dovuta cosa. Or tu di lui
Non mi sii dunque scarsOi
Er^. Ninfa, io ti credo benej
ChMo sentu quel meschmo in su la morte
Finir la vita sua
Col chiamar il tuo nome.
Dqf.On comincia ornai
Questa dolente istoria.
Erg. Io era a mezzo 1 colle, ove avea tese
Certe mie reti, quando assai vicino
Vidi passar Aminta , in volto e in atti
Troppo mutato da quel ch'ei soleva.
Troppo turbato e scuro. Io corsi, e cor»
Tanto, che '1 giunsi e lo fermai; ed egli
Mi disse: Ergasto, io vo^ che tu mi laccia
Un gran piacer: quest'è, che tu ne venga
Meco per testimonio d'un mio fatto:
Ma pria vo^o da te, che tu mi leghi
Di stretto giuramento la tua fede
Di startene in disparte, e non por mano
Per impedirmi in quel che son per fare. —
Io (chi pensato avrìa caso sì strano.
Né A pazzo furor 7 ), com' egli volle , .
Feci scongiuri orrìbili , chiamando
E Pane, e Pale, e Priapo, e Pomona,
Ed Ecate notturna. Indi. si mosse.
I
■»
6o AMINTA
E mi condusse ov^è iscosoeso il colle,
E giù per balzi e per dirapi incolti,
Strada non già, che non rè strada alcuna,
Ma cala un precipizio in una valle.
Qui ci fermammo. Io ,• rimirando a basso ,
Tutto sentii raccapricciarmi, e 'ndietro
Tosto mi trassi: ed egli un cotal poco
Parve ridesse, e serenossi in viso;
Onde quell^atto più rassicurommi.
Indi parlommi si: Fa che tu conti
Alle ninfe e ai pastor ciò che vedrai» -^
Poi disse, in ffa guardando:
Se presti a mio volere
Cosi aver io potessi
La gola e i denti degli avidi lujn,
Cott^ho questi dirupi.
Sol vorrei far la morte
Che fece la mìa vita:
Vorrei che queste mie membra meschine
Si fosser lacerate,
Qimè I come eia fòro
Quelle sue delicate.
Poi che non posso , e U Gdo
Dinega al mio desire
Gli animali voraci
Che ben vernano a tetnpo, io prender voglio
Altra strada al morire:
Prenderò queUa via
Che, se non la dovuta,
Almen fia la più breve.
Silvia , io ti seguo; io tengo
A farti compagnia.
Se non la sdegnerai:
*E morirei contento,
ATTO QUARTO 6f
S^ìo fossi certo almeDO
Cbel mio venirti dietro
Tuibar non ti dovesse ^
£ che fosse finita
L'ira toa con la vita:
Silvia^ io ti semo} io vengo. — CoA detto|
Predpitossi d'iuto
Gol capo in ^usoj ed io restai di buaccio.
D^Bfisero Anùnta!
SiL Oimè!
Cor. Perchè non Pimpedisti?
Forse ti fii ritegno a ritenerlo
n fatto Muramento?
Erg. Questo no; che sprezsando i giniamenti
(Vani forse in tal caso)^
Quand^io m'accorsi del suo pano ed empio
Àoponimentoy con la man vi oorsi^
£9 come volle la sua dura sorta.
Lo prea in questa fascia di zendado
Che lo cingeva y la qual, non potendo
L'impeto e '1 peso sostener del corpo .
Che s'era tutto abbandonato , in mano
Spezzata mi rimase*
Cor. E che divenne
DelPinfelice corpo?
EFg, Io noi so dire;
Ch'era A pien d'orrore e di pietate,
Che non mi diede il cor di nmirarvi.
Per non vederio in pezzL
Cor. Oh strano caso!
SiL Oimè! ben son di sasso.
Poiché questa novella non m'uccide.
Ahi! se la falsa morte
Di chi tanto F odiava
s
fo AMIIf TA
A lai tolse la vita,
Bea sarebbe ragioae
Che la verace morte
Di chi tanto m^ amava
Togliesse a me la vita:
E vo' che la mi tolga.
Se non potrà col duol, almen col ferro j
O pur con questa fascia,
Che non senza cagione
Non segui le ruine
Del suo dolce signore,
Ma restò sol per fare in me vendetta
DelF empio mio rigore
£ del sua amaro fine.
Cinto infelice, cinto
Di signor più infelice.
Non ti spkiccia restare
In sì odioso albergo ^
Che tu vi resti sol per instrumento
Di vendetta e di pena.
Dovea corto, io dovea
Esser compagna uì mondo
Dell' felice Aminta.
Poscia ch'aUcNT non volli.
Sarò per opra tua
Sua compagna alP inferno.
Cor. Consolati , meschina ,
Che questo è di fortuna, e non tua, colpa.
Sii Pastor^, di che piangete?
Se piangete il mio aìS&nno,
Io non metto pietate,
Che non la seppi usare:
Se piangete il morire
Del misero innocente,
f
ATTO QUARTO 63
Questo è picciolo Begao
A A alta cagione. — £ tu rasciuga ,
Dafne ^ queste tue lagrime^ per diol
Se cagion ne son io^ •
Hen ti voglio pregare ,
Non per pietà di me^ ma par pieUte
Di chi degno ne fue^
Che m'ajuti a cercare
L' infelici sue membra e a aeppelliile.
Questo sol mi ritiene
Ch'or ora non m'uccida:
Pagar vo^ questa ufficio ^
Poi ch'tiltro non m' avanza ^
AlPamor ch'ei portommi: ^
£y sebbene quest'empia
Mano contaminare
Potesse la pietà ddl'opra^ poro
So che gli sai^ cara
L'opra di questa mano^
Che so certo eh' ei m' ama ,
Come mostrò morendo.
/>a^Son contenta ajutarti in questo ufficio:
Ma tu già non pensare
D'aver poscia a morire.
Sii Sin qui vissi a me stessa ,
Alla mia feritale: or quel eh' avanza ;
Viver voglio ad Aminta}
£, se non posso a lui^
Vivere al freddo suo
Cadavero infelice.
Tanto, e non più mi lice
Restar nel mondo, e poi finir a un punto
£ r esequie e la vita. —
Pastor, ma quale strada
64 I AMINTA
G conduce alla valle ^ ove il dirupo
Va a terminare?
Ei^ Questa tì conduce ;
E ouind poco spazio ella è lontana.
j9ij^ Anoiam, che verrò teco^ e guiderottì^
Che ben ranunento il luogo.
SiL Addio, pastori; —
Piafi^, addio; — addio, selve: — e fiumi, addio !
JSrg: Costei parla di modo , che oimostra
D'esser disposta all' ultima partita.
coao
Gò che Morte rallenta, Amor, restrìngi;
tu di pace, ella di guerra;
£ dd suo trionfar trionfi e regni:
E mentre due belFalme annodi e cingi.
Cosi rendi sembiante al cid la terra,
Che d'abitarla tu non fuggi o sdegni
Non son ire là su: gli umani ingegni
Tu placidi ne rendi, e Podio intemo
Sgombri, ngnor, da' mansueti cori;
Sgombri mille furori,
E quasi fai col tuo valor superno
DeUe cose mortali un giro etema
ATTO QUINTO
SCENA UNICA
ELPrao, CORO
Elp. V eramente la legge ^ con che Amore
n suo imperio governa eternamente^
Non è dura, né obbliqua; e Fopre sue.
Piene di provvidenza e di mistero ^
Altri a torto condanna. Oh con ouant'arte
£ per che ignote strade egli conduce
I?uomo ad esser beato, e fra le gioje
Del suo amoroso paraduo il pone,
Quando à più crede al fondo esser de^ mali!
• ''EccOy precipitando, Aminta ascende
Al colmo, al sommo d^ogni contentezza;
Oh fortunato Aminta 1 oh te felice
Tanto più , quanto misero più fosti !
Or col tuo esempio a me uce sperare,
Quando che sia, che quella bella ed empia,
Che sojLto il riso di pietà ricopre
n mortai ferro di sua ferìtate,
Sani le piaghe mie con pietà vera.
Che con finta pietate al cor mi fece.
Cor. Quel che qui viene, è il saggio Elpinoj e parla
Cosi d^Aminta, come vivo ei fosse,
Chiamandolo felice e fortunato.
Dura conditone degli amanti 1
Forse egU stima fortunato amante
dìi muore, e morto al fin pietà ritrova
Taìso» FoL ir. 5
\
66 AMINTA
Nd cor delb ma niofiei; e questo chiama
Paradiso cF Amore, e ouesto spera.
Di che lieve mercè l'alato Dìo
I suoi serri contentai — Elpin, tu dunque
In si misero .^tato sei, che chiami
Fortunata la morte miserabile
Delf infielice Aminta? e un simil fine
Sortir vorresti?
Elp. Amici, state allegri;
Che fiJso è quel romor che a voi pervenne
Della sua morte.
Cor. Oh che ci nani ! e quanto
Ci racconsoli! £^ non è dunque il vero
Che si precipitasse?
EIp. Anzi è pur vero;
Ma fii felice il precipizio, e sotto
Una dolente immagine di morte
Gli recò vita e gioja. Egli or si giace
Nel seno accolto delT amata ninfa,
Quanto spietata eia, tanto or pietosa;
E le rasciuga da^ begli occhi il pianto
Con la sua bocca. Io a trovar ne vado
Montano, di lei padre, ed a condurlo
Colà dov^essi stamio; e solo il suo
Volere è quel che manca, e che prolunga
U concorde voler d^ambidue loro.
Cor. Pari è T età , la gentilezza è pari ,
E concorde il desio: el buon Montano*
Vago è d^aver nipoti, e di munire
Di si dolce presidio la vecchiezza,
Si che farà del lor volere il suo.
Ma tu, deh, Elpin, narra qual Dio, qual sorte
Nel periglioso precipìzio Aminta
Abbia Slavato.
Elp, Io son contento: udite.
ATTO QUINTO 67
Udite qael ehe con quest' occhi ho visto.
Io. era anzi il mio speco che si giace
Presso la vaHe e quasi a pie del colle,
Dove la costa face di sé grembo:
Quivi con Tirsi ragionando andava
Pur di colei che neii^ istessa rete
Lui prima è me dappoi ravvolse e strìnse,
E preponendo alla sua Alga, al suo
Libero stato il mìo dolce servaggio,
Quando ci trasse gli occhi ad alto un grido ^
E '1 veder rovinar un uom dal sommo,*
E 1 vederio cader sovra una macchia ,
Fu tutto un punto. Sporgea fuor del colle,
Poco di sopra a noi, d^erbe e di spini
E d'altri rami strettamente giunti
E quasi in un tessuti un fescio grande.
Quivi, prima che urtasse in altro luogo,
A Caller v^Mie: e, ben ch'egli col peso
Lo sfondasse", e più in giuso indi cadesse
Quasi su^ nostri /piedi, quel ritegno
Tanto d'impeto toke alla caduta,
Ch'dla non fu mortai; fu nondimeno
Grave così, ch'ei giacque un'ora e piiìe
Stordito affatto e di sé stesso fuori.
Noi muti di pietate e di stupore
Restammo aUo spettacolo improvviso ,
Riconoscendo lui: ma, conoscendo
Ch' egli morto non era , e che non era
Per morir forse, mitighiam F affanno.
Allor Tirsi mi die notizia intera
De' suoi secreti ed angosciosi gmori.
Ma^ mentre procuriam di ravvivarlo
Con diversi argomenti , avendo intanto
Già mandato a chiamar Alfesìbéo,
Tasso, FoL JK 5*
68 AMINTA.
A cui Febo insegnò la medica arte
Allor che diede a me ia cetra e '1 plettro ^
Sopraggiunsero insieme Dafne e Silvia/
Che, come intesi poi, givan cercando
Quel corpo che credean di vita privo.
Ma come Silvia il riconobbe , e vide
Le belle guance tenere d^ Aminta
Iscolorìte in si leggiadri modi ,
Che viola non è che idapallidisca
Si dolcemente, e lui languir si fatto,
Che parca già negli ultimi sospiri
Esalar Palma, in guisa di Baccante
Gridando , e percotendosi il bel petto ,
Lasciò cadérsi in sul giacente corpo,
E giunse viso a viso, e bocca a bocca.
Cor. Or non ritenne adunque la vergogna
Lei ch^ è tento severa e schiva tento ?
Eìp. La vergogna ritien debile amore,
Ma debil freno è di potente amore.
Poi, si come negli ocelli avesse un fonte.
Innaffiar cominciò col pianto suo
Il colui freddo viso; t fu qudl^ acqua
Di cotante virtù, ch'egli rivenne,
E, gli occhi aprendo, un doloroso oimè
Spinse dal petto intemo.
Ma quetf oimè, ch'amaro
Cosi dal cor partissi,
SMncontrò nello spirto
Della sua cara Silvia, e fu raccolto
Dalla soave bocca; e tutto quivi
Sùbito raddolcissi.
Or clii potrebbe dir come in quel punto
Rimanessero entrambi, fatto certo
Ciascun delf altrui vite^ e latto certo
ATTO QUINTO 69
Aminta dell'amor della sua ninfa,
E lotosi con lei congiunto e stretto?
Chi è servo d'Amor, per sé lo stimi:
Ma non si può stimar,. non che ridire.
Cor. Aminta è sano si , eh' egli sia fuori
Del rischio della vita?
E^. Aminta è sano,
Se non eh' alquanto pur graffiat' ha '1 viso ,
Ed alquanto dirotta la persona;
Ma sarìi nulla, ed di per nulla il tiene.
Felice lui, che sì gran segno ha dato
D'amore, e delTamor il dolce or gusta,
A cui gli aflfanni scorsi ed i perigU
Fanno soave e caro condimento!
Ma restate con Dio, ch^io vo' seguire
n mio viaggio, e ritrovar Montano.
ì
CORO
Non so se il molto amaro
Che provato ha costui servendo, amando,
Piangendo e disperando.
Raddolcito moV esser pienamente
D'alcun dolce presente:
Ma, se più caro viene
E più si gusta dopo '1 male il bene,
Io non ti chieggio, Amore,
Questa beatitudine maggiore.
Bea pur gli altri in tal guisa;
Me la mia ninfa accoglia
Dopo brevi preghiere e servir breve:
E siano i condimenti
Delle nostre dolcezze
70 AMINTA ATTO QUINTO
Non A gravi tonnenti, n
Ma soavi disdegni
E soavi ripulse;
Risse e guerre a cui segua ^
Reintegrando i cori, o pace o tregua.
INTERMEDI
INTERMEDIO PRIMO.
Jt^roteo 8on io, che trasmutar scuunduu ^
E forme soglio variar sì spesso;
£ trovai Parte onde notturna scena
Cangia F aspetto j e quinci Amore istesso
Trasforma in tante guise i vagiii amanti^
Com^ogni carme ed ogni storia è piena.
Nella notte serena,
NdP amico silenzio e nelP orrore ,
Sacro marin pastore
Vi mostra questo coro e questa pompa)
Né vien 'Chi V interrompa ,
O turbi i nostri giochi e i nostri canti.
BSTERMEMO H.
i^ante leggi d^ Amore e di Natura 9
Sacro laccio ch'ordio
Fede sì para di sì bel desìo;
Tenace nodo, e forti e cari stami ^
Soave giogo "e dilettevol salma,
Che fai Fumana compagm'a gradita ,
Per cui regge due corpi un core, un^alma,
E per cui sempre si gioisca ed ami
Sino alF amara ed ultima partita ^
Gioia y conforto e pace ,
Della vita fugace;
Del mal dolce ristoro ed alto obblioj
Chi più di voi ne riconduce a Dio?
7a ABHNTA INTEHMEDJ
INTERMEDIO m.
xJìn noi siam, che nd sereno etemo
Fra celesti zaffiri e bei cristalli
Meniam perpetui balli ^
Dove non è giammai state, né vemo^
Ed or grazia immortale, alta ventura
Qua giù ne tragge, in questa beUa immago
Del teatro del mondo;
Dove facciamo a tondo
Un ballo novo e dilettoso e'^vagOy
Fra tanti lumi della notte oscura,
AUa chiara armonia del suono alterno.
INTERMEDIO IV.
Jtene, o mesti amanti, o donne liete,
Ch'è tempo omai dì placida quiete:
Itene col silensdo, ite col sonno.
Mentre versa papaveri e viole
La Notte, e fugge il Sole;
E s^ i pensieri in voi dormir non povmo ,
Sian gU affiinni amorosi
In vece a voi di placidi riposi ;
Né miri il vostro pianto Aurora o Luna:
n gran Pan vi licenzia; omai tacete.
Alme serve d'Amor fide e scerete.
i^^U
y
AMORE FUGGITIVO
Ocesa dal terso cielo ^
Io che sono di lui regina e dea
Cerco il mio figlio fuggitivo Amore.
QoestMer, mentre sedea
Nel mio mmbo scherzando^
O fosse c»iezione , o fosse errore y
Con un suo strale aurato
Mi punse il manco lato,
E poi fuggì da me, ratto volando,
Per non esser punito;
Né so dove na gito.
Io che madre pur sono ,
E son tenera e molle,
Usaf ho per trovarlo ed uso ogn' arte :
Cere' ho tutto il mio cid di parte in parte,
E la sfera di Marte, e Faltre rote
£ correnti ed immote;
Né là suso ne' cidi
È luogo alcuno oVei s'asconda o cehj
Tal ch'or tra voi discendo.
Mansueti mortali.
Dove so che sovente ei & soggiorno,
Per aver da yoi nova
Se 1 Fuggitivo mio qua giù si trova.
Né già trovar lo spero
Tra voi, donne leggiadre;
Perché, sehben d'mtomo
Al volto ed alle chiome
\
74 AMORE FUGGITIVO
Spesso vi scherza e vola ,
E sebben spesso fiede
Le porte di pietate.
Ed albergo vi chiede^
Non è alcuna di voi che nd suo petto
Dar gli voglia ricetto j
Ove sol ferìtate é sd^no siede.
Ma ben averlo spero
Negli uomini cortesi^
M quai nessun si sdegna
Raccorlo in sua magione;
Ed a voi mi rivolgo y amica acliìera :
Ditemi^ ov'è il imo figlio?
Chi di voi me T insegna ^
Yo* che per guiderdone
Da queste labbra prenda
Un Dacio quanto posso
Condirlo più soave.
Ma chi mei riconduce
Dal volontario esiglio.
Altro premio n^ attenda ^
Di cui non può maggiore
Darlo la mia potenza ,
Sebbeq in- don eli desse
Tutto il regno dr Amore:
£ per Istige t giuro
Che ferme serverò Falte promesse.
Ditemi, ov'è mio fighoj
Ma non risponde alcmi? oìaBcon si taoe?
Non P avete veduto?
Forategli qui tra voi
Dimora sconosciuto}
^ E dagU QXDBn suoi
Spiccata aver de^ "*
\
ilMORE FUGGITIVO 75
E deposto gli strali,
£ la faretra ancor deposto e Parco
Onde sempre va carco ,
E gli altri arnesi alteri e trionfici.
Ma vi darò tai segni ,
Che conoscere ad essi
Facilmente il potrete ^
Ancor che di celarsi a voi s'ingegni.
Egli, benché sia vecchio
E d^astuzia e d^etade.
Picciolo è ày che ancor iSuidullo sembra
Al volto ed alle membra;
E Vi guisa di fanciullo
Sempre instabil ai move.
Né par che luogo trave in cut s' appaglii ;
Ed ha gioja e trastullo
IV puerili scherzi;
Ma u suo scherzar è pienO^
Di perìglio e di danno:
Facdmente s'adira,
Facilmente si ]Jaca; e nd ano viso
Vedi quasi in un punto
E le lacrime e ^ riso.
Crespe ha le chiome e d* oro ;
E 'n quella guisa appunto "^
Che Fortuna si pinge,
Ha lonehi e folti in su la Ironie i èrini;
Ma nuda ha poi la testa
Agli opposti confini,
n color del suo volto
Più che foco è vivace j
Nella fronte dimostra *
Una lascivia audace}
Gli ocelli infiammati e pieni
\
76 AMORE FUGGITIVO
IVun ingannevol rìso
Volge sovente in biechi^ e pur sott' occhio
Quasi di furto mira^
Né mai con dritto guardo i lumi gira.
Con lingua che dal latte
Par che si discompagni ,
Dolcemente favella , ed i suoi detti
Forma tronchi e imperfetti:
Di lusinghe e di vezzi
È pieno il suo parlare;
E son le voci sue sottUi e chiare.
Ha sempre in bocca il ghigno}
E gF inganni e la frode
Sotto ^el ghigno asconde*
Come tra fiorì e fronde angue maUgno.
Questi da prima altrui
Tutto cortese e umile
Ai sembianti ed al volto.
Qual pover peregrino^ aloergo cliiede
Per grazia e per mercede;
Ma^ poi che dentro è accolto,
A poco a poco insuperbisce , e ùìbìì
Oltra modo insolente.
Egli sol vuol le chiavi
Tener deir altrui core;
Egli scacciarne fuore
Gu antichi albergatori, e 'n quella vece
Ricever nuova gente ;
Ei far la ragion serva,
E dar legge alla mente.
Con divien tiranno
D^ ospite mansueto:
E persegue ed ancide
Chi gli s^ oppone e chi gli fa divieto.
AMORE FUGGITIVO 77
Or ch^io v'ho dato i segni
E degli atti e del viso
E de' costumi suoi,
S'egli è pur qui fra voi,
Datemi , prego , del mio figlio avviso.
Ma voi non rispondete?
Forse tenerlo' ascoso a me volete?
Volete ( ah foDi I ah sciocchi I )
Tenere ascoso Amore?
Ma tosto uscirà fuore
Dalla lingua e dagli occhi
Per mille indizi aperti: ^
Tal io vi rendo certi
Ch'avverrà quello a voi, ch'avvenir suole
A colui che nel seno
Crede nasconder l'angue,
Che co' gridi e col sangue alfin lo scopre.
Ma poi che cui noi trovo.
Prima ch'ai ciel ritorni.
Andrò cercando in terra altri soggiorni.
POESIE PASTORALI
N
IL ROGO DI CORINNA
i
IN MORTB DELLA MOGLIE
DI
D. FiLBIO ORSINO
TIBSI, AMINTA, AMORE, FAMA, PAIfE.ESCUL APIO,
BACCO, CERERE, MERCURIO, DIOSCURI (♦), ER-
COLE, VENERE, GRAZIE, VIRTÙ, DIANA, APOLLO,
MUSE, VULCANO, MINERVA, NETTUNO, GIUNONE,
GIOVE , SATURNO , CIBELE , AMORI.
JT iangea dolente e sospiroso Aminta
Lungo le rive del famoso fiume ^
Che, dividendo la città di Marte,
Già sen portò nel suo profondo seno
Uume e i sepolcri degb antichi regi,
Ma bagna ancor quella marmorea tomba
Che Fossa ascose del romàno Augusto,
MeravigUa del mondo , anzi di Roma
Che i miracoli tutti in sé raccolse,
£ fe^ sparir le meravigtie altrui:
Fiangea Corinna in lagrimoso canto j
< E nd pianto canoro i sette colli
Rìsponoevan Corinna) e '1 Tosco fiume
«
(^ Tutte Taltre ttamue e rìstamp|e da noi vedute leffgono
/>B atcuri in yeoe di bioscurL V. ii Dizionario mitologico
ia Castore ^ Polluce. — ( Gii Edit)
Tatto, Voi JF. 6
89 POESIE PASTORALI
Risonava Corinna, e i chiari fonti;
Corinna più lontano i verdi bosclii,
Corinna mormorar F ombrose , valli :
Talché Ninfe e pastori, al suon delusi,
Giojosa no, ma dolorosa imago
Trasse, e fra gli altri alle soavi note
Tirsi pastor, cne, sovra il mar Tirreno
Nato tra le Sirene in mezzo ai cigni.
Visse là dove il Mincio al Po discende;
E disse:
Tir* Non perturbi il mio venire
Le dolcissime tue voci canore.
Anu.S^ fu mai dolce il nostro canto e 1 suono,
Or amaro è vieppiù d'onda marina.
Più di fely più (Massenzio e più di tosco:
Non è più dolce no, non è più canto.
Ma pianto miserabile e dolente,
Come morte clie 1 fa. Corinna è morta :
Morta è Corinna. Ahi lagrìinoso fato!
Di queste selve il più bel ramo è svelto;
Reciso è 1 più bel fior di queste piagge;
Di questi giorni il più bel raggio e spento.
Pianser le Ninfe la sua acerba morte:
Testimoni voi sete, abeti e faggi.
Che udiste il pianto ; e voi , fontane e rivi ,
Che più cresceste al lagrimoso umore.
Nìuno allor condusse a ber gli armenti;
Non gustò fera le turbate fonti.
Né toccò per dolor T erba: del prato.
Gemeva ancora al tuo morir, Corinna,
L*a£fricano leon, la tigre ircana.
Come dicon le selve e i feri monti.
Corinna dimostrò ne' rozzi boschi
Qual fòbe gentilezza e cortesia;
E insegnò prima alle selvagge Ninfe
POESIE PASTORALI 83
A figurar coli' ago i^orì^ e Terbe^
E i dipinti augellettiy e i vaghi cervi
Colle ramose coma, e i capri , e i pardi j
Talché le sue vittorie ella dipìnse ,
E i suoi proprj trofei spiegò nelTora;
Cara a Diana , e cara anco a Minerva.
Come ad arbor la vite, a vite Puva,
Tauro agU armenti, e biada ai grassi campi,
Qo^ tu fosti ai tuoi, Corinna, onore.
Poscìachè tMnvolò T acerba morte.
Pale medesma abbandonò piangendo
Le Sue nude campagne, e seco Apollo 3
E nei solchi, in cui già fu sparso il grano.
Vi signoreggia F infelice loglio,
£ la stenle avena, o felce appresso
Sventurata che frutto non produce :
£ in vece pur di videtta molle,
Di purpureo narciso e di giacinto,
Il cardo sorge ^ e colle spine acute
no
Di verdi fronde voi P arida terra,
O pastori, spargete} e i chiarì fonti
(^ Questa lacuna è in tutte le stampe per noi vedute.
Il Tasso imitò nella presente composizione^ o piuttosto tra-
dusse molti versi dell* egloga Y di Virgilio , dove trovasi
pure questo passo; ma ken si vede eh* egli voleva amplifi-
carlo, poiché il poeta latino dice semplicemente Carduus ,
et spinb surgii pitUunu acuds; donde non si potrebbe cavar
altro che la voce paìiùro, colla quale non si arriva tam->
poco a riempiere la metà del verso che si desidera. I7n*ag«
giunta del Tasso è altresì ,^ o felce appresso Sventurata
che fruito non produce ^^; e pero non possiamo decìdere
della sincerità di tale lezione, di cui, a aire il vero, dubi^
tiamo alcun poco per cagione principalmente di quella voce
appresso y che , sebbene si possa difendere , non finisce di
soddisfiurne ^ parendoci oziosa. ^- ( Gli Edit. )
84 POESIE PilSTO&ALl
Coprite Intorno pur coff ombra fosca ^
Che ristessa Corinna il vi comanda.
Fate il sepolcro, e nel sepolcro il carme
Aggiungete piangendo ai bianchi marmi :
<* Giaccio io Corinna qui, da terra al cielo,
« £ dalle verdi selve alF auree stelle
- « Nota per fama di beltà pudica. •
Tir. Di bello armento guardìan più bello,
Tal è il tuo canto a noi, divin poeta,
Qual sopra Terba verde il dolce sonno
AU^uom già stanco, e, nelT estivo ardore,
Dolce rivo ch'estingua ardente sete;
.Me colle canne solo il mastro agguagli,
Ma colla voce e coi soavi accenti.
Fanciullo avventurosa, or tu sarai
Secondo a lui, ma sol d^età secondo.
Noi canteremo i nostri versi a prova,
Qualunque paja il nostro modo e Parte,
E Corinna alzerem fino alle stelle.
Fino alle stelle innalzerem Corinna;
ChMo non fui d^o di vederla in terra.
Ma spero forse di vederla in cielo.
^iiiJ.Qual fu di questo mai più caro dono?
Ella fu degna del tuo cniaro canto,
E 1 tuo canto lodar Batto e Menalca,
Tir. La candida Corinna il bianco cerchio
£ 1 candor non usato in ciel rimira,
E vede sotto i pie le vaghe nut»
In mille forme j e P argentata luna,
E F altre stelle, el lor viaggio torto:
Però del suo piacer s^ allegra il bosco,
E si riveste ornai la verde spoglia,
Di Pan albergo, di pastori e Ninfe;
Né lupo insidia alle lanose gregge ,
Né tendono le reti inganno a^ cervi.
POESIE t>ASTO&AU SU
Ama Corinna Fozio, e Fosio è in cielo;
Ma la fatica s^ange su le porte
Del tenebroso inferno, ove dolente
Sta fira la schiera dMn6niti malL
I monti adomi di fiorite chiome
Alzano nel piacer le voci al cielo;
Snonan Pitìculte rupi i vaghi carmi;
Dei vaghi carmi ancor, suonano i boschi:
Diva fu, Diva fu Corinna, o parve;
£ se in tern fu Dea, che fia nel cielo?
Ecco (se a te non basta, o Dea, la tomba)
Quattro alziam qui bianchi e politi altari^
Duo, o Corinna, a te, duo a Diana:
E d^anno in anno spargererùo intòmo
Tazze spumanti pur di novo latte.
A te duo ^ vasi di liquor decliva
Porrò, Corinna; e le più adorne mense
Farà Bacco più liete, in ampio vetro
Versando il pretioso e tiobil vino ^
E canteranno a te Lizio ed Egone;
I satiri saltanti Alfesibéo
Imiterìi (*). O Dea, riguarda i giuochi,
E avrai peipetui questi onori in terra.
E quando renderem solenni i voti
Alle Ninfe de' fiumi e delle selve,
E quando purgheremo i nostri campi.
Mentre il cinghiai de' monti i duri gioghi,
Mentre il pesce amer^ gli ondosi fiumi,
Mentre si pasceran Tapi de' fiori,
(*) Tutte le $tampe da noi vedute» anco le recentissime «
lendtto tnntieranno in luogo di Imiterà, Noi siam debitori
deua nostra emendazione a Virgilio, il qual dice nelP egloga
^ citata : SalUmtes Satyro» imitabiiur JlphtsUfoem* '^
< Gli Edit )
M> POESIE PASTO&ALI
E di rugiada avran celeste cibo
Le canore cicale , in terra sempre
Più saldo rimarrà y che in salda pietra^
L' onor tuo , la tua laude e 1 chiaro nome.
/Come a Cerere e a Bacco, a te/ Corinna ,
I doni porterà da' 'verdi campi
U tuo rozzo coltor con larga mano,
E tu condannerai con voti, o Diva 0*
^nu. Quali ai te, quali per si colti versi
Render doni potrò degni de) canto?
Perchè non tanto il sibilar detf austro,
Né d'onda che si rompa al saldo lido
Udir mi giova il suono , o quel d' un fiume
Precipitante per sassose valli.
Ma prendo questo yaso, in cui soleva
Corinna a mezzo- di spegner la sete,
Stanca delle vittorie e delle prede,
Ch^ella cohnò già d^ acque, io poi di pianto
Due volte il giorno; e spargeroilo intomo
Al sepolcro ca alzar dobbiamo, a gara,
Quando si leva e quando inchina il sole.
Ma se non tanto il pianger mio gradisce.
Quanto le rime tue, prendi, pastore.
In sua memoria etema il caro dono.
77r. Prendi alP incontro tu, cortese Aminta,
Questa siringa mia di ^ sette canne.
Onde già ragionar gli elei e T arene
Che percuote il mar d'Adria e fiede il vento. —
Ma quale odo io più che d'umana voce
(*) Condannar co* voti è frase prettamente latina, la
quale significa Obbligare a sciogliere il voto promesso ; e il
Tasso la tolse letteralmente da Virgilio, che nelP egloga
preallegata disse: Damnabis tu quoque -vods, — ^ (Gli bditj
POESIE PASTORALI 87 \
Dolcissimo concento? e quali io veggio '
E luci e lampi? Oh dolce lume, oh suono]
Ecco Febo, ecco Amor con mille Ancori. ^
AmoJL voi non si conviene, ,
O dolenti pastori,
Alzare il tempio, o pure alzar la tomba
Di questa che volò quasi colomba
Colle sue candide ali:
E, bench^ella non sdegni il dolce suono
Deir umile siringa,
Ama più chiara tromba,
£ più nobili esequie e più gradite;
£ d^ altro, che di bianchi e tersi marmi ^
Ama il sepolcro e i carmi.
Opra è solo d^ Amore
Farle cotanto onore.
Incontro a quel superbo,
Che là s'innalza con terribil fronte '
In guisa tal che agguaglia orrido monte,
L'alzerò di mia mano {
D'altra materia pur, che di terrena, *
S che r argento e Foro
Perderà dal lavoro*
Dirà il Franco e Tlspano
£ chiunque passando il mare e TAlpe
Giungerà stanco alfine in vai di Tebro
Là dove io la celebro:
Ecco due gran sepolcri.
Ecco due meraviglie
Del mondo e di natura;
Ma quella, se ben miro,
Fecer gli uomini già, questa gli Dei. —
Che non pur io son Divo,
Ma son IMvi ed eroi fra questi colli)
88 POESIE PASTORALI
Per cui^ se dritto estima Amore e Marte^
Ami giudice Alcide e Giove istesso,
Men gloriosa è del Leon la spoglia ^
/ Cbb delTOrsa famosa il nobil vello ^
E men degna del cielo e di sue stdle.
Dunque • . • . <*) terrena è queUa,
Fia onesta Ojpra divina;
Che 1 Gel m, alta gloria a lei destina.
Voi frattanto volando^
O pargoletti miei^ spogliate intorno
E monti e prati e valli
Di fior vermigli e gialli^
Aedo che sparga odore il rogo ardente
Di questa mia fenice ^
Come fa quel dell'altra in Oriente.
Altri tagli il ginepro;
Altri F arbore incida ^
Che, troncato; ^ammai ramo né foglia
fii .novo non germoglia;
Altri sostegno al rogo
Faccia statue spiranti ,
E nel cipresso incida
Le sue palme e i trofei^
Teste di fere e spoglie,
Reti, dardi, faretre, archi, quadrella;
Altri vittorie tolo
Avute nelle selve
Contra l'erranti belve,
(*) Questa lacuna è segnala in tutte T edizioni. Tuttavia
pare a noi che senza nuocere al sentimento si potrebbe leg-
gere così:
Danqae terrfiia (jaella,
Fia questa opra diruia. te.
( Gli Edit. )
POESIE PASTORALI 89
E qadBa. onde dia yiwse uomini e Dei ;
Altri le noba membn alnobil rogo
Imponga . e le rìcqpra il puro Telo;
Altri le taci accendali e 'L foco desti
Ecco arde il rogo, ecco la fiamma ai cielQ.
Deh 1 cessi il flebii suono;
Deh! cessino i lamenti:
Dien luogo ad alte lodi alti sospiri ,
E à rasciughi il pianto y
Che al pai'lar della Fama
Par che la terra e 1 ciel risilou intanto.
jPoniLDolore annunzio e lutlo^
Pastoi^^ bifolchi e Ninfe;
Fauni, Sileni e Pani;
£ Satiri e iSilvani;
L* annunzio a voi che nelT alpestri dme
Abitate de* monti o presso ronde
Deir arenoso lido;
A voi che 1 mar circonda ;
A voi che cinge la palude e 7 fiume;
A voi; dicO; del mare, a voi del odo
Dive e Divi io ragiono:
Ma solo annunzio a voi diletto e pace
DelFalma che sen vola a' vostri cori.
Morta è Corinna ; anzi è tra voi salita ; *
Lasciando il mondo in lagrimoso orrore';
Scuro ; dolente e fosco.
Qual senza fronde il bosco ;
E senza fiori il prato ;
E senza Tacque il fonte,
E senza stelle il cielo,
Tale è senza i suoi pregi
La terra, e, senza il suo lucente raggio ;
D* alpestre e di selvaggio
\
go K>ESIE PASTORALI
E (P orrido deserto ha faccia oscura.
Piange il mondo e natura:
Qual meraviglia è poi,
Se piange ancor la Fama,
Che dovrebbe lodarla,
, E per miUe occhi lagrime distilla?
Ma tu non piangi, Amore,
Perchè speri goderne, e goder solo
Non in Pafo od in Guido,
Ma su nel terzo cielo j
Ed a noi sol qui lasci il nome e 1 grido.
SMo tante lingue avessi e tante penne,
Quant' ella ebbe virtù , quanta bellezia ,
Sarebbe etemo il suono, etemo il volo.
Onde il suo nome porterei cantando
DalTuno all^ altro polo:
Ma non basta a^ suoi merti ogni fiivella.
Però taccio, piangendo,
Quanto leggiadra fosse e quanto accorta:
Taccio che nel fiorir de^ suoi verdi anni
Vinse di senno i saggi,
Di fede i più fedeli^
Vinse di gravitìi matura etade,
Non pur di leggiadria la più leggiadra.
Solo dirò che a là cotanto piacque
L'esser casta e pudica.
Che le spiacque esser bella ^
E le spiacque il bel nome
Che le acquistò cantando il suo fedele.
Io medesma le spiacqui,
Io che tanto la lodo, e lodo il vero.
Fama certa, e verace
Messaggiera quaggiù della sua morte.
Anzi della sua pace
I
POESIE PASTORALI 91
£ della sua virtù che in del consorte
La fa degli altri Divi:
Ella fra loro avrà perpetua vila^
Quant^ esser dee, gradita.
Voi, voi non sete vivi,
Yoi, che allor n(Hi moriste,
Impallidir veggendo il chiaro viso,
£ morte ricoprir d* etemo gelo
Le sue purpuree rose ,
£ d'ombra etema i duo lucenti lumi,.
Gloria di questa etadè.
O tenebrosi Numi,
Qual più lucido raggio
Ne scopre in queste selve alto viaggio,
Senza la bella e graidfosa luce
Che vi fu scorta e 4uce7
Oh dolore, oh jùetadel
Oh miseria del mondo I
Come passa repente e come fugge
Virtù, grazia, nellezza e leggiadna!
Bla già la Fama è stanca ,
A cui subietto avanza, e voce manca}
Muta la Fama istessa omai diviene.
Che fu tanto canora:
Pur se più non la loda, almen F adora,
£ qui consacra Fali, e qui le trombe ^
£ ben mille virtù d^un cor pudico
Tacita involve in un sil^izio amico.
jimi.Tsice la vaea Fama;
Ma viene al suo rimbombo
Ogni più scelto Dio e più sublime:
Vengono anco i minon
Ad onorar questa notturna pompa
Coi doni lor fonebrì.
gì POESIE PASTORALI
Pan.QaealbBi A preaost e Uanca lana.
Che già yestìva il manstteto agnolo |
Veslita ancor n^ boschi avria Diana.
Tu spressasti oi^ogliosa il bianco veUo;
Né quei di Frìsso a* mie* amorosi inoendi
Fatto pietoso avrebbe il cor mb^.
S* ardesti il donator, il dono moendi^
E, rifiutato in vita y in morte il prendL
Esc* Quest' erbe e questi fiori y
C hanno virtùi di richiamare in vitai*
Porgo alle fiamme colla mano ardita;
Ma dia ritornar forse non vliofe:
Io troppo ardisco ed oso,
E non mi rende accorto antìea pena-
Or mentre ^ria in luce pia serenai
Non fulmini sdegnoso
Sovra me Giove ^ come Irato suole;
Ma fulmini amoroso ^
Sia temer debbo sì cocenti ardori.
Fulmini dolcemente i nostri cori.
Bac. Mentre non arde ancor chiome A bdle
L'odorifera fiamma e non circondai
Io la porono di mia verde fronda ,
Per coronarla poscia in del di stelle
Degno è sol deUe fad alme e «fiume
E di celesti raggi il biondo crine ,
Di cuifaran le fiamme empie rapfaie:
Se questo è d^oro. il foco alFór perdonai
E splenda in ciel la chioma e la corona.
Cer* A te le bianche spidie
Cerere accendo: e tanto ora mi doglio ,
ChMo mi rinnovo il mio primo cwdogha
Esser potei di Proserpma in "vece
Qui nd sereno giorno
I
POESIE PASTORALI ' g3
Blenti^ ella albergò già odr ombra oscura;
Ma crude! nolte mi tMnvola e fura:
£ aaria U tuo rìtono
Come quel di mia figlia e d'Euridice 0-
Ahi Fati 9 abi Parche a tanti OBOr nemiche!
itfer. Messaggier del gran Giove io doqo Tali
Al rogo tuo, per non volar giamniai^
Questo è. Tcwcio tuò| chinai potrai ,
Malgrado della morte e de* mortali ,
Vincer Ffaifemo e sue leggi fatati.
Iride ceda ; e ^ se pietà ti move j
Sii messaggera tu del sommo Giove:
Prendi la vein^i e.ne^ celesti regni
Snrti richiama chfi di lor sian degni.
2>jlM.Noi portiamo al tuo rogo^ anima illustre.
Queste candide penne,
Come il caniior che a tua viftù convenne:
E se tu brami scintillar fra noi
D'altra fiamma più bella,
£ rotar per gU obliqui alti viaggi,
\leui lassù fra i duo cortesi eroi.
Contenta di tua stella :
Partiamo il tèmpo, e raddoppiamo i raggi,
Noi dd tuo bme , e tu del nostro ornata.
(*) Cosi tutte FedizioDi. Ma, vedendo noi che il Tasso suole
pdomar della rima le chiuse di queste strofe, sospettiamo
ch'egli dettasse Ewidichef conservando a questo nome il suono
greco; che É»/v/nb« in ^reco si scrìve. Fors*anco si po-
trebbe leggere nemke in cambio di nemiche^ a quella giusa,
e esempio, che in Dante si trova hiece in cambio di
he; ma sarebbe q[uetta per avventura troppo ardita li-
cpiia. — ' Anche nel primo verso della stro& de bioscurì , in
vece di anima mastre^ leggeremmo volentieri abna ben nata^
ovvero abna beata; poiane in tal modo il detto verso e
rnltìmo della strofa medesima non resterebbero privi della
riRM.-- (GliEdit) ,
9i POESIE PASTORALI
Ere. L'abito eletto e i preziosi fregi
Prendete 9 fiamme, onde me stesso avvolsi:
Dolci miei scorni, anzi miei dolci pregi.
Se quel che volse Amor, ancor io volsi,
Abbial Ck)rìnna: e poi de^ fatti egregi (i)
Colga ouel frutto in del, che in cielo io colsi:
Simile è 1 rogo e '1 fine, anzi la meta,
E splenda Val di Tebro in guisa d'Età.
(2) L'armi ch^ uscir dal foco, al foco ancora
Bender dovrei, e gir inerme e umile,
Non potendo costei rìtorre a morte,
Come ritolse Alcide alma gentile,
Aldde che nel ciel meco Buonora,
Nato immortai, ma non di me più forte.
Ma che? prenda lo speccliio, e incenda or seca
U dono della Dea cne Amor fe^ cieco.
F^en.Ed io, bssa! dolente e lagrimósa
Piilr che d' Adone estinto ,
Dono il mio caro cinto:
Né mai sar& nel mio dolor vezzosa.
Arda il mio nobil cinto, ardan con lei
Le mie lusinghe e i miei susunri insieme,
Cosi graditi e care j
Ardan seco le grazie e i vezzi miei ]
E, spento il foco clie sospira e geme.
Sarò fredda in Aisare,
Se non raccende pur face amorosa
Del cener joo qualche favilla ascosa.
Gai. Questo I questo fu il pomo
(i) in Tece di egregi F altre stampe hanno chi 1 prpgi , e
chi e pre^* ,' lezioni condannate dalla ragione e dalle leggi
d«Ue rima. — ( Gli £dit. )
(3) Dubitiam forte che questi versi non abbiano ad es^
sere pronunziati piuttosto che da Ercole , da altro perso-
naggio 9 e forse da Marte. «-* ( Gli Edit )
I
POjBSIE PASTOBAU gS
QniTaTse Troja alfine,
£ cadde sparsa in cenere e mine:
Àrda^ Corinna 0> &rda in più giuste faoi,
Per te ch^ avesti il vanto
Di grazia e d^ onestate;
£ non sian guerre più, ma sante paci
Lassù nel regno santo
Fra r anime beate:
Arda e vinca d'onor croco ed amomo.
Fin Gò che figlia del Sol piangendo instilla ^
Ciò che lagrima mirra e nardo e incenso,
Corinna, or sia di nostra mano accenso
Nel rogo che per te splende e sfavilla.
Quel due resta d^odor, alma tranquilla,
Di tua virtute, onde quetasti il senso.
Lo sparga aura di fama, e intomo il porte,
Perchè spiri immortai dopo la morte.
Strali, faretra ed arco.
Armi mie, lucide aimi,
Qual duro fato vuol chMo mi disarmi?
Erri sicuro omai per Talte selve
Timido cervo con ramose corna;
Vada sicura omai la damma al fonte ;
Corran senza timore antiche belve
Quando più imbruna il cielo, e quando aggiorna;
Ch'io non cingo di reti il bosco e H monte,
£ non le attendo al varco:
Tu va nel foco, o mio gradito incarcon
^po. Sacro alle fiamme la corona anchMo,
f) L* altre stampe, in luogo di Corinna^ leggono s* accese.
La nostra emendazione, il confessiamo, è arbitraria, ma
certo sarà volentieri preferita alla lezione preallegata che
non ba senso alcuno; — (Gli Edit )
96 POESIE PASTOBALI
Che mi verdeggia alT onorata fronte;
Per dolor fatto tenebroso Dio: ^
Altra di raggi e di serena luce "
Avrò nel cielo onde cadéo Fetonte;
L*avrò sul carro, e ne fia scorta e duce.
Gema frattanto il mio vivace alloro ;
£i in vece di sospiri ^ a miHe a mille
Sparga nel foco fuor le sue faville ,
Mentre io la pianeo^ e 1 mio dolente coro.
MusXé noi dichiamo al foco, anzi alla tomba ^
Questo bel plettro ebumo e questa lira ^
Per cui la fama spira ^
Che porta il nome a guisa di colomba :
£ se d'Orfeo la cetra intomo alTEbro
Solo Euridice mormorar studio ^
Seco agitando il fiume e Tonde e i venti ,
. Risuoni questa nella iamma viva
Del cipresso odorato e del cinebro,
£ faccia ardendo a^ suoi dolci lamenti
Sonar Corinna in più dogliosi accenti :
£ Corinna risponda il vento e P aura ,
Mentre il foco ristaura:
£ se lira non basta ^ arda la tromba.
/^ii/.Che donar posso al foco, anzi a me stesso
(Perchè donando al foco, altrui non dono).
Se non questo monile e questa rete?
Ardete voi, fiamme lucenti, ardete
Questa, per cui mal vendicato io sono,'^
Benché Venere presi e Marte appresso;
Poiché a lei non s* avvolse il crine adomo,
Arda la sua catena, arda il mio scomo.
illiin.Dono io candida tela a questo foco,
Anzi ben mille palme a questa fiamma ^
E mille gloriosi alti trofei.
\
POESIE PASTORALI 97
Che posso io più donar ; se questo è poco,
In cui fulmina Giove ^ e i monti infiamiaal '
Qui le vittorie son de* nostri Dei;
Qui me vittoriosa ancor dipinsi
G)ntra i giganti il di ch'Aracne io vinsi.
Più, Queste più care gemme,
E questo lucid^ór porto dal seno
Del tenebroso mio regno terreno,
Perchè il rogo ne sia lucente e chiaro.
Ecco, io lo verso (1), e spailo
Sovra le fiamme in dolce seno apprese ;
Ma son sdegnoso e largo
Di tutti altri tesori, alma cortese,
Se non delle tue spoglie incenerite ,
Già povero Plutone, or ricco Dite/
NeL Dal mar questi coralli,
E queste gemme porto ancor dalTonde:
Fiammeggin qui colle tue chiome bionde,
Ardano i miei tesori,
Poiché fiamma crudel , fiamma rapace
Le tue vere bellezze arde e consuma,
O d^ immortali onori
Anima degna, e di celeste pace.
Non men di lei consci di bianca spuma.
Giù. £ tu prendi , sublime ed alto rogo ,
E voi , fiamme fiineste ,
Questo scettro reale, anzi fraterno (p):
(i) Tutte le precedenti ediùoni leggono io h vesto in
luogo òk io lo verso, — ( Gli Edit. )
ip) In luogo dì fraterno tutte T altre stampe leggono Ju-
neste , né sapremmo con qual fondamento. Pare a noi che
Jhaiemo dovesse essere T epiteto dettato dal Tasso, sì perché
non troviamo altra voce a proposito da far rima con m^
femo9 e ti ancóra perchè, essendo Giunone sorella di Giove,
Tasso, Fok ir. 7
98 POESIE PASTORALI
Mentre more il suo fral, vive il cdesie:
L* anima che si rìede^
E fu dxf sensi al mondo alma regina,
Se 1 porta ornai laggiù nel basso inferno ;
Ma non là dove siede
Nelle tenebre Fiuto e Proserpina:
Regni in più lieta e più felice sede
Libera e senza giogo |
Né turU il nostro amore il vostro luogo.
Oio. Questa tazza di fino e lucid^ auro y
Ond^io nettare bevo alla gran mensa,
Fece Yulcan prima che in cigno o in taura
Io mi volgessi, o in pioggia a ór condensa.
Con questa Ebe mi die dolce rìstauro
Delle fatiche nella sete accensa:
Poi Febbe Ganimede j or ^u F avrai:
A te, Corinna, tanto onor serbai.
Sol Questo, onde si misura e si distingue
U ratto trapassar d'ore veloci.
Dono alle fiamme io veccliio pigro e tardo,
A cui potrebber con sonore voci
Di costei ragionar faconde lingue.
Che veloce sen aio qual tigre o pardo.
Bella cosa mortai passa e non dura;
E '1 pianto a questa fiamma altri misura.
db. lo de^ celesti Dei terrena madre
Piango Corinna: ahi lutto amaro, alii doglia!
Piango le membra sue care e leggiadre
Che pasce il foco, quasi arìda foglia:
ella può ragionevolmente chiamar /interno il suo scettro
per magnificarlo. A ogni modo non ci dorrebbe che altri
K>sse di noi migliore indovino. Ma cosi in questa stanza,
come in alcune altre, sono altre cose assai dubbie. — (Gli
Edit. )
POESIE PASTORALI 99
Fato cnidel / fiamoie crudeli ed àdre.
Ardete insieme questa orrida spoglia:
Cosi Alcide toIò fatto più bello ^
Mentre arse di leone irsuto vello.
JmorLK noi versiamo i fiorì
Dalle colme faretre
NelTalto rogo, e i più soavi odori.
O pargoletti miei cari a^uaci,
Faci giungete a faci,
S che la fiamma illustri
L* oscura notte, e giunga infino al cielo.
Io di farfalla in guisa
N* andrò volando intorno al caro foco^
O pur quasi fenice
Raccenderò vermiglie ed auree piume,
E con etema vita
Lieto risorgerò dal vivo lume ;
Io, che d* antica etade e di novella
Vecchio sono e fanciullo,
Son torm^to e trastullo
\ Di questa*" etade e quella.
And. Cade il bianco ligustro , e poi risorge ,
E di nuovo germoglia;
E dalle spine ancor purpurea rosa
Cólta rinasce, e spiega
U odorato suo grembo ai dolci raggi j
Spargono i pim e i faggi
Le frondi a terra, e di lor verde spoglia
Poi rivestono i rami;
Cade e risorge F amorosa stella :
Tu cadesti, Corinna (ahi doro caso!),
Per non risolver mai;
Né JHÙ spero veder tra Ferbe e i fiorì
Le tue vestigia impresse.
500628 i
loo POESIE PASTORALI
*Tu chiudesti y Corinna^ i dolci lumi
In sempiterno sonno ,
Né gli aprirai di novo in questa luce
Per fare i miei contenti;
Tu ponesti silenzio ai dolci accenti^
E non sarà chMo mai
Cosa veggia ed ascolti
Che mi conforti ad altro, che a trar guai.
Tu moristi, Corinna: io vivo e spiro?
10 vivo, e tu sei morta? Alù morte, ahi vita
Egualmente odiosa!
Stelle, stelle crudeli,
Perchè non mi celate il vostro lume.
Poi che il suo m^ ascondeste ?
Perchè non volgi, o Luna, addietro'! corso?
Perchè non copre intorno orrido nembo
11 tuo dolce sereno?
Perchè il ciel non si tigne
Tutto di nere macchie e di sanguigne?
Tenebre, o voi che le serene luci
M4ngombraste repente,
Copnte il cielo e i suoi spietati lumi,
E minaccino sol baleni e lampi -
D'ardere il mondo e le celesti spere.
Stiasi dolente ascoso il Sol nell'onde;
Tema natura di perpetua notte;
Tremi la terra; ed aquilone ed austro
Facciano insieme impetuosa guerra.
Crollando i boschi, e le robuste piante
Svelte a terra spargendo; il mar si gonfi,
E con onde spumanti il lido ingombri;
Volgano i fiumi incontro ai fonti il corso.
Voi, fiere belve, in queste stanche membra
Saziate la fame e in questo sangue, '
— -^
POESIE PASTORALI lor
PerchMo non vìva un infelice esempio
Di fortuna e d^ amore
Con perpetuo dolore.
^mcFoUe^ ah folle I che pensi^ o che ragioni?
Colei 9 che piangi, è viva^ e su nel cielo
Attende il tuo ritorno:
Ivi spera vederla: io sarò duce
Per vie subUmi.
AmL Ah , mentitor faUaoe ,
Tue promesse di, fé come son vote!
Questa forse è la prima , onde schernito
£ deluso io rimango?
Lasso! molti anni m^ ingannasti in vita,
E m^ aggirasti d^uno in altro errore,
D^uo male in altro, e d^uno in altro a(&inno.
Pur, mentre visse, io m-avvolgea contento
Nell^ amoroso laberinto errando:
Or che lece sperar dopo la morte.
Se colla morte ha fine ogni speranza?
^mo.Yaneggi per dolore e per disdegno;
E 1 tuo sperar è come il veder corto.
Ptm. Tempra , Aminta , il dolore :
AnchMo Siringa piansi;
E risonar de' miei dogliosi accenti
Feci sovente Menalo e Liceo.
Pianse Aldide il fanciullo
Che gP involar le Ninfe al chiaro fonte; .
Orfeo pianse Euridice,
E pianse Apollo Dafne e Ciparisso ;
Pianse Giove medesmo
Per Calisto e per Io,
Ed asciugò dopo il dolore il pianto:
Tu ti condanni a sempiterno lutto.
j.Sia, come il danno, etemo anco il dolore.
ira POESIE PASTORALI
illm. Folle I troppo vaneggi^ e poco sperì;
Né di Tirsi il cantar rammenti, o <}ueUo
Che di Sileno udisti in verde speco.
And.0 Dea, quel di di^ Amore
Mi tolse 3 cor dal petto,
£ poi mi disse « Non ne far parola »,
Mi tolse insieme il senno:
Qual meraviglia y à io piango e vaneggio ?
^y90. Tempra, Aminta, il dolor; che in questo monte
(Della cui fama il mondo anco rìmbomba)
E in questi verdi bosclu e in queste valli
La tua Corinna avrà perpetui onori:
E tu con lei di gloriosa fama
Degno sarai; che lodeì'ansi insieme
La sua vera onestade 6 la tua fede.
La sua beltado e la tua stirpe antica.
Che vento dì fortuna a pena crolla,
Ma non dibarba, Anunta, e non atterra
Si che non spieghi i gloriosi rami
Che ricoprono il Tebro e i sette colli
Coli' ombra antica e tutto il bel paese
Ove s'ascose già Saturno il veglio.
Non &re. Aminta, air alta stirpe oltraggio
Col soverchio dolor; T animo m tutto
Mostra come il mostrar gli antichi padri
In ogni colpo di fortuna avversa.
A voi il gran Vaticano e gli altri sette
Piegan le chiome, e FAppennin s'inchina,
E vie più lunge Pindo, Olimpo, Atlante
Sostenitor delle dorate stelle,
E par che dica : Più famoso pondo
Non sostegno delFOrse, o più lucente
Dell'Orse, altere imprese, insegne eccelse.
Vostri etemi tro^ che in del traslati
POESIE Pastorali to3
Quasi presagio fur del vostro meiio:
Ma VOI potreste alzarli anco pia in alto.
Scaltro cielo sovran si volge intorno^
Glie per divina luce a voi s'asconda;
Voi non di Licaón figE o nipoti,
Ma di Pane e di Giove invitta prole.
Tempra, Aminta, il dolor; non lice il pianto.
Ma, se M pianto ammorzar può duolo ardente,
Or teco pianga Roma e i sette colli.
Ifii^. Piangete, antiche Ninfe,
Per lei che a voi fu duce^
Lieta lasciando lagrimosa luce.
Voi piangete, pastori, e voi.bifolci
Lei che guidava il coro
Negli amorosi balli ;
Crescete il pianto, acque correnti • dolci)
E voi , purpurei e d* oro ,
E voi, fior bianchi e gialli,
Ch'ella il dolore induce.
Lieta lasciando lagrimosa luce.
E voi, piangete ancora, o verdi boschi ^
Lei che in forma appariva
Or dì Ninfa, or di Dea;
Antri, piangete, e seggi ombrosi e foschi;
Pianai tu, verde riva.
Là dove ella sedea«
E donde al ciel riauce, *
Lieta lasciando lagrimosa luce.
Piangete, colli, e voi, superbi monti)
Lauri, e voi che di foglie
Non priva ardore o gelo.
Piangete (e siano il pianto i rivi e i fonti ]^
Le preziose spoglie
DelTalma di' è nel cielo,
iq4 y POESIE PASTORALI
E donde a noivtraluce
Lieta lasciandc/ lagrìmosa luce.
Piangete y Orse^ nel ciel tra fiamme e lampi}
Tu piangi, o bianca Luna^
Pietosa de mortali j
Sian rugiadosi i più^ lucenti campi ^
Dove giunger fortuna
Non può con gli empj strali^
Mentre il carro conduce ^
Lieta lasciando lagrimosa luce.
Tu piangi insieme (e sia distailo il pianto),
O bella e vaga Aurora:
Mentre riporti il die ^
Lagrime scuota il seno, e perle il manto.
Che gli aspri monti indora
Dalle celesti vie,
Là ov^è chi gode e luce,
Lieta lasciando lagrimosa luce.
LA FESTA CAMPESTRE
AMÀRILLI, LEUCIPPE, TIRINTO
Era nella stagicm ridente e lieta ^
Stagion cT amore amica ,
Cbe la gran madre antica
Par che si rìnovelli,
E^ di color più belli
Leggiadramente ornata
n darò antico volto e il freddo aenoy
Sembra delTalto cielo innamorata^
Che la vagheggia e mira
G>n occhio più lucente e più sereno j
NelFora che si desta
Zefiro, e forsi le sue pene ascose
Disfoga con sospii^ d'aure amorose,
E che F ombre notturne
E le luci diurne
Fan dubbio ancor alFaria, al ddb intomo |
Se pure è notte o aomo}
Quando Amariili bella
]>^li aueelletti al canto
Risorta dalle piume,
Secondo il suo costume,
Giva lieta per farp al suo bel viso
Specchio ad un chiaro fiume,
E vide di lontan venir Leucippe,
E corse, ed abbracciolla , e cosi
ifma-Cara Leucippe mia, come ti v^;gio
Risorta innanzi al sole;
Qual cagion A per tempo or qui V]
io6 POESIE PASTORALI
Forse Pamot del tuo gentile Aminta?
Leu. Tu dei saper che sotto F olmo ombroso
S^ aduna oggi ogni ninfa ^ ogni pastore
Cb^ abbia senso d^ amore:
Quivi in leggiadre danze
J^e ninfe e i pastorelli
. Or con queste or con quelli
«Desteranno i timori e le speranze
Negli amorosi petti )
Indi ballo cangiando ^ a coppa unita ,
Andranno intomo or più veloci , or lenti :
Quivi sommessi accenti ^
£ interrotti sospiri
Daran segno or di gioje^ or di martiri.
Allor colui che regge
I vaghi errori suoi con certa legge,
Ecco farà cangiare e tnano e loco:
Chi diverrà di foco.
Chi sparso il Volto d^un color di morte
Languidetto vedrassi ,
E dir di lui potrassi:
Questi; cangiando man, cangiato ha sorte.
Or qui da te ne regno
Perchè insieme n^ andiamo: ivi vedrai ^
n tuo Mirtillo, ed io il mio Aminta ancora.
Oh felice per noi nascente Aurora !
^iiut.Andiam, Leucippe mia,
Che ben invita la stagione e '1 tempo
A sì dolce soggiorno : io voglio pria
Ch* uscitfm di questo prato
Tesser di bianchi fior vaga corona
Al mio Mirtillo amato;
E, se riporta nelle danze il pregio,
Faronne al suo bel crin leggiadro fregio.
POESIE PA^STOIULLI 1^7
ZeiL Poca ineroede dei tuo bel Mirtiilo
Fia corona di fiorì : .
Però meglio sarà che te nMnfioii
U crìn dorato e 1 seno;
E vedrà chi de^ fior fii paragone
Al tuo bei volto ^ quanto
A lor tu scemi e a te s^ accresca il. vanto.
^hulEcco io fo il tuo consiglio;
E sarà di Mirtillo in premio eletto
Del mio candido core il puro affetto.
Ma già di questo prato i vaghi onori
Ho depredato intomo. Andiam, Leucippe,
Andiamo 9 ben chMo stimi
Che ancor le ninfe -amanti
Non siano insieme accdite.
Chi vorrà d^ amaranti
Intrecciarsi le chiome )
Chi d^ amorose e pallide viole
Farsi il bel seno adomo ,
Perchè le natie rose ai lor pallore
Mostrin più bello e caro il bel colore)
Chi vorrìi di coralli
Cingersi il braccio e U collo;
Clii di minuti e lucidi cristalli
Farsi vago monile
Per apparir più I>ella e più gentile.
Zen. Ecco Siam giunte, e t'apponesti; ancora
È si solingo il loco,
Che non vi veegìo alcun, fìior'ch^un pastore
Che mostra nel sembiante
Gravissimo dolore.
Amalo 'i veggio; egli è Tirintò:
Vedi come smarrito è nei suo volto
n solito rossore.
io8 POESIE PASTORALI
«
Certo cagion n'è amore:
Ecco che a noi sen. viene. —
Ti faccia Amor felice,
Gentil Tirìnto mio.
Poiché leggo nel tuo languido aspetto
Che sei cu lui soggette.
Leu. Amor , Tirìnto mio , ti dia mercede
Eguale alla tua fede.
Tir. Amor al suo gioire
Cosi destini voi, cpm^io già sono
Destinato al martire.
^ma.Non sospirar, pastor, non sospirare;
Queste lagrime amare,
Che spargi da' tuoi lumi ,
Non spegneran scintilla delF ardore '
Ove ognor ti consumi :
Che s^Amor dalle fianune del tuo core
Può trarre umore e Venti ,
Trarrà dal pianto ancor faville ardenti.
Tir. Non spero io , ninfa , già che questo umore
Scemi in parte la fiamma
Che il cor mi strugge e infiamma 3
Ma spero ben che questa vita, e 1 -pianto,
E si lungo martire
Finisca col morire:
E s'awien che da morte T non impetri
Questa pietà crudele.
Nascendo dalla mia perpetua pena
Questa di pianto inessiccabil vena,
Essend*ella infinita
Come sarà la vita.
Piangerò tanto almen , che di quest^ onde
Satolli e purghi il kgrìmoso rio
D'Amor r ardente sete, e Fardor mio.
POESIE PASTORALI 109
AmaJììmtmj ch^error è questo^
Tirìnto mio, se pur saper mi lice
L^ alta cagion che ti fa si infelice ?
Tir. Amar più di me stesso
Chi non solo al mio amor vero risponde (*),
Ma mi fugge, e s^ asconde;
E non solo mi fugge^
Ma dispregia crudele >
n don d^un cor sì puro e si fedele.
Ma che più? m^odia, e solo
Fra tanl^ altro gioire
Del mio fero martire
Ha questo ingiusto duolo,
Che non può far^ né lo consente Amore,
Che , più ch^ ella non m* odia , io non V adore.
Leu. Che fu? la sua bellezza, o la tua voglia,
O pur fero destino ,
Ch'in prima la tua mente tenerella
Fé' di si iero cor misera ancella ?
Tir. S* unir , perch' io sia sempre sconsolato ,
Al mio voler la sua bellezza e '1 fato.
Leu. S' alta beltà divina
Un amoroso cor vien eh' impregione ,
£Ua paghi Ferror, che n'è cagione:
E se forza è di stelle.
Ben saria troppo ingiusta e fera legge
Punir chi non elegge:
Ma, se un'alma cortese
(*) Pare a noi ohe il seAtimento di ouesto yerso non
s'accordi al rimanente del discorso dello sfortunato pastore;
laonde proponiamo la seguente emendazióne:
Chk non lolo «U^amor mio non rispondei «e.
(GliEdit)
no POESIE PASTORALI
Volontaria A dona,
Questa è pur craddtà ch'ogni altra eocade,
Che di quel chieda diede,
Se gradito non è, nò Tè renduto,
Paghi d'amaro pianto amjMo tributo.
Tir. Estrema crudeltà, ma non ragione
Dell^ amor, mio , deQa mia fede pura ;
Anzi tanto minore,
Quanto più innato affetto
È delFodio Pàmor nel nostro petto.
j^iTULSpera , Tirinto, spera ^
Cnè nulla donna e fera.
Tir. Ahi I che troppo sperai
Quando lasciai me stesso,
£d a seguir chi fugge incominciai.
Né potuto ha ragion sveller giammai
Dal cor questa radice amara e dolce,
Che , mentre F alma uccide , i sensi molce j
V Onde, Amor, sei cagion ch'io viva e pera.
Oh speranza fallace e lusinghiera!
Leu. Tu dei sperar almeno
Che dopo lunga pioggia
Ritorni il ciel sereno:
E chi sa? se ti tiene
Amor fra tante doglie ,
Forse ritarda ancor d^ esserti grato,
Per farti poi più lieto e più beato.
Dunque ti racconsola ,
E questo lagrìmar rivolgi in canto
Tu, che a mille pastor ne hai tolto il vanto.
Tin Come potrà giammai questa mia bocca.
Sol a dir note di lamenti avvezza,'
_ Formar voci di gioja e di ddcezza 7
jémaFone sarai^ presagio questi accenti
POESIE PASTORALI ut
Di futuri contenti.
Tir. È in me d^ ogni mia gioja
Si debil la speranza,
Ch^ altro che lagrìmar nulla m^avan^.
Zc<i. Canta, Tirìnto, canta,
£ te stesso consola, e noi rallegra.
Questa stagione allegra
£ ministra d! Amore
Ammollirà quel core.
Quel duro cor già si d^Amor nemico.
Che fattosene donno
Darà degna mercede
Alla sua feritate , alla tua .fede ;
E poi ch'ella noi volse
Mansueto signore^
Ora con suo gran danno
Lo proverà tiranno.
Tir. Io già da voi son vinto , e mi son reso :
Ecco chMo canto, e mi rivolgo a Clori,
Se pur dal lagiìmar non m^ è conteso. —
Ma ecco un grande stuolo
Quìijcì di ninfe, e ouindi di pastori.
LeiL Ecco là il tuo Mirtillo , ecco il «aio Aminta.
Amarìlli, noi vedi? e già da lunge
Con amorosi strai mi sfida e punge.
AmniEcco di là Battilo ed Adrìo insieme,
E Clonico e Timeta ,
E dopo tutti l^ro il saggio Elpino.
Tir. Vedete Caritéa
Come, sparsa di fior^ le belle chiome.
Mira il gentil pastor che d'Adria ha '1 nome. -^
Vedete là Calife
Come di furto il suo Batillo mira ,
Indi si volge altrove e gli occhi gira.
1 1 3 POESIE PASTORALI
Ma chi cela il desio , chi asconde Amore?
Sembran dire i suoi lumi: Àrdente è il core.
Amaranta la bella
£ F amorosa Clìzia
Seguon^ di sangue e dì bdtà sorelle j
£ si mostrano in veste
D^ almo color celeste
Qaal in serena notte ardenti stelle. —
Ma non vogP io ck^ il mio taiarlir rimanga
Delle vostre allegrezze
G)mpagno doloroso.
Addio ^ soggiorno ombroso !
Addio ^ coppia di ninfe amica e fida!
Io vo colà dove il dolor mi guida.
t
DIÀLOGHI
^ I
DIALOGO I.
In lode di D. Marf^herùa Gonzaga duehesta di Ferrara.
LICORI. TIRSI, DAFNE.
• >
Lic. Dimmi ^ mesto pastore,
Qual muto pesce, o qual è rozzo armento,
Che non faccia d^ amore alcun concento?
Tir. Nessun; che odi d^ amore,
Quando è il mar cheto, P armonia tra Tonde,
Un mormorio eh* alti sospir confonde y
E, come posson. Forche e le balene
Accennan le lor pene:
Ed il mugghiar aé* buoi per le campagne.
Ed il belar delTagne,
E 'i ruggir delle belve.
Suono amoroso è nelP alpestri selve.
Lic. Queste^ che Tali garrule e strìdenti
Si percuotono al petto ,
Sfogan forse d'amore intenso affetto?
Tir. Sfogan, ali^alme Dive
Sacri augelletti, fianmie in fiamme estive,
Lic, Ma tu, che non men caro
Sei delle Muse e del gran Febo amico ,
Deh! perchè in suon più chiaro
Non canti gli occhi vaghi e 1 cor pudico
Di qualche vaga ninfa,
Taìso , FoL IF. 8
1(4 POESIA PASTORALI
Al suoli di questa linfa?
Tu j per cui spesso suole
Lasciar Febo Parnaso ed Elicona*
Delle frondi del sole
^ Tessi di lode a lui doppia corona,
Cantando un core schivo
Al suou di questo rivo.
Tir. Intorbidar quest' acc^ue
Mi giova col mio pianto ,
Piuttosto ch'addolcir Faria 4iol canta
Cosi a mia stella piacque,
E vuol chMo mi consume
Al suon di quésto fiume.
Lic. In te converso il rio
Per' gli occhi tuoi discende,
E ti ridona quel che da te prende:
E pur tu in fiume vólto .
Serni la forma ancc»ra antica e U volto«
Tin II pianto è tutto mio;
Che preme Amor la pena
DMnessiccabil vena.
J9a^ Misero! asciuga i fiumi
Che da te il duolo elice;
Prendi pietate d'un leggiadro velo,
Lic. 1 languidctti lumi
Tergi, amante infelice;
Se d'Amor vince il telo,
Prendi pietate d'un leggiadro velo.
Tir. Amor, s^è amoi*e o s'è pietate in cielo,
Di me t' incresca e del mio duol che bagna
Il core. Chi si lagna,
Sente meno il dolore, e sol respira
Quando piange e sospira.
Pa/^ Se 1 tuo pianto è sì dolce,
POESIE PASTORAU i iS
Or che sarà se mai
Amor Fardor ti molce
In guisa che i tuoi lai
Cangi in più lieto stile ,
Cantando d^un bel volto ahno e gentile?
Lic. Sey dolendoti; versi
Dal cor tanta dolcezza,
Che fia se Talma, in vend
Solo a dolersi avvezza,
Lieta si rasserena
Cantando d'una fronte alma e serena?
Tir. Amore è nel mio danno
Implacabil tiranno,
Già fanciul mansueto, or veglio fero.
Lic. Amor sempre è leggero^
£ sempre scherza e gira.
E muta r ira in riso , e 1 riso in ira,
Dafi Amore è instabil verno.
Ed instabil sereno,
Fonte misto di &le e di veleno.
Im. Amore è flutto alterno
Di speranza e di noja,
£ di timor e d'aspettata gioja.
Di^ Amor sorgente è spesso
D'alte dolcezze e liete,
DegU affanni e de' guai soave Lete.
Tir. Son vinto, io vel confesso,
Non da voi, ma da lui ch'i dolci detti
Par che v' inspiri e detti.
Dafi Ti^ rendi? Or dunque canta :
Che queste leggi impone
Cortesissimo Amore 9I suo prigione.
77r. Di che cantar degg' io ?
Di dori, o d^Atabnta?
ì 16 PO£SIE PASTORALI
O pur; come m^invogGa alto desio,
Di lei .chMn questa riva
S* è mostra in forma di celeste Diva? . . , •
, O felice fanciulla ;
A cui corse di latte
H Mincio, e frutti dièr le terre intatte;
A cui di fior^ la culla
Sparsero in mille guise,
E 80S{nraron Paure, el ciel sorrìse;
O d^eroi figlia e sposa,
Desiata d^eroi madre famosa.
O cresciuta in etate
Felicissima donna,
Che, mentre erri succnnta in irecoia e ^n gonna ^
Vaghe di tua beltate
Bendi le valli e i monti, \
Ch^a te sparse di fior' cbinan le fronti ^
Tirsi, Licori, Dafne,
O d^eroi figlia e sposa,
Aspettata a eroi madre famosa.
Tir. Quando del Po le piagge
Prima col pie toccasti,
A te danzar le ninfe in atti caUi ,
L'alpestri e le selvagge,
QueHe del fiume, e quelle
Ch' albergano nel mar vaghe sorelle :
Tirsi, Licori, Da/he.
O d'eroi figlia e sposa.
Preparata d'eroi madre famosa.
Tin A te guidaron danze ,
Pastor leggiadri, accorti,
E tenne a fren le voglie il dio degli Orti ;
E in modeste sembianze
G>' Satiri Sileno
Ti si mostrò di riveren^ pieno;
POESIE PASTORALI
Tirsi, Licori, Dafne.
O d^eroi figlia e sposa,
Destinata d^eroi madre famosa.
Tir. A te cantando a gara
Titiro e Melìbeo,
Parve Puno Anfione, e P altro Orfeo:
Ed ora si rischiara^
O real Margherita ,
Di te cantando la mia lingua ardita :
Tirsi y Licori, Dafne.
O d'eroi figlia e sposa,
Già promessa d^eroi madre famosa.
Tir* Tu PAurora somigli
Ne^ crini e nelle gote,
Ed Apollo ne^^lumi e nelle note.
Ninfe viole e gigli
Intréccianti alle chiome,
Mentre io segno ne' lauri il tuo bel nome:
Tirsi, Licori f Dafne.
O d^eroi figlia e sposa,
Desiata d' eroi madre famosa.
««r
1 18 POESIE PASTOHAU
DIALOGO IL
In lode di D. Marijherita Gonzaga dueheim di Feftarm.
LICORI , DAFNE , AMINTA.
\c. Dimmi ^ eentil pastore^
Che sei di Febo e delle Muse onore,
Qual domia fai della tua cetra degna?
^mj. Quella di voi cbel mio cantar non idq;iia|
£ che nel petto mio
Di nobil carme inspirerà desio.
DaflTuy leggiadra Licori , in cui due stelle
D^Amor splendon sì belb,
Che la luce del Sol ne riman vinta ^
Girale verso Aminta
Cosi soavi e chiare^
Ch'indi i tuoi presi e le sue rime impare.
Lic. Tu, la cui armoma lusinga e frena
I più rapidi venti,
Soavissima Dafne, anzi Sirena,
Deh! fa eh' Aminta in sì soavi accenti
Le tue parole intenda,
ChMndi 1 suo canto e le tue lodi apprenda.
jimLìiìnkj oimèf provvedete
ChMn vece di cantar non mi consumi.
Misero I ben sapete
ChMn bella donna le parole e i lumi
Spirano fuoco e fiamme, * ^
E già par che mMnfiamme.
Disperi tu dunque onor dalla tua cetra,
t
POESIE BASTORALI ii^
S Amor non te T impetra ?
Oh come fia il tuo stil languido e roco
Senza amoróso foco!
^m/.Ben è folla colui
Che di sé piange per cantar^ d^ altrui.
Lic. Non è si crudo Amor^ come tu 1 fai.
AmLhsìfì più crudo assai
D^ogni mar, d^ogni inostro.
DafCoù parli del nostro
Fonte de' bei desirì?
AmLìiiÀo diaspri martiri.
lÀc. Padre d^ogni boutade,
ji/iiii. Figlio di vanitade.
Daf. Senza cui non si sa che sia contento.
Ami.^\o per cui si proTa ogni tormento.
Lunge sia dal' mio petto
n suo fero diletto.
tic. Aminta, odi il mio detto.
Oh quante gusterai dolcezze, oh quante,
Se tu divieni amante!
>^nit. Cessate omai, ministre invide e rie
Non d'Amor, ma di Morto
£ delle pene mie.
Qui vaghezza v^ha scorte
Non della cetra mia, ma del mio pianto;
£ per non lagrimar fo fine al canto. '
Dafne ^ Licori.
Oh come mal nascondi i pensier tuoi !
Tu fingi ch^odio e tema
D'Amor Palma ti prema,
Per don cantar di noi;,^
£ però, verso il ciel spiegando Tali,
Prendi per scorta una celeste idea , ,
£ con noi canta qui la nostra Dea.
^/fif . Cantiam la nostra Dea.
la» POESIE PASTORALI
AmìrtUif Licori
Cantiam la Dea che dai celesti cori
Portò r altero e non pi& visto esempio
Di beltà, di valor, degna di tempio
£ d^ immortali onori
Assai più di Minerva o Citeréa.
^/it£ Cantiam la nostra Dea.
Aminta, Dafìn.
Cantiam Falta regina.
Nostro ben, nostra gloria e nostra duce,
In cui tanta del cielo e si divina
Grazia splende e riluce,
Ch^a Dio ne scorge, in \si mirando, e bea.
j^/nì. Cantiam la nostra Dea. «
Amnia / Licori^ Dafne.
Lucida perla, a cui fu conca il cielo,
E tu di lui tesoro.
Tu pria con luminoso alto decoro
Di Dio fregiasti la corona e '1 regno ,
Poi sul Mincio prendesti umano velo:
Ora il più ricco pegno
Del re de^ fiumi e nostra gloria sei,
£ sarai madre ancor di Semidei.
Oda 1 Ciel questi voti:
E tu nel canto, di tua gloria indegno,
Gradisci i cor devoti^
Che son nel ver troppo sublimi some
L'ergere al ciel di Margherita il nome.
POESIE PASTORALT lai
DIALOGO III
COirrjTO DI PASTORI
Tmmro. damone.
Già si tufiava il Sol nell^ ampio nido
Ov'égli alberga, e Tali umide ombrose^
Stendea F oscura Notte intorno al cielo:.
Già dispiegava U suo gemmato manto
D^ ardenti stelle , e di rugiada un nembo
Piovea soave alla gran madre in seno^
Quando Damone, e di pastori e ninfe
Seco leggiadro stuol dalle campagne
Tornava ad un convito al proprio albergo^
Che '1 primo dì del mese innanzi aprile
Fea per costume antico allor che 1 Sole
Riconducea quel dilettoso giorno:
Ed un pastor fra lor detto Tirìnto^
Tirinto amante deUa bella Glori ^
Air amico Dampn rivolto disse:
Tir. Dimmi, Damon, perchè da te si serba
Ogni giro di Sol quest^uso? e quale
Prima cagione a lui principio diede?
I>ain.Poichè mei chiedi, e veggio stare intenti
Pastori e ninfe , ancor che F ora sia
Di pascer anzi il gusto, che F udito ^
Dirò donde tal uso origin ebbe.
Fur già molti anni in quest'erbose rive
Duo pastori, un Alceo, T altro Sileno,
Ch^ebber due figli, e in un ìstesso giorno
ri* POESIE PASTOIULLt
Dair acerbo desiin tolti lor fòro.
Nacque a Sleno una fiuiciulla (Soi,
Che in età crebbe ed in bellezza, ed arse
Di mille pastorelli i cori e Falme?
Questa nel vago aprii de^ suoi verd'aanii
Di grazia e di beltà leggiadro fiore,
Le rose impallidir, d'invidia vinte,
Fea al purpureo color del suo bel volto,
Ed arrossir per la vergogna i gigli
Al suo dolce candore; e se ne giva
Per questi prati e selve altera e sola,
Di nullo amante, e da ciascuno amata.
Ma non consente Amor ch^alta beltade .
Non provi in sé ouaU in altrui sian Tarme
Onde in virtù di lui piacendo ancide.
Un giovine pastor, di nome Alcippo,
Alcippo il biondo in queste selve giunse,
A CUI fu tanto il Ciel largo e cortese.
Quanto Fortuna de^ suoi doni avara.
Questi fermossi con Sileno, ed era
Per natura signor, per sorte servo;
Ma come pria vide Amarìlli bella
( Ch^ ebbe tal nome la leggiadra ninfa ),
Mirella inlento » e più d^ ognun s' accese
Di quella fiamma onde ciascuno ardea.
Ella, volgendo in lui Tallero sguardo,
Pria si compiacque di sua dolce vista,
Ed indi dal piacer nacque il desio.
Desio d'amor vie più d ogni altro ardente.
n giovinetto innamorato Alcippo
Avea pien del suo ardor quest^aere lulto;
E dal suo sospirar eran le fronde
Mosse non pur, ma impallidite ed arse:
E la bella Amarìlli, die si lieta
t^ÒESIE PASTOBALf lal
Di libertate e di bellessa altera
Errar soleva, ora pensosa e mesta^
Sen eia per qaesti campi , e 1 suo bel volto
Pallidetto scopriva i bei colorì;
Come al più ardente Sol languida rosa.
Era chioso F incendio in ambo i coti
Sotto chiavi di tema e di vergogna:
Ma tanto il fero ardor crebbe nel petto
D'Alcippp, ch'alfin vinto ogni, ritegno^
Fu forza che s^ aprisse vi tai parde.
Mentre era un di con AmarìlU alF ombra:
Donna delTalma mia , -della mia vita,
Perdona al folle ardir : t^ amo , t^ adoro ^
Ed ardo del tuo ardor; né ti sdegnare
S'io son vii esca di sì nobil fiamma
Ch'ognuno scalda a cui risplende il sole.
Deh! gradisci il mio cor^ questo cor fido,
Ch^arso delle tue fiamme io ti consacro.
Qui tacoue: ed ella, in lui volgendo i lumi;
Dal protondo del cor trasse un sospiro ,
E disse: Alcippo, io t^amO; e questa mano
Sia pegno del mio amor; della mìa fede
Con che ora a te mi lego; e per lei giuro
Che d^ altri non sarò; se tua non sono.
Tticque: e i begli occhi gravidi di perle
Di purpureo color fur tinti intomo;
E 'l fortunato Alcippo a lei sol rese
Per parole sospir^, per grazie pianto.
Ma ; mentre in tale stato eran le cose ;
Giunse un pastor, di nome ErgastO; e seco
Un che per figlio tenne ; Aminta detto:
Questi vide Amarìlli^ e restò preso
Dal laccio stesso onde Amor tanti avvinse.
Ben se n'avvide ErgastO; e non gli spiacque ;
1^4 * POESIE PASTORALI
Poiché donna di lui degna gli parve.
La richiese a Sileno, e da Sileno
Fu per Aminta suo sposa promessa^
Ma y cpm^ ella dal padre tutto intese y
Mostrossi al giogo maritai ritrosa
Ed all'amor del suo novello amante^
Né con dolci parole o con lusinghe
Potè piegarla mai ] di che sdegnato
Disse: Farai del tuo volere il mio,
Che co^ voglio. — E poi da lei partissi^
E U di prefisse alle future nozze.
Ma y come prima ella rimase sola y
Sospirò; pianse; e de' begli occhi suoi
' Eran le beUe lagrime cristallo,
E fiamma i suoi sospiri: e quando tregua
Per brevissimo spazio ebbe xla loro,
n suo dolore in*tai parole espresse:
Dunque romper la fé, dunque degg'io
Lasciare Alcippo mìo, T anima mia?
O pur deggio morir misera in prima?
S'io moro, oimè! quanto martire, Alcippo,
Partendomi da te, dolente avrai!
Forse vorrai seguirmi .... ahi ! che più temo
L'incerta tua, die la inia certa morte.
Ma s'io poi resto in questa amara vita.
Esser potrò d'altrui, se non d' Alcippo?
Ah! che meglio è. morir: mora Amari Ui,
E viva la sua fede ; e -sia quel letto ,
Ch'é fatto ai brevi sonici ed ai diletti,
A me d'affanni e di perpetuo sonno.
Tacque, e i languidi lumi al cielo affisse,
Ch'avrian forse a pietà mosso l'inferno.
Intanto venne il giorno che prescritto
Avea il padre alle nozze, ella alla morte;
1
POESIE PASTORALI ia5
E nell^ullima sera al gran convito,
Ch' avea fatto Sileno j era anche Alceo :
£ poiché fu di Cerere e di Bacco
In loro ogni appetito in tutto estinto,
Disse Ergasto a Silen: Già quattro lustri
Rivolti ha ^1 Ciel, ch'in questo istesso giorno,
Giorno per me felice e memorando,
Mi die per figlio Àminta, e di lui figli
Or mi prometto col favor del Cielo.
Cui rispose Silen: Deh! dimmi, Ergasto,
Come trovasti Àminta? e qual ventura
A lui te padre, a te lui figlio diede?
Ed egli : Io '1 vidi solo errar piangendo
In questo bosco, che feconda e bagna
Coli onde sue d'argento il chiaro Mincio,
Di qui passando un giorno; ed avea al collo
Questa immagine appesa eh' ancor tengo,
E terrò sempre per memoria. Allora
L'interruppe Sileno, ed abbracciando
Aminta, per suo figlio il riconobbe.
Stupissi Ergasto: Da qui innanzi, disse,
Sark figlio Gomun d'entrambi Aminta.
Soggiunse poi: Meco il condussi; e, quando
Fummo ove il fiume si converte in lago,
Era una cuna in su la molle arena,
Ivi dal vento spinta: io corsi, e vidì
Esservi dentro un fanciullin eh' al petto
Un segno avea quasi di stella impresso ;
E, vinto da stupore e da pietate,
n tolsi in braccio, ed il condussi meco.
Ma , come giunse in sul fiorir degli anni ,'
Da me partissi: ed io mirando a caso
L'altr'ìer in questo albergo il riconobbi.
Questi ebbe nome Aloippo. — Allora Alceo
ia6 POESIE PASTORALI
S* accorse cli^ era il suo perduto figlia ^
E ricercar con ogni studio il fece.
Di meraviglia e d^ allegrezza pieno.
Ripigliò Ergasto: Poi che preparate
Sou già le nozze, or AmarilU bella
D'Alcippo sia, stesser non può dV
Fur concordi Sileno e l^buon Alceo,
E raddoppiar la gioja; e solo Alcippo
Attendeau pei* dar line ai lor contenti,
E più d^ ognun la candida Amarilli,
Che , poich^ allor d^ Alcippo suo sperava
Legar la fé con più sincero nodo,
Vesti di gioja e fe^ sereno il volto,
In cui vivo il dolore era ritratto.
Mentre aspettavan di vedere Alcippo,
Ecco un servo venir turbato in vista,
Dicendo: Oh miserello Alcippo! oh sorte
Più d' ogni altra 'crudele ! — A tai parole
Sbigottir tutti; e solo Alceo piangendo
Domandogli: 11 mio Alcippo e morto, o vivo?
Rispose : È morto ; e di dolore è morto.
Misero I il vidi al tramontar del sole
r
Uscir da questo tetto; e, troppo in volto
Cangiato , oimè ! da quel ch^ esser solca ,
Errò per lungo spaùo , ed io il seguii :
Stette alfine in un prato, e 'n terra fisse
Le luci , e disse le parole estreme :
Vita soave e di dolcezza piena.
Mentre alT empia mia sorte ed al Gel piacque ,
Che fai or meco sconsolata e trista?
Tempo è beh di morir, se Talma mia
È eia (atta d^ altrui : felice morte ,
S ulor morìa quando vivea sua fede !
Sua fisde è morta, e non è sciolta ; ch^ clU
/
POESIE PASTORALI i%j
Esser d^ altrui non può , se non è mia y
Mentre chMo vivo. Ahi già morir mi sento! ^
Cresci^ dolore, e fa il pietoso e crudo
Ufficio ch^ a far pronta era la mano j
E sciogli la saa fede e la mia vita.
Qui tacque, e pien di morte i sensi e *1 volto,
Come reciso fior cadde fra Terba. —
Se questo ad Àmarilli il cor trafisse ,
Chi sente amor per sé lo stimi: svenne ,
E restò breve spazio esangue; ^y come
Prima raccolse i languidetti spirti y
Corse ove Alcippo suo giacea: ma, quando
Il vide in atto tal, sopra lui cadde ,
E ^n questo flebil suon proruppe e dÌ6se:
Oh occhi del mio core e d'amor lumi,
Ch' or rende morte , oimè ! torbidi e chiusi ^
Oh volto già di fiamme , ora di neve ;
Oh bocca "^ìà di rose , or di viole ^
10 vi miro e non moro? Alcippo amato,
Tu '1 mio foco accendesti, or sei di ghiaccio;
Kè spegne il gelo tuo F incèndio mio?
Oimè! qual io ti veggio! oh luci triste.
Anzi fonti di tenebre e di pianto.
Troppo vedeste ; er vi chiudete ornai :
Deh! non lagrime più, non più parole,
Non più sospiri ; sola morte ^ sola
Esser può testimon del mio martire.
Anima bella, se qui intorno sei
Alle tue belle membra, e vedi ed odi
11 mio dolore e le mie voci estreme.
Deh ! per pietà , s' anco è per me pietate ,
Teco m'accogU, ch'io ti seguo. — In questo
Rinvenne Alcippo, e, gli occhi stanchi aprendo.
Il suo perduto ben si vide in braccio;
N
« •
y'
438 POESIE PASTORALI
Vista dolce e beata I e questi e quella y
V un della fede e V altra della vita ^
Che già spente tenean, restar sicuri;
£ se^ne fr dalla temuta morte '
Alle bramate e non sperate nozze.
Così cangia fortuna in un momento
Lo stato iiman dall'uno alF altro estremo.
Ebber figli costor^ ch'agli avi miei
Fur padri j onde si serba ancor memoria
Nel giorno istesso ogni anno in un convito
Di quell'antica e memorabil cena.
Ma già r ora trascorre , e '1 tempo chiede
Altro che ragionar ^ Tirinto mio.
Tir. Dunque sediamo a mensa y e celebriamo
Colla presente la passata festa.
!■«■■••«««■
I^ESIE PASTORALI 139
D I A L O G O IV.
AREZIA NiKWA.
AREZIA» TIRIRTO.
Era nella stagione
Che impallidir le chiome
Si veggon delle piante , e gli augelletti y
Che yan fuggendo il gelo j
Passar di là dal mare
A più temprato cielo;
Già ddTagricoltor le mani avare
Tolto aveano alle viti
D lor dolce tesoro , /
Che parea in vista o di piropo o d^oro.
Pria che Venere bella
In oriente splenda ,
Risorto era Tirinto;
E la sua viva fiamma ,
AIF ombra della notte umida e bruna ,
Sfogava colle stelle e colla luna:
E per quei campi errando
Soletto alfin pervenne
All'albergo d'Arezia allora quando
Parea del dì nascente
Gravido F oriente ^
Ed ella, innanzi al sole
Veggendolo apparire
Pensoso, colle luci al. cielo aflisse,
À lui rivolta
Tasw, Voi IV.
i3o POESIE PASTORALI
Are. Ben m^ avveggio y Tirìnto ,
Qual cagion qui f ha spinto:
Non 8on retti da te questi tuoi passi ;
ChM tuoi veri pensien^
Come vanno il tuo amor volgendo teco ,
Cosi t^aggìran seco
Per distorti sentieri.
Ma, sia pur stata elezione o sorte ,
Vieni sotto quest^elce in grembo all^erba,
E, meco ragionando del tuo stato ^
Lanterna pena sfoga e disacerba,
E r affannato petto in un rìstaura
Allo spirar soave
Di questa mattutina e placid'caura.
Tir. Io vengo , e qui m^ assido :
Così avesser riposo i miei pensieri,
Com^ hanno queste membra !
Che, dairora chMo vidi
n viso di cdlei
G ha tutti in sé raccolti i desir miei ,
(Con sospir mi rimembra)
Non ondeggia sì '1 mare
Dove dicon ch^ Atlante
Bagna gli umidi pie nell'onde amare,
Come fa la. mia mente
Ora lieta , or dolente,
w^re. Dimmi, t'è dato mai
Di scoprirìe i tuoi guai
Colla tua propria bocca o coir altrui?
O pur solo con gli occhi,
Messaggierì del core ,
Le mostri il tuo dolore?
Tir. ieT mi fu in sorte dato \
Giorno per me beato! ^
POESIE PASTORALI »3i
Io la vidi, e Tudii
Pariando sospirare;
£ de^ suoi lumi ardenti il vivo. sole
Accese in me F ardore j
E Faura delle sue dolci parole ^
£ '1 vento de' sospiri
Spiraron nell'incendio, e '1 fér miaggiore :
Né '1 foco scenaerà, ch'ora in me aura,
O Variar d' etate o di ventura.
Are. Poiché già sì da presso ella ti mira ,
£ tu la miri ed odi,
Godi, Tirìnto, ardendo,
£ de' pensieri acqueta le teàipeste:
^ Che , qual tenera rosa
Alla rugiada, aU^óra
Della nascente aurora
Non apre vergognosa
n suo vermigUo ed odorato seno;
Ma , poi che più vicino il caldo sente
Del gran pianeta ardente,
Apre languendo le purpuree spoglie,
E 1 bel raggio del sole in grembo accoglie :
Ck>sì la verginella
Ai pianti ed ai sospiri .
Di novello amator , che lunge miri ,
Chiude il ritroso petto;
Ma, poiché s'avvicina il vivo ardore
D^un amoroso aspetto,
Languendo apre la via per gli occhi al core,
£ nel vergineo sen riceve Amora.
Ma come t'udì Glori
Quando le apristi le tue pene ascose?
£ come ti rispose?
Tir. £lla, cortese in vista e vergognosa.
i3a POESIE PASTORALI
Di purpureo color tii^to il bel volto ,
Talora il dolce sguardo in me volgea,
E poi gli occhi chinava ]
Ma, quando chiuse alla mia voce il passo
L'affetto che volea
Tutto in un tempo uscire , in me gli affisse,
E sospirando disse:
Tirìnto y io f amo ed amerò mai sempre ,
Quanto più cosa al mondo amar conviensi^
Però della mia fé vivi contento ,
Se pur ti possMo dar gioja e tormento.
jtre. Vero è quel che si dice ,
Ch'infinita è la voglia degli amanti:
Tu mostri esser dolente, e sei felice.
Tir. A tai parole sì cortesi e care
D'amorosa baldanza il cor ripieno,
Mossi per gire a lei^
Né però m appressai; ch'in un baleno
Vidi nubi di sdegno il bel sereno
Del volto aver coperto, e vidi uscire
Da' begli occhi lucenti
Fólgori d'ira ardenti j
Indi fé* segno di partirsi. Allora,
In atto supplichevole e tremante.
Non sol, dissi, tu puoi, anima fera ,
Levare a questi miei languidi lumi
n lor più caro obbietto.
Ma questo afflitto cor trarmi dal petto :
Non &rai già , mentre avrò spirto e core ,
Idolo mio crudel, ch'io non t'adore.
Deh! toma a me; deh! toma.... E qui mancommi
Lo spirito e la voce; e del mio aspetto
Gli atti languidi e mesti indi le fero
A temprare il mio duol pietoso invito.
POESIE PASTORALI i33
Allora ella si volse, ' '
E ser^nossi in vista;
E i bei pietosi lumi in me converse.
Ben vidi in quel momento
0 bel (Fogni altro bello in me rivolto:
Sì bella è la pietà nel suo bel volto.
Are. Caro e soave sd^o ,
Che sol mostrossi ne' begli occhi armato,
Per esser poi dalla pietà fugato.
Tir. Fu forza alfin partire;
E vidi il suo bel viso ,
Asperso già di rose.
Smarrirsi in un pallor leggiadro e misto .
Di viole amorose
E di bianchi ligustri:
Onde non fia giammai chMo non rìtegna
Nelb memoria imprèsso e l' atto e 1 loco ,
Esoa soave del mio dolce foco.
Jre. Qaesff è segno maggiore
. Di vero ardente affetto :^
Sparsi di tal colore
Vanno i servi d** Amore.
Godi dunque y Tirinto , e vivi lieto :
Che, qnal giovane pianta
Si fa più bella al sole '
Quando men ard^r suole ^
Ma ^ se fin dentro sente
n vivo raggio ardente,
Dimostran fuor le scolorite spoglie
U interno ardbr che la radice accoglie:
Così la verginella,
Amando , si fi^ir bella
Quando anior la lusinga e non T offende ;
Ma, se '1 suo vivo ardore
/
i34 POESIE PASTORALI
La penetra nel core,
Dimostra la sembianza impallidita
Ch^ ardente è la radice della vka.
Tir. Se sperar del mio amor' tanto mi Uce ,
Incendio mio felice !
Non sarà sasso che non arda meco,
Né fia caverna o speco
Che con me non nsuoni il caro nome
£ \ suo bel volto e le dorate chiome^
Né sarà selva che con le fresch^ ombre
Non m^ inviti a sfogar Palma mia fiamma;
Né sarà pianta che non mostri espresso
II' mio gioir nella sua scorza impresso ;
Né sarà augello in questi verdi rami
Che non sembri con me cantando dire :
Clorì, non fia che non t'onori ed ami.
Oh soave languire!
Felice me, s'io vivo in questo stato!
Beata lei, ch'altrui può far beato!
Are, Or mi ascolta , Tirìnto.
Poiché la bella Clori,
Onor di queste selve,
Fiamma di mille cori.
Ad ogni altro pastor ritrosa e dura ,
A te sol dona il core, agli altri il fura,
Donale la tua fede;
£ degna di mercede
Sarà e delFalto don che ti fece ella,
Se si fido sarai , com' essa é bella.
Tir. Come , Arezìa , potrei non esser fido ?
Troppo fu dolce la catena d' oro
Con che alla sua beliate Amor m'avvìnse;
Troppo il bel nodo strìnse^
Ch'unito è si col nodo della vita, -
POESIE PASTpRALI i35
Che scioglier non si può se non per morte;
Troppo aperte del cor (bron le porte
Quando la bella imago <
A lui pervauie in prima;
Ed ora n^è sì yago,
Gh' ad ùgpi altra le serra :
Onde non sarà mai bellezza in terra y
OH in sé rivoka, o reada meno ardente
Il bel desio deUMnvaghita mente.
jire. Ma se talor la tua leggiadra ninfa ,
Veggendoti ^a molti esser amato ^
Di pallido timor tingesse il volto,
Temendo che da altrui non le sii tolto,
Lascia pur eh* ella tema , e eh* altri t* ami ;
Che '1 gelo del timore il foco affina
Negli amorosi petti:
Ma non esser cagion della sua tema,
£ sembra nel sembiante
Cortese a tutti , e di lei sola amante ;
Me far giammai della sua fede ' prova ,
Poiché nulla ti giova:
Sebbene a te paresse,
Come credo che sia.
Più salda che colonna,
Mai noQ si dee tentar la fé di donna.
Alfin d'esser rammenta
Timido di parole
Seco, e d'effetti audace;
E sappi che non fu mai senza guerra
Il dolce fin d* un* amorosa pace. —
Ma ecco colà veggio
Venire in vista lieti e vergognosi
Calisa e '1 suo Batillo, amanti e sposi:
FeUce coppia, a cui concesse Amore
i36 POESIE PASTORALI
Refrigerio soave
Del loro onesto ardore.
Tir. Adrìo di là sen viene
Forse da me per sfogar meco parte
DeUe sue dola ed amorose pene.
jire. Dunque vanne ^ TirintO; e lui (xmsola j
Poiché sei consolato;
E lieto vivi e godi
Nelle tue fiamme e ne* tuoi cari nodi.
Tir. Le grazie, chMo dovrei,
Arezia, non ti rendo;
Ben te le renderei,
Se parlasser per me gli affetti miei.
Rimanti dunque; ed miportuna guerra
Di nojosi pen^eri
Non turbi mai la tua tranquilla pace.
Destro a te giri il cielo,
Ti dia frutti la terra,
Né pioggia accolta in gelo
Giammai t* abbatta i campi;
Né mai fólgori o lampi
Cadano qui della gran madre in grembo
Ti sia l'aer sereno; e largo nembo
Di dolcissima manna e di rugiada
Piova in questa felice alma contrada.
RIME AMOROSE
S O TJ E T T I
SONETTO I.
Cofi questo sonetto pi'oemìaU dimostra il fine eh* egli
si jjHXfpone nello scrìpere e nel pubblicar h sue
poesie.
Vera fur queste gìoje e questi ardori,
OndMo piansi e cantai con vario carme,
Che poteva agguagliar il suon delParme,
E degli eroi le glorie e i casti amori.
E, se non fu de^ più ostinati cori
Ne^ vani affetti il nuo, di ciò lagnarme
Già; non dovrei; che più .laudato parme
n ripentirsi, ove onestà s^ onori.
Or con l'esempio mio gli accorti amanti,
Leggendo i miei diletti e U van desire ,
Ritolgano ad Amor delTalme il freno.
Pur ch^ altri asciudii tosto i caldi pianti.
Ed a ragion talvolta il cor sbadire,
Dolce è portar voglia amorosa in seno.
i4o RIME AMOROSE
SONETTO IL
Descrive Petà tuUa quaie s' innamorò, e la donna
di cui M* int^aghi.
Era deVetà mia nel lieto aprile,
E per vaghezza Palma giovinetta
Già ricercando di beltà ch'alletta
Di piacer in piacer spirto gentile,
Quando m'apparve donna assai simile
Nella sua voce a candida angeletta;
L'ale non mostrò già, ma quasi eletta
Sembrò per darle al mio leggiadro stile.
Miracol nuovo! ella a' miei versi, ed io
Qrcondava al suo nome altere piume ^
E Fun per F altro andò volando a prova.
Questa fu quella, il cui soave lume
Di pianger solo e di cantar mi giova;
E i primi ardori sparge un dolce obbho.
SONETTO III.
In occasione che vide la sua donna coglier fiori
in riffa ad un ruscello.
Colei che sovra ogni altra amo ed onoro.
Fiori coglier via io su questa riva;
Ma non tanti la man cogliea di loro,
Quanti fra Ferbe il bianco pie n'apriva.
Ondeggiavano sparsi i bei crin d' oro ,
OncPAmor mille e mille lacci ordiva;
E Faura del parlar dolce ristoro
Era del foco che degU occhi usciva.
Fermò suo corso il rio, pur come vago
Di fare specchio a quelle chiome bionde
Di sé medesmo ed a que' dolci lumi;
E parca dire: Alla tua bella imago,
oe pur non degni solo il re de' fiumi ,
Rischiaro, o donna, queste placid'ondc.
/
RIME AMOROSE 141
SONETTO IV.
Loda le beUezxt della sua donna , e specialmenie la bocca»
Bella è la donna mia y se del bel crine
L'oro al vento ondeggiar awien -ch'io miri}
Bella ^ se volger gli occhi in vaghi giri,
O le rose fiorir tra neve e brìne:
£ bella dove poggi, ove s' inchine j
Dov' orgoglio 1 inaspra a' miei desiri:
Belli sonò i suoi sdegni, e quei martiri
Che mi fan degno d'onorato fine.
Ma quella ch'apre un dolce labbro e serra
Porta di bei rubin si dolcemente,
È beltà sovra ogni altra altera ed alma:
Porta gentil della prigìon dell'alma,
Onde i messi d'Amor escon Rovènte,
E portan dolce pace e dolce guerra.
«
SONETTO V.
yien consolato in sogno dallo sua donna lontana,
Giacea la mia virtù vinta e smarrita
Nel duol eh' è sempre in sua ragion più forte,
Quando, pietosa di si dura sorte,*
Venne in sogno Madonna a darle aita;
E ristorò gli spirti, e, in me sopita
La doglia, a nova speme aprì le porte:
E cosi nell' immagine di morte
Trovò l'egro mio cor salute e vita.
Ella, volgendo gli occhi in dolci giri,
Parea che mi dicesse: A che pur tanto,
O mio fedel, t'affliggi e ti consumi?
E perchè non fai tregua a' tuoi sospiri,
E 'n queste amate luci aunghi il pianto ?
Speri forse d'aver più fidi lumi?
i4a RIME AMOROSE
SONETTO Vi.
In oeemiane ehé la sua donna sta per maritarsi.
Amor 9 colei che verginella amai,,
Doman credo veder novella sposa;
Simil^ se non mMnganno^ a cólta rosa
Clic spieghi il seno aperto a^ caldi rai.
Ma chi la colse non vedrò giammai^
Ch^al cor non geli F anima gelosa:
E 8^ alcun foco di pietate ascosa
U gliiaccio può temprar, tu solo il sai.
Blisero! ed io là corro ove rimiri
Fra le brine del volto e 1 bianco petto
Scherzar la mano avversa a^ miei desirì !
Or come esser potrà chMo viva e spiri,
Se non m'accenna alcun pietoso affetto
Che non fian sempre vanì i miei sospiri!
SONETTO VII.
Dimostra in t/ual modo sia corrisposto il suo casto amore.
Veggio, quando tal vista Amor m'impetra,
'Sovra fuso mortai Madonna alzarsi;
Tal ch& rinchiude le gran fiamme, ond^arsi.
Maraviglia, e per tema il cor impetra.
Tace la lingua allora , e 1 pie s' arretra ,
E son muti i sospiri accesi e sparsi;
Ma nel volto potrebbe ancor mirarsi
L'affetto impresso quasi in bicinca petra.
Ben essa il legge, e con soavi accenti
M'affida; e forse, perchè ardisca e parie,
Di sua divinità parte si spoglia.
Ma A quell'atto adempie ogni mia voglia.
Ch'io non ho che cercar^ né che narrarle;
E per un riso obblio mille tormenti.
RIIIE AMOaOSE 43
SONETTO TUI.
Amiort gF impone di cantare i muoì trioi^ t U Mm ffiorit.
Slavasi Amor, quasi in suo remo, asnso
Nel seren di due luci ardenti ed alme,
Mille famose insegne e mille palme
Spiegando in un sereno e chiaro viso:
Quando, rivolto a me^ cIiMntento e fiso
Mirava le sue ricche e care salme,
Or canta (disse) come i cori e Falme
£ 1 tuo medesmo ancor abbia concjuiso ^
Né s'oda risonar Tarme di Marte
La voce tua, ma Falta e cliiara ^oria
E i divin pregi nostri e di costà. —
CùA addivien che nell'altrui vittoria
Canti mia servitute e i lacci miei,
E tessa degli affanni istorie in carte.
SONETTO IX.
/fi oec«MÌone che dovea partirsi dafl^t stta^danna»
Sentiva io già correr di morte il gelò
Di vena m vena, ed arrivarmi al corej
E folta pioggia di perpetuo umore
BFinvoIgea gli occhi in tenebroso velo;
Quando vìd'io con sì pietoso zelo
La mia donna cangiar volto e colore.
Che non pur addolcir F aspro dolore,
Ma potea fra gli abissi aprirmi il cielo.
Vattene ( disse ): e , se '1 partir t' è grave ,
Non aia tardo il ritornò; e serba intanto
Del mio cor teco Funa e F altra chiave. —
Cosi il dolore in noi forza non ave ,
E siam quasi felici ancor nel pianto:
Oh medicina del languir soave!
i44 RIHE AMOROSE
SONETTO X. '
Sim dìMioto pmr esMn ia sua donna adtgnala.
Io vidi un tempo di pietoso a&tto
La mia nemica ne* sembianti ornarsi,
£ Falle fiamme , in cui di sulùto arsi,
Nudrir colle speranee e col diletto.
Ora y non so perchè, la fronte e U petto
Usa di sdegno e ai fieresza armarsi;
E con guardi vèr me tarbati e scarsi
Guerra m'indice: ondMo sol morte aqpetto.
Ah! non si fidi alcun, perchè sereno
Vdto rinviti, e piano il calle mostri,
Amor, nel n^no tuo spiegar le vele.
G>d r infido mar placido d seno
Scopre a* nocchieri incauti, e poi crudele
Gli aflbnda e perde infi:a gli scogli e i mostri.
SONETTO XI.
Disperando ifssssrs corrisposto ^ invoca la morts.
Vissi; e la prima etate amore e speme
Mi fiicean vìe più bella e {mu fiorita:
Or la mewna manca; anzi la vita.
Che di lei si nudria , s* estingue inóeme»
Né quel desio, che si nasconde e teme.
Può dar conforto alla virtù smarrita;
E toccherei di morte a me gradita,
Se non posso d^amor, le mete estreme.
Oh morte, oh posa in ogni steto umano!
Secca |Mante son io che fronda a' venti
Più non dispiega, e più m'irrigo invano.
Deh! vien', morte soave, a' miei lamenti;
Vieni ^ o pietosa: e con pietosa mano
Copri questi occoi e queste membra alge
RIME AMOROSE ' 145
• SONETTO XII.
«Sì Ifl pùfA èàla sua dorma^ e si io sdegno io spronano ad amart.
Qualor Madonnii i miei lamenti accoglie,
£ mostra di gradire il foco ond^ardo,
Sprooa il desio, che più di tigre o pardo
Veloce allor dalla ragion mi scic^lie.
Ha, se. temprando l'infiammate voglie ,
Di sdegno s'arma, e vibra irato sguardo,
Già far non può quel corso picro e tardo,
Ma par che più m^ affretti e più n? invoglie :
Perchè F orgoglio s^ addolcisce , e prende
Sembianza di pietate ; e ?n quel sereno
Sono tranquilli ancor gli sdegni e Tire.
Or chi fia mai ch'arresti il mio desire,
S* egualmente lo spinge e pronto il rende
Con sembiante virtù lo sprone e 1 freno 7
SONETTO XIII.
Sffyra un' ape che punse la bocca delia sua donna.
Mentre Madonna s'appoggiò pensosa,
Dopo i suoi lieti e volcHitar} errori.
Al fiorito soggiorno, i dolci umori
Depredò, susurrando, ape ingegnosa:
Che ne' labbri nudria l'aura amorosa
Al sol desìi occhi suoi perpetui fiori j
E, volando a' . dolcissimi colori.
Ella sugger pensò vermiglia rósa.
Ah troppo bello error, troppo felice!
Qud eh' all' ardente ed immortai desio,
Qà tanl^anni, si nega, a lei pur lice.
Vii ape. Amor, cara mercè rapio:
Che più ti resta , s' altri il mei n' elice ,
Da temprar il tuo assenzio e 1 dolor mio2
Tasso, FoL IF. io
/^
i46 una AMOROSE
SONETTO XIV. .
Dk9 th§ frmedt^ la tua mrU negli oeeki della nèm dommu
Come il nocchier dagl* infiammati lampi ^
Dal sol nascente o dalla vaga luna^
Da nube che la cinga oscura e bruna ,
O che d^mtomo a lei sanguigna avvampi,
Conosce il tempo in cui si fugga e scampi
Nembo o procdla torbida importuna ,
O si creda alP incerta aspra tortuna
n caro legno per gli ondosi campi;
Così nel yariar nel vostro ciglio ,
Or nubilo, or sereno , avvien ch'io miri
Or segno di saluto , or di periglio.
Ma stabile aura non mi par che spiri;
Ond'io sovente prendo altro consigUo,
£ raccolgo le vele a* miei
SONETTO XV,
JseomigUa la sua donna ad Erostrate,
Costei I ch'asconde un cor superbo ed empio
Sotto cortese angelica figura ,
M'arde di foco ingiusto, e si procura
Fama da' miei lamenti e dal mio scempio :
E prender vuol da quella mano esempio,
Che troppo iniqua osò, troppo sicura,
Per farsi illustre in ogni età futura,
Struggere antico e gloriioso tèmpio.
Ma non fia ver che ne' sospiri ardenti . .
Suoni il suo nome, e rimarrà sepolta
Del suo error la memoria e del suo strale.
Che gloria ella n'avna se i miei tormenti
Féssero i^rìa; e fia vendetta eguale
Lasciarla in un silenzio eterno avvolta.
AIME AMOROSE «4y
SONETTO XVI.
Cerea di Mcusarsi se non gli riuscirà di tener celato
P muore ond^ arde per la sua donna.
Vuol ch'io Tami costei; ma duro freno
^ Mi pone ancor cP aspro silehzio. Or quale
Avrò da lei^ se non conosce il male^
O medicina o refrigerio almeno?
E come esser potrà, che, ardendo il seno.
Non si dimostri il mio dolor mortale *
Nel risplender di fiamma a queUa ^ale
Ch'accende i monti in riva 1 mar Tirreno?
Tacer ben posso , e tacerò: chMo teglia
Sangue alle piaghe e luce al vivo foco
Non brami già; questa è impossihil voglia.
Troppo spinse pungenti a dentro i colpi ,
E troppo ardore accolse in jAcdol loco:
S'apparirà 9 natura e sé n'incolpi.
%
0
SONETTO XVIL
Po' la sig. Laura Peperara che va in inlla» A imitazione
dei Petrarca f echenuL il Tasso fui nome di Laura»
Or che Faura mia dolce altrove raira
Fra sdve e campi, ahi ben di fórro ha 1 core
Chi riman qui solingo, ove d'orrore
£ cieca vaUe, di miseria e d'ira.
Qui nessun raggio or di beltà A mira;
Rustico ò fatto, e co' bifolchi Amore
Pasce gli armenti, e 'n sulT estivo ardore
Or tratta il rastro, ed or la fidce aggira.
Oh fortunata selva , oh liete pia(^ j
Ove le fere, ove le piante è i sassi
Appreso han di yalor senso e costume!
Or che far non potria quel dolce lume,
Se fa, dond'^li parte, ov'egli stassi,
Qvili i bosclii, e le città selvagge?
i4B RIME AMOROSE
SONETTO XVIII.
Ducrivt la prozia gehsùu
Geloso amante apro mill* occhi e giro^
£ mille orecchi ad oeni suono mtenti^
E sol di cieco orror larve e spaventi ^
Quasi animai ch'adombre, odo e rimiro.
S^ apre un riso costei ^ se 'n dolce giro
Lieta rivolge i begli ocelli lucenti ^
Se^ tinta di pietà ^ gli altrui lamenti
Accoglie ) o muove un detto od un sospiro^
Temo ch'altri ne goda, e che m' involo
Uaura e la luce; e ben mi duci che spieghi
Baggio di sua bellezza in alcun laloi
Si nieghi a me, pur eh' a ciascun si nieghi:
Che, quando altriù non splenda il mio bel Soloi
Ideile tenebre ancor vivrò beata
SONETTO XIX.
lAiAa il seno della sua donna^
Non son si vaghi i fiori onde natura
Nel dolce aprii de' begli anni sereno
Sparge un bd vòlto, come in casto seno
È bel quel che di luglio ella matura.
Meraviglioso grembo, orto e cultura
D'Amor, e paradiso mio terreno,
L'ardito mio pensier chi tiene a freno.
Se quello, onde si pasce, a te sol fura?
Quei eh' i passi veloci d' Atalanta
Fermaro^ o che guardò l'orribil drago,
500 vili al mio pensier oh' ivi si pasce.
Nò cogtie Amor da pereffrìna pianta
Di beltà pregio si gradito e vago^ ""
501 nel tuo grembo di te degno ei nasce*
I
RIBIE AMOROSE
SONETTO XX.
Per bella » làraiata eanuurìee.
«49
Aprite gli occhi) o gente egra mortale.
In questa saggia e bella alma celeste ,
Qie di si pura umanità si veste ,
Ch^ agli angelici spirti è in vista eguale.
Vedete come a Dio s'innalsa^ e Tale
Spiega verso le stdle ardite « preste;
Gom^ il sentier ri insegna , e fuor di queste
Valli di pianto il eia s' innalza e sale.
Uditegli canto suo^ ch^ altro pur suona
Che voce di Sirena ^ e 1 mortai sonno
Sgombra delTalme pigre, e i pensier bassi.
Udite come d*alto a voi ragiona:
Seguite me^ ch'errar meco non ponno.
Peregrini del mondo ^ i vostri passL
SONETTO XXL
in lode della sua donna^ dfseritmtdo la possanza d'Jmore*
Amore alma è del mondo, Amore è mente,
E 'n ciel per corso obliquo il sole ei gìra^
E d'altri erranti aUa celeste lira
Fa le danze lassù veloci o lente.
L' aria , F acqua , la terra ~e '1 foco ardente'
Regge , misto al gran corpo , e nutre e spira ;
E quinci V uom desia , teme e s' adira ,
E speranza e diietto e doglia ei sente. •
Ma, benché tutto crei, tutto governi,
E per tutto risplenda, re 1 tutto allumi,
Più spiega in noi di sua possanza Amore ;
E come sian de' cerchi in ciel superni,
Posta ha la reggia sua ne' dolci lumi
De' bei vostri occhi, e '1 tempio in questo core.
\
)5o RIME AMOROSE'
SONETTO XXII.
ittita FUlidt « godere ^ sebbene il tempo sia proceUoso^
Odi, Filli) che tuona: odi che 'n gelo
Il vapor di lassù converso piove.
Ma che curar dobbiam che faccia Giove?
Godiam noi qui| scegli è turbato in cielo.
Godiamo aìnando; e un dolce ardente zelo
Queste gioje notturne in noi rinnove :
Tema il volgo i suoi tuoni , e porti altrove
Fortuna o caso il suo fulmineo telo.'
Ben folle ed a sé stesso empio è colui
Che spera e teme} é, in appettando il male^
Gli si fa incontro, e sua miseria affretta.
Pera il mondo e rovini: a me non cale
Se non di quel che jhù piace e diletta;
Che , se terra sarò , terra ancor fuL
SONETTO XXIII.
Palinodia del sontUo ontaeedÈSUt.
Odi, Filli, che tuona: e Faer nero
Vedi come di lampi orrido splende.
Giove turbato è in del: folle chi pirende
I Divi a scherno e 1 gran celeste impero !
È colassù '( non t' ingannar ) pensiero
Delle cose mortali; e non discende
Ogni fólgore indamo, e i monti oflSmde:
Samiolsi quei che scala al del ne fòro.
Briaréo salsi, e qud che pose audad
Le mani in vergin sacra; onde tra duri
Scogli fu anciso e turbini sonanti
Ma che non lece a' non creduli amanti
Ne' dolci inganni? Amor lasda che giurì
Spesso impunito alcun per le sue fad.*
HTXIE AMOROSE i5i
SONETTO XXIV.
1^ una cafgnolÌRa, chiamaUi Moroónai deUa sig» Anna If*^
Anna, il cor vostro, voi non mi togliete,
Ma la vosti^alma vista dtri mi toglie,
Onde sollazEO è wA ddlle mie doglie
La Morosina che A card avete.
Spesse volte mandarla a me solete j
Spesso mi salta in seno, e si raccoglie
Tra k mie braccia e tra le molli spoglie,
E dimore vi trae sicure e liete.
Scherzo con Iri sovente, e porgo a lei
n dito^ ,e(f ella vezzosetta il prende,
E di scherzar con voi qaasi mi pare.
Ha poi dico' fra me: Forse costei
Della mia donna le lusinghe apprende.
Cosi elle sono amorosette e care.
SONETTO XXV.
Si hgna é^esMert sturbato ne* suoi tHIetU
daììa madre delkt iua Mìa.
S^^li è pur ver eh* Amor nel vostro petto
Pietà m'impetri, come a^ dolci giri
De' bei vostri occhi parmi ed a* sospiri.
Ove si scopre Funo e P altro affetto,
Sarei felice apjHen; ma '1 mìo diletto
Doppio toglie sovente a* miei desiri
Colei che dove invan Tien che si miri
Mira dolente il suo già vago aspetto.
Crudeli se del suo grembo ai mondo nacque ^
Sì bella donna, esser dovria contenta
Che piaccia altrui, <juant*ella a' segni piacque:
Ma, mentre gli anni andati invan rammenta.
Della nuova beltà chVin voi lìnacque
Par che, in vece di gtoja, invidia senta.
i5a RIME AMOROSE
SONETTO XXVI.
Per mtd bocchi oruTè afflitta la sua donnÌL
(V. ScrtMÌ, Vii. del Ta«Oy 1. 1, f. ao3.>
I begli occhi ove prima Amof m' apparse ^
Cn^vi quan in suo del si gira e splende ^
Or fera nube adombra, e mi contende
Quel, dolce raggio eh' abbagliommi ed arae.^
Lasso! e quel freddo petto, ove destarse
Non può fiamma amorosa, or fiamma accende
Di rea febbre maligna, e noi difende
La neve e U gelo ondagli suole armarse.
Deh I perchè non poss' io A ardente foco
In sua vece soffrir , purch' ella poi
Breve favilla di mie fiamme senta?
£ ben sarebbe. Amor, diletto e gioco
Ogni altra face^ e parrìa fredda e spenta
A tal che prova al cor grincendj tuoi. •
SONCTTO xxvn.
in morte della sua donna*
Qual nevei che su' colli ameni fiocchi,
Era della mia donna il volto tinto,
Bianco, di^ chiar' color vago e non finto ,
E parean riposar le membra e gli occhi:
U atto dell' una man , senza che scocchi
Arco^ ha mill'alme in sant'amor respinto;
Né scorge occhio mortai che fuori spinto
Lo spirto sia, né chiunque il corpo tocchi;
Se non udiansi i pianti e gli alti stndi^
Che insino il S9I, che ne die segno, a pietà
Mossero, ed ogni core avean diviso.
^ Qual viva, ed or sei tu dove n'assidi^
Se, fuor d'ogni uso uman, gioconda e lieta
Morte bella parca nel tuo bel viso?
RIME AMOROSE t53
SONETTO XXVIIL
Ar N. N* veduia a eogUer Jiori in riua alia BnnUu
(Pu6 ' rignardarsi come nna Ttrìa lezione del follet-
to IH.)
Ifiofa, onde lieto è di Diana ilooro^
Fiorì coglier vidMo au questa rìra;
Ma non tanti la man coglieà di loro^
Quanti fra Perbe il bianco pie n^ «priva.
Ondegriavapo sparsi i bei crin d'oro,
Ond^Amor mille e taiille lacci ordiva ,
E Paura del parlar dolce rìstoro
Era del fisco che dagli occhi usciva.
Fermò la Brenta, per mirarla, il vago
Piede, e le fiso del suo cristallo istesso
Specchio a^ ìm lumi ed alle trecce bionde; x
Poi disse: Al tuo partir si bella immago
Partirà ben, Mima gentil, dalFonde;
Ma '1 cor fia sempre di tua forma impresso.
SOXETTO XXIX.
Per un eagnoUuo di betta domuu '
Pargoletto animai di spirto umano.
Bianco come la fede onde sei pegno,
Ch'in sì bel grembo di seder sei degno,
E prendi il cibo eia si bella mano;
Teco albergo cangiar tenta, ma invano.
Quel can che splende nd celest^-4;egno ,
E prende il cielo e le sue stelle a sdegno
Mentre te mira e Fonor tuo sovrano.
Forse nelle tue forme Amor converso
Scherza teco cosi, come già fisce
Quand^ espresse a Didone il casto seno.
Ma co' teneri iporsi a lui ben léce
Stringer di quella man F avorio terso.
Pur non ne passa al cor fiamma o velena
i5( RIME AMOROSE
SONETTO XXX.
Difimgi te mmorase insidit dtìlfi. boeem àtUa comAmm
di Scmndiano.
Qad labbro che le rose htiì colorito^
Molle À sporge e tumidetto in fuoré^
Spinto per arte, mi crecPio, d'Amore
A fare ai baci insidioso inTito.
Amanti y alcun non sia cotanto ardito
Ch* osi af^ressarsi ore tra fiore e fiore
Si sta, qual angue, ad attoscarvi il core
Qael fiero intento: io 1 veggio, e ve F addito.
io • ch^ akre volte fìii ndle amorose
Insidie cólto, or ben le riconosco,
E le discopro, o giovinetti, a voi: ' ^
Quasi pomi di Tantalo, le rose
Fansi air incontro ^ e s? allontanan poi )
Sol resta Amor^ che spira fiamma e tosco
SONETTO XXXI.
Die» eoM» «* IniMURoroffjif d^una dimnm^ tmmtré cVeU«
trm insieme con due competane non meno belle di UL
Tre gran donne vid'io ^ ch^in esser fadle
> Mostran ^sparita , ma somidiante
Si| che ne^ atli e 'n ogni lor 'sembiante
Scriver natura par: Noi siam sorelle.
Ben ciascuna io lodai; pur una d'elle
Mi {nacque id, ch^io ne divenni amante,
Ed ancof fia ch'io ne sospiri e cante,
E 1 mio foco e 1 suo nome alzi alle stelle.
La sol vagheggio; e, se pur altre io miro,
Gtiardo nel va|^ altrui qud cVè in lei vago,
E negP idoli suoi vien caio Fadore.
Ma cotanto somidia al vel* F imago
Ch'erro, e dolce è Ferror: pur ne sosfMro,
Come d'ingiusta idolatria d'Amore.
RIME AH0R08E i5S
SONETTO XXXIL
ingignosaimnie ctlehra le passate òelUaze di Btad. Lucrezia
duchessa tP Urbino,
NegK anni acerbi tuoi purpurea rosft
Sembravi tu, eh' a* rai lefMdi^ affòra
Non apre 1 aen^ ma nel suo verde ancora
Verginella «Nasconde e vergognosa:
O piuttosto parei (che mortai cosa
Non s* assomiglia a te) celeste aurora
Che le campagne imperla e i monti indora ,
Lucida in ael sereno e rugiadosa.
Or la men verde età nulla a te toglie^
Né te, benché negletta , in manto adorno
Giovinetta beltà vince o pareggia.
CoA più vago è 1 fior poi che le foglie
Spiega odorate; e^^l Sol nel mezzogiorno
Via più che nel mattìn luce e fiammeggia.
SONETTO XXXin.
Imnia idU nd amoron dUèuL
laviamo, amiamci| o mia gradita JeOe;
Edra sii tn che il caro tronco abbraccia:
Baciamci; e i baci e le lusinghe taccia
Chi non ardisce annoverar le stelle.
Badnsi insieme Palme nostre ancVelle:
Fabro sia Amor dbe le distempii e àbociai
E che di due confuse una lìfiiccia
Che per un spirto sol spiri e favelle.
Cara Salmace mia. come s'innesta *
L'una pianta nelT altra, e sovra Forno
Verdeggia il pero, e Fun per Feltro ò vagO|
Tal io n andrò de* tuoi edori adomo;
Tale il tuo cor de* miei pensier m, vesta ;
E conum sia fra noi la penna e Pago.
96 RDIE ABfOaOSE
somiTO XXXIV.
Coniro il eop* Batista GuarinL
Questi^ che ai cori altrui cantando spira
Fiamme cF amore e di pietate ardènti ^
E A dolce rìsuona i suoi lamenti ,
Ck^ogni odio placa, e raddolciate ogn^ira|
Chi 1 crederla? si muove e ai raggira
' Instabil pia ch'arida &onde ai venti;
NutU foi nutto amor, falsi i tormenti
SonO| e falso f affetto ondVei sospira.
Insicfioso amante^ ama e disprezza
Quasi in un punto, e trionfando spiega
Di femnùnili spoglie emp) trofei.
Ma non consenta Amor ch^alta beUezsa,
Ch* a^ suoi fidi seguaci in premio' nega |
Preda sia poi degT infedeli e rei.
RISPOSTA
del cftT* BatkU GiuuiiiL
Questi, che irubimo ad alta meta aspira
^ Con aUnd biasnU e con bu^ardi accenti ,
Fedi come in sé stesso arruota i denti
Mentre contra ragion meco s'adira.
Già il suo veleno in ìid ritoma e gira,
E par^ che V armi in sé medesmo awenti;
Già le menzogne sue quasi lucenti
Cristalli sonoy o^e si specchia e mira.
Di due fiamme si spanta, e stringe e spezza
Più whe un nodo ; e con guest* arti piega
{ Chi H crederebbe ? ) a suo fitifore i Dei :
Amor no ; che per alma a' Jhrti awezza
Sì bella donna efjli non scalda e lega ,
Premio di fidi e casti affètti mieL
HIME AMOROSE iS?
SONETTO XXXV.
Aven/ào iwluto due belle donne baciarsi scautbievolmenU ^ .
prega Amore che il faccia a parte d^ loro bacL
Di Dettare amoroso ebro la mente.
Ratto fuì^ né so come, in chiosa chiostra }
£ due belle d^Amor guerrkire in giostra
Vidi coli* arme ond^egli è si possente:
Yidi ch^ in dolce aningo alteramente
Fér pria di lor beltà leggiadra . mostra ^ *
Poi, movendosi incontra, ove sMnnostra
La bocca si ferir di bacio ardente:
Sonar le labbra, e vi restaro i segni
De' colpi impressi. Amor, dehi perchè a v6to
Taut'arme e tai percosse usar da scherzo?
Provìnsi in vera pugna, e non si, sdegni
Scontro d'amante. Amor, me, tuo devoto,
Opponi all'una, o fra le due & terza
SONETTO XXXVI.
S^ Introduce iljiume Pò a ragionar con una civetta che
per molti di fu vista posare sul palazzo di bella e
valorosa dama, in riva di esso fumé»
PÒ, Se tu d'ombre notturne amico e vago.
Aspro nuncio d'a&nni, abboni il gicumo,
A che pur voli al chiaro nido intorno
D'un Soie a meraviglia illustre e vago?
CiV. Perchè, guardando la serena imago
Che face alle stellanti invidia e scorno,
ffel mio stato primier quasi ritorno ,
Quinci sol di splendor k vista appaga
Pò. Negletto, spaventoso, invido augello^
Mon turbar più l'albergo almo e giocondo.
In che Amor le sue gioje aduna e serva.
Ci9. Mi spazio presso il folgorante osteUo,
Perchè conosca, e si rallegri il mondo,
Ch'è discesa dal cielo altra Minerva.
i5B aniE AMOROSE
SONETTO XXXVII.
Im «eeofwfw eiCMft in rtfato dmUa sua étmnm
llfUl CMUCMb
Di qual erba di Polito^ o di qual angue
Trasse Amor Tempio tosco onde consperse
Poi la mia maga il lin che mi coperse
B nudo sen^ si eh' ri ne ferve e langae?
Arder già sento entro le vene il sangue ....
Oh fiamme^ oh pene mie gravi' e diverse!
Don vie men fiero la gdosa c&rse
Che fu delusa daf centauro esangue.
Maga crudel se fura, e più crudele
S'awien che doni, almen Finic][ua vesta ,
Se tener vuole il mirto, or, si ntoglia.
Lasso! eh* io spargo invan gridi e querele!
Ahi, chi mi trae P insidiosa spogUa 7
Ahi, dii le fi^umne el roga almm m'appresta?
SONETTO XXXVIII.
Prega U Ti
T
a consolarlo ed a scoprir^
sua innoeaaa*
Vecchio ed alato DiO| nato col Sole
Ad un parto medesmo e con le stdle,
Che distruggi le cose e rinoovelle
Mentre per torte vie vole e rivde:
U mio cor, che languendo egro si duole,
E delle cure sue spinose e felle.
Dopo mille argomenti, una non svelle ^
Non ha, se non sei tu, chi più U console.
Tu ne sterpa i pensieri , e di giocondo
Obblio sparsi le piarne; e tu disgombra
La luce onoe son pieni i regj chiostrì.
E tu la verità traggi dal fondo
Dov'è immersa, e senza velo od ombra
Ignuda e bdla agli occhi allnd si mostri.
BUIE AMOROSE iSg
SpNETTO XXXIX.
Mtgli ^ «arma contro md Amore f jmi cA^i
app€na rwtde la sua donna ^ toma ad amare.
Armo di ghiacdo, e inaspro il core e '1 petto;
£ ritroso al desio, pronto a^o sdegno,
iJT amoroso i^on guarclingo io vegno,
Quasi guerrier pìen d^odio e di sospetto.
Bfa non si tosto u vostro dolce aspetto
Mi s* offre, e porge la speranza m pegno,
Che delT antico amor conosco il segno,
Ed ardo , e V arder m' è gioja e diietto:
Qiè immaginata gioja il vero ardore
Tempra, e Paure amorose e dolci fonti
Promette lusingando alla mia sete;
£ qoal egro nel sonno i vaghi e pronti
Desir par che bevendo in parte acquete,
Tal consolo il mio mal d'ombre e d'errore.
SONETTO xu
Fedendo òaciarai due colombe^ paragona la toro §aru
con quella dtf^U uomini, e la invidia.
Vaghe colombe, che, giungendo i rostri,
Senza numero alcun doppiate i baci,
£ fate dolci guerre e dolci paci,
Miri la donna mia gli affetti vostri:
Coppia (dica) gentil, che fuoi; dimostri.
Come dentro d'amore ardi e ti sfaci,
£ lusingando al tuo voler compiaci,
Quanto son men fdici i desir nostri!
Ch'or vergogna li frena, ed or timore.
Si che di mille a pena un resta pago
Talora, e par maravigliosa sorte. ^
Non de' piaceri a noi dato ò consorte,
fifa de pensi^} ed al marito il vago
Pr^poDsi, e dolce è sol furtÌTO am<H««
i6o BIME AMOfiOSE
SCWETTO XLI.
Imnta F^i^ in vn boschetto; e poi s'optmdt
dbtf U suo rii^aU 0 dì ha pUkfiUce,
Qui dove i sacri e verdeggianti allori
Forman di sé vago boschetto ombroso ,
Per cui serpendo al mar dall^erbe ascóso
Porta Iknpido rio suoi dolci umori 3
Ove persi e vermigli e bianchi fiorì
Rendon vago il terreno e dilettoso 3
Ove fra 1 crìn degli arboscei frondoso
Scherzano F aure con leggiadri errori )
Yi^ni, o FiUide mia, se pur non hai,
Non men ch'umano volto, il cor spietato ,
Ond*io tregua al dolor ritrovi omaL
Ma chi m'ode? a chi parlo? ove soh io?
Lasso! ella altrove al caro Alcippo amato
S'asside in grembo, e spregia 1 ardor mio.
SONETTO XLU.
Al sig, Cuart Ligorio , uofjfdssimo JkneiuUo» Il ptegm
afwrsi mediatore dnf suoi affètiL
Vago fioiciul, che dalP ardor sownte
Ch'esce del petto mio, mentre t'abbracdo.
Sei testimone del mio forte laccio
,E del peso ch'io porto dolcemente;
Pregoti (se di farlo sei possente).
Quando t'annoda e cinge il caro braccio
Della mia donna, e senti il freddo ghiaccio
Ch'ai cor l'è scudo ed alP altera mente,
Narrale l'amor mio: ma, se i suoi baci
Imprime in te ^ che tu senta ardore ,
Chiedile s'arde sì, com'ella accende.
Quand'ella neghi pur, tu prega Amore
Ch' alcuna avventi in lei delie sue &ci ,
Se pur d'ahna innocente i preghi int^de.
RIME AMOROSE 161
SONETTO XLIIL
In morte della sig. Ftaminia .,.,di cui s'invoca Vat sistema,'^
Questo sonetto Ju fatto a istanza del sig, Giulio Mosti*
La beOa fiamma che m'ardeva il core^
Dove le sue faville io serbo e celo;
In terra è spenta , ma raccesa in cielo
Tra gli altri lumi cMianno eterna onore.'
Ivi la veggio scintillar d^ amore
Quando spiega la notte il negro velo
E sparge intomo il rugiadoso gelo,
£ sento insieme il suo vij^ace ardore.
O già soave fiamma, or vaga stella,
Se già reggesti la mia dubbia vita,
Mentre fusti mortale in queste sponde.
Or, eh' immortai sei fatta e vie più bella,
Scorgila fra gli scogli, ov'è smarrita,
Al queto porto delr orribil' onde.
SONETTO XLIV.
Ramvunta ad una sua vezzosa aUergatric^
le ricevute cortesie.
Cortese albergatrìce, ancor l'imago
Di quel felice di nel cor ritegno.
Che vostra cortesia mi fece degno
Di dar un bacio al volto amato e vaga
E del mio fortunato ardir m'appago.
Lo qual d^amor doppio si prese il pegno;
Che non aveste mansueta a sdegno
Quel sì ardito desio d'uom cosi vago.
Attor fu di dolcezza ebbro il mio- core ; ' -
Ed or a voi pur col pensier ritorno.
Ed alla vostra figlia onesta e lieta:
E l'alma v'offro, che di dolce ardore ^
Ancor lunge sfaviUa, e sol s'acqueta
Nella memoria di quel lieto giorno.
Tasso, FoL IK 11
i6a RIME AMOROSE
SONETTO XLV.
Jt. D. EUonara tPEsU, Pia che la bellezza corpwah
eommentU la bellezza dtlV animo , e invìdia la Jilt*
ciià dello sposo di Ui,
Vergine illustre. la beltà che accende
1 giovinetti amanti y e i sensi invoglia^
Colora la terrena e frale spoglia,
E negli occhi sereni arde e rìsplende.
Ma folle è chi da lei gran pregio attende,
Qual face alFeuro, al verno arida foglia}
Ed anzi tempo avvien che la ritoglia
Natura^ e rade volle altrui la rende.
Da lei tu no, ma da immortai bellezza
L^ aspetti; e^n vista alteramente umile
Ti chiudi ne^ tuoi cari alti soggiorni.
£ s^ in terno valor d'alma gentile
Per leggiadra arte ancor vie più s^ apprezza^
Oh felice lo sposo a cui t'adorni!
SONETTO XLVI.
Per r infirmità della contessa d' Urbino^ Loda la costanza
della yirtà di essa*
Se 1 nobil corpo , ove in soavi tempre
L'alta possanza sua mostrò natura,
E si dolce del ciel legge e misura,
Or tutto è fiamma, e nulla par ch'il tempre^
Maraviglia sarà che non si stempre
Ogni lucida stella, e faccia oscura.
Ah ! sì nuova beltà , luce sì pura
]Non fia che spiri e splenda e piaccia sempre?
Ma s'egli può languir, può farci accorti
Del patir di lassù questa sua pena ;
Kè '1 Sol della sua gloria ancor si vanto.
]^i r anima immortai fra mille morti
Nel suo proprio dolore è più serena,
Perchè la sua virtù la fa costante.
RIME AMOROSE i6S
SOI^ETTO XLVII. '
JVtl p0rtù iella eonUssa di Scandiano. deUtra la perfètta
tomiglian%a Jra la prole e la madre»
Non potea dotta man ritrarci io parte
De' tuoi lumi e de' crini i raggi e Foco,
Né qoel ch'apron due laU>ra almo tesoro^
Né ìv^ ligustri tuoi le rose sparte ^
Né degni eran metalli^ o marmi, o carte
Di contener le luci e i pregi loro:
Onde a formar natura il bel lavoro
S'accinse, ove pefdea timida l'arte^ ^
£ del tuo sangue fece, e di te stessa
Viva imago spirante, e'n picdol viso
Gran cose espresse, e fuor d'uso leggiadre.
Tu lieta godi, e ti vagheggi in essa;
Ed essa te conosce ornai col riso,
E vede nel suo rìso altri la madie.
SONETTO XLVm.
Si.paragpna al naxtfrago Ulisse, e inpoea il soccorso
a' illustre dama.
Giaceva esposto il peregrino Ulisse
Mesto ed ighudo sovra i lidi asciutti,
Ch' agitato poco anzi' era da' flutti ,
In cui lungo dìgiun sostenne e visse;
Quando (com'alta sorte a lui prescrìsse).
Donna real fin póse a' suoi gran lutti :
Vattene agli orti ove perpetui frutti
Ha il mio buon padre; ivi godrai, gli disse.
Misero ! a, me dopo naufragi indegni ,
Famelico gittato in fredda rìva.
Chi fia che mostrì i regj tetti e gli orti,
Se tu npn sei, cui tanti pregili ho porti?
Ma quàl chiamar ti debbo, o donna, o Diva?
Dea, Dea, sei certo; io ti conosco a' segni
i64 RIME AMOROSE
SONETTO XLIX.
jiiU principesse di Ferrara. Si la^na di rion esser da
loro protetto, •- Senese il poeta questo sonetto Irr
giorni dopo che fu chiuso in S» Anna»
Suore del grancT Alfonso ^ il terzo giro
Ila già compiuto il gran pianeta etemo ,
Ch^Ì0| dallo strazio affitto e dallo scherno
Di fortuna crudele^ eevo sospiro.
Lasso! vile ed indegno e ciò che miro
A me dintorno, o chMn altrui discemo:
Bello è ben, sMvi guardo, il petto intemo;
Ma che? premj ha sol d'onta e di martiro.
Bello è 8Ìj che, veduto al mondo, esempio
Fora d^onor: vi siete ambe scolpite,
E vive e spira Tuna e T altra imago.
Pur, d'idoli SI belli appien non pago,
n ver desio} ma voi, lasso! schernite
La fede e 1 cor eh' è vostro altare e tempio.
SONETTO L.
Jd Astréa, Crede il poeta che il Dura di Ferrara^ come
giusto ch'egli è, se potesse conoscere la sincerità' de*
suoi amori, perdonerebbe alla suajède ogni altro difetto^
Già il can micidiale e la nemea
Belva superba, in ciel trofeo d'Alcide^
Lassando a tergo il Sol colà s'asside
Ov' il raccoglie vergognosa Astrea :
E mentre del gran corso ella il ricrea.
Onde seco anelar Piróo si vide,
Con giusta lance l'ombra e '1 dì divide^
Che del ciel dianzi usurpator parea.
Vergine bella, il mio Signor in terra
Ha bilance alle tue ben simiglianti;
Tu gliele desti, e non le torse affetto.
Ma , se vedesse ciò che 1 mio cor serra >
Dina: Chi non perdona ai fidi amanti ^
In cui per fé s'adempie ogni difetto?
I RIME AMOROSE i65
SONETTO LI.
Per la ricuperatm saktU della sua donna.
Dianzi^ al Tostro languir ^ parea sospesa
La terra per desire e tema e zelo
Di si leggiadro corpo , e Weme il cielo
Che r anima aspettò da lui discesa:
Né Fun mostrava in fera stella accesa
Chioma sanguigna) o tempestoso ^elo,
Né fiamma ardente in lebbroso velo;
Né tremò P altra, o fece a^ tempi oflksa:
Perché santa pietà da^ vostri lumi
Serenò F universo , e mai non vide
n mal si bello, o H suo dolor si vago.
Ora al vostro gioir gioisce e rìde;
Che sete di bellezza e di costumi
Ài mondo esempio, al paradiso imago.
SONETTO LII.
J, I>. Costanza duchessa di Sera. Alludendo al nome
di essa dice che Amore ha costontemenie fermala in
lei la sua sede.
Mentre scherzava saettando intomo
Con aurei strali F incostante Amore,
E dall^uno passava all^ altro core.
Mutando albergo pur di giorno in giorno;
Vide Costanza, e nel bel seno adomo
li suo volo fermò tr^ 1 dolce odore : ^
E, Qui, disse, fornisco il lungo errore,
£ qui sempre desio di far soggiorno;
E qui pongo la sede, e qui dispiego
Tutte F insegne mie, tutte le palme;
Tutti i tesori qui scopro e rivelo :
E oui tra santi fiori lo prendo e lego
MilFalti ingegni e mille nobili alme;
E qui costante son, come nel cielo.
i66 RIIfE AMOROSE
SONETTO un.
p€t bella donna a rui/u data ta eorda»
Im^isc9 cantra il giudice.
Crudele potesti a dura fune avvinte
Mirar le braccia onde più stringe Amore y
E d'altre note ancor ^ d'altro pallore,
Che d'amorosi baci impresse e Unte:
Né fur tue guance di pietà dipinte,
Né vestisti il pensier del suo colore,
Né 1 marmo intenerì deìH aspro core
Vaga beltà cli'avria mill'ire estinte.
Ma , come fera tigre , alma selvaggia
Nel'suo dolor mostrasti e ne' sospiri,
O come serpe in arenosa piaggia.
Ora questi giudicj e que' martiri
Giudichi Amor, che mente assai più saggia,
Come a lui piace, avvien che vo%a e giri.
SONETTO LIV.
Descrive una sua amorosa recidiva , renduia poi
veementissima dal soave canto della sua bella,
Avean gli atti leggiadri e '1 vago aspetto
Già rotto il gelo ond' armò ^degno il core ,
£ le vestigia deir antico ardore
Io conoscea dentro al cangiato petto 3
E di nudrìre il mal prendea diletto
Coir esca dolce d'un soave errore,
Si mi sforzava il lusinghiero Amore
Che s^ avea ne' begli occhi albergo eletto :
Quand'ecco un nuovo canto il cor percosse,
£ spirò nel suo foco, e più cocenti
Fece le fiamme placide e tranquille;
Né crescer mai, né sfavillar a' venti
Cosi vidi giammai faci commosse ,
Come F incendio creb^ e le faville.
)
\
miME AMOROSE 167
SONETTO LV.
tkscrive gli effetti in itti prodotti dal rigore
delld sua donnam
Io mi Gredea eotto un leggiadro velo
Trovar inerme e giovinetta donna ^
Tenera a^ pi^gln^ o pur in treccia é^n gonna ^
Come era allor che parvi al Sol dì gelo :
Ma; scoperto Fardor caa pena io celo ,
E '1 possente desio ch^ in me s^ indonna ^
SMndurò come suole alta colonna,
O scoglio o selce al più turbato cielo;
£ lei , d^ un bel diaspro avvolta , io vidi
Di Medusa mostrar F aspetto e Tarme,
Tal eh' F divenni pur gelato e roco ;
£ dir voleva (e non volea ritrarrne,
Mentre era fuori un ^asso, e dentro un foco):
Spetrami, o donna, in prima, e poi m'ancidi.
SONEITO IVI.
Narra rom*ei medesimo e solo /osse cólto nella rete amorosa
in cui lusingawasi di prendere una gentil giovinetta»
Giovine incauto, e non avvezzo ancora
Rimirando a sentir dolcezza eguale,
Non temea i colpi di quel raro strale
Che di sua mano Amor pulisce e dora:
Né pensai che favilla in si hrev'ora
Alla fiamma accendesse ed immortale;
Ma prender, come augel ch'impenna Tale,
Giovinetta gentil credea talora.
Però tesi tra' fior' d'erba novella
Vaglie reti, ^ogrmdo i tristi lai.
Per lei che se n^atìdò leggiera e snella :
£ ^n gentil laccio io sol preso restai ,
£ mi furo i suoi guardi arme e quadrello,,
£ tutte fiamme gU amorosi rai. ^
i68 RIME AMOROSE
SONETTO LVIL
JswmìglU la stm donna daali effkui td Sokf poi la
prepone alle ninfe d^ bocchi e dtf monti\ e dice infine^
esser degna quaggiù d*onor celeste^
Mentre adorna costei di fiorì e d^erba
Le rìve e i campi, ogni tranqidUo fonte
Parea dir mormorando: A questa fronte
Si raddolcisce il mio cristallo, e serba,
Se non disdegna pur ninfa superba,
Riposto seggio, ove il sol poggi o smonte j
Ed ogni verde selva, ogni erto monte
Par che rinviti alla stagione acerba.—*
Ma sembrò voce uscir tra* folti rami:
Donna con si gentile e caro sdegno
Non è nata fra boschi, o poggi ed acque;
Ma , perchè '1 mondo la conosca ed ami ,
Scesa è dal cielo in terra, e dove nacque
Di sua bellezza onor celeste è dégno.
SONETTO LVIII.
Accenna le dolcezze miste d^ amaritudine che sononeU
V amore ; e dice essergli caro questo stato , o tòta o
morte che sia*
Se d^Amor queste son reti e legami,
Oh com* è dolce V amoroso impaccio !
Se questo è il cibo ovMo son preso al laccio,^
Come son dolci Fesche e dolci gli ami!
Quanta dolcezza agP inveschiati rami
Il vischio aggiunge, ed ali* ardore il ghiaccio!
Quanto è dolce il soffrir, s*io peno e taccio,
£ dolce il lamentar ch'altri non ami!
Quanto soavi ancor le piaghe inteme,
£ lagrime stillar per gli occhi rei,
£ d*un colpo mortai querele etemei
Se questa è vita , io mille al cor torrei
Ferite e mille, e tante gio[e averne:
Se morte, sacro a morte i giorni miei.
RIME AMO&OSE i«Ì9
SONETTO LlXi
>ie9 che ogni cosa f^li i tiara , per doìoroMu eh» im ,
ia tfuai reefc» piacm alia tua donna.
Se mi doglio talor ch^nvan io tento
D'alzar verso le stelle uu bel desio,
Penso piace a Madonna il dolor mio;
Però d ogni mia doglia io son contento.
E se Pacerna morte attor pavento^
Dico: Non è^ se vuole, il fin si rio; •
Talché del suo voler son vago anch^io,
E chiamo il mio desUno e tardo e lento.
Non cresce il male, anzi il contrario avviene,
S'eUa raddoppia F amorosa piaga,
E sana Falma con sue dolci pene.
Miracolo è maggior che d^arte maga
Trasformar duolo e tema in gioja e spene,
E dar sattite ove più forte impiaga.
SONETTO LX.
CéUtra gli occhi della sua donna^ attribuendo loro gli
effètti deljuoco celeste.
Del puro lume, onde i celesti giri
Fece e 1 sole e le stelle il Mastro etemo.
Formò i vostri occhi ancora, ed al governo
Yi pose Amor, perchè gl'informi e giri:
E solo un raggio che di lor si miri,
Lunge sgombra da noi la notte e '1 verno
DegU a£tetti terreni , e '1 foco intemo
Di leggiadri raccende alti desirì.
La fiamma fa gli spirti a lei sembianti,
E non consuma i nostri cori o sface.
Benché purghi le voglie impure e miste ;
Non è tema o dolor che mai n'attriste,
Serena è come voi la nostra pace,
E soil pianti di gioja i nostri pianti.
V
i7a RIME AMOROSE
SONETTO UL
t Loda U iciio MU $iul Jonna^ m dicé che gli occhi kramano
>«kr V àUre UlUm%o ch$ traiucof» al pensiero.
Quella candida via sparsa di stelle,
Che^i del gli Dei nella gran reggia adduce ,
Men chiara assai di questa a me riluce
Che guida pur F alme di gloria ancelle :
Per queste ad altra reggia , a via più beUe
Viste il desio trapassa; Amor è duce|
E di ciò ch^al pensiero aifin traluce,
Vuol che securo fra me sol favelle.
Gran cose il cor ne dice; e s^ alcun suono
Fuor se n'intende, è da* sospir conHiso:
Ma non tecciono intento i vaghi sguardi ,
E pajon dirgli: Ab! qual ventura o. dono
Quello eh' a te non è coperto e chiuso
Rivela a noi mentre n* avvampi ed ardi?
SONETTO LXII.
Loda la gola della sua donna* — Per candor p«regriao
inimde le perle ond^eUa portava un monile.
Tra 1 bianco viso e '1 molle e casto petto
Veggio spirar la calda e bianca neve
E dolce e vaga, onde tra spazio breve
Riman lo sguardo dal piacer astretto.
E s'egli mai trapassa ad altro obietto
Là dove lungo amòre ei sugge e beve ,
E dove caro premio alfin si deve
Ch'adempia le sue grazie e '1 mio diletto;
Cupidamente or quinci riede , or quindi ,
À rimirar come il natio candore
Dal candor peregrìn sia fatto adorno :
E, Mandino a te, dico , Arabi ed Indi
' Pregiate conche, e dal tuo novo onore
Perdan le perle con lor dolce scorno.
*
t
RIME AMOROSE 171
SONETTO LXIII.
Mostra perchè la sua donna si vesta solo à^ colori tks son
naiurali delle sue carni ^ cioè il bianco e U roseo.
Bella donna i colorì, oncPella vuole
Grìntenii affetti dimostrar talora,
Prende o da verde suol che più sMnfiora
Di candidi ligustri e di viole,
O dal vel che dipinge ad In il Sole ,
O dal bd manto della vaga Aurora j
E dal ceruleo mar che si colora
V esempio spesso ella pigliar ne suole.
Dalla terra e dal cielo, ovver dalTonde
Non li prendete voi; ma più sembianti
Sono i colorì a sì leggiadre membra ,
Forse sdegnando averne esempio altronde:
Così mostrar volete a^ vaghi amanti
Che degno è sol di voi quel che v^ assembra.
SONETTO LXIV.
Dichiara che amerà costantemente la séta donna ^ e che Vavrà
ognor presente come il primo di che la inde.
Della vostra bellezza il mio penderò
Vago, men bello stima ogni altro obietto}
£ se di mille mai finge un aspetto
Per agguagliarlo a voi, non giunge al vero.
Ma se l'idolo vostro ei forma intero,
Prende da si bell'opra in sé diletto;
E 'n lui pur giunge forze al prìmo affetto
La nuova maraviglia e 1 magistero.
Fermo è dunque J amarvi; e, sebben v^ama
In sé stesso ed in voi, non si divide.
Ma con voi ndl'amar s'unisce in guisa|
Che non sete da lui giammai divisa
Per tempo o loco; e, mentre ei spera e brama,
Yi mira e mirerà qual prima vide.
M7a RIME AMOROSE
SONETTO LXV.
St 9ton può Mtgttire la sua donna noi inaggio da lei in»
traareso , le sarà sempre ideino almeno col pensiero ,
unico cofano del cuore.
Donna, cradel fortuna a me ben vieta
Seguirvi^ e 'n queste sponde or mi ritiene j
MaU pronto mio pensier non è chi frena ^
Che sol riposa quanto in voi s^ acqueta.
Questo vi scorge ora pensosa, or lieta,
Or solcar Tonde, ora segnar T arene,
Ed ora piagge ed or campagne amene
Sul carro si, com ei corresse a meta.
E nel materno albergo ancor vi mira,
Fra soavi accoglienze e 'n bel sembiante ^
Partir fra le compagne i baci e 1 riso.
Poi, quasi messaggier che porti avviso,
Riede, e ferma nel cuor lo spirto errante,
Talché di dolce invidia egli sospira.
SONETTO LXVI.
Brama che il pensiero non gì* impedisca il sonno, in cui
ialor gode , sognando , alcun aito pietoso della sua
donna.
Pensier^ che, mentre di formarmi tenti
L'amato volto, e, come sai, T adomi,
Tutti dall'opre lor togU e distomi
Gli spirti lassi al tuo servizio intenti,
Dal tuo lavoro omai cessa, e consenti
Che 1 cor s' acqueti , e U sonno a me ritorni
Prima che Febo , omai vicino , aggiorni
Quest'ombre oscure co' bei raggi ardenti.
Deh! non sai tu che più sembiante al vem
Sovente il sonno il finge e mei colora ,
E l'immagine ha pur voce soave?
Ma tu più sempre rigido e severo
Il figuri alla mente ^ ed ei talora
Lo ritragge al mio cor pietoso e grave.
^ ,
RIME AMOROSE 173
SONETTO LXVIL
Destasi il poetai parla col sogno che l'ha consolato»
Onde, per consolarne i mìei dolori;
Vieni 9 o sogno I pietoso al mio lamentò ^
Tal che al tuo dolce inganno ornai consento ,
Cinto (fi vaghe immagini e d'errori?
Le care gemme e,i preziosi odori
Dove mrasti; e i raggi e Faure e '1 vento,
Per farmi nei languire almen contento,
Pur come un delle Grazie o degli Amorì?
Forse involasti al ciel tua luce , e 1 Sole
Teco m'apparve^ e dal fiorito gi*embo
Parte senlia spirar gigli e viole;
£ sentia, quasi fiamma ch^al del vole,
La bella mano 3 e, quasi fresco nembo,
Sospiri e soavissime parole.
SONETTO LXVIII.
Invoca il /avare delie stelle nt? suoi omorL
«
Io veggio in cielo scintillar le^telle
Oltre l'usato, e lampeggiar tremanti ^
Come negli occhi de' cortesi amanti
Noi rimirìam talor vive facelle.
Àman forse lassuso ? o pur son elle
Pietose a' nostri affiinni, a' nostri pianti,
Mentre scorgon P insidie e i passi erranti
Là dove altri d'amor goda e favdle?
Cortesi luci, se Leandro in mare^
O traviato peregrin foss'io,
Non mi sareste di soccorso avare.
Cosi vi faccia il Sol più belle e chiare.
Siate nel dubbio corso al desir mio
r
Fide mie duci, e scorte amate e care.
174 RIME AMOROSE
SONETTO LUX.
Si eùntola in pensando al ritorno deUa sua donna.
•
Fuggite , egre mie cure, aspri martirì,
Sotto il cui peso giacque oppresso il core.
Che per albergo or mi destina Amore
Di nuova speme e di più bei desirì.
Sapete pur che quando avvien ch^ io miri
Gli occhi infiammati di celeste ardore,
Non sostenete voi Talto splendore,
Né U fianatmeggiar di que* cortesi giri,
Quale stormo aaugei notturno e fosco.
Battendo l'ali innanzi al di che toma
A rischiarar questa terrena chiostra.
E già, s*a questi segni il ver conosco,
Vicino è il Sol che le mie notti aggiorna,
E veggio Amor che me F addita e mostca.
SONETTO LX3L
Pone van dubbi sulla natura della belletta ; < dagli
effetti stima divina quella della sua donna*
Questa rara bel^zza opra è delTalma
Cile vi fa cosi bella , e 'n voi traluce
Qual da puro cristallo accesa luce?
È sua nooil vittoria e quasi palma?
O gloria, od arte e magistero è d^alma
Natura? o don celeste e ra^o e duce
Ch^al vero Sole, onde parti, conduce,
Ed aggravar noi può terrena salma?
Le sembianze e i pensier, -gli alti costumi
Tutti pajon edesti : e sMo n' avvampo ,
Non par ch'indi mi strugga e mi distempre.
liontano io gelo, ed ombre oscure e fumi
Par ch^o rimiri: in co^ dolci tempre
De' begli occhi me illustra il chiaro lampo!
RIME AMOROSE 175
SONETTO LXXI.
Torca moUiimpedimenti neWamùreealti^ interposmùmif
e conchiude ehe'niuna recò mai tanto affanno % quanto
quella ond* ei si duole ^ che però tace qualjosse*
Non fra parole e baci invido muro
Più 8^ interpose y o fra sospiri e pianti ;
O mar turbato a' duo infelici amanti,
Quando troppo Fun fece Amor securo^
O nube ch^ a noi renda il ciel men puro^
E la notturna e bianca luce ammanti j
O terra che le copra i bei sembianti}
O luna che ne faccia il sole oscuro;
O dolor d'altro iutoppo a^ suoi pensieri ,
Rotto nel mezzo il volo j alcun sostenne ,
Perchè volar più non presuma o speri ,
Quant^ io di quel eh* a* miei troncò le penne ;
E, benché sia^n di lor costanza alteri,
Par che nel pianto d* a£fondarli accenne.
SONETTO LXXII.
in occasione che la sua donna gli donò un' insaUUio,
Dice rinnovarsi in lui il prodigio dell'erba mangiata
da Glauco , la quale il deificò.
Erba felice , che già in sorte avesti ,
Di vento in vece e^ di temprato sole,
Il raggio de' begli occhi accorti onesti,
£ r aura di dolcissime parole ^
E sotto amico ciel lieta crescesti;
E, quaLor più la terra arsa si duole,
Pronta a scemar il fero ardor vedesti
La bella man che Palme accender suole:
Ben sei tu dono avventuroso e grato.
Onde addolcisca il molto amaro, e sa»o
U digiuno amoroso in parte io renda.
Già novo Glàuco in ampio mar mi spazio
D' immensa gioia • e 'n più tranquillo stato
Qua« aù pa? eh' inuooik fornTio ^lenda.
176 RIME AMOROSE
SONETTO LXXIII.
JptMdo tmuto innttnsU alU sua donna h ^Moehiof <ic-
eenna U amorose firiie ch'egli inianW ricmftUe daUtt
hHtà di Ui.
M seirigi cPAmor ministro eletto
Lucido specchio anzi *i mio Sol reggia,
£ speccmo intanto alle mie luci io fisa
D'altro più chiato e più gradito oggetto.
Elia al candido viso ed al bel petto ,
Vaga di sua beltà ^ gli occhi yolgeaj
E le dolci arme, or che di morte è rea,
D^ affinar contra me prendea diletto^
Poi, come terse fiammeggiar le vide,
é Ver me girolle , e dal seroìo ciglio
Al cor volò più d^un pungente strale.
Ma non previdi allor tanto perìglio.
Or se madonna a^ suoi ministri è tale,
Quai fian le piaghe onde i rubelli ancide?
SONETTO LXXIV.
La sua donna , mirandosi nello specchiò , riconosce ia
propria beltà ^ e crede ad esso quello che non ai^ea
ereduio alle parole del poeta.
Chiaro cristallo alla mia donna of&rsi,
Sicch'ella vide la sua bella imago,
Qual di formarla il mio pensiero è vago,
E qual procuro di rìtrarla in versi.
Ella oa tanti pregi e sì diversi
Non volse il guardo di Cai vi^ta pago.
Gli occhi mirando, e 1 molle avorio e vago,
E Poro de^ bei crin lucidi e tersi.
E parea fra sé dir : Ben veggio aperta
L'alta mia gloria, e di che dolci sguardi
Questa rara bellezza accenda il foco. -^
Così , benché U credesse in prima un gioco ,
Mirando Farmi ondMo fuggii sì tardi ^
Delle piaghe det cor si fe^ più certa.
RIME AMOROSE 177
SONETTO LXXV.
Hit pia etaro vn nastro ^ onde la sua donna ùvea cinu
Is chiome^ che ^l' laccio della ùitaf e tiensi pia filice
di Manlio Torquato.
N(m ho A caro il laccio end* al consorte
Della vita mortai Falma s* avvinse ^
Come <]uel ch'or me lega^ e voi. già strìnse ,
Già vago e dolce , or duro nodo e forte.
Né mid famoso y ch'ai figliuol die morte,
Dei barbaro monile il collo cinse
Lieto cosi quando il nemico estinse,
Compio di quel che v'ha le chiome attorte.
Il cede, Amor, Natura} e non si sdegna
Ch'ella ordisca fral nodo, e 1 tuo non rompa
Morte, e coli' alma in ciel si privilegi.
E se gli altrui sepolcri illustre pompa
Orna di vincitrice altera insegna,
Per la servii catena il mio si pregi.
SONETTO LXXVI. '
(fffrt in poto ad jt more il nastro rtmito alla sua donna ,
e dice perchè un tal voto gli debba eiser caro.
Amor, se fila giammai che dolce io tocchi
n terso avorio della bianca mano,
E 1 lampeggiar del riso umile e piano
Yeggia da presso e 1 folgorar degli occhi;
E notar possa come quindi scocchi
Lo strai tuo dolce, e mai non parta invano,
E come al cor dal bel sembiante umano
D'amorose dolcezze un nembo fiocchi ;
Fia tuo questo lacciuol eh' annodo al braccio
Non pur, ma vie più stretto il cor n'involgo.
Caro furto ond' il crin madonna avvolse.
Gradisci il voto j che più forte laccio
Da man più dotta ordito altri non tolse:
Né perche a te lo doni, indi mi sciolgo,
Tasto, FoL ir, la
178 RIME AMOIIOSE
SONETTO LXXVII.
ihntmnào eolia gua Ay si duole che cesti il baUo^ onde gli è
Volto di continuar a stringere nuda la mano di lei.
Questa ò pur quella che percote e fiede
Con dolce colpo che n ancide e piace,
Man ne^ furti d^Amor dotta e rapace,
E fa del nostro cor soavi prede.
Del legmadretto guanto ornai si vede
Ignuda e bella; e, se non è fallace,
S offre inerme alla mìa, quasi di pace
Pegno gentile ^ di secura fede.
L«isso{ ma tosto par ch^ella si penta
Meli tt^ io la stringo, e si sottrag^ e scioglie
Al 6n. dell^ armonia eh' i passi allenta.
Deh ! come altera V odorate sp<^lie
Riveste y e la mia par che vi consenta!
Oh fugaci diletti ! oh certe doglie !
SONETTO LXXVUI.
f^uole amare la sua donna ed esserle , fedele a dispetto
delle' contrarietà della Jòrluna»
Perchè Fortuna ria spieghi le vele
NelFEgéo tempestoso o nel Tirreno,
E mi dimostri il mar di seno in seno,
Non mi farà men vostro o raen fedele ;
Né perchè, voi facendo a me crudele,
Sterzi il destriero e gli rallenti il freno,
E mi porti fra TAlpe ò lungo il Reno,
O 'n bosco o 'n valle mi nasconda e cele,
An'^i in donna gentil bella pietatè
Stimo un tormento a lato al dolce sdegno
Degli occhi vostri che di foco armate.
Luci divine, onde perir sostegno,
Quand^ io tomo a morir non mi scacciale ,
Perchè alla morte ed alla gloria i^ veglio.
RIME AMOROSE .179
SONETTO LXXIX.
Lungi dtUla sua /). è imoossibiU eh' e* trotti conforto ,
sendogU pia caro un dolce sdegno di lei o un M dis*
prezzo , che le grastìe delV altrem
Se mi trasporta a forza ovUo non voglio
Mia fortuna che fa cavalli e navi y
Che farò da voi lunge, occhi soavi,
Benché talor vi turbi ira ed orgoglio?
Vedrò cosa giammai che '1 mio cordoglio
E tante pene mie faccia men gravi?
O starò solo ove s^ inondi e lavi
Verde colle , ermo lido e duro scoglio ?
Tu, pensier fido, e tu, sogno fallace,
Fronte mi formerai tanto serena ,
O 'n lieto riso à amorosa pace,
O Ninfa, o Dea sovra T incolta arena, '
Se non vai ciò chMn altre alletta o piace
Dolce un suo sdegno, o un bel disprezzo a pena?
SONETTO LXXX.
La sua donna ^Jàeendosi U ballo del torchio ^ V estinse ^ e cosi
fi? cessar la dan%a con dolore di molti amanti
Mentre ne* cari balli in loco adomo /
Si traean le notturne e placide ore,
Fiamma, che nel suo foco accese Amore,
lieto n^'aprìva a mezza notte il giorno;
E da candide man vibrata intorno
Spargea faville di si puro ardore.
Che pareva apportar gioja ed onore
A* pochi eletti , agli altri invidia e scorno :
Quando a te data fu, man cruda e bella,
E da te presa e spenta ; e ciechi e mesti
Restar ^ilf occhi allo sparir d^un lume.
Ahi! come allor cangiasti arte e costume!
Tu eh' aqcender so^éi T aurea facclla ,
Tu m^ìistra d^Amor, tu F estinguesti.
i8o ' RIME AMOROSE
^ SONETTO LXXXI.
M una t^eechia^ la quale y importunamente kicenziandosi ^
interruppe un giocondo trattenimento»
O nemica d^Amor^ che si ti rendi
Schiva di quel ch^ altrui dà pace e vita^
E dolce schiera a' dolci giuochi unita
Dispregi} e parti, e lui turbi ed offendi;
Se delP altrui bellezza invidia prendi;
Mentre i tuoi danni a rimembrar f invita ^
Ch^ non t^ ascondi omai sola e romita ^
E hi umil cameretta i giorni spendi?
Che non conviensi già tra le felici
Squadre d^Àmor^ e tra U diletto e 1 gioco ,
In donna antica immagine di morie.
Deh! fuggi il sole, e cerca in chiuso loco,
Come notturno augel, gli orrori amicn;
Né qui timor la tua sembianza apporte.
SONETTO LXXXII.
Dialogo fha^l noeta e il suo cuore , a cui egU consiglia
di ritornare alla sua donna*
jy onde ne vieni , o cor timido e solo ,
Così tutto ferito e senza piume} —
Da que* begli occhi, il cui spietato lume
Le penne m'infiammò nell'alto volo. —
Tomia al' suo petto: or questo ingombra il duoloj
Né , scacciato da lei , raccor presume. —
Non posso j né volar ho per costume
Senza quell'ali ondMo mi spazio a volo. —
L' ale ti rifaranno i miei desiri ,
Anzi pur tuoi, che U tuo piacer le spiega. -^^
E s^avvien che non m'oda, o che s'adiri? -^
Batti alle porte, e chiama e piangi e prega. —
Già m'ergo, e mi son aure i miei sospiri j
E morrò, s ella è sorda o s'ella il niega%
RIME AMOROSE i8i
SONETTO LXXXIII.
éttsomigUa 41 suo pensiero ad Alflor^ il quale passa sotto il
mare per ficfngiugnersi con Aretttsa,
Come la Ninfa sua fugace e schiva^
Che si, converte in fonte, e pur s^ asconde ,
K innamorato Alféo per vie profonde
Segue, e trapassa occulto ad altra riva;
Ed irrigando pallidetta oliva,
Co^ bei doni sen va di fiori e fronde,
E non mesce le salse alle dolci onde ,
E, dal mar non sentito, in sen le arriva:
Cosi r anima mia, che si disface,
Cerca pur di madonna 3 e lode e canto
Le porta in dono ed amorosa pace.
Ma le dolcezze sue non turba intanto
Fra mille pene il mio petasier seguace, ,
Passando un mar di tempestoso pianto.
SONETTO LXXXIV.
Prrga Jmore ehe ferisca la sua D. non cosi Jkramaiìb cmfu
ferì lui, ma quanto pia possa dolcemente.
Se la saetta, Amor, ch'ai lato manco
MMmpiaga in guisa ch^io lanraisco a morte.
Fosse dolce così cornicila è forte,
Direi: Pungi, signor, il molle fianco ;
Che di pregare e di seguir mMia stanco
Mentre fugge costei per vie distorte:
Ma temo ( oimè ! ) che per malvagia sorte
Ella non pera or chMo son frale e manco.
Deh ! goda ( prego ) al dilettoso male ,
E tinta in soavissima dolcezza
Sia la ferita e quel dorato strale.
A me quanto è di grave e di mortale.
Dà mille gioje a lei, se pur disprezza
Gioir Talma gentil di piaga eguale.
< ^
/
i8a RIME AMOROSE
SONETTO LXXXV.
Benché nel eunr del perno, è acceso dalla beltà della Ma D. f
né per minacce lascerà d'aspiratT a latu'aluwza.
Quel d* etema beltà raggio lucente
Che V* infiora le guance e gli occhi alluma y
in questa nubilosa e fredda bruma
Scalda la mia gelata e pigra mente;
E sveglia al core un desiderio ardente ^
Onde, qual novo augel ch<3 Tale impiuma,
Volar vorrebbe , e , quasi leve piuma ,
Quinci il pensier, quindi il voler ci sente.
E volerìa dove le stelle e 1 sole
Vedria vicine, e co' soavi giri
Fra sé Fagguaglierìa degli ocelli vostri:
Ma perch'ella talor comete e mostri
D orribil foco e nembi in ciel rimiri,
Pur alto intende e si confida è vuole.
SONETTO LXXXVL
La sua D. pov^la pralungargli la vita , firmando co* suoi
occhi il Solef pur teme die, intrido della beltà di Ui,
^ non affretti anzi il suo corso.
Tu vedi, Amor, come trapassi e vole
Col di la vita , e 1 fin prescrìtto arrive ;
Né trovo scampo onde la morte io schive,
Se non s'arresta a' nostri preghi il Sole.
Ma , se pietosa mi riguarda , e vuole
Serbar madonna in me sue glorie vive,
I begli occhi , ond' al Ciel V ira prescrive ,
Drizzi vèr lui , pregando , e le parole :
Che, del suon vago e della vista, il corso
Fermerà Febo, ed allungando il giorno
Mi fia scemo il dolore, e spazio aggiunto.
Ma chi m'affida (oimé! ) ch'aifin, compunto
All'alto paragon d'invidia e scorno,
Ei non rallenti a' suoi destrieri il morso?
RIME AMOROSE iB3
SONETTO iXXXVIL
étti un amico che cercava distorlo da* suoi amori : dichiara
rhe sarà ognor fido alla sua D*, né potrà mai invaghirsi
d* altra.
Non sarà mai chMmpressa in me non reste
LUmmagih bella, b d^ altra il cor s^ informe 3
Me che là, dove ogni altro affettò dorme,
Nuovo spirto d^ amor in lui si deste.
Né men sarà chSo volga gli occhi a queste
Di terrena beltà csfduche forme,
Per disviar i miei pensier dalPorme
D^ una bellezza angelica e celeste.
Dunque , perchè destar fiamme novelle
Cerchi dal falso e torbido splendore
Che 'n mille aspetti qui vago riluce?
Deh! sappi otoai che spente ha sue facclle
Per ciascun* altra , e strali ottusi Amaro,
E clìe sol nel mio Sole è vera luce.
SONETTO LXXXVIII.
Poiché, sebhen lontano e ad onta di tante pencf arde
* ancora guai pria senta adempiere niuno d!e suoi desi*
derjy cerca confòrto ndV ohlìo.
Dopo cosi spietato e lungo scempio,
È tante sparse lagrime e lamenti.
Io non estinguo le mie fiamme ardenti ,
Né parte ancor de* miei desiri adempio.
E, 8* intoppo non fusse ingiusto ed empio, '
Al fonte di pietate avrei già spenti
GP intemi ardori^ e pur ne^ mìei toraienli
Nuovo Tantalo fui con fero esempio:
Perché, fuggendo, non scemò favilla
Della febbre amorosa in tanta sete,
Anzi al cor ne sentì più calde faci.
E dritto é beiv ch^ io fugga onde fugaci ,
E cerchi dove sparga umor di Lete
Omai più dolce fonte e più tranquilla.
V
i84 RIME AMOROSE
SONETTO LXXXIX.
Si penU d^ essersi vantato di poter vivere lungi delia stta D,%
€ prega Amore non cessi dT arderlo e trafiggalo.
Era aspro e duro^ e sofferìr si lunge
Da me begli ocelli e dal sereno ciglio
r im die* vanto un grave e. duro esiglio.
Scevro d^Amor die ralme insieme aggiunge.
Or ch^ei mi sfida, e qual più a dentro punge
Saetta vibra, e, quasi fero artiglio,
Per farmi il fianco infermo e U sen vermiglio |
La mano adopra che risana ed unge )
Pentomi de* miei detti, e folle il vanto
E '1 mio fermo sperar toma fallace,
Né superilo mi fa la penna o 1 canto.
Ardimi, signor mio, con viva face,
E trafiggimi il cor senza mio pianto j
Perchè merto è il martire oVei ai tace.
SONETTO Xd.
Jhtbita di riuscire afitrmar Vimagine della sua Dkj e^
alludendo tUla /avola di Prometeo ^ teme di farsi in*
sieme artefice e punitor di sé stessOé
Per figurar Madonna al senso intemo ^
Dove torrm, pensier, F ombre e i colori?
G)me dipingerai candidi fiorì,
O rose sparse in bianca falda il verno }-
Potrai volar su nel sereno eterno ,
Ed al più bel di tanti almi splendori
Involar pura luce e puri ardori,
La vendetta del Cielo avendo a scherno?
Qual Prometeo, darai Talma e la voce
AlFidol nostro e quasi umano ingegno ^
E tu insieme sarai Taugel feroce
Che pasce il core e ne fa strazio indegno,
Vago di quel che più diletta e nuoce?
O t'assicura Amor di tanto sdegno?
BIME AMOROSE v i85
SONETTO ZCf.
Tenui alzarsi alla eonUmptoMiom deìU cast celesti s 0Ui poi
la beltà della sua D, l'attira a pascersi in iei sola,
L*alma; vaga ài luce e di bellezza,
Ardite spiega al ciel Pale amoroae;
Ma sì le fa p umanità gravose ,
Che le decbina a quel ch'in terra apprezza:
E, de' piaceri alla dolce esca avvezza ,
Ove in sereno volto Amor la pose
Tra bianche perle e mattutine rose
Par che non ti:òvi altra maggior dolcezza}
£ fa quasi augellin ch'in alto sterga,
E poi discenda alfin ov' altri il cibi ,
E quasi volontario s'imprigioni;
E, fra tanti del Gel graditi doni,
Si gran diletto par che in voi delibi,
Gh' in voi solò si pasce e solo alberga.
SONETTO xai.
Dice air alma che^ sendo immersa nella eoa D. • non sa
cowCei virai però la richiama a aè$ stimando dolce
ogni pena amorosa.
Anima errante, a quel sereno intomo
Tu lieta spazii, e 'n que' soavi giri:
Io non so come viva e come spiri.
Aspettando dolente il tuo ritomo.
Frattanto senza sole e negro il giomo.
Senza stelle la notte avvien eh' io miri )
E son più deli' arene i miei desiri ,
E solo no doglia dentro e doglia intomo«
Alma, deh rìedi! e col tuo dolce lume
Riscalda questo freddo e grave incarco. —
Tomiamo, e so ch'aspetta Amore al varca ---'
Dolca sarà morir di strale e d^ arco ;
Dolce stillar il gelo in caldo fiume;
Dolce a quel foco incenerir le piume.
V •
i86 RIME AMOROSE
9 SONETTO xeni.
Per due crini ai^voUi nell'oro donatigU dalla sua donna
in premio deW amor suo.
Amando, ardendo, alla mia donna T cliiesi
Premio alla fede e refrigerio al foco
Per cui piansi e cantai; or, fatto roco,
Temo non «eno i miei lamenti inlesi.
Ella duo crini, ove i suoi lacci ba tesi
E dove intrica Amor quasi per gioco,
Mi die nelToro avvolti: e, in picciol loco
Grand' incendio nascoso, io più m^ accesi.
Facea il riso più bello il suo rossore,
E '1 suo rossore il riso ; e ^n dolci modi
Era stretto il mio cor d^ ardenti nodi.
Io dissi: Sotto Tauro è vivo ardore;
Ma, se non posso amar s^ei non m^nfiamma^
Purcliè viva ramor, viva la fiamma.
SONETTO XCIV.
Dice come^Jra sue sventure^ Amor trovò modo a ferirlo ^
ma eh* tr sì tien celata la piaga , cK altri mal giudica
la cagion di sue pene.
Fra mille strali, onde Fortuna impiaga
Il mio cor sì che per ferita nova
Spazio non resta , oimè 1 loco ritrova
Cara d'Amor saetta e cara piaga.
Né Palma ancor delia salute è vaga;
Clìè, sebben ella di sanar fa prova
' Ogn^ altro colpo, or d'inasprir le giova
Quella dolce percossa , e se n^ appaga :
Ma A cliiusa e secreta in sé la serba,
Ch'Amore stesso ancor non se n'accorge,
Né fra ben mille colpi il suo discerne.
Lasso ! e Fortuna che le pene interne
Non vede, e sol di pianto i rivi scorge,
Sua stima T opra , e sen va più superba.
i RIME AMOROSE 1B7
SONETTO XCV.
Per ttÌkgor$a spiega la sua tema d' approfitiar delV op*
porUuiità d^ amare} pur ^ se dee Jorio ^ almen desia pé* -
rir frt^ diletti.
Ben veggio avvìnta al Mo ornata nave,
' £ '1 nocchier che m^ alletta , e 1 mar che giace
jBenz^onda; e 1 freddo borea ed austro tace,
E sol dolce r increspa aura soave.
Ila V aria e 1 vento e 1 mar fede non ave ;
Altri, seguendo il lusingar feUace,
Per notturno seren già sciolse audace,
dimora è sommerso, o va perduto e pavé.
Veggio, trofei del mar, rotte le vele ,
Tronche le sarte, e biancheggiar F arene
D^ossa insepolte, e ^ntonio errar gli spirti.
Pur, se convien che quest'Egeo crudele
Per donna io solchi, ahoen fra le Sirene
L Trovi la morte, e n<ai fra scogli e sirtì.
\
SONETTO XCVI.
Duolsi che la sua D. finga di noi credere innamorato f
ma, ad ontfi 4P ogni pericolo j taiol sforzarsi d^ ottener
il suo fine»
Quanto più nell' amarvi io son costante,
E od mostrar negli occhi aperto il core.
Tanto' nel finger voi che '1 puro ardore
ffon veggiate negli occhi e nel sembiante.
Che farò dunque? andrò pur anco avante?
E 'n questo mar del mio nemico Amore
La nave crederò del mìo dolore
- Ad euro avverso disperato amante?
O sembrerò nocchier che poggia ed orza
Nell^onde d'Adria alterna o nel Tirreno,
Mutando il corso ov'è soverchia forza?
Ma, per turbato cielo e per sereno.
Prender con ogni vento alfin si sforza
Sole^ uà tranqmllo porto y un dolce seno.
' •
\
188 RIME AMOROSE
SONETTO XC^IL ^
Dice che U sua D. è pia beUat che crudele § onde egli ha
cagìon di sperare f perchè le belle sogUon esser pietose,
O più crudd d'ogni altra, e pur men cruda
Agli occhi miei^ che bella, e men gu'errerai
FostU) quanto sei bella, acerba e fera.
Perchè questi occhi lagrìtnando i' chiuda.
Ma quando io veggio la 'man bianca ignuda |
E la sembianza umilemente altera,
Dico air anima vaga: Ardisci, e spera}
Ch'esser non può ch'ogni mio prego escluda.
Pero , se crudeltà cotanto perde
Dalla bellezza in lei, sarà pur anco
Vinta 'daUa pietà che V è nascosa.
Cosi l'amor, pensando, in me rinverde,
Or sazio no, ma d'aspettar già stanco
Cb'o;nai vi^^ccia la beltà pietosa.
SONETTO XCVIII.
spera vendetta dal tempo contrà la sua D»f sicch'ella^
/atta pecchia , si pentirà d' averlo sprtM%ato | e bramerà
d* esser celebrata da luL
Vedrò dagli anni , in mia vendetta , ancora
Far di- queste bellezze alte rapine ;
Vedrò starsi negletto e bianco il crine
Che la natura e l'arte increspa e doraj
E sulle rose, ond'ella il viso infiora,
Spargere, il verno poi nevi e pruine :
Cosil fasto e l'orgoglio avrà pur fine
Di costei ch'odia più chi più l'onora.
Sol penitenza allor di sua bellezza
Le rimarrà , vedendo ogni idma sciolta
DegU aspri nodi suoi ch'ordia per gioco.
E se pur tanto or mi disdegna e sprezza,
Poi bramerà nelle mie rime accolta
Rinnovellarsi qual fimice in foco.
KIME AMOROSE 189
SONETTO XCIX.
Assicura la sua D, che, allor pure cVella sarà vecchia f
¥90n cesserà diramarla t celebrarla.
Quando avran queste luci e queste cliiome
Perduto Foro e le faville ardenti; v
E Parme de' begli occhi, or si pungenti,
Saran dal tempo rintuzzate e dome\;
Fresche vedrai le piaghe mie, né, come
In te le fiamme, in me gli ardori spenti;
E, rinnovando gli amorosi accenti.
Alzerò questa voce al tuo bel nome :
E, in guisa di pittor che il vizio emende
Del tempo , mostrerò negli alti carmi
Le tue bellezze in nulla parte offese.
Fia noto aUor eh* allo spuntar dell' armi
Piaga non sana, e Fesca un foco apprende
Che vive quando spento è chi F accese.
SONETTO C.
Fano vecchio f amerà tuttavia la sua donna ^ ed ansi arderà
vie pia per Ui, e la celebrerà pia altamenu che moL
Quando vedrò nel verno il crine sparso,
Aver di neve e di pruina algente,,
£ '1 seren del mio giorno, or si lucente,
G)l fior degli anni miei fuggito e sparso;'
Al tuo bel nome io non sarò più scarso
Delle mie lodi o dell'affetto ardente.
Né fian dal gelo intepidite o spente
- Quelle fiamme amorose ond'io son arso,
Ma,/s^or rassembro augel palustre e roco,
Cigno parrò , .lungo il tuo nobil fiume ,
Ch' abbia F ore di morte omai vicine j
E , quasi fiamma che vigore e lume
NelF estremo riprenda , innanzi al fine
Bisplenderà più diiaro il vivo foca
igo RIME AMOROSE
SONETTO CI.
Smromt (pà eiesu d'amar la sua donna f cosi le f^iura tthe
la sua costanui non sarà trénta da nessuna at'tfersità,
•
Benché Fortuna al desir mio rubella
Ognor si mostri y e dispietato Amore,
£ P altrui sdegno, Donna, e '1 mio dolore
Facciali turbata la mia vita e fella,
Non può sorte crudele o fera stella
Far men costante in adorarvi il core ,
Né pur men chiaro il mio soave ardore
Con pianto e con sospiri onda o procella ]
Né torcer mai dall'immortale obietto
L'anima innamorata, a cui Faflisse
Il suo piacer,' né la respinse oi^glio :
Perché vostra sarà, com' ella visse,
Sino alla morte; e per intenso aflètto
Volli una volta, e disvoler non voglio.
SONETTO GII.
/ capelli della sua D. vincono ogni maravigliai onde gli
sjnacc ch^ella soliamo li mostri verso la senu
Perch' altri cerchi, peregrino errante,
La bella Europa ove il di poggi o 'nchini ,
Meravig^a maggior de' biondi crini
Non vide ancora, o di si bel sembiante ;
Né là dove indurossi il vecchio Atlante,
O r Asia innalza i monti al ciel. vicini ,
Né fra' suoi lumi ancor, lumi divini.
Benché si mostri il Sol nel suo levante.
Ma se pur v^gio fiammeggiar tra loro
Due volte ilgiomo l'amorosa stella,
Perch' una voi sì tardi in terra onoro ?
E ben vincete e questa luce e quella 3
E, se mostraste al soie i capei d^oro,
Fareste vergognar V Alba novella.
' I
r
RIME AMOROSE 191
SONETTO CHI.
Vista la sua D, co' crini svarsi, P assomiglia atta Fortuna g
e dice che ^l girar dtr suoi occhi è la sua ruota.
Costei y che sulla fronte ha sparsa al vento
ferrante chioma d^ór, Fortuna parej
Anzi è vera Fortuna ; e può beare
E misero può far il più contenta
Dispensatrìce no d^oro o d* argento
0 di gemnie che mandi estraneo mare;
Ma tesori d^Àmor, cose più care^
Fura, dona, e ritoglie in un momento.
Cieca non giày ma solo a' miei martiri
Par che s^ infinga tale; e cieco uom rende
Con due luci serene e sfavillanti.
Chiedi miai sia la rota ove gli amanti
Travolve , e '1 corso lor ferma e sospende 7 . . .
La rota sua son de' begli occhi i gin.
SONETTO CIV.
Mentre rimira una fa/e, conosce ch^eUa à innamorata f
ma di cAi| non gU è riuscito sapcrio.
Io veggio, o parmi) quando in voi m'affiso,'
Un desio eoe v'accende ed innamora,
A quel vago pallòr che discolora
Le rose e i gigli de;l fiorito viso:
E, dove lampeggiava un dolce riso,
Languidi e rochi mormorar talora
Odo i fidi messaggi^ e Faria e Fora
Ch'aura appunto nu par di paradiso. .
E ben io, vago dì saper novella
De' secreti del core, il ver ne spio;
Ma questo solo par che si riveli:
«Quel che ci muove è gìovenil desio.» ' !
Pur qua! bellezza invogli alma sì bella,
Solo elk il sa die vuoi cb'altiui si celi.
/.
igue^ o pur vaghe Sirene,
rór, di perle e (f ostri ,
193 RIME AMOROSE
SONETTO CV.
AvMmfe ia «Ma D. per Comacchio , intuita U Tfinfe a
onorarla co* ìor doni, benché già fictt' i dom deUa
natura pajano in lei raccolti^
Cercate i fonti e le secreto vene
Deir ampia terra ^ o Ninfe , e ciò ch'asconda
Di pre^oso il mar ch'intorno inonda
I sabi lidi e le minute arene:
E portatelo a lei che tal sen viene
Nella voce e nel volto affalta sponda,
Qual vi parve la Dea che di feconda
Spuma già nac<
Ma di coralli e d^
Qual don sarà, che, per id schivò gusto ,
Paga di sé medesma, ella non sdegni,
Se non han pregio i vostri antichi regni,
0 straniero o natio, eh 'n spazio angusto
Ella molto più hello in so noi mostri!
SONETTO evi.
Fingi che la' sua />•, sendo ritenuta in Comacchio , sia rapita
dagli Dei del mareg ond* esorta il Po « ricuperarla.
Re degli altri, superbo, altero fiuiùe,
Che, qualor esci del tuo regno e vaghi,
Atterri ciò eh' opporsi a te presume,
£ r ime valli e T alte piagge allaghi ;
Vedi gli Dei marini eU lor costume,
Gli Dei , di nobil preda ògnor più vaghi ,
Rapir costei ch'era^ua gloria e lume.
Quasi il tiibuto usato or non gli appaghi.
Omai solleva incontra il mar tiranno
1 tuoi seguaci; e, pria ch^ad altro aspiri,
Racquista il Sol che qui s'annida e nacque.
Osa pur; che mUle occhi omai ti danno
Mille fiumi in soccorso, e i lor sospiri
Gli potranno infiammar le rive e Tacque.
I
I
RIME AMOROSE 193
SONETTO CVII.
Dimoràndo la sua D. in Venezia, daaU affetti la patagondt
ed ori» P antepone as Sole,
I freddi e muti pesci usati ornai
D^ arder qui sono e di parlar d'amore 3
E tu y che 4 vento e V onde acqueti , or sai
0>me rara bellezza accenda il corej
Poi chMn voi lièti spiega i dolci rai
Il Sol jche fu di queste sponde onore ^ ^
n chiaro Sol, cui più devete assai ,
Ch'ali' altro uscito del sen vostro fuore:
C3iè quegli, ingrato ^ a cui non ben sovviene
Com' è da voi nudrito' e come accolto ,
V invola il meglio, e lascia'! salso e'I greve ^
Ma questi colle luci alme e serene
V affina e purga, e rende il dolce e 1 leve.
Ed assai più vi dà, che non v'è tolto.
SONETTO CVIIL
Introduce U maref come òwaghùo della sua iX^ a regakuia e dirle
cVe* la segue in vece detta luna {cagion del flusso e riflusso^
Sceglieva il Mar perle, rubini ed oro, /
Che quasi care spoglie e ricche prede
Di tante sue vittorie ancor possiede,
^ del suo proprio e suo maggior tesoro,
Per donarlo a costei, che Giove in toro
Cangiar farebbe per baciarle il piede;
E, mentre bagna più l'arena o cede,
Parea dir, mormorando, in suon canoro:
O Ninfa, o Dea, non dall'oscuro fondo
Uscita, ma dal ciel, che mia fortuna
Placida rendi allor che tutta imbruna.
Te seguo in vece dì mia vaga luna:
Deh! non fuggir se pur m'avanzo e inondo.
Che lascio i doni, e tomo al mio profondo.
TAtto, Fol ir. i3
ig4 l^IME AMOROSE
SONETTO CIX.
ChktU €¥• neno U pe9catnci$ p<À finf^e veder Ira t$f Is tmm D.
a ttrtw la rete.
Palustri valli ^ ed arenosi lidi.
Aure serene, acque tranquille e quete,
Marini armenti, e voi, che fatti avete
A verno più soave i cari nidi j
Elei frondose, amici porti e fidi.
Chi tra le pescatrìci accorte e liete
Dove hanno tesa con Amor la rete
Sarà clì^ i passi erranti or drizzi e guidi ? . . .
Veggio la Donna, anzi la vita mia,
^ £ U fune avvolto alla sua bianca mano
Che trar Palme co' pesci ancor pptiiaj
E *1 dolce riso lampeggiar lontano,
Mentre il candido pie lavar desia,
E bagna il mar ceruleo lembo invano.
SONETTO ex.
Oanoice gP inganni delia sua />., ma non può echiiHxrUi
si io acdeea amore.
M'apre talor Madonna il ^uo celeste
Riso fra perle e bei rubini ardenti,
E, F orecchie inchinando a' miei lamenti.
Di vago affetto il ciglio adoma e veste ;
Ma non avvien però ch'in lei si deste
Alcun breve dolor de' miei tormenti,
Anzi la cetra e i miei non rozzi accenti
E me disprezza, e le mie voglie oneste;
Me pietà vera ne' begli occhi accoglie,
Ma crudeltà ch'in tal forma si mostri.
Perchè l'alma ingannata arda e coi^sumi«
Specchi del cor fallaci, infidi lumi,
Ben conosciamo in voi gl'inganni vostri 3
Ma che prò? se schivarU Amor ci toglie.
RIME AMOROSE igS
SONETTO CXI.
gii effètti del ctmtempìar la eua D.^pt? quali V anima
si purga tP ogni ini pensiero.
Chi serrar pensa a^ pensier vili il core.
Apra in voi gli occhia e i doni, in nuUe sparsi.
Uniti in voi contempli; e 'n lui crearsi
Sentirà nuove brame e nuovo amore.
Ma, se passar nel seno estremo ardore
Sente dagli occhi di pietà si scarsi,
Non s* arretri o difenda, ove in ritrarsi
Non è salute , o 'n far difesa onore.
Ansi, siccome già vergini sacre
Nobil fiamma nudrir, aggiunga ei sempre
L* esca soave al suo vivace foco :
Che dolcezze soffrendo amare ed acre,
E, quasi Alcide, ardendo a poco a poco.
Cangerà le sue prime umane tempre.
SONETTO CHI.
Sji/iega perchè mandi in regalo alla sua D. Ù Htratto
di lei stessa f anaichè U proprio.
Donai me stesso; e, se sprezzaste il dono.
Che donarvi più caro or vi potrei!
ÌjSl mia immagine no, ch^agli occhi miei
Tanto è molesta, quanto lunge io sono;
Talché quasi d^ amarmi io vi perdono.
Benché sian tutti amori i pensier miei:
Né, fuor eh* un hel sembiante, altro saprei
Donar , perché 1 gradiste ; e quel vi dono.
In voi finite almen vostri desiri.
Né li torca vaghezza ad altro obbietto
Ch^é men bello di voi dovunque io miri:
Sol geloso mi faccia il vostro aspetto;
Qìé, amando il piacer vostro e i miei martiri ,
Amerete il mio amore e 1 mio sospetto.
tffi RIME AMOROSE
SONETTO CXIII.
DtMcrwc aUcgoricanunie la proiperiià del suo oMorc
Passa la nave mia^ che porta il core.
Sotto un sereno ciel di stelle adomo
Per queto mare ; e sta ; la notte e U giorno
Spiando i venti, al suo governo Amore.
A ciascun remo un bel desio d^ onore
Non teme di fortuna oltraggio o scorno;
Empie la vela, e rasserena intomo
Aura di gioja,' e tempra il dolce ardore.
Nebbia non lenta mai eli feri sdegni
Le sarte, che di fede e di speranza
Ha di sua mano il mio signore attorto :
E scopro i duo lucenti amici segni;
E vive la ragione, e Parte avanza,
Talch'io già prenao il desiato porto,
SONETTO CXIV.
in wmrU tPim papoagdia, Mottra col paragone qmmÈoJòàm
pikfeUet la eoru di queUo, che la propria.
^ Quel prigioniero augel, clie dolci e scorte
Note apprendea dal tuo soave canto.
Morendo in sen ti giacaue, e dal tuo pianto
Bell^ onore ebbe poi. Felice morte!
Io cigno in mia prigion (né scomo apporte
S^ ardito è pur nella mia lingua il vanto)
Quel che mi detta Amore imparo e canto,
Ma con diversa e più dogliosa sorte:
MuojO sovente, e 1 modo è vie più fero.
Perchè al martir rinasco; e 'n si bel grembo
Non però trovo mai tomba o feretro 3
E i lumi cbMrrigàr con largo nembo
Un che passò dagFIndi a noi straniero,
Scarsi mi son, né stilla io pur o' impetra
RIME AMOROSE 197
SONETTO CXV.
CoUa eotàparasdone delta rondine dunoUra coflU da un amore
naecano in bd mSUe amori, e da un desiderio miOe denderf.
Tu parti, o rondinella , e poi ritorni
Pur «Tanno in anno, e fai la state il nidoj
E più tepido verno in altro lido
Cerchi sul Nilo, e 'n Menfi altri soggiorni.
Ma per algenti o per estivi giorni
Io sempre* nel mio petto Amore annido ,
Quasi egli a sdegno prenda in Pafo e hi Gnido
Gli altari e i temp| di sua madre adorni:
E qui si cova, e quasi augel s'impenna,
E_^ rotta molle scorza, uscendo fuori
Produce i vaghi e pargoletti Amori 3
E non li può contar lingua nS penna ,
Tanta è la turba: e tutti un cor sostiene.
Nido infelice d^ amorose pene.
SONETTO CXVI.
Dice ch*ei non cede gltnd negli effetti d'amore^ benché ceda
ndT apparente f e che pon sua gloria neW esser segr^io.
Io non cedo in amar. Donna gentile,
A chi mostra di fuor F intemo affetto.
Perchè '1 mia si nasconda in mezzo U petto ,
Né co^ fior s^apra del mio novo aprile.
Co^ vaghi sguardi e col sembiante umile,
Co^ detti sparsi in variando aspetto
Altri si veggia al vostro amor soggetto,
E co^ sospiri e con leggiadro stile;
E quando gela il cielo e quando infiamma ,
E quando parte il sole e quando rìede,
Vi segua, come il can selvaggia damma:
Gh^io se nel cor vi cerco, altri noi vede,
E sol mi vanto di nascosa fiamma,
E sol mi glorio di secreta fede.
ig8 RIME AMOROSE
SONETTO CXVIl.
S$ è /Emo cha la sua D. debba tener semprw oìoom le mani
né guanti f Mede da esse la morte»
La mafi^ ch^ avvolta in odorate spogEe
Spira più dolce odor che noa riceve ,
rana nuda arrossir F algente neve^
Mentre a lei di bianchezza il pregio toglie.
Ma starìi sempre ascosa? e le mie voglie
Lunghe non Sa ch'appaghi un guardo breve?
S' avara esser di sé sempre mi deve,
n mio nodo vital perchè non saoglie?
Bella e rigida man, se cosi parca
Sei di vera pietà y che '1 nome sdegni
Di mia liberatrice a si gran torto ,
Prendi F uffizio almen d'avara Parca;
Ma questo carme un bel sepolcro or segni:
« Vive la fede ove il mio corpo è morto. »
SONETTO CXVIIL
Ss la sua D. si aìoria iP esser ingnata, non le de bastar ch'ei
peni, ma or pure ucciderlo per averne pia gloria"
Bella guerriera mia ^ se '1 vostro orgoglio
E la vostra bellezza in voi son pari^
Né questi versi avete in pregio o carì^
Ma le mie pene , io men languir non voglio :
£ mi piace il. dolor quando io mi dòglio ,
£ dolcezza senfio d'affanni amari,
Occhi, di grazia e di pietate avari,
Nel farsi un molle petto un duro scoglio.
£ se Tesser ingrata é '1 vostro onore,
O se vi pare, i miei sospiri e' pianti
Non sian più fiorì ornai d'occulto amore ;
Ma deUa fede a' miei pensier costanti
Morte sia il frutto, e di passarmi il core
Una candida man si glorii e vanti
RIME AMOROSE tgg
SONÉTTO cxrx.
Avendo la stia D, mostraia per dispreiza una sua lettera p
dice chef se lo sdegno non eU consente di merar la gra*
zia di lei f già gusta in canSio la doleeziia della ifendeita. •
Quella secreta carta ^ ove riptemo
E chiuso affetto mio, ch'adorno in rime,
In poche note e 'n puro stil s' esprime ,
Voi dimostrando, mi prendeste a sciierno.
Nò solo con questi occhi omai discemo
Che mal gradite il mio cantar sublime^
Ma con essi veggio come e' si stime
Favola vile, e con mio sdegno eterno.
Or quanto di voi speri, Amor seNvede,
Mentre ei guarda e consente, e se n'infinge,
Che riveliate i miei pensier secreti.
Ma par che sdegno anco sperar mi vieti
Quel ch'io sperava, e dolce all'alma or finge
La vendetta vie più d'ogni mercede.
SONETTO CXX.
Avendo la sua Z>* negatagli la mano nel danzaref petisa
a vendicarsene f beneh?ella se ne*rida»
Mal gradite' mie rime invano spese
Per onorar donna leggiadra e bella.
Che, altrui fedele, a me spietata e fella
Nega la man che già m'avvinse e prese!
Aspre repulse I . . . Or fia che tante offese
Sostenga, e ceU or questa ingiuria^ or quella,
Né scuota il giogo ancor l'anima ancella,
E non estingua le sue fiamme accese ?
Dunque, s'amando i' parca già canoro,
Or disdegnando sarò muto e roco.
Né d' armarne oserò lo stile e i carmi?
Che queste ancor pungenti e fervide armi
Come quadrella son di lucido oro;
Ma la superba or se le prende a ^oco.
aoo RIME AMOROSE
SONETTO CXXI.
SdtgtkOo eontrm U tua D.f gpof vendkaràene rMtgmdm
0d akro pia degno oggetiùf e lei abbandonando aiVob»
bUo tm^é Vavea tratta.
i gran tempo, e del mio foco ind^[iio
Esca fa sol vana bellezza e frale;
E qual palustre augello il canto e Fale
Volsi di fango asperse ad umil segno.
Or, che può gelo d onorato sdegno
Spegner la face e quelTardor mortale,
Con altra fiamma ornai s^ innalza e sale
Sovra le stelle il mio non pigro ingegno.
Lasso! e conosco or ben che quanto io dissi
Fu voce d^uom cui ne' tormenti astringa
Giudice ingiusto a traviar dal vero.
Perfida , ancor nella tua fraude io spero
Che, dove pria giacesti, ella ti spinga
Megli oscuri d^obbUo profondi abissi.
SONETTO CXXn.
f'MCOfyc dA Mao inganno^ e pef uendeUa lucia cAc U mondo
giudichi la crudele dtf kXì menti projnj.
Non più crespo oro, o d^ ambra tersa e pura
Stimo le chiome che '1 mio laccio ordirò,
E^nel volto e nel seno altro non miro,
Ch' ombra della beltà che poco dura.
Fredda la fiamma è già 3 sua luce oscura.
Senza grazia degli occhi il vago giro ....
Deh! come i miei pensier tanto invagliiro?
Lasso ! e chi la ragione o sforza o fura 7
Fero inganno d^ Amor ! F inganno ornai ,
Tessendo in rime si leggiadri fregi
Alla crudel ch'indi, più bella apparve.
Ecco i' rìmovo le mentite larve:
Or nelle pròprie tue sembianze omai
Ti veggia il mondo, e ti contempli e pregi.
RIME AMOROSE . mi
SONETTO CXXIIL
FM amar di nuovo f fropond dofpia gìoriof JPamantB e tUpottaf
e spera che con ramare raàtui a mutar eoa eoru.
Mentre ad tuo giogo io mi sottrassi ^ Amore ^
E fui ribello al tuo eh* è giusto regnò ^
M^ebbe fortuna ingiuriosa a sdegno ,
Tronca la vìa di. bello e d* alto onore.
Tal chMo muto consiglio^ e dono il core,
Sacro la verde età^ sacro P ingegno
Alle saette. Ah! non ti spiaccia il segno,
Ghe non si volge al trapassar dell' ore ;
Né trovar lo potrai da Battro a Tile
Più costante a^ tuoi colpi, o dolci, o infiesti:
E tu gbria n^ avrai, signor gentile)
Io pregio e fama, e di men foschi e mesti:
E teco muterà suo duro stile
Sorte nemica a^ miei desiri onestL
SONETTO CXXIV.
Q0^orta h Sdento ad arrenderti ad Amare^ eioèf conoice PaUa
Ulta delia eua D.f e vede che gli è tPuopo urnSUarti
Sdegno, debil guerrier, campione audace.
Tu me sotto arme rintuzzate e frali
G)nduci in campo ov*è d* orati strali
Armato Amore e di celeste face.
Già si spezza il tuo ferro, e già si sface '
Qual vetro p gelo al ventilar dell'ali:
Che fia, s'attendi il foco e le mortali
Percosse? ah, troppo incauto! ah, chiedi pace!
Grido io mercè, stendo la man che langue,
Ghino il ginocchio, e porgo inerme il seno:
Se pugna ei vuol, pugni per me petade.
Ella palma n'acquisti, o morte almeno;
Che, se stilla di pianto al sen le cade,
Fia vittoria il morir, trionfo il sangue.
aos RIME AMOROSE
SONETTO CXXV.
Dieé tPeueni tùttratto dal fpomo df Amore $ pur teme anoor« $
pia cA« la erudtUà^ le iuinghe tieila «m donna.
Mentre toggetto al tuo spietato regno.
Vissi ove rìoondurmi^ Amor, contendi^
Via più delle procelle e degP incendi
Temea pur P ombra d^un tuo leve silegno.
Or che, ritratto il cor dal giogo indegno ,
L^arme ardenti dellMra invan riprendi ,
E 'nvan tanti vèr me fólgori spendi,
Né di mille tuoi colpi un fere il segno,
Vibra pur Tarme tuej faccia l'estremo
D'ogni tua possa orgoglio ed onestate:
Nulla curo io se tuoni o pur saetti.
G)si mai d'amor lampo o di pietate
Non yeggia Ay che speme il core alletti}
Che mansueta lei, non fera io temo.
SONETTO CXXVI.
È pia che mai innamoratoi maei ne teme te eomeguensef
che vorria non ee n*aeeoi^euà la eua donna^
Quanto in me di feroce e di severo
Fece natura , io tutto in un raccoglio ;
E, per mostrarmi in volto aspro e guerriero
Ed armarne i sembianti, il cor ne spoglio.
Tal per selra n'andò, qusd io gir soglio,
Cervo con fronte minacciosa altero ;
E non asconde in sé forza ed orgoglio.
Ma del veltro paventa e dell' arciero.
E ben temo io chi morde e chi saetta ^
E quanto ella il timor ch'ascondo in seno
Tarda a scoprir, tanto a morire io tardo.
Cela , Amor , ,la paura ; a te soggetta
Sia l'alma pur: ma non vietar ch'almeno,
Se chiede il cor mercé, la nieghi il guardo.
RIME AMOROSE laS
SONETTO CXXVII.
DuoUi {Pauert tcriuo centra la sua donnat « Jt dUdice»
Ahi! quale angue infernale , in questo seno
Serpendo^ tanto in lui veneno accolse?
E clii formò le voci^ e chi discìolse
Alla mia folle ardita fingua il freno ^
Si che turbò madonna | e '1 bel sereno
Della sua luce in atra nebbia involse?
Quel ferro cb' Efialte al ciel rivolse,
Vìnse il mio stile, o pareggiollo almeno.
Or qual arena sì deserta, o folto
Bosco sarà tra Palpi, ov'io mMnvole
Dalla mia vista solitario e vago?
O come ardisco or di mirare il sole,
Se le bellezze sue sprezzai nel volto
Della mia donna, quasi in propria imago?
SONETTO CXXVIII.
Qui farla della conanaa della ma D.p assegnando tutta
PmcostanMa ad J/nore^ come a sua cagione^ che fv»-
costanza non è neW obietto f ma negli affètti del poeta.
Queste or cortesi ed amorose lodi
Della mia donna, or duri aspri lamenti.
Mie voci no, ma son d^ Amore accenti^
Dunque incolpane Amore, o tu che Todi.
Amor, che molti gira in varj modi
Alla vita serena avversi venti.
Tra gli occhi mìei bramosi e i suoi lucenti
Mesce bfame e temenze e sdegni ed odi.
Per questi che '1 mio cor né* suoi sospiri
Sparge quasi vapor* con Sol turbato ,
Veggio nell* aria del bel viso oscura :
E chiamo ìnstabil lei, cangiandMo stato,
E la chiamo vèr me spietata e dura
Ove molle e pietosa altrui rimiri.
m4 RIBfE AMOROSE
SONETTO CXXIX.
Iket du al caldo deOa sua />• pormo ester mM refrigerf
per natura o per arie$ Ma fieifuno al tuo.
Per temprarne al bel seno^ al chiaro viso 9
Donna bella e gentile ^ estivo ardore ,
Spargan le penne di più bel candore
I cigni di Meandro e di Cefiso;
E chi i cento occhi dd custode anciso
Dipinti ha nelle sue d'altro colore;
E Pale proprie si dispogU Amore ^
E si resti con voi nelr ombre assiso.
E se non basta ciò, Zefiro, intomo
Spargendo gigli e rose, in voi respiri,
E!d ondeggiar vi fisicda il Crine adomo.
Ma chi tempra quel foco e que' martiri
Onde m'ardete voi la notte e H giorno.
Se tutte fiamme sono i miei sospiri?
SONETTO CXXX.
Cettando P amore, mancò in hd P estro poetico: ed assomiglia
Amore al musicop e sé stesso atta cetrsu
Allor che né* miei spirti intepidissi
Quel eh' accendeste voi soave foco,
Pigro divenni augel di valle e roco ,
E vile e grave a me medesmo io vissi.
Nulla poscia d'Amor cantai né scrìssi:
E, s' alcun detto i' ne formai da gioco,
N' ebbi soomo talvolta ; e basso e fioco
Garrir, non chiaro e nobil carme udissi.
Coma cetra son io discorde , o come
Lira cui dotta mano o rozza tocchi,
E dia noja o diletto in vario suono.
E dolce il canto è sol nel vostro nome;.
E, poetando sol di si begli occhi,
Mi detta Amor quant' io di lui ragiono.
, RIME AMOROSE - ao5
, Inetto cxxxi.
Ducrwe ia vittoria detto sdegnof nuràstro tkUa ragione,
$opra la umuaUtiu
S'arma lo sdegno, e 'n lunga schiera e folta
Pensier^ di gloria e di virtù raccoglie,
Mentre ei per la ragion, la spada toglie
Ch^è in lucide arme di diamante involta.
Ecco la turba , già importuna e stolta ,
Sparsa cader delle mscordi voglie,
E de' miei sensi e di nemiche spoglie
Leggiadra pompa, anzi il trionfo, accolta.
Bellezza ad arte incolta , atti soavi ,
Finta pietà, sdegno tenace e duro,
E querele e lusinghe in dolci accenti.
Ed accoglienze liete e meste e gravi.
Della nemica mia V arme già furo ,
Or spn trofei di que^ guerrieri ardenti. ^
SONETTO CXXXII.
Cotta MmUùidiae del finca e del finta tpitfa eom$
mucestero in lui molti e molti amoru
Voi, che pur numerate i nostri amorì,
E, per saldar la mia ragione antica.
Qua! mi fosse benigna e qual nemica ,
E le mie vecchie colpe e i nuovi errori;
Non ha tanti T aprile erbette e fiori.
Me questo lido e questa piaggia aprica .
Ha tante arene ove più i mar i unplica ,
Né tanti bella notte almi splendori.
Quante fur le mie pene in breve gioco,
E quante le mie fiamme; e '1 cor nudrille
Pur come fiici d'un medesmo foco;
E sparse un fonte sol le dolci stille.
Ma non spense ^' arsura o tempo o loco,
D'Amor nascendo Amorì a mille a miUe.
i
«o6 RIME AMOROSE
SONETTO CXXXIII.
Ikterù» partieoiarmmu U Itvarù ddla ma D^t màombraU^
Motto la parola aura.
Dove nessun teatro o loggia ingombra
La TÌ8la lieta del notturno cielo,
Vaura si mostra senza benda o velo ,
Siccome stella suol che nulla adombra.
Ma quando Falba poi la notte sgombra ,
£ sveglia t aura e me ch'avvampo e 1 celo,
E si sparge per Paria il dolce gelo,
E cantan gli augelletti insieme all^ ombra ]
Le sorge incontra in più serena fronte,
E desta Amor , che ne* bifolci inspira
Desio di canto più sonoro e vago:
E se talor si specchia in fiume o 'n fonte,
Il Sol nelFonde tremolar non mira
Sì bella mai la ripercossa imago.
SONETTO CXXXIV.
Gol parogon dd pmto spiega eouié f ornar ddla sua I>. rinomi
VI M $tesao§ ontPa lui hatUHa A saper (Pesstre riamaio.
Come vento eh* in sé respiri e tomi ,
L*atira voi sete; e, se da voi si move,
In voi raggira Amor, né cerca altrove
Più felici e più chiari, e ha soggiorni.
E '1 desio riede in voi co' Ueti giorni ,(
E P antico pensier coIT erbe nove;
E par ch'in voi rinverda, a voi rinnove
Tante bellezze, e solo a voi s'adorni.
E, mentre ei vola fuor di voi talora.
Tutto di fiamme e di saette armato.
Spargendo dolci spirti in suU' aurora.
Con un sospiro mi può far beato;
E basterà eh* io senta, anzi ch^io mora,
Queste brevi parole: Amante amato.
RIME AMOROSE aoy
SONETTO CXXXV.
Or dÌMotlra U ritorno dtWamore in tè stesso colta
simUitudiM del sole e deWeco.
Siccome toma onde fli parte il Sole,
Usci da' bei vostr' occhi un raggio altero,
Ed illustrò la mente e '1 mio pensi^ero,
E da' miei lum^ avvien eh' a voi nvole :
E; come indietro rimandarlo sòie
Ardente specchio ch'assomiglia il vero,
11 rendo a voi mentre languisco e pero,
E , in guisa d' eco , i detti e le parole.
Dura legge d'Amor! gli affetti miei
In VOI raccendo, e sete oggetto e meta
De' pensieri amorosi o dolci o rei.
Per me non foste voi pensosa o lieta :
Deh! si rivolga in me, quanto vorm, '
L'amor che 'n voi finisce e *n voi s'acqueta.
SONETTO CXXXVI.
Astomiffia la sua donna aWauraf e però conchktde che
brama riceverla àUnen di passaggio.
V aura che dolci spirti e dolci odori
Porte dall'Oriente ov^ella nacque.
Perchè tra verdi fronde e lucid' acque
E fresche erbette spiri e lieti fiori,
E rinnovi i suoi primi e vaghi errori
Lungo le rive onde m'accese e piacque.
Mai vèr me non si volse, e mai non giacque
In parte ove temprasse i nostri ardori:
E se non è chi la ritenga o coglia
Mentre ai turba il sole e fa sereno,
E mentre il bosco si riveste e spoglia,
Or qui si desti mormorando almeno
Tra vivi fonti e lauri, ov'io l'accoglia
Nel suo passar veloce, e l'apra il seno.
aoB RIME AMOROSE
SONETTO CXXXVIL
Stguendo a §^ur%ar su Paura oer Laura, pria duhUa con
che rete e dovepoua prenderla f poi i avvede ch*^ tenia
coea da uom ftmo e nimico di pace.
Di che Stame ordirò la vaga rete
Onde taura fugace^ Amore ^ annodi ,
Mentre fugge T insidie e spezza i nodi,
£ le sue fiamme accende e la mia sete?
D'alte querele forse , o di secreto?
Di soavi lusinghe e care frodi?
O di lagrima sparse in dolci modi ?
O di rime dolenti, o pur di liete?
Dove fia teso il laccio? ove dispiega
Le belle chiome al vento un lauro ombroso ,
O pur tra Ferbe di smeraldo ascoso?
Ahi nemico è di pace e di riposo
Chi tende a taura^ e chi la canta e pr^a,
E sé medesmo solo avvolge e lega.
SONETTO CXXXVin.
A Laura Pmrarap dedicandoU una raccolta di rime,
yorria pausar Pamor suo in essey le quaH chiama susy
non perch^ei le/àcessep ma perche le raccolse.
Laura, del vostro lauro in queste carte
Molti germi ve^Mo, molti cultori;
Ma più vago ei verdeggia in mezzo a* cori,
E coltivato v*è con più belParte.
E se potesse a* bei vostri occhi in parte,
Com* egli è dentro , dimostrarsi fuori ,
Mille rami vedreste, e mille Amori
Gir adunando le sue fronde sparte.
Tutti io non posso discoprirvi appieno,
ISfè pur quel sol che dentro Palina 'H tegno,
In cui A fisse ha V alte sue radici.
E U vorrei palesar ne' miei felici
Frutti, che non uscir di questo ingegno,
Ma sono miei, perchè gli scelsi almeno.
RIME AMOROSE aog
SONETTO GXXXIX.
Spiega che sia amorti quindi dimostra Perror suo ad un amico,
coii/òrtandolo a ricorrere alia ragione per uscir di pene.
Amor col raggio di behà s* accende^
Che si spàrge in colorì e 'n voce spiega ^
Ey s*or promette bella donna, or nega,
Vigor da speme e da timor ei prende.
Siede nel cor quasi in sua reggia , e splenda
Negli occhi, e là ci spinge ove ci piega
Natura^ e, s'uomo a lui fa voti, e 1 prega
Come suo Dio, soverchio onor gli rende.
Tu , se pur cerchi al viver tuo sostegno.
Prendilo da Ragion , che contra Amore , '
Quasi contra nemico, annata viene:
Ella corregga ogni tuo vano errore ,
£ s* armi seco un suo guerriero sdegno ,
Che 1 penoso tuo cor tragga di pene.
SONETTO CXL.
Brama d'esser converso in cane, dacché la tua D» più
stima la fé di queW animale , che la sua,
È vostra colpa , Donna , o mia sventura ,
Che nel fido animale a me soggetto
La fede amiate, e nel fedel mio petto
Gabbiate a sdegno, ov'è sì bella e pura?
Ed io rho per ragione, ei per natura } j
/ Pur egli v^ è si caro , io si negletto :
Egli, nutrito di pietoso affetto,
Di pascer le mie voglie alcun non cam* -
Ma s'alia fede mia cotanto nuoce
Quel suo lume immortale onde s'informa,
Bench'egli sia del Ciel sì pobil dono.
Deh ! potess' io di can prender la forma ,
E, lusingando omai con altra voce.
Chieder pietà , di cui sì degno io sono.
Tasso, P'ol. IV. i4
aiQ RIME AMOROSE .
SONETTO CXU.
Fa^a^pma gU occhi mfèrmi ddta gua Diagli oitri caperli
wk nuUi e fnrgà Amore che U risani,
I diiaii lumi onde U divino Amore
Io due zaffiri sé medesmo accende ^
Simili a quei che 'n cielo adomi ei i^ide|
Or nube copre di sanguigno umore:
Nube vaga e crudel, crudele ardore^
Siccome è F altro onde purpureo splende
Alcun pianeta, e 'n oriente ascende
Che sparso è di rosato aureo colore.
Ma pur chi tinge il rugiadoso velo
Delle stelle terrene? e '1 nuovo aspetto
Che ci annunzia di mesto e d^ infelice 2
Deh! se le gira Amor come suo cielo ,
£i le sereni j e queti il nostro petto
La bella luce angelica e beatrice.
SONETTO CXLII.
A Laura Peperara, vwiandale cerUpoe^, Allude atta
favela del (auro e al moMo eh* esso figura.
in queste dolci ed amorose rime.
Laura, vedrete il vostro lauro impresso,
Più caro della palma e del cipresso
£ d^ogni altro .ch^ al cielo alzò le cime.
E non è pianta che si pregi e stime
Tanto in Parnaso, lungo.il bel Permesso;
Né sulle rive del suo fiume istesso
Tanto ei piacea nelle sembianze prime:
£ verdeggia di lui selva si bella.
Che m^ invaghisce ] e coro amico e lieto
In compagnia d'Amor vi canta all'ombra
Che fa d'un ramo la maggior facella;
E '1 vago ed odorìfero laureto
Io vi consacro che U mio core ingombra.
RIME AMOROSE 311
SONETTO GXLllI.
Per ia tieyperaia sanità di Laura Peperara. Mtla/òrìcammU
par lauro inlauU la sua danna.
Secco era quasi P odorato alloro
Da' cui già trasse Amor tante faville ;
£ si spargeano i prieghi a mille a mille ,
E mille occhi piangeano, e i miei con loro.
Ma, scolorir vedendo il suo tesoro,
Due luci si turbar cosi tranquille ,
£ versar cosi pure e vaghe stille,
Che fur più b^Ue della pioggia d^oro.
Oh dolce pioggia d! amoroso pianto!
Cristalli e perle, da' celesti lumi
Lascivo amor non vi spargea , ma santo.
Così nnverde fra rugiade .e fiumi
Il vivo buro, e stanno all'ombra intanto
Valor, senno, bellezza, alti costumi.
SONETTO CXLIV.
iÀfda un ricamo detta sua D., dubitando jnia se quello Josse
un pratap e poi assomigliandolo al cielo sparso di stelle,
O bella man, che nel felice giorno,
Fra preziose genime e dolci odori ,
Il serico trapunto e i nostri cori
Passavi insieme e saettavi intorno;
Quando pria rimirai nel seno adorno
Le variate forme e i bei colori ,
È prato, dissi, d'odorati fioii
Questo ch'agli altri fa vergogna e scorno.
Pur mi raccolsi, e nel leggiadro velo
Io riconobbi hi mirabil arte,
E d' angelica man 1' opra ingegnosa ,
Simile a quella che figura in cielo
Tante immagini vaghe, e ben comparte
Le chiare stelle ueUa notte ombrosa.
\
aia RIME AMOROSE
SONETTO CXLV.
Prtgn Jmor§ che cessi di nuotHunenU tarmentarìo • ttafiggtrio,
con/èitandoMi già tnnto e a ud soggetto^
Perchè tormenti il tormentoso petto ,
E pur trafiggi il mio tradito core?
Perchè le pene colle pene, Amore,
E 1 dolor cresci col dolente affetto?
Perchè giungendo vai con tuo diletto
Piaghe alle piaghe ed all'ardore ardore?
Perchè raddoppi i colpi e 1 tuo furore,
Ch^io per morir con men vergogna aspetto?
Non esser di pietà , fanciul , si parco ;
Che non ho loco da ferite nove,
£ 'ndegna è cPoom già vinto altra vittoria.
Te seguitiamo, e siam tua preda: altrove
Spendi omai le saette e tendi Parco;
Coè '1 salvar F innocente è vera gloria.
SONETTO CXLVI.
paria delPamar che faccende per reflesdone come UJòco
degli specchi f poi si paragona allo specchio stesso^ ami
iBoe dr esser gtà convertito in specchio e injònie,
Qual da crislallo lampeggiar si vede
Raggio clì^ accender suole esca repente ,
Tal de* begli occhi vostri il lume ardente ,
Ch' a me da voi risplende , a voi sen rìede.
Specchio son io , di beltà no , di fede ,
Puro ed informe; e sol a voi presente ^
Fatto sono da voi bello e lucente
Della vostra beltà che mia si crede.
E , se non oh^ assai spesso il duol la fronte
Mi turba , e turba in me la vostra imago ,
M'arderian fiamme più vivaci e pronte.
Ma I qualunque io mi sia , torbido o vago ,
Son vostro specchio e lagrimosa fonte ;
Oh miracol a Amor, possente mago!
tllME AMOROSE ii3
SOLETTO CXLVII.
kUponde ad un sonetto del Malpiglio che Vavea chiamaio
Apollo i e dice esser Amore che lo inspira.
iPercliMo Laura pur segua ^ e vfeì mio pianto
La preghi mentre fugge altera e presta, ^
Non sono Apollo con terrena vesta,
Che Peneo vide, e vide Anfrìso « Xantol:
Né d^ entrar nel suo speco ancor mi vanto,
Se '1 futuro predice e manifesta j
Ma, se mai lagriroando Amor si desta,
Quel clipei spira, Ma][piglio, io scrivo e canto*
Egli dettava già soavi accenti
QuandMo sul Po te^sea verdi ghirlande}
£ nuove rime egli formò pur dianzi
Là 've tra gelide wquef e sacre ghiande
Pascer forse potrian le pure menti
Fole più dolci degli altrui romanzi.
SONETTO CXLVIII.
Sendo postò il i.^ di maggio un albero alla porla ddla
sua D.f assomiglia a quello le sue speTanUt ^ '*<''*
ponno durare senjta reciprocità d'amore»
Quest'arbor eh' è traslato al novo maggio,
Lasciando i larghi campi e 1' alte rive ,
Frondeggia a voi sulF alba , e pur non vive ;
Ma consola il morir col vostro raggiò.
In me troncaste e con più grave oltraggio
Voi le speranze , e soiT di vita or prive ,
E non spiegano i rami all^aure estive.
Né ponno verdeggiar guai pino o faggio:
Né basta il vento lor de miei sospiri ^
Né del mio piànto F amorosa pioggia ,
Né '1 vostro Sol , .perchè risplenda e giri)
Né cresceranno in disusata foggia
Tra quel lume sereno e À miei desirì ,
Se ramo in lauro non s^ innesta e poggia.
3i4 Ri^IE AMOROSE
SONETTO CXLIX.
SuUo sUsMO toggitlo, AsMOtmmìia V albero fnantaio innanzi alla
porta della tua D. a Cnzia che ti volge verto il tote.
•
Già (lifendesti con ramose braccia,
Frondosa pianta , V erbe e le viole
In verdi piagge o ^n selve ombrose e sole
Quando Y aria si scalda e quando agghiaccia
Or credo ben che di mutar ti piaccia
Paese e stanza ; e , come tCIiada suole y
Sei tu per grazia vòlta al nuovo Sole
Che le tenebre mie* disperde e caccia ,
Ed alla bella porta a cui dMntomo
Sparge sua luce: e, sMo lei veggio aprirli,
Stimo men chiara quella oiufesce il giorno
Né se cambiar mille amorosi spirti
Potesser le sembianze al bel soggiorno,
Sempre verdeggeranno i lauri e i mirti.
SONETTO CL.
tue fwU a Licori f .
ch^or quinci scherzi, or quindi vole
'1 verde crin de^ mirti e degli allori,
Prffp Inaura che porti i tuoi totmri e le à
e r invita a rapir dalla bocca ai e$ta gli odori pia toa$fù
Aura,
Fra
E, destando ne^ prati i vaghi fiori.
Con dolce furto un caro odor nMnvole;
Deh! se pietoso spirto in te mai suole
Svegliarsi ^ lascia i tuoi lascivi errori ,
E colà drizza V ali ove Licori
Stampa in liva del fiume erbe e viole :
E nel tuo molle sen questi sospiri
Porta, e queste querele alte amorose
Là 've già prima i miei pensier n^andaro.
Potrai poi quivi alle vermiglie rose
Involar di sue labbra odor più caro,
E riportarlo in cibo a' miei desirì.
» ^
RIME AMOROSE uS
SONETTO CLI.
tfarra cóme, volendo Uberarn d^un amorCf n troi^ molto in
un titrof senta che na punto acemato-V antico»
U incendio, onde tai raggi iisdr già Tore,
Rinchiuso è ben, ma in nulla parte spento}
E per nova beltà nelPalma sento
Svegliarsi un> novo inusitato ardore.
Serve indiviso a due tiranni il corej
A varj oggetti è un pensier fermo e intento}
E per doppia cagion doppio è H tormenta
Chi mai tai meraviglie udio d'Amore?
Lasso e stolto già fui quando conversi
Incontra 'i ciel Tarmi di sdegno, e volsi
Trionfar di colui che sempre vinse:
Che, s' allora un sol giogo io non soffersi,
Or due ne porto 3 e, s'un lacciuolo i' sciolsi^
Quegli ordio nuovo nodo , e '1 vecchio strinse.
SONETTO CUI.
Un bacio gU dknMe U core in due$ un altro gUd ditate vt
olire due parti: onde brama riunirio colParte stesta cha
fu diinsof e quandi lasciarlo in un sol loco»
Dal vostro sen, qual fuggitivo audace.
Corso al varco odorato era il mio core ,
Quando fra dolci spirti e dolce umore
Un bacio attrasse il prigìonier fugace.
Parte n^ attrasse sol 3 perchè tenace
Parte in voi ne ritenne antico amore
Fra '1 mei natio de Funo e F altro fiore,
Ond* ei suo visco inestrìcabil face.
Pur novo baciò poi , la tronca parte
Ritroncando, ubò la più gradita 3
L'altra languendo in voi misera stassi.
Deh! fia mai ch'io '1 Raccolga, e con quest^arte
E poi coir alma in uti sol loco il lassi,
Come spira ne' morsi ape la vita?
aiG RIME AMOROSE
SONETTO CLIII.
Ducisi che la gelosia turbi U tue amoroH dolcezze, e si
mara$>igita cornatila poua accrescer V amore.
Quel puro ardor che dai lucenti giri
Dell* anima immortale in me discese ^
Sl^ soave alcun tempo il cor m'accese^
Cbe nel pianto gioiva e ne* sospiri.
Come minacci Amor, come s' adiri ,
Quali sian le vendette, e quai F offese ,
Per prova seppi allor, né più s* intese
Cbe beassero altrui pene e martiri.
Or, ch'empia gelosia s'usurpa il loco
Ove sedeva Amor solo in disparte,
E fra le dolci fiamme il ghiaccio mesce,
M*è r incendio nojoso, e 1 dolor cresce
Si eh* io ne pero, alii lasso! Or con quale arte.
Se temprato è dal gel, più m*arde il foco?
SONETTO CLIV.
Tornando la sua D. in diià. La dice degna che cielo e
natura le sieno jjropixj f e brama guidar il suo carro f
dottsse pur morire per Vincendio di sua BeUèu
Or che riede madonna al. bel soggiorno.
Chi la difende dall'estiva arsura?
O qual frondoso calle o selva oscura
Le rose adombra ond* è quel viso adomo ?
Ben ella è degna a cui di nubi intorno
Umide e fresche tessa un vel natura,
E stilli il ciel pioggia più dolce e pura,
E desti l'aure, e tempri il caldo giorno:
Degna ch'essendo il Sol nell* orizzonte
Cinto di raggi, da* sentieri usati
Torca il gran carro, sol per farle onore.
Ma '1 suo chi regge per x:ampagne e prati ?
Oh pur foss'io, ma con tua pace. Amore,
L' Autumedon un giorno , e poi Fetonte !
RIME AMOROSE 217
SONETTO CLV.
in riaposta ad Annib, PocaUrra, Le parole V aura , V aura
yiiaìfonno credere si alluda a D, Leon. Sancitale.
L^aura soave, al cui spirar respira
E gioisce il tuo cor nel foco ardente,
La dolcezza onde pasce Amor la niente
Indi sparge nel canto, e placa ogn^ira:
Né mai figlia del Sol che nasce e gira
Col padre , e muore al suo cader sovente ,
Si placida vèr noi dalP Oriente
Tra mille odori mormorando spira.
Ma se V aura vital , V aura serena , -
Che le procelle e le tempeste acqueta,
E i vaglìi accenti tuoi rende più chiarì ,
A me si volge, addolcirà la pena,
E faremo armoma dolente e lieta
Di spirti dolci e di sospiri amari.
SONETTO CLVI.
Confifria la sua D. a non esser gelosa, che non ne ha
cagione, né fredda neWamare,
Sdamate, vita mia, perchè nel core
Tema e desire è nell^istesso locol'
Se Funo affetto è gelo, e T altro è foco ^
D ghiaccio si dilegui al vivo ardore.
Me in petto giovenil paventi Amore ,
Né ceda nel suo regno a poco a poco
Gelida amante, e non prendiate a gioco,
Come i vostri diletti , il mio dolore.
Io tutto avvampo; • voi credete a pena
Che si riscaldi agli amorosi rai
Quel possente voler che nulla affìrena.
Gran feae e moderato ardire omai
Voi dMnganno fuor tragga e me di pena,
Purch^io gioisca, quanto già spcfraL
ai8 RIME AMOROSE
SONETTO CLVII.
MìmpinHfera la ma D. éPaytr rùfoUo IPamorf
a mai degno oggetto.
Amor non è^ che si descriva o conte,
Maggior di quello onde m'ardete il core^
K ben dell'alma il volontario ardore
Vi dimostrai negli occhi e nella fronte,
E tutte l'opre a riverirvi pronte,
E le parole intente a farvi onore;
Né darvi pegni di verace amore
Potea più certi: e n'ebbi oltraggi ed onte
Quando , sprezzata grande e chiara fiamma ,
Tanto gradiste, per fallace segno,
Di nuovo amante oscuro e picciol foco.
Crudeli d'uom che si strugge 9 aramma a dramma
Perchè mille sospiri avere a sdegno,
E sospirar per chi se '1 prende a gioco ?
SONETTO CLVm.
Duerwt la beltà delia iua D. ; pur dice che le parole di lei gli
ferirono il core ben più the noafice U suo bel volto.
Sull'ampia fronte il crespo oro lucente
Sparso ond^g^ava, e de' begli occhi il raggio
Al terreoo adducea fiorito maggio,
E luglio ai cori oltra misura ardente:
Nel bianco seno Amor vezzosamente
Scherzava, e non osò di fargli oltraggio 3
E l'aura del parlar cortese e saggio
Fra le rose spirar s' udia sovente.
Io , che forma celeste in terra scòrsi ,
Rinchiusi i lumi, e dissi: Ahi, come è stolto
Sguardo che 'n lei sia d' affisarsi ardito !
Ma del rischio minor tardi m'accorsi,
Che mi fu per l'oreccliie il cor ferito,
E i detti andaro ove non giunse il volto.
RIME AMOROSE 119
SONETTO CLIX.
ffel riiomo 4ld cameindej auondetia le proffrìe
immaginasàoni atte maschere.
Riede la slagion lieta; e 'n varie forme ,
Sotto non vaghi aspetti^ i vaghi amanti
Celan sé stessi, e sotto il riso i pianti,
Seguendo di chi fugge, incerti, Forme.
Io, come vuole Amor che mi trasforme,
Mi vesto ad or ad or nuovi sembianti,
E mille larve a me d'intorao erranti
Veggio con dubbio cor clie mai non dorme:
Con queste parlo e piango e canto e scrìvo,
Or di speranza pieno ed or d'orrore;
Ed or prendo la spada, or la faretra.
Mottu, dentro e di fuor, presente e vivo,
Mi sei crudel; ma pur ti placa Amore,
Che forse grazia de miei lalli impetra.
SONETTO CLX.
JRiconotce la sua domuif benché ignobilmente masduraUu
Chi è costei ch'in si mentito aspetto^
Le sue vere bellezze altrui contende?
E, in guisa d'uom eh' a nobil preda intende,
Occulta va sott'un vestir negletto?
Se '1 ver meco ne parla un nuovo affetto
Ch'in virtute d'Amor ragiona e intende,^
Quest'è colei ch'invola i cori, e prende
MilTalme, aprendo ogni più chiuso petto.
E ben veggi' or come soave e chiara
Mova la vista insidiosa e '1 suono
Che produce frd noi sormo ed obblio:
Aspro costume in bella donna e no.
Che dentro al regno sol d'Amor s'impara.
Voler di forte il cor, s'io l'oSì^o in dono.
2^o RIME AMOROSE
SONETTO CLXI.
Non attendo tonoiciuta la sua D. matcherataf ne reca la
cagione all'essere staio abbagliata dc^suoi occhL
Eran velati i crespi e biondi crini ^
E '1 bel vermiglio e '1 candido colore^
E la bocca che spira un dolce odore
Fra perle orientali e fra rubini.
E breve spazio dentro a^ suoi confini
Rinchiudea maestà , grazia ed onore 3
E solo in voi si discopriva Amore,
E da voi saettava , occhi divini.
E tanto m^ abbagliò la vista ardita.
Che pien di maraviglia e pien d^obblio
Non conobbi lo strai né la ferita.
Lasso! deh, chi m^nganna^ allor diss^io,
Lumi sereni della oscura vita?
S^ erro , vostra è la colpa , e '1 danno è mio.
. SONETTO CLxil.
Sid medesimo soggetto.
Quel dì che la mia donna a me s^ offerse
Sotto mentite larve ad arte incolta ,
Non la conobbi in quella guisa involta
Quando gli occhi leggiadri in me converse:
Ch'alio splendor fui vinto, e noi sofferse
L'alma chMn lei s'è trasformata e volta j
E l'alma luce, in sé medesma accolta,
Ne' suoi raggi s' ascose e ricoperse.
O pur Amor, che h rivolge in giro,
Prese nove sembianze e novi inganni.
Volle a me far siccome agli altri ei suole.
Era finto l'andare e i passi e i panni,
E vera la vergogna, ondMo sospiro
Me stesso e Id che mi fé' cieco al Sole.
\
RIME AMOROSE 121
SONETTO CLXIII.
Per ia sua D, che comparve ad una Jhsla notturna. Lei chiama
Solej imagini hUe e larve le maschere.
Era la notte, e sotto il manto adorno
Si nascondeauo i pargoletti Amori j
Né giammai nelP insidie i nostri cori
Kbber più dolce offesa e dolce scorno:
£ mille vaghi furti insino al giorno
Si ricoprian fra tenebrosi orrori^
K con tremanti e lucidi splendori
Mille immagini false errando intorno.
Né U seren puro delia bianca luna
Nube celava, od altro oscuro velo,
Quando alta donna in lieto coro apparve,
Ed illustrò eoa mille raggi il cielo;
Ma qucUe non sparir colTanra bruna.
Chi vide al Sol più fortunate larve?
SONETTO CLXIV.
Per la sua />. che ad una fèsta portava la masdiera so*
spesa a un uelo. Dice che la maschera di lei era V a-
spetto umanOf sendo dia cosa celeste.
Nudo era il viso, a cui s' agguaglia* invano
Opra di Fidia, o, già per fama intesa.
Quella a cui vita fu la fiamma accesa;
K nuda ancor la bella e bianca mano.
Jùd ella dir parca: Dal ciel sovrano ^
Per meraviglia ,. sono a voi discesa^
£ r immagine porto al vel sospesa,
Perebbe, in vece di larva, aspetto umano. -^
E, per temprare i raggi e 1 vago ardore,
Clìiudéa gii occhi ed apriva; ed era intanto
Cortese il sonno, e più cortese Amore;
Cortese il suo bel velo e 1 caro guanto ;
Né sol cortese, ma pietoso il core*
Nell^ altrui riso: or che sarà nel pianto?
X
laa EIME AMOROSE
SONETTO CLXV.
9^, U ion. XXXlIf U guai non differisce gran/kUo dal
pregenU. Questo Jit contentato dal Tasso f quello Ju giù-
dkato pel pia beilo eh' ei facesse dai Puhbuco»
Già solevi parer vermiglia rosa
Ch'a* dolci raggi, allo spirar dell' óra ,
Rinchiude il grembo^ e nel suo verde ancora
Verginella s'asconde e vergognosa.
0 mi sembravi pur (cbè mortai cosa
Non assomiglia a te) celeste Aurora
Che le campagne imperla, e i monti indora'^
Lucida in ciel sereno e rugiadosa.
Ma nulla a te P età men fresca or toglie ^
Né beltà giovenile in dianto adorno
Vince la tua negletta , o la pareggia.
0>sì più vago l'odorate fogfie
Il fior dispiega ; e '1 Sole a mezzo il giorno
Via più che nel mattino àrde e fiammeggia.
SONETTO CLXVI.
Desidera cedere in qualunaue modo ta sua D.^ benchfeUa
si mostri aairaia e crudele
D'aria mi tempo nudrimmi; e cibo e vita
L'aura mi fu che d'un bel volto spira;
Or che lei mi contende orgoglio, ed ira,
Di oual esca sarà l'alma nucuita?
1 famelici spirli invano aita
Chiamano, e 'nciarno il cor langue e sbspira-
Ma, se pur l'empia a darle morte aspira,
Muoja non per digiun, ma per ferita.
Armi gli occlv di sdegno, e strali avventi
A mille a mille: a' feri colpi ignuda
Io porgo l'alma, non ch'inerme il seno.
Faccia il mio strazio i suoi desir contenti;
Ben fia , pietà eh' io la rìveggia almeno ,
Non dico pia y ma disdegnosa e cruda.
RIME AMOROSE m3
SONETTO CLXVJI.
Ifarm come un inceniUo notturno Joue presagio
del suo amore,
Ardeaiio i tetti ; e U fumo e le faville
Rote faceano e tenebrosi giri:
E 'ntanto io spargea fuor caldi sospiri
Al rimbombar delle sonore squille.
Quando sembianze placide e tranquille
L'alto incendio destar de' miei desiri:
Cd or, dovunque gli occhi o 1 piede io giri^
Miro i W raggi sparsi a mille a mille.
Così presagio d^ amoroso ardore
Fu quel notturno foco; e la mia fiamma,
Già mancando F altrui, s'accese e crebbe.
Né d'avvampar, né di pregar mainerebbe:
Sì piace il modo onde un sol petto infiamma
Con tante faci e con nova arte Amore.
SONETTO CLXVIIL
Sld medesimo soggetto, OmMudè pregando il deh che
P incendio non rechi offésa alia sua donna.
Tra Tempie fianmie agli occbi miei lucente
La mia si bella appare e sì pietosa, -
Come al partir d^ oscura notte ombrosa
Vidi purpurea luce in Oriente :
O come al tempo già di Troja ardente
Elena tacque sospirando ascosa,
Che le faci infiammò , rapita sposa ,
Piena la terra e '1 mar di fera gente.
Sante luci del ciel, non faccia oltraggio
Ingiurioso foco al biondo crine,
Od alle rose in lei eh' invidia il maggio ;
Me strugga le sue bianche e fresche brine:
E , s' in me pur s' accende il dolce raggio ,
Non s'estingua il mio foco anzi il mio fine.
304 RIME AMOROSE
SONETTO CLXIX.
Sehben lungi daUa sua donna f si conserva ed ami
s'accresce in lui V amore.
Amai vicino; or ardo, e le faville
Porto nel seno , onde s^ infiamma il foco :
E non r estinguerìa tempo oè loco ,
BencliMo cercassi mille parti e mille.
Che nel vago pensier, luci tranquille ^
Più r accendete I e a voi di ciò cai poco^
E le mie piaglie ancor prendete a gioco
Con quella |;>ianca man che sola apriile.
Né lontananza obhiio m'induce al core^
Né i più colti paesi o i più selvaggi ,
Ma tenace memoria e fero ardore ^
Perchè v'adombro in lauri, in mii'ti e'n faggi:
L'altre bellezze^ ove m'insidia Amore,
Sono immagini vostre e vostri raggi.
SONETTO CLXX.
Nei canto si propose la gìdHa; nel pianto la pietà. Onde brama
in premio tulle sue rime una lacrima della mul donna.
Cantai già lieto ; e ricercai oel canto ^
Gloria più cara a me, che Toro a Mida:
Or piango mesto , e 'n dolorose strida
Chiedo pietà vie più ch'onore o vanto.
Donna, che se mai piangi, il dolce pianto
Accende Amor, bench ei vi. scherzi e rìda,
E tra rugiade e fior' lieto s'assida
AlF ombra d' un bel velo e d' un bel manto ,
De' begli occhi una stilla alle mie rime
Sarebbe caro pregio, alta ventura,
Ond'elle ancor n'andriano altere e prime:
Che pianta non distilla ambra si pura,
. Ne fi*cddo monte in su l'alpestri cime
Si bel cristallo e prezioso iuditio.
RIME AMOROSE i^S
SONETTO CLXXI.
ZItoc cht dee celarsi Vamor laacwoi ma che U tfirtuoso si
dee mani/èstare per buon esempio ad aitruL
Uoic di non pure fiiamme acceso il core,'
Che lor ministra esca terrena immonda,
Chiuda il suo foco in parte ima e profonda,
£ non risplenda il torbido splendore :
Ma chMnfiammato di celeste ardore
Purga il pensier in Tiva face e ^n onda ,
Non è ragion che le faville asconda
Senza parlar ; nò tu U consenti , Amore.
Gilè, scaltri (tua mercè) s'affiua e terge,
Yuoi ch'il mondo il conosca, ed indi impare
Quanto in virtù di que' begU occhi or puoi.
£ , s' alcun pur il cela , insieme i tuoi
Più degni fatti in cieco obblio sommerge,
E dell'alte tue glorie invido appare. •
SONETTO CLXXII.
Paragona y o piuttosto antepone la sua donna atP aurora.
Quando FAIba si leva e si rimira
Nello specchio dell'onde, allora i' sento
Le verdi fronde mormorare al vento,
E così nel mio petto il cor sospira^
E l'Aurora mia cerco: e, s'ella gira
Ver me le luci, mi può far contento;
E veggio i nodi eh' a fuggir son lento.
Da cui r auro ora perde e men s' ammira.
Né innanzi al novo Sol, tra fresche brine.
Dimostra in ciel seren chioma si vaga
La bella amica di Titon geloso.
Come in candida fronte è il biondo crine;
Ma non pare dia mai sdii fa uè vaga
Per giovinetto amante o vecchio sposa i
Tasso, FoL IF, i5 ,
ai6 aiME AMOROSE
SONETTO CLXXIII.
Loda là beltà di X Jf.f ma si scuta di non feUrU aman f
per ai^er già patio in altra tutti i m» affètti
Facelle son dMmmortal luce ardenti
Gli occhi che volgi in si soavi giri 3
E fiamme è Paura che tu movi e spiri
A formar chiarì angelici concenti:
E y qualor più ti lagni o ti lamenti ,
Foco U tuo pianto , e foco i tuoi sospiri ,
E quanti tu col dolce sguardo or miri,
E quanti rendi al dolce suono intenti.
Sol io, fra i vivi raggi e fra le note
Onde avvampa ciascun ^ nulla mi scaldo,
Me trova onde nutrirsi in me T ardore.
Né già son io gelido marmo e saldo;
Ma, consumato in altra fiamma il core,
Or che cenere è tutto, arder non puote.
SONETTO CLXXIV.
Prega P eloquenza che ammollisca e soggioghi il cuore
della sua donna,
O felice eloquenza, avvinta in carmi,
Od in ampio sermon sciolta e vagante,
Che raflfreni talora il volgo eilrante
Quando il furor ministra e fiamme ed armi;
Tu che dMra il leon, tu che disarmi
L^ angue di tosco, e queti il mar sonante,
Tu che' dai senso alle più rozze piante,
E tiri, come a Tebe, i tronchi e i marmi )
Tu che nel canto ancor d^ empie Sirene
Dok^ risuoni altrui, perchè non pieghi
Un cor rigido più d^ aspra colonna?
Tempra come saette in mele i prieghi,
E prendi V arme dell' antica Atene
Contra costei ch^è scinta in treccia e ^n gonna.
RIME AMOROSE 227
SONETTO CLXXV.
Pwria nconciUoMÌone di FiL Bentivo^U e Vài Ta$4tonij
che conuhdtano di bekàf e 'quindi iPonor§f sendo U
donne onorati gptcitdmenU per la belUzxa.
Fra due Vittorie era d'onor contesa 3
Che donna per beltà vie più s^ onora :
E nel più vago fior degli anni ancora
Uuna era e raìtra, e d*amor casto accesa.
V ana sembrava Citeréa ^ ch^ ascesa
Sia nel lieto Oriente anzi V aurora ;
E r altra fiamma par che sorga allora
Clìe la sua luce a ogn* intórno è stesa :
E chiudea questa e quella alma più bella
Del suo nel corpo entro U pudico petto.
Giudice Amor disse: m Vittorie, pace. >»
Ond^elle si baciaro^ e con verace
Strinsersi insième ed amoroso affetto ^
Siccome stella si congiunge a stella.
SONETTO CDtXVI.
Penuad* una gentildonna o a non amare chi non te corrisponde
ntW amore ,'0 ad amar chi la riami.
Deh! perchè amar chi voi con pari aflfetto
Non ami^ e sospirar che non sospiri?
E distillar in lagrime i martiri
Per tal che mai per voi non bagni il petto?
E 'mpallidir per chi non cangi aspetto?
E volger gli occhi in cosi dolci giri
Ad un crudel eh' in voi non^ li raggiri
Com' a suo caro e desiato oggetto ?
S' amor a voglia altrui s'estingue e infiamma ,
Spegnete il vostro , mal gradito e rio,
E de' begli occhi rasciugate il duolo,
E geli il cor glentìl per lungo obblio)
E y se pur dee sentir novella fiamma ,
S'accenda sì, ma non s'accenda ei solo.
aa8 RIME AMOROSE
SONETTO CLXXVIL
Sid mai d'occhi di N. N, Dulnia se la cagione per ad iap"
ffrende il mal éP occhi per la tnstay sia natura o amarci e
conchiude esser amore f perchè coW uno Rappiglia V altra,
Questa nebbia sì bella e sì vermiglia ,
E pur sì lagrimosa ed importuna y
Amor^ come si strinse e si raguna
Sotto le 'due serene e liete ciglia?
Opera è di Natura, o meraviglia
Che tu ci mostri? che, se mai digiuna
Vista s^afEsa in lei, tosto s'imbruna,
Ed un vogo balen vola e s'appiglia;
£ non perturba solo i nostri sguardi,
Ma passa al core il dilettoso male,
E gli spirti vitali accende e strugge.
Pur SI dolce è M languir , eh' altrui non cale
Della salute, e sospirando e tardi
Ogni spirto gentil ne scampa e fugge.
SONETTO CLXXVIIL
jitta sig. Tppoliia Turchi dUude ad Ippolita regina ddle .
jimazzoni di cui s* intrighi Teseo quando con Ercole le
mosse contro VarmL
O degna per cui s'armi un nuovo Alcide
Ed un Teseo novello, e schiere accogUa,
E cento vele e cento navi scioglia
Da que' liti che '1 mar da noi divide ;
Chi guerriero di voi più nobil vide?
Clii d'averne vittoria or non s'invoglia?
Fortunate le spoglie, e chi le spoglia.
Se così amico il Cielo ad uomo arride!
Benché vinta voi no, ma vincitrice
Anzi parete j né feroce e cruda
Armate il petto e l' una e l' altra mano ,
Ma 'n treccia e 'n gonna colla destra ignuda ,
Ch'esce dal guanto se mai guerra indice,
Prendete l'alme, e col sembiante umano,
&IMC AMOROSE a^
m
SONETTO GLXXIX.
Alla duchessa Barbara. Dice che, se potrà finire U suo
jtotma^ lo adamerà coUe laudi di lei»
Scegli avverrà ch^alta memoria antica
Rinnovi io mai^ pittor non rozzo, in carte^
£ ch^ Elicona per me s' apra , e d^ arte
Aura m^nspiri al gran concetto amica 3
Udrajtì gli Sciti, udrà l'arena aj^rìca
Di Libia il tuo bel nome, e nobil parte
Avrà fra V armi e fra l' onor di Marte ^
La gonna e '1 vanto di beltà pudica :
£ fian le lodi tue qual ricco fregio,
Onde varia pittura adoma splende^
Che gli occhi altrui con aurea luce alletta.
£ dritto è ben eh' a tfi sen porga il pregio^
Se la sdegnosa man per te riprende
Lo stile, e riede all'opra altrui negletta*
SONETTO CLXX3L
Per la duchessa Mar^heriUif mentre dimorava a Behedere^
Invita i ptuseagien a firmarsi per udire il canto dilei
e contemplarla.
Voi che passate, e. su la destra sponda
Del re de' fiumi udite ì dolci accenti
Che frenar ponno il Po , quetare i venti ;
E fdre al corso altrui l'aura seconda;
Non è Sirena usa a celar nell' onda
Quel e' ha di fera a male accorte gentì.
Ma un' angiolctta eh' i suoi raggi ardenti
Sotto velo mortai par che nasconda.
La real Margherita in ciel le stelle
Suole arrestar coli' armonia celeste :
Fermate il volo omai de' pronti remi}
Che maraviglia assai minor vedreste
Delle sembianze graziose e belle,
Cercando gl'Indi e gli Etiopi estremi.
a3o RIME AMOROSE
SONETTO CLXXXI.
^«r JhutiUa Seontu Jttud$ of nomet pa*M Seaua è bagnmUk,
daWocMUìOi € di qm pruuU occa^fom 4i lodétria»
Scota, 8ull^ Oceano, o doye nacoue
Venere prima ed ebbe Amor la cuna ,
O nuda in fonte, o'n selva oscura e bruna,
Altra bellezza mai tanto non piacque.
Per te non sol quetossi Faura, e giacque
Neil* alto letto il Po senzMra alcuna.
Ma dove maggior campo ha la fortuna
Tranquillar tu potresti i venti e Tacque,
E del tuo peregrino e chiaro nome
Far che'l gran padre più si glorii e vanti,
Che d'altra cosa cb^ei produca intorno^
£ piuttosto speccluar si bei sembianti,.
E lavare ei vorria si vaghe chiome,
Che P aureo crìn del Sole innanzi al giorno.
SONETTO CLXXXII.
loda la ng. Lueresua Scorti^ che la sua bdià ncn^ desti
amor ìasciifOf ma casto e nvererO^i ondatila tmrita d^ss-
sere atUeposta a Lucrezia romana.
Quel vago xaggio che lampeggia e splende
Ne' bei vostri occhi e nel sereno aspettq.
Desta amore e timore; e Puno affetto
Coli' altro più temprato e dolce ei rende.
Né dà superna mano in voi si stende,
Ne di macchiare ardisce il casto letto;
Ma il ferro volgerìa nel proprio petto
Quando gentile sdegno il cor faccende.
Che per voi s'arma uom che sospiri e pi'egi
La vera gloria; e chi per se la sprezza,
Per voi la brama, e 1 punge ardente sprone.
Oh di nuova Lucrezia alma b^eltezza ,
Che non estingue, ma fa degni i regi
Del cielo e di celesti alte corone !
RIME AMOROSE i3i
SONETTO GLXXXIII.
Loda tùUa ducK ^Urbino Vindirv^tare aknd al tieìo per trv
W| éì€ sono Ite beltà o P muore ^ ia mudca 0 la. filosofia.
Per tre sublimi vie sopra le stelle,
Donna reale , ad immortai soggiorno .
L'alma sovente inviti al suo ritorno^
Quanto veloci più, tanto più beile.
L'una con gli occhi illustri a par di quelle
Ch' in ciel riscbiara il portator del gioriio ;
L' altra il tuo canto raddolcisce intomo y
£ rasserena i nembi e le procelle:
Ma per la terza poggia a Dio solinga
La peregrina mente e Falto ingegnò
Che non si ferma al lusingar de^ sensi.
Così tre care grazie altrpi dispensi
Per tre secreti del celeste regno,
Perch'in tre voli un core a lui si strìnga.
SONETTO CLXXXIV.
Ma sig, Litna d'Jreo. Ne loda Vàtiu^ e prepone la sua beltà
a quella tPIrif che Vuna è i^era, l'altra apparente.
Umida nube se dispiega e stende
L' arco celeste a novi raggi adornò y
Già vinto il Sol che ricoiiduce il giorno ,
Nel cielo oscuro un bel trofeo sospende.
Ma '1 tuo leggiadro manto or più risplende,
Vergine casta, e ti circonda intomo j
£ vittoria più bella al suo ritomo
Tu n^ hai sovente , e quando al mar discende :
Né à, turbato e di color fallaci
Orna le spoglie tue, che poi vagheggia^
Né con mentita forme inganni e piaci :
Ma vera é la bellezza. £ chi pareggia
Dolce sereno e sì tranquille paci,
O nube agguaglia ad amorosa reggia?
a3a RIME AMOROSE
SONETTO CLXXXV.
Per una figliuoletla delia tig. L. SanvitaU, La moitra quari
Mpeccmo in cui vtggand tutte le heUe%ze detta madre
Si specchiava Leonora , e '1 dolce riso
E '1 vago lume j ch^ immortai parea y
Slancili non già , ma vinti i specchi avea
Co' lieti raggi del sereno visoj
Quando Amor, che mirava intènto e fiso
Keli' obietto medesmo, e dentro ardea.
L'idolo perde, e la terrena Dea
Me coir idolo caro ha pur conquiso.
Ma poi, scotendo le saette e FaU,
Ci dimostrò le vive forme e vere
Di pargoletta ; e , Saran , disse , eguali.
Picciolo specchio di bellezze altere
Bende tutte le grazie a voi mortali
Dì sì gran donna, e le sembianze intere.
SONETTO CLXXXVI.
Per unajkmota e hMsàma dama, la quale non ti
curatHi d^euer conosciuUu
Mentre ancor non m'abbaglia il dolce lume,
Né mi toglie a me stesso il dolce canto ,
Una imagine fotmo in mezzo al pianto
In riva al Serchio, vago e nobil fiume.
E benché porti con veloci piume .
Fama il suo nome , io pur non Y odo intanto ]
Oh! mute maraviglie, onde noi canto,
Qual nova usanza é questa, o qual costume?
Ma sdegna forse che beltà divina
Da me non si descrìva in colti versi,
Né l'armonia che fa gentil rapina.
Pur fia che dicat U cor leggendo offersi.
Ma in guisa d'uotn che nel silenzio inchina^
Lei no, ma '1 suo bel velo appena i' scersi.
RIME amorose; a33
SONETTO CLXXXVII.
Celeèra la bellezza e tdrtù di D. Barbara Samiverini,
mairigna di D. Leon. Sancitale.
Barbara maravigliai à^ teippi nostri
Apparsa in questa sponda e 'n questa arena ^
Non è di mortai mano opra terrena
Drizzata a' regi o consecrata a^ mostri ;
Ma quei che fece i bei stellanti chia^^tri,
£ volge il sole in giro e '1 mare affrena,
A due zaffiri die luce serena^ .
E la porta v^apri di perle e d^ ostri:
£ de^ più bianchi marmi un vivo tempio
Cinse d' intomo ; e '1 suo desio v' accende , '
'Alma devota, che d^amor sMnfiamma.
£ quel clì^a noi co^ traluce e splende, .
' E d^ ardente virtù lucido esempio ,
E di gloria immortai divina fiamma.
SONETTO CLXXXVIII.
Per la ng, Polissena Gonzaga. Alludendo al tuo nome,
inferisce che Pirro y se Vauesse ueduta^ per amore lii lei
atnria riedificata ITroja, .
Se Pirro, allor che diede morte acerba
Sulla gran tomba del famoso Achille
Alla vergine altera e '1 petto aprille,
Vedea costei che '1 suo bel nome serba ,
Cadeva il ferro daUa man superba
Con fin più lieto di mille opre e mille,
Né Troja andava in cenere e in faville,
Né , dove fu ,* sanano or fiori ed erba )
Ma le avria detto : Il ciel , non che X inferno ,
Placar con gli occbi, e nei superni regni
Mandar puoi F alme senza oprar la lingua :
Tu dunque vinci , e sia T onore eterno ;
E questa guerra e questi feri sdegni
Ch' Elena accese, l?olisseha estingua.
i34< RIME AMOROSE
SONETTO CLXXXIX.
^Ptr la Mi$% BarUura Torneala,. AUudmdù at mmu ,
dimoMira la ma vwàta caiWà»
Del più bel marmo che nascesse ìp monte ^
Candido si ch^ogni bianchezza eccede,
Sorge una vaga TorriceUay e siede
Imperiosa con altera fronte.
Onore alzato ha contr^Amor il ponte,
Ch' accampar d' ogn* intorno a lei si vede;
Spiega in cima P insegne invitta fede ^
L^ oneste voglie alla difesa ha pronte.
Barbara castità dentro si guarda ,
Come donna e reìna; e, benché fuori
Mille arti adoprì il suo crudel nemico,
Mille arme seco i pargoletti Amori,
Pur non avvien che mai la scuota ed arda ,
O che prenda la mente e.'l cor pudico.
SONETTO CXC.
Loda I eapeUi deUa conttua di SaUay acconciai infirma
di corona.
Donna , per cui trionfa Amore e rema ,
Merti ben tu che 1 capo a te circonde
Nobil corona; ma qual fia la fronde,
0 qual fia T ór cui tant^ onor convegna ?
A gran ragion da te si schiva e sdegna
Fregio mcn bd che si ricerchi altronde,
Poiché sol Por delle tue trecce bionde
Può far corona che di te sia degna :
Questo s^ avvolge in cotai forme, e tesse.
Che la fenice ornai sola non fia
Che di diadema naturai si vanti.
Così, o nova fenice, a te piacesse
Scoprir il sen, come vedrian gU amanti'
Che gU è monil la tua beltà natia.
RIME AMOROSE . aìS
SONETTO CXCL
ftr Barbara SanteverinL Chiama fitaU a Roma U wo
nonUf pereh' essa Jìi vinta pria da^ Barbari, poi daUa
bellezza ed {frusta di iti.
Tolse barbara gente il pregio a Roma
DeU^mperìo e deirarmi, e serva (ella.
Oh nome a lei fatale! ecco novella
Barbara vincitrice anco la doma.
£^ a quale in lei più per beltà si noma
Tolto lo scettro e U titolo di bella ,
Spiega sue squadre in Campidoglio , e quella
De^ suoi prigioni incatenata e doma.
Sono i guerrieri suoi molle rigore
Con pudica beltà., sdegno cortese ,
Che, quanto sfida più, tanto più piace.
I vinti un sesso e T altro; e Pun d'amore,
U altro dMnvidia: e colla stessa face
Aggbiaccia or Funo, onde già l'altro accese.
SONETTO CXCII.
Per Laura Pifna GigUolL Si confèssa inetto a lodarla; e
dwe che sfJlo U padre di lei 6. B. Pigna poita farlo
nelle me opere, *
Laura, che fra le Muse e qell! eletto
Iioro albergo nascesti, ove sublime
Poeta già dettò pregiate rime
Pien (li filosofia la lingua e '1 petto ;
L'or delle vostre chiome crespo e schietto
Io ilbn posso polir colle mie lime ,
Né .fia die per nùo studio egli si stime
Quanto per Parte ond'è da voi negletto.
Né degli occhi lucenti oscuro fabro
Chiara imago farei , né delle gote ,
£ di questo e di quel vermiglio labro.
£i , che vi fé', potea ritràrvi ancora
Là 've l'Idea ci forma, o 'a quelle note
In cui l'Idolo suo finge ed adora.
/
a36 RIME AMOROSE
SONETTO CXCIII.
A GM. Nuti pel ritratto di D, Marfita éPEsU. M<utra che
Parte ha più da pregiarsi tendo mta da tanta btkàf
che superando quella tPogni altro oggetto.
Saggio pittore, bai colorita in parte
La Bella che non ha forma o misura ^
Miracolo del Cielo e di Natura
Ch^ aduna in lei ciò che fra mille ei parte.
E perde la tua mano ardita e Parte
Da così vaga angelica figura j
Ma quel disella n** adombra e quasi oscura,
Avanza il bel delle più dotte carte.
E maggior pregio il tuo felice stile
Ha qui perdendo, che vincendo altrove j
Perchè il seren delle stellanti ciglia ,
E del bel volto sol Parìa gentile
Tutte P opere può , tutte le prove,
£ superar ogni altra meraviglia.
SONETTO CXCIV.
SuBo stesso argomento. Dice che^ a voler ritrarre gU occhi di lei,
bisogna f qual Prometeo f rapir al cielo iljùoaf pia eletto.
Dipinto avevi Por de' biondi crini,
E delle guance le vermiglie rose,
E quella bocca in cui Natura pose,
Quasi caro tesor, perle e rubini -
E '1 bianco petto, e i suoi dolci confili^
E mille vaghe altere e nove cose
In prima non vedute, or non ascose:
£ volevi ritrar gli occhi divini j
Ma dicesti fra te: La terra e U mare
Non ha color ch^ esprima il puro lume,
Né '1 tempreria, se rinascesse, Apelle.
Pur, chi formar li vuol, poggi alle stelle.
Che santo Amor gli presterà le piume,
£ furi al ciel le fiamme sue più clùare.
RIME AMOROSE lij
SONETTO CXCV.
A D, Marpsa éP Este. JUude al tuo nonUf e dice che
Pinzine sue armi sono bellezza e castkcu
Questa leggìadm e gloriosa donna ,
i Di nome altero , e di pensier non crudo ^
r Non ha per arme già lancia né scudo ^
I Ma trionfa e combatte in treccia e ^u gonna.
I E imperiosa d^ogni cor sMndonna
j Colla man bella e col bel capo ignudo
! Del caro velo; onde fra me conchiudo
Ch'ella sia di valor salda colonna. ^
Pur inerme non è; ma 1 casto petto,
LfO qual si prende il ^ vano amore a scherno^
Copre d'un lucidissimo diamante.
Or chi ritrar lo puote all' occhio interno?
Qual fabro umano a divin' opra eletto
D'assomigliare il ver fia che si vante?
SONETTO CXCVI.
A Porzia Mari aposa di Paolo Grillo. Alludendo al suo
nome, dice chrella i un mare di bellezza e perfezione,
ed anzi '/ porto ot^ fia beato lo sposo suo» •
In questo mar che sparge un puro argento
Senz'onda amara e senz' amara stilla,
Dove né monte acceso arde e sfavilla,
Né gigante v'affligge aspro tormento y
Dove falso pastor feroce armento
Non pasce, ove non latra orrida Scilla,
Non assorbe Carìddi, e non tranquilla
E non perturba l'acque instabil vento;
E dove nop fallaci empie Sirene , .
Ma cantano angelette in dolci versi
Suir ombrosa , fiorita e verde sponda j
E Porzia il porto in cui da spirti avversi
Le sue notti il buon Paolo avrà serene,
E quivi casto amor di gioja abbonda.
iS^ RÌME AMOROSE
SONETTO CXCVIh
A Sabma BenkL Trae occasiofu dal suo noma per aUié'
dtrt al ratto delle Sabvte e dtUe donne d^ Cùkòri prtst
da Mario, Vuitùno verso indica la Germania,
Sabina 9 ìu cui s'onora il nome prisco,
Chi fu più degna dVsser mai rapita
Per la beltà cli^a sospirar c'invita ,
E presa prende come augello al visco?
Ma quella che in voi lodo e riverisco j
£ fuor traluce d^alraa al Ciel gradita,
Pon freno a liagaa, non eh' a mano ardita.
Tal ch'io di ragionarne a pena ardisco.
Me vaga sete voi di rozzo carme ,
Né rapina d'Italia, onde si sdegni "
La gran Germanhi e '1 popol suo guerriero^
Ma suo pregiato dono: e n mezzo all'arnie
Placar ^potrìa per voi gli strani regni
La nova Donna dell'antico impero.
SONETTO CXCVIII.
/Vr ìa eonteeta di Ladrone, Mostra che sia maggior gara
' /ra PltaUa e la Germania per lei sola, volendo tn--
trambe attrìbmrsdOf che non i per U ragioni politicke.
Donna gentil, che 'Ltuo principio avesti
Dov' è quel di Germania , e giunge inàeme
La bella Italia le sue partì estreme ,
£ quinci e quindi alto valor traesti ,
£ gran beltà, per cui s'infiammi e destì
Amore e gioja inusitata e speme ,
Che '1 nostro sangue e '1 peregrino seme
Que' luoghi esaltì avventurosi e quesU ^
Mentre addivien ch'ivi per te contenda
L' una coli' altra , ad un tuo dolce sguardo
La nova fornirla l'antiche litì.
Qual maraviglia s'io n'avvampo ed ardo?
Se dubbio sono ove i begli occhi accenda,
' Se natì in terra , o sian dal cielo ufcili 7
RIME AMOROSE :i^
SONETTO CXCIX.
A Ber, Castdlo. Loda Ufiifure on^eaU ornò la GeroMlenime,
perchè la sig. iMa Spuiola prendea diletto a rinurarlf'
Fiumi e mari e montagne e piagge apriche
E vele e navi e cavalieri ed armi
Fingi y Bernardo j in carte ; e i bianchi marmi
Han minor pregio delie Muse amiche:
Però che Livia d^ Arianna e Psiche
Legger non brama ^ e può beato farmi
Se r immagini tue co' nostri carmi'
Impresse mira e le memorie antidie.
E j mentre pasci le serene luci
Di quel lume, desian farsi più belle
E POrse e le Corone e '1 Cigno e *1 Toro^
Ma le rivolgi a* gloiiosi duci
Ed a' miei versi tu dall'auree stelle^
Muto poeta di pittor canoro.
SONETTO ce.
J Lucia Albana Tom da Bergamo. Alludendo al tuo nouàtf
la chiama lucei e deriva Porigin sua dà Alba e Roma.
O chiara luce di celeste raggio ,
Ch' un' alma pura e duo negli occhi illustri ,
E tra rose vermiglie e bei ligustri
Scopri nel volto quasi un lieto maggio j
Luce gentil, che non ricevi oltraggio
Dal tempo avaro o dal girar de lustri ,
Ma, fra titoli e pompe e fregi illustri,
Ne segni al ciel sublime alto viaggio j
Serio o Brembo per te non sol riluce,
Ma, se gli antichi tempi ancora io guardo,
Mi par che Roma ne lampeggi ed Alba.
E ben mi dolgo che si srave e tardo
Ti lodo e canto, o mia serena luce.
Che sei del vero Sole aurora ed alba.
•4o RIME AMOROSE
SONETTO CCf.
Ad Awrduì OnonOii Of tecondo rnlirif aUa ehch, Leonora.
Come d sm, ^àUUuU al nonrn della donna celebrata,
DelFonor simulacro è 1 nome vostro ,
Aureo tutto, e ben a voi conviene:
Canto di cigni a lui, non di Sirene,
E lettre d^ór, non sol di puro inchiostro.
E per cercar lassa di chiostro in chiostro
Le parti più lucenti e più serene ,
0 della terra le scerete vene ,
Quant'ivi si contempla, in voi s^ò mostro^
Onde chi vi nomò, formar sembianti
1 nomi volley e chi vi fé*, seguio
Col suo pensiero al del, non che sotterra.
Ma voi, sua viva imago ed idol mio,
Nell^alma il somigliate e ne^ sembianti;
Né colpa è di beltà s'uom Fama ed erra.
SONETTO CGIL
Ài dg. Brunoro Zampesco, in lode del suo Sòro ddP Amare,
Propone un tal libro per guida agli amanti
Chi 1 pelago d^Amor a solcar viene «
In cui sperar non lice aure seconae ,
Te prenda in duce, e salvo il trarrai, donde
Uom rado scampa, alle bramate arene.
Tu le Sirti e le Scille e le Sirene ,
E qual mostro più fero entrò s'asconde.
Varchi a tua voglia; e i venti incerti e Tonde,
Qual nume lor , con certe leggi affrene.
Poi, quando addotte in porto avrà le care
Sue merci, ove le vele altri raccoglie,
E -1 tranquillo d^Amor gode sicuro.
Te 'non pur novo Tifi o Palinuro ,
Ma suo Polluce appelli, e ^n riva al mare
Appenda al nume tuo votive spoglie.
CANZONI
CANZONE I.
Si duole con Amore che la sua donna pigli marito ;
pur dice che non pub spegnere P antico affitto,
e la prega a non i^degnar almeno eh' egh segua
ad amarla e celebrarla.
Amor; tu vedi (e non hai duolo o sdegno)
Ch'ai giogo altrui madonna il collo inchina j
Anzi ogni tua ragion da te si cede.
Altri ha pur fatto ( oimè ! ) quasi rapina
Del mio dolce tesoro^ or qual può degno
Premio agguagliar la mia costante fede?
Qual più sperar ne lice ampia mercede
Dalla tua ingiusta man, sMn un sol punto
Hai le ricchezze tue diffuse e sparte/
Anzi pur chiuse in parte
Ove un sol gode ogni tuo ben congiunto ?
Ben folle è chi non parte
Omai lunge* da te; che tu non puoi
Pascer se non di furto i servi tuoi.
Ecco già dal tuo regno il pie rivolgo :
Regno crudo e 'nfelìce r ecco io già lasso
Qui le ceneri sparte e '1 foco spento.
Ma tu mi segui, e mi raggiungi, ahi lasso!
Mentre del mal sofferto invan mi dolgo,
Ch'ogni corso al tuo volo è pigro e lento.
Già via più calde in sen le fiamme V sento,
E via più gravi al pie lacci e ritegni j
E, come a servo fiiggitivo e 'ngrato,
Tasso, Fol IF. i6
\
^1 RIME AMOROSE
Qbì sotto al manco lato
D'ardenti note il cor m' imprimi ì e M segni
Del nome a forza amato:
E, percli'arroge al duol eh' è in me si forte,
Formi al pensier ciò che più noja apporte.
Ch'io scorgo in riva al Po Letizia e Pace.
Scherzar con Imeneo, che 'n dolce suono
Chiama la turba a' suoi diletti intesa.
Liete danze veggMo, che per me sono
Funebri pompe, ed una istessa face
, Neir altrui nozze e nel mio rogo accesa 3
£^ come aurora in Oriente ascesa,
Donna apparir, che, vei^ognosa in atto,
I rai de' suoi begli occhi a sé raccoglia;
E ch'altri un bacio toglia,
Pe^o gentil, dal suo bel viso intatto,
£ 1 primi fior ne coeUa,
Quei che, già cinti a amorose spine,
Crebber vermigli infra le molli brine.
Tu , che a que' fiori , Amor , d' intomo voli ,
Qual ape industre , e. 'n lor ti pasci e cibi ,
E ne sei cosi vago e così parco,
Deh ! come puoi soffrir eh' altri deUbi
Umor si dolce , e '1 caro mei t' involi ?
Non hai tu da ferir saette ed arco?
Ben fosti pronto in saettarmi al varco
Allor che per vaghezza incauto vemii
La 've spirar tra le purpuree rose
Sentii l'aure amorose 3
E ben piaghe da te gravi io sostenni,
Ch' aperte e sanguinose
Ancor dimostro a chi le stagni e chiuda ;
Ma trovo chi le inaspra ognor più cruda.
Lasso ! il pensier ciò die dispiace e duole ,
\
\
RIME AMOROSE ^43
All'alma inferma or di ritrar fa prova ;
E più sMntema in tante acerbe pene.
Ecco la bella donna ^ in cui sol trova
Sostegno il core; or^ come vite suole
Che per sé stessa caggia , altrui s* attiene.
Qual edera negletta or la mia spene
Giacer vedrassi , s' egli pur non lice
Che s* appoggi a colei ca un tronco abbraccia.
Ma tUy nelle cui braccia*
Cresce vite si bella , arbòr felice^
Poggia pur, né ti spiaccia
Ch^augel canoro intorno a' vostri rami
L'ombra sol goda, e più non sperì o bramì.
Né la mia donna , perché scaldi il petto
Di nuovo amore I il nodo antico sprezzi
Che di vedermi al cor già non le increbbe;
Od essa che l'avvinse . essa lo spezzi:
Però che omai disdorlo (in guisa é stretto)
Né la man stessa che Fordio, potrebbe.
E se pur, come volle , occulto crebbe
n suo bel nome entro i miei versi accolto ,
Quasi in fertil terreno arbor gentile ,
Or seguirò mio ^tile,
Se non disdegna esser cantato e colto
Dalla mia penna umile:
E d' Apollo ogni dono a me fia sparso ,
S'Amor delle sue grazie in me fu scarso.
Canzon | si F alma é ne' tormenti avvezza ,
Che, se ciò si concede, ella confida
Paga restar nelle miserie estreme.
Ma se di questa speme
Avvien che 1 debil filo alcun recida^
Deh! tronchi un colpo insieme
(Ch'io'l bramo e '1 chiedo) al viver mio lo starne^
E r amoroso mio duro legame.
346 RIME AMOROSE
CANZONE m.
/
Si gitwa di sforj paragoni per celebrar la sua don-
na, — Questa canzone è fiuta a imitazion di
quella del Petrarca che incomincia: Qual più
diversa e nova^ ec,
Qual più rara e gentile
Opra è della natura . o meravìglia j
Quella più mi somiglia
La donna mia ne' modi e ne' aembianti.
Dove fra dolci canti
Corre Meandro^ o pur Caistro inonda
La torta obliqua sponda j
Un bianco augel parer fa roco e vile
Nel più canoro aprile
Ogni altro che diletti a meraviglia :
Ma questa mia^ che U bel candore eccede
De' cigni ^ or che sen riede
La primavera candida e vermiglia ,
L'aria addolcisce co' soavi accenti^
E queta i ir enti col suo vago stile.
Un animai terreno,
Ch'è bianco sì, che vince ogni bianchezza
Ed ogni altra bellezza,
Morir piuttosto che bruttarsi elegge:
Però, come si legge,
È preso, e, per vestirne i duci illustri,
Le sue tane palustri ^
D' atro limo son cint^ ^ e , morto almeno ,
Pregio ha di seno in seno,
£ per donna leggiadra ancor s' apprezza :
Cosi la fera mia, perchè s'adorni,
RIME AMOROSE ^ 047
La vergogna e gli scorni
Più che la morte è di ftiggire avvezza 3
Né macchia il crudo arcier le care spoglie^
Mentre raccoglie e sparge il suo veleno.
In Grecia un fonte inralla; '
Se labbra asciutte bagna il fiieddo umore ^
Profondo obblio nel core;
V altro bevuto fa contrar j eflètti :
E 'n duo varj soggetti
Si mirabil virtù dimostra il cielo.
Cosi questa y onde gelo ,
Fonte d^ogni piacer chiara e tranquilla ^
Con una breve stilla
Tór la memoria può d^ogni dolore ^
E render poi d^ogni passata gioja^
Per temprar quella noja
Onde perturba le^sue paci Amore.
Oh vivo fonte, anzi pur fonti vivi
Con mille rivi, ond*ei vie più sfavillai
Se non è vana in tutto «
L'antica fama che pur dura e suona,
Tra quei che fan corona
Nasce un bel fior che sembra un lucid^ oro ,
E vince ogni tesoro.
Perchè gloria ei produce e chiaro nomq
A chi n orna le chiome;
Né mai di sponda o di terreno asciutto
Nacque si nobil frutto:
Ed un fior di bellezza in queste rive ,
S'adora, e; di mostrar ei nulla è scarso
L'oro disciolto e sparso
Ch^erra soavemente all'aure estive;
Ma di sua gloria coronato all' ombra
Cosi m' adombra ; che m'è dolce il tutto*
248 RIME AMOROSE
NelP arabico mare
È con un aìVto fior , come di rosa ,
Pianta maravigliosa
Che lui comprime anzi che nasca il sole y
Poi dispiegaHo suole
Quando egli vibra in oriente i raggi
Per si lunghi viaggi;
£ di nuovo il raccoglie alìor che pare
Cader nelfonde amare:
Tal questa donna ^ in cui beltà germoglia
E leggiadria fiorisce^ al sol nascente
Nel lucido oriente
Par ch^i suoi biondi crini apra e discioglia;
Poi nelFoccaso astringe aurei capelli
Più di lui belli, e sol velata appare.
Una pietra de' Persi
Co raggi d' oro al sol bianca risplende y
£ ouìnci il nome prende ,
£ del bel lume del sovraii pianeta
Rassembra adoma e lieta : /
Così la pietra mia nel di riluce;
£ la serena luce
£ 1 dolce fiammeggiar i^ non soffersi
Quando gli ocelli ir apersi.
Ma segue un' altra poi della sorella
Il corso vago, e di .sue belle forme
Par che tutta s' informe
£ dì sue coma , e quindi ancor s' appella :
Tal lei veggio indurarsi ascosa in parte;
Se toma o parte, fa sentier diversi.
Canzon, ch'io non divegna
Fra tantq meraviglie un muto sasso,
Solo è cagione Amor, che grazia impetra
Dalla mia nobil pietra ;
RIME AMOROSE n/i^
E spero andarne così passo passo:
E pur quasi d'un marmo esce la VooC;
Che manco nuoce ov^è clii men disdegna.
CANZONE IV.
Mentre espone la contesa dello Sdegno e delC Amore
dinanzi alla Ragione , tesse V elogio della sua
donna, -»- // poeta imita quella canzone del Pe-
trarca, che incomincia: QuelP antiquo mio dolce
empio signore.
Quel generoso mio guerriero intemo ,
Ch^ armato in guardia del mio core alberga ^
Pur come duce di guerrieri eletti^
A lei 9 chMn cima siede ove il governo
Ha di nostra natura, e tieu la verga
ChM ben rivolge gli uni e gli altri aHelti,
Accusa quel ch^ a' suoi dolci diletti
L' anima invoglia vago e lusinghiero :
Donna ) del giusto impero
C hai tu dal Ciel , che ti creò sembiante
Alla virtù che regge
I vaghi errori suoi con certa legge,
Non fui contrario ancora o ribellante.
Né mai trascorrer parmi
Si che non possa a tuo voler frenarmi.
Ma ben presi per te Farmi sovente
Contra il desip, quando da te si scioglie
Ed a^ richiami tuoi V orecchie ha sorde;
E , qual di varie teste empio serpente ,
Sé medesmo divide in molte voglie,
Rapide tutte e cupide ed ingorde,
£ sovra Talma strìde e fiscliia e morde
aJo RIME AMOROSE
Si che dolente ella sospira e geme,
E di perirne teme:
Queste sono da me percosse e dome^
E molte ne recido^
Ne fiacco molte; e lui non anco uccido:
Ma le rinnova ei poscia , e^ non so come.
Vie più tosto ch^ augello
Le piume ; o i tronchi rami arbor novello.
Ben il sai tu che sovra il fosco senso
Nostro riluci si dall'alta sede.
Come il Sol che rotando esce di Gange:
E sai come il desto piacere intenso
In Quelle sparge j ona ei V anima fiede ,
Profonde pieghe ; e le riapre e Fange:
E sai come si volga, e come canee
Di voglia in voglia al trasformar a un viso^
Quand'ivi lieto un riso,
O quando la pietà vi si dimostra ^
O pur quando talora
Qual viola il timor ei vi colora ,
O la bella vergogna ivi s' innostra }
E sai come si suole
Raddolcir anco al suon delle parole.
E sai se quella che si altera e vaga
Si mostra in varie guise ^ e 'n varie forme
Quasi novo e gentil i^ostrO si mira^
Per opra di natura e d'arte maga
Sé medesma e le voglie ancor trasforme
Dell'alma nostra che per lei sospira.
Lasso! qual brina al sole^ o dove spira
Tepido vento si discioglie il ghiaccio ,
Tal ancor io mi sfaccio
Spesso a' begU occhi ed alla dolce voce ;
E mentre si dilegua
RIlilE AMOROSE 3.5 1
Il mio vigor, pace io concedo o trégua
Al mio nemico; e quanto è men feroce ,
Tanto più forte il sento ^
E volontario a^ danni miei consento.
Consento che la speme, onde ristoro
Per mia natura prendo e mi rinfranco,
*£ nel dubbio m'avanzo e nel perigliò,
Torca daU'alto obbietto a' bei crin d'oro,
O la raggiri al mòlle avorio e bianco,
Ed a quel volto candido e vermiglio ;
O la rivolga al variar del ciglio,
Quasi fosse di lui la speme ancella,
E fatta a me ribella.
Ma non awien che '1 traditor s'acqueti 3
Anzi del cor le porte
Apre, e dentro ricetta ^stranie, scorte, '
E (bora messi invia scaltri e secreti:
E, s'io del ver m' a v veggio.
Me prender tenta , e te cacciar di seggio.
Cosi die' egli, al seggio alto converso
Di lei che palma pur dimostra e lauro;
E '1 dolce lusinghier così risponde :
Alcun non fu de' miei consorti avverso
Per sacra fama a te di lucido auro.
Ch'ivi men s'empie, ov'ella più n'abbonde,
Né per brama d'onor ch'i tuoi confonde
Ordini giusti. E, s'ip rara bellezza
Seguii sol per vaghezza ,
Tu sai eh' agli occhi desiosi apparse
Nel mio più lieto aprile «
Donna cosi gentile.
Che '1 giovinetto cor subito n'arse.
Per ouesta al piacer mossi
Rapidamente, e dal tuo fren mi scossi.
25^ RIME AMOROSE
Forse ( io noi niego ) incauto allor piagai
L'alma^ e, se quelle piaghe a lei fur gravf^
Ellla se 1 sa ; tanto il languir le piace j
E per si bella donna anzi trar guai
Toglie, che medicine ha si soavi ,
Che gioir d^ altra, e ne^ sospir noi tace.
Ma questo altero mio nemico audace,
Che per leve cagion , quando più scherza ,
Sé stesso infiamma e sferza,
In quella fronte più del ciel serena
Appena vide un segno
D irato orgoglio e d^ orgoglioso sdegno ,
£ d^ avverso desire un* ombra appena ,
Che schernito si tenne,
E del dispregio sprezzator divenne.
Quanto ei superbi poscia, e 'n quante guise
Fu crudel sovra me, già vinto e lasso
Nel corso, e per repulse sbigottito.
Il dica ei clie mi vinse e. non (u^ancise:
Sen glorìi pur , eh' io gloriar ne '1 lasso.
Questo io dirò, ch'ei folle, e non ardito,
Incontra quel voler che, teco unito,
Tale ognor segue le sue inteme luci, .
Qual io gli occhi per duci ,
Non men che sovra '1 mio Tarme distrinse;
Perchè 1 vedea si vago
Della beltà d'una celeste imago.
Come foss' io , né lui da me distin^ ,
Né par che ben s'avveda
Che siam qua' i figli dell'antica Leda.
Noti siam però gemelli ^ ei di celeste ,
Io nacqui poscia di terrena madre y
Ma fu il padre F istesso , o cosi stimo :
E ben par eh' egualmente ambo ci deste
RIME ^MOROSE ^53
Un raggio di beltà ; che di leggiadi*e
Forme adbnia e colora il terreii limo.
Kgli s' erge sovente , ed a quel primo
eterno mar d^ ogni bellezza arriva ^
Ond^ ogni altro deriva :
Io caggiOy e 'n questa umanità m'immergo^
Pur a voci canore
Talvolta ed a soave almo splendore
D'occhi sereni mi raffino ed ergo,
Per dargli senza assalto
Le chiavi di quel core in cui t^ essalto.
K con quel fido tuo, che d'^alto lume
Scorto si move , anch' io raccolgo e mando
Sguardi e sospiri , miei dolci messaggi.
Per questi egli talor con ^ vaghe piume
IN^esce, e tanto s'innalza al ciel volando,
Che lascia addietro i tuoi pensier più saggi.
Altre forme'più belle ed altri raggi
Di più bel Sol vagheggia 3 ed io felice
Sarei, com'egli dice.
Se tutto unito a lui seco m' alzassi.
Ma la grave "^ mollale
Mia natura mi stanca in guisa l' ale ,
di' ol tra i begli pcchi rado avvien ch'i' passi.
Con lor tratta gV inganni
U tuo fedel seguace, e noi condanni.
Ma s' a te non dispiace , alta regina ,
Che là donde in un tempo ambo partiste
Egli rapido torni e varchi il cielo.
Condotto no , ma da' virtù divina
Ratto di forme non intese o viste;
A me, che nacqui in terra, e 'n questo velo
Vago d' altra bellezza ( e non tei celo ),
Perdona ove talor troppo mi stringa
354 ^IME ^ AMOROSE
Con lui che mi lusinga.
Forse ancora avverrà eh* a poco a poco
Di non bramarlo impari,
E col voler mi giimga , e mi rischiarì
A' rai del suo celeste e puro foco,
Come nel del riluce
Castore unito allMmmortal Polluce.
Canzon , cosi V un nostro affetto e V altro
Davanti a lei contende,
Ch^ambo li regge, e la sentenza attende.
CANZONE V.
LaurtUa e Lia, prese aUeoDricamente per la poesia
e la filoso fta ,. s^ accordano nel lodar t onore ,
che è desiaeno di bellezza. — Questa canzone h
di quelle che si chiamano ballate^ ed è foila a
imitazione Jluna di Guido Cavalcante, '
Io mi sedea tutto soletto un giorno '
Sotto gli ombrosi orini
Di palme, abeti e pini^
E così ascoso udia
Lauretta insieme e Lia
Nel solitario orrore,
Due vaghe Ninfe appresso un chiaro fonte.
Tra Ferbe fresche e i lucidi ruscelli.
Ambe a cantare ed a risponder pronte ,
Come di primavera i vagiii augelli^
Ambe vidi con lunghi aurei capelli,
Ambe soavi il riso.
Bianche e vermiglie il viso,
Arabe nude le braccia:
Ne so qual più mi piaccia ,
Che par ciascuna un fiore.
RIME AMOROSE ^55
U una diceva alP altra : Amor possente
È più di fera in selva e più del foco,
Più che nel verno rapido torrente :
Amor si prende il mio languire in gioco,
Ond^io cerco temprarlo a poco a poco; •
Ch'arder già non vorrei
Con tutti i pensier miei,
Ma sA scaldarmi alquanto j
Né tempra amaro pianto
n mio si lungo araore.
K r altra le rispose: Amor soave
È più eh' aura non suol di fronda in fronda ,
Quando non spinge al porto armata nave,
Ma sol fa tremolare i giunchi e V onda;
E vie più dolce d' ogni umor ch^ asconda
O stilli o foglia o canna,
Più di mei, più di manna:
E sol di lui mi doglio,
Ch' arde meo eh* io non voglio
In poca fiamma il core.
E poi diceano insieme : O sia col freno ,
O sia con legge, o senza. Amor felice
Sol può far donna che V accoglìa in seno , ^
E s'ella il fa palese, e se noi dice.
E siccome ogni fior da sua radice,^
E da fontana il rio ,
Di bellezza il desio,
La dolcissima voglia
Si deriva e germoglia:
Dunque viva l'Amore.
a56 RIME AMOROSE
CANZONE VI.
Descrìva gli fjfrtti in Itti prodotti dalia gelosia^
della quale adduce due cagioni: il poco suo me-
rito , e la gran bellezza deUa sua donna, E però
solo accusa se stesso ^ non trovando in lei altro
mancamento f che di pietà ; sicché , qual^^nque si
siano I suoi didfbi è sospetti ^ protesta che niuna
cosa al mondo potrà mai spegnere il suo amore.
O neffamor che mesci
D'amar nuovo sospetto;
O sollecito dubbio e fredda tema ^
Che pensando t^ accresci
E t^ avanzi nel petto,
Quanto la speme si dilegua e scema ;
S^amo beltà suprema,
Angelici costumi,
E sembianti celati,
E portamenti onesti,
Perch'awien che temendo io mi' consumi?
E che mi strugga e roda,
S^ altri li mira e loda 7
Già difetto non sei
Della gentil mia donna}
Che nulla manca in lei , se non pietate :
E temer non dovrei
Ch'ove onestà s'indonna
Regnasse Amor fra voglie aspre e gelate ;
Pur la sua gran beltate
Ch'altrui si rasserena,
E lo mio picciol mèrto
Mi fa dubbioso e 'nccrto ,
Talché sei colpa mia, non sol mia pena:
RIME AMOROSE
Sei colpa e pena mia,
O cruda gelosia.
E me stesso n'accuso,
Ch'ai mio martir consento
Sol per troppo voler, per troppo amare ^
'£ quel che dentro è cniuso ,
Con cento lumi e c^nto
Veder T bramo, e non sol ciò ch'appare.
Luci serene e chiare.
Soavi e cari detti.
Riso benigno e lieto ,
Che fa nel più secreto
Albergo Palma fra' celati affanni?
Fra gli occulti pensieri
Che vuol? ch'io tema o sperì?
Voi, sospiri cortesi
E fidi suoi messaggi,
A cui ven git^? a cui portate pace?
Deh! mi fosser palesi
Vostri dolci viaggi
E quel che nel suo core asconde e tace.
Oimè! che più le piace
Valore, o chiara fama,
O bella giovinezza,
O gìovenil bellezza 5
O più sangue reale onora ed ama:
Ma , se d' amor s' appaga ,
Forse del nostro è vaga.
È il mio vero ed ardente,
E per timor non gela ,
Né s'estingue per ira o per disdegno^
E cresce nella mente,
S'eeli si copre e cela.
Però, se rade volte ascoso il tegno,
Tasso, FoL IF. 17
a 57
a58 RIME AMOROSE
Ben di pietade è degno,
E degni di mercede
Sono i pensier miei lassi.
Cosi solo io F amassi,
Come il mio vivo foco ogni altro eccede,
Che non temerei sempre
In disusate tempre!
Né solo il dolce suono
E r accorte parole
Di chi seco ragiona, e i bei sembianti,
Ma spesso il lampo e 1 tuono
E Paura e U vento e '1 sole
Mi fan geloso 9 e gli altri Divi erranti.
Temo i celesti amanti:
E, se nelTarìa io veggio
O nube vaga o nembo.
Dico: Or le cade in gcembo
La ricca pioggia;... e col ^nsiel* vaneggio,
Che spesso ancor m'adombra
Duci ed eroi nell'ombra.
Canzon, pria mancherà fiume per ^ verno.
Che nel mio dubbio core
Manchi per gelo amore.
RIME AMOROSE aSg
CANZONE Vn.
Celebra la sig. Vittoria Doria Gonzaga^ mogUe del
sig» D, Ferrante principe di Moffetta » dal quale
egli fu piU volte onorato e beneficato, •— Questa
canzone è fatta a mutazione di quella del Petrarca:
Las&o me! che non so in qual parte pieghi; e
però ciascima stanza termina con un verso <f un
poeta famoso, L* ultimo verso della prima stanza
e del marchese di S. Juliana , poeta spagnuolo ;
f ultimo della seconda ^ di Dante; tuUimo della
terza è del Petrarca ; f ultimo della quarta è di
Bernard^ Tasso; C ultimo della quinta è di Ton-
quato medesimo.
Di pregar lasso e di cantar già stanco,
Il vostro nome altero e trionfale
Portar non sposso com' augel sull' ale y
Or negro e roco, e già canoro e bianco;
E sotto il fascio de^ miei danni io manco.
Ma pur 9 chiara Vittoria , ^
Per la clol4V memoria
Di vostra cortesia Falma rinfranco^
E di lodarvi i' m^ assicuro ed oso^
AmnUraùvo mas que temeroso.
Più di stupor che di timor mMngombra
L^ angelica sembianza e 1 bel costume
E degli occhi soavi il puro lume
Ch'ogni mesto pensier discaccia e sgombra.
E siede in voi y ma vinto y Amore all' ombra y
Con mille sue rapine y
Negli occhi e sotto il crine
Che la tranquilla e chiara fronte adombra ;
E miUe altri trionfi ancor sapete
f^oi eh* intendendo il terzo ciel mossele.
a6o RIME AMOROSE
Amor di strali armato e di facelle
Vinceste inerme e giovinetta donna
Con bianca destra ignuda in traccia e *n gonna^
£ r altre voglie alla ragion rubelle:
E le vittorie son quante le stelle;
E tanti i vostri onori ^
Quanti di maggio i fiorì ^
E quante son a aprii Ferbe novelle:
E la bellezza è pari all'onestate
Nel dolce tempo della prima etate.
Felice albergo, che voi lieta accoglie
Fra duci e gloriosi alti gnerrìeri,
Di lor virtute e di lor gloria alteri,
E fra vittoriose e care spoglie :
Felice sposo e di concordi voglie,
Cui non vi die fortuna.
Non cielo, o sorte, o luna,
Ov' altri lega il fato , e V alma scioglie ,
Ma chi la fece: e qui, se mai v'esalto,
Temo , dorma gentil , if alzarmi in alto.
Or non agguagli a lui Grecia fallÉee
Quel da Corinto, a cui Pinstabil Diva
L' ampie città prendea mentre dormiva ,
Che in lungo sonno ei non s'acqueta o giace;
M$i r antico valor, qual tromba o face.
Negli occhi gli sfavilla,
E più chiaro di squilla
Rimbomba in aspra guerra o 'n lieta pace.
Voi gli fate altra rete, altra catena.
Illustre donna , e più del ciel serena.
RIME AMOROSE a6i
CANZONE Vin.
Celebra una vaga montag^teUa.
O bel colle y onde lite
Nella stagione acerba
Tra Farte e la natura incerta pende;
Che dimostri vestite
Di vaghi fiorì e d'erba
Le spalle al Sol ch'in te riluce e splende ;
Non così tosto ascende
Egli suir.orìzzonte ,
Che tu nel tuo bel lago
Di vagheggiar sei vago
n tuo bel seno e la frondosa fronte,
Qual giovinetta donna
Che s'infiori allo specchio or velo or gonna.
Come predando i fiori ^
Sen van l'api ingegnose,
Onde addolciscon poi le ricche celle,
Così ne' primi albori
Vedi schiere amorose
Errare in te di donne e di donzelle:
Queste ligustri, e quelle
CogUer vedi amaranti.
Ed altre insieme avvinti
Por narcisi e giacinti
Tra vergognose e pallidette amanti;
Rose, dico, e viole,
A cui madre è la terra , e padre il sole. ^
Tal, se l'antico grido
È di fama non vana ,
afo RTBIE AMOROSE
Vide gelido monte e monte acceso
La bcHa Dea di Gnìdo
E Minerva e Diana
Con Proseqiina j a cui Y inganno è teso :
Ne Farco avea sospeso ^
Né Feburna faretra
Cintia y né f elmo o V asta
U altra più saggia e casta.
Né 1 volto di Medusa ona uom s^ impetra :
Ma con gentile oltraggio
Spogliavano il Borito e novo maggio.
Cento altre intomo e cento
Ninfe vedeansi a prova
Tesser ghirlande a^ crini e fiorì .al seno :
E '1 Ciel parca contento
Stare a vista sì nova.
Sparso d* un chiaro e lucido sereno :
E 'n guisa d' un baleno
Tra nuvolette aurate
t^edeasi Amor colTarco
Portare il grave incarco
Della faretra sua coffarme usate,
E saettava a dentro
Il gran Dio delP Inferno insin al centro.
Plutone aprìa la terra
Per si Della rapina,
Fiero movendo e spaventoso amante:
E quasi a giusta guerra
Coppia del ciel divina
Correva a Id, che le chiamò tremante ^
Penne quasi alle piante
Ponean, già prese Tarme.
Ma nel carrp veloce
Si dilegua il feroce
UIME AMOROSE i63
Pria che F una saetti , o F altra a* anne :
E del lor tardo avviso
Mostrò Ciprigna lampiggiando un rìso.
Ma dove mi trasporta,
O montagnetta ombrosa,
Così lunge da te memoria antica?
Pur F alto esempio accorta
Ti faccia, e più nascosa
Nel ricoprire in te schiera pudica.
Oh ! se fortuna amica
Mi facesse custode
De' tuoi secreti adomi,
Che dolci e lieti giorni
Vi spenderei con tuo diletto e lode !
Che vaghe notti e quete.
Mille amari pénsier tuffando in Lete!
Ogni tua scorza molle
Avrebbe inciso il nome
Delle nuore d'Àldde e delle figlie ;
Risonerebbe il colle
Del canto, delle chiome
E delle guance candide e vermiglie:
Le tue dolci famiglie
(Dico i fior che di règi
Portano i nomi impressi)
Udrebbono in sé stessi
Altri titoli e nomi ancor più egregi;
E da frondose cime
Risponderian gli augelli alle mie rime.
Cerca, rozza canzone, antro o spelonca
Tra questi verdi chiostri:
Non appressar dove sian gemme ed ostri.
!>64 RIME AMOROSE
CANJa^NE IX.
Per celebrare gli egregi meriti della tig. Maddalena
Falmarana , dice come la Flirta s' innamorasse
della bellezza di lei, e come deliberasse di sta-
bilire, dove ella h, la sua sede, acciocché il
mondo in lei la onori ed ami.
Donna , la vostra fama e M mio pensiero
In monti vi dipinge e 'n fresche rive;
E, mentre Funa parla e F altro scrive,
Io stimo queisto e quella un' ombra al vero,
• Che non esprime il vostro merto intero :
Ma come vive fiamme e vaghi lumi
Vidi in torbidi fiumi ;
O come voce si disperde in aura,
Che nulla poi ristaura,
Cosi vostra beltà, eh' è senza vanto.
Nella mia mente perde, e più nel canto.
Ma pur io canterò, perchè le rime
Serbino almeno in parte i vostri onori,
Siccotùe in vasel d' ór le rose o i fiori ,
Serbate cólti da froadose cime,
O pur le bianche violette e prime.
Io dico dunque che virtù dal cielo
Scesce fra caldo e gelo,
E la terra cercò, né visse ascosa
Fra la gente orgogliosa;
Che 'n magnanimo cor parea sov«ìte
Raggio di steUa, ovver di sole ardente.
E sotto Telmo e dentro ludd'arme
Spesso terrìbil fu, spesso fuggita;
E dove Marte a fera pugna invita.
RIME AMOROSE afiS
E perchè 1 cavalier s^ adorni ed arme^
Rompe il riposo altrui col chiaro carme j
E colle, sacre leggi, ìa alta sede.
Temenza e pena diede ^
E talor dimostrò severo ciglio
Danno o mortai perìgUo:
Tal ch^era la virtù tra gli alti ingegni
Nome odioso allor con mille sdegni.
E vedendo quaggiù le genti umane
Da lei ritrarsi , e i miseri mortali j
Rivolse tosto al cielo i passi e Fali,
E volea ricercar parti soprane
E stanze più lucenti e più lontane;
Quando fermoUa un lampeggiar di riso,
Che vi mirò nel viso,
A contemplar fronte serena e lieta
Ch'ogni dolor acqueta,
E ne' vostri occhi ancor vaghe bellezze,
Piene di soavis^rae dolcezze.
E fra perle e rubini uscir parole
Ufiiva in così novo e dolce suono,
Ch'altera libertà sé stessa in dono
Gli avrebbe data, e '1 proprio carro il Sole;
Onde vi disse: Non convien ch'io vole,
Ma qui fermar mi voglio, alma pudica ^
Con gentilezza antica,
Perclr altri sempre in voi m'onori ed ami '
Fra reti e nodi ed ami:
Qui sarò cara al mondo; e 'n questa parte
Non vi alberga fortuna, anzi bell'arte.
Qui la bellezza ed 'io faremo a prova
Queste genti felici e questa etade.
E, s'è vera virtù vera beltade.
Io sarò quel che piace e quel che giova.
a66 RIME AMOROSE
Tacque, dò «detto: ed ora in voi ai trova
D^un bel diamante quadro e mai non scemo
Fatto un seggio supremo,
E rìsplende in più forme e 'n varj modi,
E con diverse lodi^
E, perchè muti ad or ad or sembianza,
Non è discorde a sé che tutto avanza.
Ma con più bel concento
Tempra soavemente i suoi desirì.
Le parole e i sospiri,
E i raggi e '1 foco d^ onorate voglie ,
Avvolta in si leggiadre e care spoglie.
CANZONE X.
In lode della stg. Porzia Mari. Il nome di questa
dama gli apre il campo a considerarla come un
mare, per accrescer F eccellenza del quale egli
ritrova peregrini e valghissimi concetti.
O felice onorato almo terreno
Che quinci f Adria inonda.
Quindi il Tirren circonda.
Non ti bastava intorno aver due mari,
E sì difesa Funa e P altra sponda?
Ma in mezzo F ampio seno.
Sotto il ciel più sereno,
Ne vagheggi un ch^è dolce e senza pari.
Tutti 1 lumi più chiarì,
E le fiamme più belle
Delle notturne stelle
Si fanno specchio in questo puro argento.
Che non perturba il vento ,
Né confonde le piogge e le procelle}
RIME AMOROSE 367
E 'n altra parte il Sol non è ai vago
Di vagheggiar la sua lucente imago.
Qual purpureo color cPonde sanguigne
Fu si vago giammai,
O di. lucenti rai,
O di negre viole in sulT aurora ,
Quando Progne rinnova i dolci lai,
E Tana si dìpigne,
E voi, stelle nenigne,
Vi dimostrate rugiadose ancora? '
Qual altro si colora,
Qual zaffiro o qual ostro,
Che a questo bianco Mare oggi non ceda,
O parta il sole, o rieda?
A questo Mar che non ha scoglio o mostro,
E colla via, chMmbianca il ciel, contende.
Di tanteT luci ognor fiammeggia e splende ?
Segno il candore, e. la bellezza è segno
Di qu&to Mar c^ha pace
Non incerta o fallace,
E lunge mostra il porto e i lumi santi.
Di cui rìsplende quasi chiara face;
Né fortuna o dìsaegno
Può nel ^no stabil regno.
Né sono di Sirena i dolci canti,
Né perde i legni erranti
Mezzo tra Fonde ascosa
Con voce insidiosa;
Ma delle Grazie il dilettoso coro,
E quel concento loro
Ch^ umiliar potrebbe alma feroce;
Ma nel musico Mar, non d^aure o d'acque,
Ma di virtù Falta armonia ci piacque.
Or non si vanti allor che più rìsuona
a68 RIME ilMOROSE
Con tante isole Egeo;
Non quello in cui perdéo
Dedalo il figlio che troppo alto ascese^
E per altero volo in mar cadéo:
Ch^a lui palma o corona
Gloria non cresce o dona.
Non vittoria immortai d^ aspre contese :
Ma Funo e F altro prese
Dal sepolcro la fama,
Per cui piange e richiama
Arianna Teseo con alte voci
Da^ suoi legni veloci ,
E sovra il lido ancor sospira ed ama;
Per cui d^ Icaro il volo e 1 duro caso
Si rinnova dall^Orto al nero Occaso.
Ma dura tomba e sconsolata morte ,
O ventura nemica,
O mesta fama antica
Pregio non giunse a questo Mar si* puro,
Ch'un vago seno mormorando implica:
Anzi con miglior sorte
E con note più scorte
S^ appella , e mai non vede il cielo oscuro ;
Ma tranquillo e securo
È 1 suo porto soave
A fortunata nave 3
Né teme di tempesta o d^atro nembo
n casto e nobil grembo,
O pur di verno tempestoso e grave ;
Ma vi fan cari ed amorosi balli
Ninfe adorne di perle e di coralli.
Canzon, le vele negre
Non spiego per obblio.
Onde il buon re morio;
RIME AMOROSE 26^
Né tanto innalzo F incerate penne ^
Che di cadere accenne;
Né clona di sepolcro aver desio:
Ma basterà y se questo sole e F aura
Le forze ai suo valor cresce e rìstaura.
. CANZONE XI
jilla sìg. Olimpia, dandgeUa di D. Eleonora San-
viiaii duchessa di Scandiano, Artìfìùosamente s* in-
gegna di persuaderla a disarmare il rigore della
sua padrona,
O con le Grazie eletta e con gli Amori,
Fanciulla avventurosa,
A servir a colei che Dea somiglia j
Poiché '1 mio sguaVdo in lei mirar
I raggi e gli splendori
non osa
£ '1 bel seren degli occhi e delle ciglia ,
Né Falta maraviglia
Che ne discopre il lampeggiar del riso,
Né quanto ha di celeste il petto e '1 volto,
Io gli occhi a te rivolto ,
E nel tuo vezzosetto e lieto viso
Dolcemente m^ affiso:
Bruna sei tu , ma bella ,
Qual vergine viola; e del tuo vago
Sembiante io si m'appago.
Che non disdegno signoria d'ancella.
Aentre teco ragiono , e tu cortese
Sguardi bassi e furtivi
Volgi in me, del tuo cor mute parole ... *
Ah I dove torci i lumi alteri e schivi ?
Da qual maestra apprese
370 RIME AMOROSE
Hai Fein[ne usanze, e *a quai barbare scuole?
G>8Ì mostrar si suole
La tua donna superba incontrs^ Amore,
£ fulminar dagli ocelli ira ed orgoglio.
Ma tu del duro scoglio,
Ch'a lei cinge ed inaspra il fre^ido core,
Non hai forse il rigore:
Non voler, semplicetta,
Dunque imitar della severa fronte
L^ ire veloci e pronte j
Ma, snella ne sgomenta, or tu n^ alletta.
Mesci co^ dolci tuoi risi e co* vezzi
Solo acerbetti sdegni
Che le dolcezze lor faccian più care;
Ned ella a te gli atti orgogliosi insegni
E i superbi disprezzi,
Ma da te modi mansueti impare.
Oh! se tu puoi destare.
Scaltra d^Amor ministra e messaggiera,
Fra tante voglie in lei crnde e gelate.
Scintilla di pietate,
Qual gloria avrai dovunque Amor impera?
Tu voce hai lusinghiera
E parole soavi,
Tu i mesti tempi e i lieti, e tu dei giochi
Sai gli opportuni lochi,
E tieni di quel petto ambe le chiavi.
So ch'ella, amssa ai micidiali specchi.
Suoi consiglier fedeli,
Sovente i fregi suoi varia e rinnova;
E qual empio guerrier, eh* arme crudeli
A battaglia apparecchi.
Le terge ad una ad una e ne fa prova.
Tal ella affina e prova
RIME AMOROSE 371
Di sua bellezza le saette e i dardi
Se siano acuti e saldi: « Al cor non giunge
Questo 9 ma leggìer punge}
Quest^ altro (dice) uccide si^ ma tardi}
Da questo uom che si guardi
Può schermirsi e fuggire }
È inevitabil questo. » — Or tu chMntapto
U crìn r adorni e ^1 manto ,
Così le parla , e così placa V ire :
M O dell'armi d'Amore adorna e forte
Guerriera ribellante.
Che lui medesmo che t'armò disfidi,
Qual petto è di diaspro o di diamante ,
Che (u strazio e di morte
Al balenar degli occhi tuoi s'affidi? «
Clii non sa come uccidi?
Ma chi sa come sani, o come avrive?
Dell' armi tue sol le virtù dannose
Son note, e l'altre ascose.
Perchè di tant'onor te stessa prive?
Ah j luci belle e dive ,
Ah voi non v'accorgete
Ch'a' vostri rai rinovellar vi lice
Un cor, quasi fenice,
E le piaghe saldar che aperte avete.
« Or che tutti son vinti i più ritrosi
E i più alpestri e selvaggi,
Scoprite altro valor in altri eflfetti:
Dolci gli strai vibrate, e misti i raggi
De' fólgori amorosi
Sian con tempre di gioje e dì diletti;
Sani i piagati petti,
E ne' cor per timor gelati e morti
Desti spirto di speme aure vitali.
/
vji HIME AMOROSE
Oh fortunati mali!
Diranno posda! oh liete e care morti I
Ne più gli amanti accorti
Temeran di ferita^
Ma di morir per si mirabil piaghe
Farà F anime vaghe
Un bel desio di rinnovar la vita. » —
G)8Ì le parla 3 e con faconda lingua
Lusinga insieme e prega;
Ch'alfin si volge ogni femmineo ingegno. —
Ma che rileva a me, sebben si pi^a?
Cresca pure, ed estingua
GF illustri amanti il suo superbo sdegno ;
Me nel mio stato indegno
Uumil fortuna mia sicuro rende.
Vii capanna dal Ciel non è percossa j
Ma sovra Olimpo ed Ossa
Tuona il gran Giove, e Falte torri offende.
Quinci ella esempio prende. —
Ma tu, mio caro oggetto,
Non disdegnar che la tua fronte lieta
Del mio desir sia meta,
£ fa de' colpi tuoi segno il mio petto.
Vanne occulta, canzone,
Nata d'amore e di pietoso zelo,
A ouella bella man che con tant'arte
L'altrui chiome comparte:
Di' che t' asconda fra le mamme e '1 velo
Dagli uomini e dal Cielo.
Ah, per Dio, non ti mostri!
E, se scoprir ti vuol, ti scopra solo
Air amoroso stuolo,
Né leggano i severi i détti nostri.
RIME AMOROSE 373
CANZONE Xn.
Alla Nana della duchessa di Ferrara, Cerca varj
concetti per lodarla, e fra gli altri la paragona,
anzi la prepone a* Giganti , cavando t argomento
dagli effetti; ma soggiugne che il suo maggior
vanto è C essere ancella della duchessa.
O d'alta donna pargoletta ancella,
O leggiadretto mostro,
In cui si volle compiacer Natura!
Questa si viva e giovenil figura
È meraviglia più gentil di quella
Ch'anco per fama dura
E nelle carte e nel purgato inchiostro,
Che descrìve i giganti al secol nostro;
Perocòhè l'invaghir del far paura
È più gradito eflfetto:
Quelli odiosi fur, tu cara sei 3
E '1 tuo cortese aspetto
Vagheggiano i superni erranti Dd.
E, benché l'uno in cima all'altro monte
Portar non osi o possa.
Per altra nova strada al cielo aspiri,
Mentre gli occhi ove infiamma i suoi desirì
Alma reale, e la serena fronte
Della tua Donna miri,
Scala più degna assai d'Olimpo e d'Ossa.
Avventuroso ardir , felice possa ,
Fermare il guardo ne' celesti giri
Di si lucente Sole!
E veder come intorno a si bei raggi
Ta^ìso, Voi. IV. '18
374 &IMB AMOROSE
Amor saetti e vote,
£ dMre al ciel discopra alti viaggi!
Par non discese in te fulmine ancora^
Né turbò state o verno
n bel seren che par di paradiso j
Ma con tranquille ciglia e dolce rìso
Ella t^ ascolta e guarda , e suol talora,
Se ti rimira in viso.
Mostrarti segno del piacer intemo
Quando tu prendi gu altrui detti a scherno
Si dolcemente, ch^ei ri man conquiso;
O quando i vaghi passi
Tu movi con si onesti e bei sembianti,
Ch^ ammollir ponno i sassi j
O pur, come Angeletta , lor suoni, or canti:
O quando, ove son donne in bella schiera,
£ vagliono assai poco
Le difese e gli schermi incerti e frali.
Fai dolci piaghe alle maggiori eguali.
Tal ferir suole altrui picciola fera,
£ pronto augel sulFaU
Cader a piccini ferro • e picciol foco
Arder gran torre. £ Denciiè sol per gioco
Amor da te sparga faville e strau.
Per gioco ancor s^ accende
Spesso gran fiamma, e fassi apipia ferita;
E spesso toglie e rende
Per gioco il mio signore altrui la vita.
Fra sì mirabil gioco il tuo bel nome
Ognor cresce e s* avanza,
£ pari a^ più famosi ornai diviene;
Perchè delle tue luci alme e serene.
Delle vermiglie guance e delle chiome
RIME AMOROSE 275
Che fan quasi catene,
Di quella piana angelica sembianza
Onde conviti alcuna volta a danza,
Deir armonia ch'in pregio egual si tene,
Parlar sovente s^ode
Fra donne e cavalieri ove si dia
Onor verace e lode
A valor, a bellezza, a leggiadria.
Ma qual lode maggior, che F esser degna
Di servir lei, che tanto
Di grazia e di favore a te comparte ?
E se Natura ui te scherzò, se Parte
D'accrescer sempre tua beltà s'ingegna,
E Toma a parte a parte ,
Caro t^ è sol perchè le vivi accanto ,
Perchè le piaci, e sprezzi ogni altro vanto.
O fortunata in fortunata parte ^
Cosi vien che t'esalti
GrazVoso difetto, e chiaro albergo
In versi ddci ed alti
A te prepari, chMo polisco e tergo.
Picciola mia canzone ,
Vattene, ornai che sei vaga ed adonìa,N
Dove amor con ragione ,
E cortesia con onestà soggiorna.
376 RIME AMOROSE
CANZONE Xm.
Alla Pietà. La scongiura a penetrar nel cuore di
D, Lucrezia (TEste duchessa d* Urbino ^ a^ffinch'ella
se gii faccia interceditrice di grazia appresso il duca
Alfonso suo fratello, — Pare die dettasse questa
canzone dallo spedale di S. Anna.
Santa Pietà, chMn cielo
Fra gli angelici cori
Siedi beata e Palme eterfiè e sante,
Ed accesa di zelo
Scaldi gli alati Amori
Di novo e dolce foco , e U primo amante !
Sallo il Ciel, che cotante
Opre tue elette e sole
Vede; sallo la terra,
Ch^uscì per te di guerra,
E 'n grembo ricevè divina prole
Fatta al Cìel graziosa ,
Siccome ancella cli^al Signor si sposa.
Tu ti parti di rado
Dalla magion etema,
Ch^è del ciel luminosa e delle stelle;
E prendi lieta a grado,
Per piagge ove non venia ,
Non turbate da nembi o da procelle.
Sempre egualmente belle.
Ir rimirando intomo
Or questo ed or quel giro,
E 1 cristallo e 1 zaffiro ,
L'un puro, e F altro d^alme luci adorno,
E 1 bel foco, e U bel latte,
E 1 campo che trionfa , e non combatte.
IlIME AMOROSE 377
E se affetto cortese
Pur a scender tMnduce
Ne^ regni che la morte ange e contrista^
Sprezzi Pumil paese ^
Sprezzi r incerta luce
Di tenebre , di nubi ^ o d^ ombre mista :
Né puoi fermar la vista
In cosa che t^ appaghi,
Ma ciò ch^ ondeggia e gira ,
Ciò ch^ esala o che spira,
Sdegni egualmente e i fissi seggi e i vaghi:
Sol negli umani aspetti
Un non so che divin par che t^ alletti.
Ah! discender ti piaccia /
Ov'io t'invito 5 ah! vieni,
£ vedrai forma alle celesti eguale 3
Donna chMn chiara faccia
Vince i vostri sereni,
Ch'angìol la stimi, e chiedi: Ove son Tale?
Che nel volto reale
La maestà riserba
Di chi r alta sua imago
V impresse , e n' è sì vago ,
Come di specchio bel giovin superba 3
C ha il Sol negli occhi e 'n tempre
Dolci , ond' uom ne gimsca ^ e non si stempre j
Che del latte la strada ^
Ha nel candido seno^
E Toro delle stelle ha nel bel crine 3
Nei lumi ha la rugiada
Che dal volto sereno
Spargon quaggiù notturne e mattutine^
Che r armonie divine
Ha nelle dolci note ^
2178 HIME AMOROSE
O facciano i concenti
Gli aiti angelid accenti;
O 1 corso di vdoci e pigre rote^
Sicché) vistala in viso^
Dirai: Venendo a te, m^ imparadisa
Ma della nobil alma
Chi narrerebbe i pregi ,
Senno, virtute, alti costumi onesti ?
Tu. che corona e palma.,
E di stelle aurei fregi .
Spesso gli eletti meritar vedesti,
Fra^ santi, fra' celesti,
Fra gli iangelici spirti
Bipor puoi la ben nata
Beale alma onorata.
Cui fan ghirlanda cui gti allori e' mirti;
£ ^n ciel via più felice
Fregio avrà, che Arianna e Berenice.
Ma tu sol manchi forse
Nel bel seno, o Pietate,
E '1 coro fai di sue virtù imperfetto :
E ben già se n^ accorse
Fin da sua prima etate
Stuol diamanti che n^arse, e fu negletto 3
Perchè inasprissi il petto
Di rigor cosi saldo ,^
Che diamante o dibspro
Non fu mai così aspro.
Sicché d'Amor non penetrasse il caldo 3
Né tu. Pietà, v^enti^asti.
Se non dietro a^ peusier pudichi e casti.
Or prendi per iscorte
Onestà , Cortesia ,
Bella Pietade , e nel bel sen penetra :
RIME AMOROSE %jq
E la mìa dura sorte
In voce umile e pia
Narra; e del petto il bel diamante spetraj
E grazia ornai mMmpetra,
Clv^a' miei duri tormenti
Non rivolga si tardi
I dolci onesti sguardi ^
E chMncliini Voreccliie a^ miei lamenti}
E che 1 caro saluto
Noli discompagni da cortese ajuto.
E; perchè appien consoli
II mio angoscioso stato
Clì^è di nuova miseria estranio esempio ^
Rivolga i duo bei Soli
Nel gran fratello amato ^
E preghi fine-^l mio gravoso scempio^
Promettendo ch^al tempio
Della sua eccelsa gloria
Consacrerò divoto
• La mia fede per voto,
Con segni etemi d^ immortai memoria}
E fiano i falli miei
Di sua real clemenza alti trofei.
Chi ti guida ; canzone, o chi V impiuma?
Sol certo Amore e Fede.
Vola adunque, e Mercè, grida, mercede.
aSo RIME AMOROSE
CANZONE XIV.
Per M, Leonora àé Medici, principessa di Mantosfa.
Secondo altri , per M, Lucrezia J! EsU duchessa
d^ Urbino» — Si volge alla Fama, dicendo che
maggiore di lei h V inclita dama, e la invita a
far uso per celebrarla delt idioma toscano.
Fama^ che i nomi gloriosi intonip
Porli, e Fopre diTuIghi e i falli egregi
Più volenlieri o v' è Y onor più bello ,
Qual pompa illuslre di irìonfo adomo
Con vinti duci e catena ti regi,
Con spoglie dì nemico o di rubello,
Qual Cesare, o Marcello,
(^ual Divo, qual eroe con tinte penne
È degno di volar per F Occidente,
O centra il Sol nascente,
O dove il mauro Atlante il cid sostenne,
O su i monti riféi, com'era è questa
Cui fa bella onestà, bellezza onesta?
Fama , tu sei com' aura : e , s' ella suole
Volar, tu voli} e, se risuona e spira.
Tu spiri e tu rimbombi in varie parti:
Ma lei move sovente il nuovo Sole;
Te disdegnoso dal suo ciel rimira
Quanto più t^ allontani e ti diparti
Empiendo Armeni e Parti
Ed Assirj e Caldei d'un chiaro nome:
Ed ella di viole e d'altri fiori
Sparge più dolci odori
Quanto più lunge dispiega le chiome;
Tu di mille virtù Fodor lontano
Porti minore, e d'una bianca mano^
RIME AMOROSE a8i
Qual peregrino ornai canuto e stanco^
Già declinando il Sol^ talvolta arriva
In un prato di fior^ vago e dipinto ^
Verde, giallo^ purpureo, azzurro e bianco,
O sovra una fiorita e fresca riva;
Ma Fodor del narciso o del giacinto
Non è da lui distinto,
O di candida rosa o di vermiglia:
Tal io d'alti costumi e dolci e gravi,
Mille spirti soavi
In lei sento confusi (oh meraviglia!)^
Né sì beHa armonia le nostre lodi,
Come sue tempre , fanno , o 'n tanti modi.
O Fama, a lei presente, un'ombra al vero
Tu mi somigli: or perderai dalFaura,
Se da lei perdi? Oh rapida, oh, volante,
Air Indo il volo addoppia ed alliberò,
E le forze e le voci , Amor, ristaura:
Giungi piume alle spalle e nelle piante;
E, snella tante e tante
Lingue non cura o si discorde suono,
Parla tu co^ leggiadri e toschi accenti
Ch'addolcir ponno i venti,
E far che si dilegui il nembo e '1 tuono ;
E quinci Tlstro e quindi il Nilo intenda
Quanto lume del cielo in lei risplenda.
Questa è la colta lingua a cui s'accrebbe
Coli' imperio de' suoi la gloria in guisa ,
Che far può di molt' altri il nome oscuro,
E quel degli avi eccelsi ornar dovrebbe
D'eterni onori: e non fu mai divisa
Terra dal mare, ove nx>u luce Arturo,
Che l'alto e dolce e puro
Parlar non prezzi, e chi più fugge il volgo.
98a RIME AMOROSE
E sembra aquila al volo, e dgno d canto.
Ma lasso! io pur intanto
L^ale a^ miei vaghi versi ornai raccolgo^
E, se tu pogei al gran J Olimpo, io giaccio
Colla cetra alle falde , e penso e taccio.
Canzon, le selve e i monti
Passa la vaga Fama, e* fiumi e' mari.
E spesso il capo entro le nulx asconde:
E tu la terra e Ponde
Cerca, s^al tuo voler la forza è parì^
Che F onorato nome in fronte impresso
Lunga gloria può darti ^ e grazia appresso.
CANZONE XV.
Par che questa canzone /osse fatta per Leon. San-*
vitale in occasione ch'ella danzò con altre quattro
darne. Secondo alcuni pesò, è diretta a D. Maria
di Sa^oja; e secondo altri ^ aUa contessa Ottoida
Gualdi MorarL — // poeta paragona le cinque
danzatrici alle stelle; ma, bencKb di tutte si mo-
stri ammiratore , si dichiara invaiato della piti
bella, eh* egli assomiglia ad Espero*
Donne cortesi e belle,
Che di luce amorosa
Gli occhi appagate, ed accendete i cori,
Quasi lucide stelle
In questa notte ombrosa
Sgombrate voi le tenebre e gli orrori.
Sono i celesti errori ^
Vostri belli sembianti;
E, quando con sorriso
Viso volgete a viso,
RIME AMOKOSE aS»
Tai san eli aspetti delle stelle erranti 3
E virtù da voi piove,
Qual sovra noi Marte F infonde o Giove.
A voi gli etemi lumi
Han t^oncesso il governo
Dell^ alme umane e V amoroso impero :
Voi create i costumi 3
E voi nel petto interno
Mutate ad or ad or voglia e pensiero.
SMo languisco e se pero,
S'altri gioisce e gode,
A voi s'ascrìva; a voi
Rechi gli affetti suoi
Ciascun amante, e vi dia biasmo o lode :
Gilè, s'egli caneia stato,
Gira co' giri de vostri occhi il fato.
Voi, lontane dal Sole,
Da lui la luce avete:
Ed ei col suo splenaor non vi nasconde:
Ma le vostre carole
Dolci, amorose e liete
Tempra il suo moto, c'I vostro al suo risponde.
Care luci gioconde ,
Quale stella è nel cielo.
Che spiegasse giammai
Si chiari e vaghi «rai?
Ma , se nube e se nebbia a lor fa velo ,
Cela nebbia e vapore
D'ira e di sdegno il vostro almo splendore.
Oh , se sempre tranquille
Fosser le luci vaghe,
Qual indi attenderei vita felice!
Ma che? nelle faville
Spirto Jamor, che vaghe.
a84 RIME AMOROSE
Parrìa fienfalla , e non parria fenice :
Perchè solo al Sol lice
Destar foco vitale
Ove con breve pena
Ella morendo appena
Rinasce e rìnno velia i membri e Fale,
Ma^ se al Sol non v^ agguaglia
Questo mio rozzo stil^ nulla ven caglia.
Che scegli è senza pari^
Agli amanti è molesto,
E i dolci frutti lor scopre e rivela.
Gli altri lumi men chiarì
Son più cortesi in questo^
Si chiamante di lor non si querela.
Guida lor luce e cela^
Quando coir ombre è mista,
Ai diletti furtivi
I vergognosi e schivi,
A cui forse del Sol spiace la vista.
Questa lode mMnsegna
Darvi Amor, ch^in voi scherza, ed in me regna.
Ma pur fra voi più Funa
È deir altre lucente,
Si ch'alia stella dell'Amor somiglia,
Che, quando il ciel s'imbruna.
Si mostra in Occidente,
Poi sorge innanzi Falba aurea e vermiglia,
E dalle liete ciglia
Dolci rugiade versa,
Onde i fioretti e Ferbe
Si fan. vaghe e superbe,
E par la terra di diamante aspersa:
A te le luci mie
Volgo, o stella, che serri ed apri il die.
RIME AMOROSE a85
L^ altre io ben lodo e miro,
Ma te canto e vagheggio^
Te che degli occhi e del pensier sei segna
Col tuo lume mi giro,
E sol per grazia bheggio
ChMo te veda senz^ira e senza sdegno.
Tu fecondar P ingegno
Puoi col soave raggio,
E rinfrescar l'arsura
Colla rugiada pura,
Si eh' abbia frutti e fior' Y aprile e U maggio ,
Onde poscia n' adorni
Gli altari tuoi ne' festi alteri giorni.
Vanne, mia canzonetta, e fra le cinque
Rimira la più bella ^
A lei t' mchina riverente ancella.
CANZONE Xyi.
y^lle principesse di Ferrara, Dice di sentire anch' egli
gt in/lussi della novella stagione, e che né* suoi
vaneggiamenti si crede trovarsi insieme colle dette
principesse , per le quali brama di morire e acqui"
star fama.
Già il lieto anno novello
Dalla man dell'amante
Nel celeste Monton Venere prende}
E nel felice ostello
Con si lieto sembiante
Gli occhi in lui volge, che d'amor l'accende:
Ed ei benigno splende
Ver lei converso; e mille
Dal lampeggiar del riso
a86 RIME AMOROSE
De Tuno e F altro viso
Piovon (Falla virtù calde faville^
E non par^ come suole,
Degli amor loro invidioso il Sole.
Al lor riso amoroso
Giove arrìde y e sMlegra
Ogni altro Dio del ciel slabile e vago;
Né lesse il vecchio sposo
Nella fucina negra
Reti ond^ avvinca Famalrìoe e '1 vago.
Ma par eh' anch' ei sia pago
De' suoi nobili scorni ,
E 'nsieme arme e monili
Tempra e fregi gentili ,
Ond' abbellisca sue vergogne ed orni:
Frattanto acceso è in zdb
D'amor Farìa^ la terra e Facqua e'J cielo.
La lor doppia virtute
Infonde ardire e forza
Negli augei, nelle fere e negU armenti;
L'ispide coste irsute
Indura a dura scorza
L'aspro cinghiale , e Fire aguzza e i denti;
Piede col- corno i venti
Il tauro anzi F assalto,
E poi col suo rivale
Viene a pugna mortale,
Tingendo i paschi di sanguigno smalto,
Finché F amata e'I regno
L'un cede, e partS pien d'onta e di sdegno.
La generosa belva
Erra, obbliando i figli,
Dietro il suo maschio: Amor le s^na Forme:
Ed han nell'alta sdva
RIME AMOROSE
Vie più ferì gli artigli
Le tìgrì iururìate e i orso iafonne -,
Ne freddo o pigro dorme
Spirto d^amor guerriero;
£ '1 cervo , il suo natio
Timor posto in obblio,
Sen va con fronte minacciosa altero,
Né, come suol, sospetta
S^ode veltro latrar, fischiar saetta.
Che dirò delle linci?
Che de^ pardi dipinti?
Che di tanti altri, Amor, timidi e forti?
Se non che, mentre vinci.
Tu rendi invitti i vinti,
E, mentre inganni^ gF ingannati accorti.
Oh dolci vezzi e scorti!
Oh bell'arme celesti!
Ove maggiori effetti,
Che negli umani petti
Oprate, od in quai più che negli onesti?
O quale è miglior esca
Ov' onorato .ardor s' apprenda e cresca ?
Di mezza notte il verno
A^ nembi ^ alle procelle
Crede la vita il giovinetto audace,
E prende i flutti a scherno,
Che a lui per molte stelle
Yagliono i rai d' un' amorosa face j
E di questa a sé face
Orse insieme e Polluce;
E dal turbato vento
A difendere é intento
ColPale Amor la tremolante luce,
E nel suo cielo ei pensa
Che fia poi stella agli amatori accensa.
184
a88 RIME AMOROSE
Altri y ov' a pugna invita
Il metallo canoro,
Fa di sé ne' teatri altera mostra;
Né ghirlanda fiorita
Di fior\ d' argento e d' oro
n move, o ricco pregio altro di giostra,
Ma Quella ch'or si mostra
Vergine bella, ed ora
Con un bel ver s' asconde ,
Qual augellin tra fronde,
O 'n mar delfino, o 'n vaga nube aurora,
E eh' al pensier propone
Altri prem), altro arringo ed altro agone.
Negli amori del mondo
Sento ch'in me s'indonna
Virtù ch'in tutte l'alme or signoreggia)
E col desio m'ascondo
Spesso in leggiadra gonna,
Qual nuovo Achille entro femminea greggia;
E si '1 pensier vaneggia ,
Che poi di veder panni
Chi militari spoglie
Mi mostre e me n' invoglie,
Ed odo un suon di tromba, e corro all'armi:
Alfin, del vero avvista,
L' alma il suo dolce error piange e s' attrista.
Misero ! chi mi tragge
Dal loco in cui Foiluna,
Vie più spesso ch'Amor, vien che saette?
Oimè ! chi mi sottragge
Agli strali dell'una,
E dell'altro al ferir segno mi mette?
Belle ed al Ciel dilette
Suore, eh' a me sarete
Donne, non già, ma Dive
RIME AMOI^OSE 389
Vere e presenti e vive.
Udite i preghi miei benigne 'e liete,
£ guidate in arringo
Me, .che scherzando incontra voi m* accingo.
Canzone, in vago monte ire a diporto
Ambe vedrai j d!: Brama
Campo qui no, ma sepoltura e fama.
CANZONE XVn.
Ran^H}^na la Luna per aver voluto scoprire 1 suoi
notturni amori
Chi di mprdaci ingiuriose vod
M^arma la lingua, come armato ho '1 petto
Di sdegno? e chi concetti aspri m'inspira?
Tu , che si fiera il cor m^ ancidi e cuoci ,
Snoda la lingua e movi T intelletto,
O nata di dolor giustissim' ira.
Vada or lunge la lira;
Conviensi altro istrumento a si feroci
Voglie, in A grave effetto,
Talché fin di lassù n'intenda il suono
L'inìqua Luna, in cui disnor ragiono.
Già spigava nel del l'umide Qmbrose
Ali la figlia della terra oscura
Col silenzio e col sonno in compagnia,
Ed involvea delle più liete cose
Nelle tenebre sue quella figura
Per cui tra lor eran distinte pria ;
Diana ricopria
U volto suo tra folte nubi acquose
Sparse per l'aria pura,
Tamo, FoL ir. 19
ago RIME AMOROSE
Per mostrarsi (ahi crudele!) in tempo poi
Che fosser più dannosi i raggi suoi.
Allor, mosso io da Amor, tacito mossi
I passi per la deca orrida notte
Vèr quella parte ovMia il cor gioja e pace;
Ma^ gli atri veli suoi da sé rimossi^
Folgorò Cintia, e nelle oscure grotte *
L'ombra scacciò con risplendente face.
Così al pensier fallace ,
Quando alla riva più vicin trovossi,
Fur-4e vie tronche e rotte j
Cosi seccò nel suo fiorir mia speme ^
E dura man dal cor ne svelse il seme.
Or che dirò di te, Luna, rubella
D'ogni pietà y di quel piacer ch'infonde
Amor ne' lieti amanti invidiosa?
Ahi! come adoprì mal la luce bella
Che non è tua , ma in te deriva altronde ^
Benché vadi di te lieta e fastosa.
Tu per te tenebrosa
£ via men vaga sei d'ogni altra stella
Ch'in ciel scopra le bionde
Chiome; e quel bel che i rai solar* ti danno,
Tutta impieghi spietata in altrui danno.
Forse ciò fai, perchè i lascivi amorì
Pudica aborri, e di servar desirì
In altri il fior di castità pregiato?
Deh! non sovvienti che tra l'erbe e i fiori
Scendesti in terra dai superni giri
A dimorar col pastorello amato?
E che ti fu già grato
Temprar di Pane i non onesti ardori,
Quetando i suoi sospiri,
"N^nta da pregio vii di bianca lana,
Da pietà no, che sei cruda e inumana?
RIME AMOROSE 291
Oh ! quante volte ad Orion , che carco
Di preda e dì sudor fea dalla caccia^
Stanco dal lungo errare, a te ritorno ,
Sciugasli col tuo vel Tumida faccia,
E di tua propria man lentasti l' arco ,
E lasciva con lui fèsti soggiorno!
Ma '1 vergognóso scorno
Non soffri Apollo e F oltraggioso incarco 3
Anzi seguì la traccia
Del tuo amatore , e fé' eh' a lui la vita
Togliesti incauta con crùdel ferita.
lien ti dee rimembrar che poi scorgesti
Estinto il caro corpo in riva al mare,
Che del tuo strai trafitta avea la fronte;
Onde tu sovra quel, mesta, spargesti,
Lavando la sua piaga in stille amare,
Dall'egre luci un doloroso fonte,
Dicendo: Ahi! man', voi, pronte
All' altrui morte , vita a me togliesti ;
Che non si può chiamare
Vita or la mia, se non vogliam dir viva
Chi dell'alma e del cor il Fato ha priva.
Pur forse, o Dea, ten vai del pregio altera
Di castità, perchè ferino volto
Vestir fésti Atteón, spruzzando l'acque.
Or dimmi, lui rendesti errante fera.
Perchè ti vide il bel del corpo occolto?
O perchè alle tue voglie ei non comjMacque?
Ver è, sebben si tacque.
Ch'egli à forza, e con voglia aspra e severa.
Dalie tue braccia sciolto,
Sen gisse, mentre tu, d'ardor ripiena.
Al collo gli facéi stretta catena.
Ma tu t'ascondi, ed agli accesi rai
aga &IME AMOROSE
Tenebre intorno aspei^, or de^ tuoi falli
Udendo di quaggiù vere novelle.
Chiuditi pur^ né ti mostrar più mai,
Percbò non merti in ciel vezzosi balli
Guidar in compagnia delF altre stelle:
Cosi de. le fiammelle
Sue cbiare il Sol più non tMndori ornai;
E reggere i cavaUi
Notturni il Fato a te vieti in etemo,
Donando altrui di lor Paltò governo.
CANZONE XVm.
Per la operala euarighne di D. Leonora éTEsie. —
Il poeta le Mede in prima che g&' sia permesso
di celebrarla né* suoi versi; poi tocca deV impresa
sione che fece nel suo cuore t aspetto di lei la
prima w}lta che la vide; indi mostra che ^ se tanta
beltà non fosse stata in parte adombrata daUa
sofferta malattia 9 ne sarebbe staio arso ognuno
che r Oi^esse contemplata; da ultimo^ non tdtro
ravvisando che marnar bene in tal pencolo , fa
voti perche il Geloìe ridoni la primiera sanità.
Mentre eh* a venerar movon le genti
U tuo bel nome in mille carte accolto, *
Quasi in celeste tempio idol celeste;
E mentre e* ha la Fama il mondo vólto
A contemplarti 9 e mille fiamme ardenti
D' immortai lode in tua memoria ha deste,
Deh! non sdegnar ch'anchMo te canti, e'n queste
Mie basse rime volontaria scendi,
Né sia r albergo lor da te negletto;
Ch^anco sott*umil tetto
S'adora Dio, cui d'assembrarti intendi;
/
RIME AMOROSE ag3
Né sprezza il puro aflfetto
Di cni sacrar face mortai gli suole,
Benché splenda in sua gloria etemo il Sole, x
Forse y come talor candide e pure
Rende Apollo le nubi, e chiuso intórno
Con lampi non men vaghi indi traluce, •
Così vedrassi il tuo bel nome adorno
Splender per entro le mie rime oscure,
E 1 lor fosco illustrar colla sua luce;
£ forse anco per sé tanto riluce,
Che, ov' altri in parte non P asconda, e tempre
U infinita virtù de' raggi sui,
Occhio non fia che 'n lui
Fiso mirando non s'abbagli e stempre:
Onde, perché ad altrui
'Col suo lume medesmo ei non si celi,
Ben dei soffrir ch'io sì l'adombri e veli.
Né spiacerti anco dee, che solo in parte
Sia tu beltà ne' miei colorì espressa
Dallo slil eh' a tant'opra audace move;
Però che, s' alcun mai, quale in te stessa
Sei) tale ancor ti ritraesse in carte.
Chi mirare oserìa forme, sì nove,
Senza volger per tema i lumi altrove?
O chi, mirando folgorar gli sguardi
DegU occhi ardenti, e lampeggiare il r^^
E '1 bel celeste viso
Quinci e quindi avventar fiammelle, e dardi,
Non rìmarrìa conquiso, '
Bendi' egli prima in oeni rischio audace
Non temesse d'Amor l'arco e la face?
E certo il primo dì che '1 bel sereno
Della tua fronte agli occhi miei s' offerse ^
E vidi armato spaziarvi Amon> ,
194 I^IME AMOROSE
Se non die riverenza allor converse
E meraviglia in fredda aelce il seno,
Ivi pena con doppia morte il core*
Ma parte degli strali e delP ardore
Sentii pur anco entro '1 gelato marmo ;
E, s'alcnn mai^ per troppo ardire^ ignudo
Vien di quel forte scudo
Ond'io dinanzi a te mi copro ed armo.
Sentirà '1 colpo crudo
Di tai saette, ed arso al fatai lume
Giacerà con Fetonte entro '1 tuo fiume.
Che, per quanto talor discerne e vede
De' secreti di Dio terrena mente
Che da Febo rapita al ciel sen voli,
Provvidenza di Giove ora consente
Ch'interno duol con si pietose prede
Le sue bellezze al tuo bel corpo involi;
Che se l'ardor de' duo sereni Soli
Non era scemo , e 'ntiepidito il foco
Che nelle guance sovra '1 gel si sparse ^
Incenerite ed arse
Morian le genti, e non v'avea più loco
Di riverenza armarsej
E , ciò che '1 Fato pur minaccia , allora
In faville converso il mondo fora.
Ond'ei, che prega il Ciel che nel tuo stato
Più vago a lui ti mostri , e eh' ornai spieghi
La tua beltà che 'n parte ascosa or tiene ,
Come, incauto, non sa che ne' suoi preghi
Non chiede altro che morte? E ben il fato
Di Semele infelice or mi sovviene,
Che '1 gran Giove veder delle terrene
Forme ignudo bramò, come de' suoi
Nembi e fùlmini cinto in sen l'accoglie
RIME AMOROSE' agS
Chi gli è sorella e ni^ogliej
Ma si gran luce non sostenne poi:
Anzi sue belle spoglie
Cenere férsi, e nel suo caso reo
Né Giove stesso a lei giovar potéo.
Ma che? forse sperar anco ne lice
Che^ sebben dono ond^arda e si consumi
Tenta impetrar con mille preghi il mondo ^
Potrà poi anco al Sol di quo bei lumi
Rinnovellarsi in guisa di fenice ^
E rinascer più vago e jhù giocondo^
E^ quanto ha del terreno e dell'immondo
Tutto spogliando^ più leggiadre forme
Vestirsi : e ciò par eh' a ragion si spere
Da quelle luci altere 3
Ch'esser dee l'opra alla cagion conforme.
Né già si puon temere
Da beltà si divina efifetti rei;
Che vital è '1 morir se vien da lei.
Canzon j deh ! sarà mai quel lieto giorno ,
Che 'n que' begli occhi le lor fiamme prime
Raccese io veggia, e ch'arda il mondo in loro?
Ch'ivi, qual foco l'oro,
Anch'io purgherei l'alma; e le mie rime
Fóran d'augel canoro,
Ch'or son vili e neglette, se non quanto
Costei LE ONORA col bel nome santo.
agfi RIME AMOROSE
CANZONE XDL
La Cappa f a imtaxione JPAnacreonit ^ al prineipe
di Parma Ranuccio Famete.
Tu, eh' agguagliar ti vanti
D'antichissimo fabro arte e lavoro ,
Dando vita alT argento e spirto all'oro,
Benché nudi giganti
Non faccian risonar d'intorno il monte,
Né s' affatichi qui Stérope e Bronte;
Non cheggio elmo, né scudo,
Né lorica, ond'io copra il petto ignudo,
l^er andar poi lontano
Da questa gloriosa antica sponda
Là 've ritarda il gelo il corso all'onda,
E 1 vìncitor romano
Di Cesare pareggia il nome e F opre ,
E quasi la sua gloria oscura e copre,
Pur n(m dimostra orgoglio.
Chiedendo allori e carro in Campidoglio:
Ma del più fino argento
Fammi lucente vaso, onde s'estingua
La sete dell'accesa e stanca lingua 3
E non mi dia spavento
Leon di stelle sparso, o fero Drago,
O gran Centauro, od altra irata imago;
Ma sol l'Aquila e '1 Cigno y
Solendan con vago aspetto e con benigno.
O VI dipingi Amore, \
Non com'ei spiega le dorate penne
Dal lucid^ekno là dond'ei sen venne,
RIME AMOROSE Ttaff
Né coli' acceso ardore
Del fólgore minacpi^ o pur colPaiico
Onde ci fere^ anzi n'uccide al varco;
Ma senza fiamme e strali,
E tutte d'oro sian le chiome e Pali.
E '1 circondi la rosa,
La rosa eh' è d'Amor premio e corona;
Corona, ond'egli gloria or toglie or dona;
Gloria che vive ed osa
Trar Tuom già morto fuor d'oscura tomba,
E muta lingua inspira e muta tromba;
E colla rosa avvinto
Faccia aurei fregi insieme il bel giacinto.
E tu, Febo, r instilla;
Sia quasi fonte il vaso,
E 1 verde colle il nostro alto Parnaso.
CANZOPte XX.
In lode dette mani detta sua donna. — * Questa e
le due canzoni seguenti furono dettate a ùnUar
7Ìone di quelle tre celebri del Petrarca sugli occhi
di M, Latun.
Perchè la vita è breve,
E pien d'ogni periglio il dùbbio corso,
E stanco omai nell'opre il tardo ing^o,
E la Fortuna il dorso
Ne rivolge, al fuggir veloce e leve,
E cangia il breve riso in lungo sdegno ,
Me pace è mai nel suo turbato regno;
Candide mani, onde sovente Amore
Ebbe mille vittorie e mille palme
Delle più nobii alme, <
39B RIME AMOROSE
A voi sacro le rime, e sacro il core:
E^ sM mìei bassi accenti
Non ergo ove sMnnalza il vostro onore,
Voi gli appressate a' begli occbi lucenti^
£ Talta via del sole altin si tenti.
Non perdilo non riguardi
Quanto è sublime il segno a cui s* aspira ,
Di candor in candor, di raggio in raggio}
Che potria sdegno ed ira
Mover da voi, non pur da' cari sguardi ,
Come sia fumil loda indegno oltraggio:
Ma chi fu nelfamar si accorto e saggio ,
Che frenasse il desio ch^n alto intenda,
Benckè minacci Amor con duri strali
Di far colpi mortali,
E, da voi mosso, Farco ei pi^hi e tenda?
Questo pensier m'an*etra,
Dove armato da voi lampeggi, e spenda
Li me la sua gravosa aurea faretra 3
Parte il timor mi volge in fredda pietra.
E, se pur non si frange
Più a dentro a' duri colpi il molle petto,
Non è virtù d'usbergo o d'arte maga;
Ma 1 timoroso affetto
In selce par che mi trasmuti e cange.
Oh meraviglia! Amor la selce impiaga;
Ma non avvien che da profonda piaga
Versi del sangue jnio tepida stilla.
' O mia fortuna , o fato , o stelle , o cielo ,
Son di marmo e di gelo,
E 1 marmo alle percosse arde e s&villa*
Per la ferita intanto
(Sasselo Amor, che saettando aprìlla)
Lagrime spargo , e 'n lagrimoso canto
Di vostra lode fo canoro il pianto.
RIME AMOROSE %g^
Dolor, perchè mi spingi
A perturbar la sua fronle serena?
Sostien^ cliMo vada ove il pensier m^hvita.
Già la mia dolce pena,
Destra gentil, che lo mio cor distringi ^
Non è tua colpa, o la mortai ferita^
Che tu risani, anzi ritomi in vita
Pur di quel colpo onde il dolore ancide.
Mani, onde il regno Amor governa e volve^
E lega Palme e solve,
Qual bellezza sì bella ancor si vide?
E , se creder vi giova
Alle due luci più serene e fide.
Voi contendete di bellezza a prova
Con gli occhi, in cui suo pari il Sol ritrova.
Neve, che geli e fiocchi
In poggio o 'n monte alla più algente bruma,
Non è sì molle, o di candor simile,
Né di cigno la piuma;
Né, per giudicio d^ altra mano o d'occhi,
Eletta perla in lucido monile:
Né ritrar vi potria laudato stile
Del buon Parrasio, o pur dMpelle istesso,
O d^ altri mai che 'n bei «colori e 'n carte
Mostrò la nobil arte,
Ed in mille bellezze il bello espresso
Mostrar già non potea: '
Altri marmi cercò lunge e da presso
In formar vaga Ninfa o vaga Dea,
Ma non scolpì celeste e vera idea.
Ed or chi voi figura,
Mani bianche e sottili, a' vaghi sensi
Con magistero oltre F usato adomo,
Fra sé medesmo pensi:
3oo aiHE AMOROSE
Qui vinta è Topra diarie e di natura,
E *1 martno e 1 puro avorio han dolce scorno.
Né gemma nasce, ove ci nasce il giorno.
Degna di tant'onor, né lucid^oro. —
Ma chi voi finge e vi colora e vede,
Ecco, dica, la Fede;
E, benché manchi il più del bel lavoro,
Creda eh' a voi risponda
LMdolo mio che nella mente adoro,
Né più in terra ricerchi, o'n aria, o 'n onda,
Grazia e beltà che 1 cielo agli occhi asconda.
Io cotanto in voi sole
Di bellezza talor contemplo e miro,
Clì'a pena ad altro oggetto i lumi afliso}
Ma se quel dolce giro
Di si begli occhi, e quel sereno Sole
Onde quaggiù risplende il chiaro viso,
Voi mi celate, e i lampeggiar del riso,
Qual bianca nube opposta o bianca luna,
Pur che di voi, mam cortesi e care,
Non vi 'mostriate avare.
Non incolpo mio fato o mia fortuna:
Voi quattro volte e diece
Pascete vista di piacer digiuna;
E, se vendetta far baciando ei lece,
I baci siano alfin di sguardo in vece*
Canzon, troppi' osi, e nulla speri, e'ndarno;^
Almen compagne solitaria aspetta,
O mercé cerca pur senza vendetta.
AIME AMOROSE 3ot
CANZONE XXI.
SuUo stesso argomenio.
Donna gentile, io veggio,
Al biancheggiar dell'onorata mano,
Di pace il pegno; e, di salute incerto,
Poscia da voi lontano
Di voi pensando, a gran pena m'avveggia
S'alia mia fé si debba o pena o merlo:
Ma, com'uom vinto, e 'n gran contesa esperto
Che non giova U ritrarsi o '1 far difesa
Contra i colpi d'Amor (si forte ei punge,
£ sì turbato aggiunge),
Gitto Farmi di sdegno all'alta impresa,
E sol per me riseroo
Lodi e preghiere, ond'i nemici ei giunge;
Di queste armato, e contra altrui superbo,
Non temo più di morte il fine acerbo.
Ma penso: Egli è pur vero
Che diva siete; e le man vostre a quelle
Somiglio, onde lo spirto ignudo uscio,
Che '1 sole e V auree stelle
Crearo e '1 più mirabil magistero
Di cui sovvienci ancor nelTalto obblio:
Così^ dico fra me, nel pensier mio
Due man leggiadre a meraviglia e pronte
Fon fare e nel mio core opre divine;
E saran pur alfine
(O ch'io nel duol vaneggio) illustri e conte;
Ed al lor grave pondo
Rendon l' anime erranti e peregrine;
3o3 RIME AMOROSE
E da lor porta impresso il cor profondo
Ciel^ sole e stelle e nova idea del mondo.
A più bel mondo ancora
Soglion mandar l'anime stanche e gravi
Dalla prigione ove già furo avvinte;
Cosi dolci le chiavi
DellMngegnoso cor volgon talora
Per liberar le soggiogate e vinte;
E 'nsierae ravvivar le faci estinte
Potriano, ed ammorzar l'accesa fiamma:
Ma sino ad or mai delle menti accense
Favilla non si spense;
Anzi il lor gelo più soave infiamma
E 'n si divine tempre ^
Che di terreno in lor non è pur dramma:
Felice ingegno, ove il pensier conteropre
Quel che dovrà nel cielo arder mai sempre.
Quante ricchezze unquanco
Avara man di Crasso o pur di Mida,
Quanto la terra o '1 mar nasconde o serra y
Col segno, onde si sfida
Da lor nell'opre il cor timido e stanco,
Non cangerei, né con lor dolce guerra:
Né r una o V altra mai vacilla od erra ;
Ma doni e gioje e grazie e versa e spande,
Quasi del Gelo, anzi del Sol ministra,
La mano ancor sinistra;
Far la destra potrìa fregi e ghirlande:
Ed alla men fallace
Scettro devrìasi imperioso e grande;
Se pur Parco di Cintia a lei dispiace,
O quel d'Amor disprezza e l'aurea face.
Ma perchè veggio o parmi
Cu ella non sol può dar salute e scampo ,
RIME AMOROSE 3o3
Ma palma e fama gloriosa etema
Nel duro instabil campo
Di nostra vita, io cbieggio e palma ed armi,
Armi di luce e di virtù superna,
O lauro almen, che, quando è notte e verna,
Non tema il ghiaccio o la procella o '1 tuono
O H fulmine ch^ accende ardente foco ,
Giammai per tempo o loco.
Ma verdeggi dì Febo al chiaro suono.
Deh ! quai fatiche illustri
Mi faran degno di sì nobil dono
Per volger d^anni o per girar di lustri?
Sia almen pietosa u^ miei ^ospir trilustri!
Canzon, tu sei pur lenta, e non t'avanzi}
La sorella maggior lunge precorse.
E chìer' mercè fra le Colonne e 1 Orse.
CANZONE XXn.
Sullo stesso argomento.
Perchè l'ingegno perde %
In voi lodando, e manca il proprio spirto.
Come al poggiar del sole il vento e Taura^
Qual d'odorato mirto,
O d' alloro vaghezza in te rìnverde 7
E chi le voci al mio cantar ristaura?
Amore, a cui parca Beatrice e Laura
Umil soggetto, or chi le piume impenna
Alle mie basse e faticose rime.
Perch'ai merto sublime
Giunga coir ali tue la stanca penna 7
Tu spiega a' versi miei
3o4 HIME AMOROSE
n Tolo^ o pur chMo taccia almeDO accenika;
Che tu medesmo dir potresti e dei
I gloriosi tuoi cari trofei*
Da poi che tu vedesti
Più di pietà che di vendetta amiche
Le man che ponno armarti e fare inerme,
A voi, belle e pudiche,
U mio regno concedo e me, dicesti:
Ma voi, pietose delle parti inferme,
Armi sdegnate si pungenti e fisrmej
Dunque armi no, né sanguinose spoglie
Serbo al vostro candor, poro, innocente,
Ma ciò che f Oriente
Di prezioso a' vincitori accoglie,
E '1 fortunato Occaso
Di farvi adorne par che più sMnvoglie,
Onde fiorisce in lui novo Parnaso,
Ed apre novi fonti altro Pegaso.
A* pargoletti Amori
Poscia dicea: Spiegate a lieto volo
I purpurei, o fratelli, e gli aurei vanni,
E n più felice suolo
Scegliete a prova pur le rose e i fiori
Dipinti ancor de^ sospirosi aflGEinni,
. £ quei che l'or più saldi incontra gli anni
Produce^ e TOcean vi mostri il grembo^
£ v'offrano i suoi doni e quinci e quindi
I forti Iberi e gl'Indi
Cui cinge il mar col suo ceruleo lembo. —
Disse, e i veloci e vaghi
Sen giro a stuol , come lucente nembo
Che dall'aure portato e voli e vaghi,,
Cosa cercando pur che gli occhi appaghi
E qual bellezza ascosa
RIME AMOROSE 3o5
Di mille Amori agli occhi alcun terrebbe?
O clii negar la può, s'Amor la brama?
In terra alior non ebbe
Viola o giglio o pur giacinto o rosa,
O gemma occulta alla superba fama,
Negata a lei ch^ Amore onora ed ama.
Anzi la Terra, il Mar ,Hr Occaso e FOrto
Par che s* adomi a prova e si dipinga
Per lei ch'il ciel lusinga^
E '1 Sol , dal suo cammin lungo e distorto ,
Mostra eh' i segui amati
Passar bramando, il corso oltre sospinga.
Com'api intanto i pargoletti alati
Spoglian di fior' le piante e i verdi prati.
Neil Occidente estremo
Una parte dd ramido è bella e lieta,
Là dove primavera etema stanza ,
La gloria ha doppia m^ta,
£ più benigno splende il ciel supremo;
Ride Natura in giovenil sembianza,
Zefiro spira per continua usanza,
E s'odon mormorar coli' aure estive
« I vaghi fonti e i lucidi ruscelli,
E dei vezzosi augelli
Al canto rimbombar l'ombrose rive;
E più dolce concento
Fan de' bei fiorì ì levi spirti e snelli,
E pare il cielo all'armonia più intento,
Suoni ed odori, a lui portando il vento.
Qui, dopo lunghi giri.
Gli Amoretti fermar l'ali volanti
Nel felice, odorato, almo terreno.
D'umor vivo stillanti
Altri i fior coglie, onde poi dolce spiri
Tasso, Fol. IF. ao
3o6 RIME AMOROSEr
I«a nostra Esperia^ altri il profondo seno
Della faretra d^ór ne colma appieno }
Altri le spoglie, onde la destra ignuda
Coprir si dee, prima polisce e terge,
Poi degli odori asperge
I quai felice pianta instilla e suda;
Altri par che sepolte
Tra bianchissimi fior F asconda e chiuda;
E tutti alfin colle ricchezze accolte
Fan mille voli in ciel, mille rivolte.
Canzon, fia tua ventura e grazia altrui,
Se la man bella e nuda a te si scopre;
Baciala , e grida : Questo è 1 fin ^ell' opre.
CANZONE XXffl.
In persona di D, Mattia di Capita conte di Falena ,
celebra un ameno colie ^ dove era ita a diparto la
donna di lui, e duoln ch'ella sia lontana.
Già basso colle umile
Sinché tu fosti albergo
Delle selvagge ninfe e de^ pastori,
Or, che donna gentile
Ti preme o falda o tergo ,
Quanti ella coglie o frutti o fronde o fiorì.
Tanti sono gli onori
Ch^ accrescon la tua gloria ,
Più belli de^ ligustri ,
Ma perpetui ed illustri ,
£ degni in terra dMmmortal memoria.
Cosi trapassi i colli,
E la fama a tutt' altri e 1 pregio tolU.
RIME AMOROSE 807
Anzi sei novo Atlante^
U qual sosteone il cielo ^
N In sostenendo lei che Dea simiglia;
Se non che verdi piante
Non spoglia o vento o gelo
Al bel seren delle tranquille ciglia.
Ma con dolce famiglia
Di vaghi fiorì e d'erba
Sempre seguir la suole,
Pur com' Aurora o Sole,
La primavera , e '1 suo tesor le serba ; ^
E, mutando stagione,
Le sue pompe non perde o le corone.
Olimpo ancor pareggia,
Sacro agli anticlii Dei,
0 nella gloria a lui t'agguaglia almeno;
E divieni omai reggia
D'Amore e di costei,
Dipingendole pur la chioma e H seno;
E ceda al tuo sereno
Quel sì candido e puro,
Talché non turbi mai
1 tuoi lucenti rai
O nube, o pioggia, o vento, o nembo oscuro;
O 'n cima sol vi spiri
L'aura de' miei dolcissimi sospiri.
Tu ve li porta, Amore,
E lor oà piume ed ali.
Che tanto alzar li può celeste aita.
Ma se di questo core,
Pien d' ardori immortali ,
Fosse tutta la fiamma in te sentita ^
E come la mia vita
Per lei si strugge e sface ;
3o8 RIME AMOROSE
Etna nuovo saresti,
E maggior grido avresti,
Che s accendesse in te divina face.
Deh ! sian lodi supreme,
Che sembri Atlante , Olimpo ed Etna insieme.
Non fia miracol novo ,
Dov^ Amor vola ed ella ,
Tante rare eccellenze accórre in una:
Ma qui dov'io mi trovo,
Né Sol miro né stella
Quando il ciel si rischiara e quando imbruna,
Ma piango mia fortuna,
E, quale in secco ramo
Solingo augel riposa,
Tal io vista odiosa
Stimo pur ciascun^ altra , e lei sol bramo.
Forse nulla si perde ,
Mentre il sereno io vo fuggendo e '1 verde.
Tu , che vagheggi il mare
E V arenoso Udo ,
Ben ermo sei come t' appeUi , o monte ,
Or ch'ella non appare,
E d'Amor freddo è il nido ,
E turbato ogni rivo ed ogni fonte ,
E con oscura fronte
Tutti rimiri intomo ,
I nudi e mesti campi
Là dov'orma si stampi
Finch' ella tomi lieta al bel soggiorno,
E col suo dolce lume
Quest'alma rassereni e '1 monte e '1 fiume.
Canzon , trova il mio core e la mia donna ,
Che da lei non si parte
In alla e 'n chiara o 'n bassa e fosca parte.
RIME AMOROSE 3og
CAlJzONE XXIV.
Per la contessa Cammilla Guerrieri. Dice che vor»
rehbe lodare tutti i sommi preei di tei, se non che
gli pare ch'ella sia troppo crudele ed ingrata i^erso
lui che t ama di costante e fedele amore. Ma to-
sto s* accorge die tale apparenza di crudeltà e
ingratitudine potruz ben essere virtÌÀ; e di qui tru"
passa a celebrare quanto in lei più si ammira^
Bella Guerriera mìa^ ben io vorrei
Farvi cotanto onore ^
QuantMo vi porto amore ^
Vostre lodi agguagliando alle mie pene.
Vorrei lodare U crìn che lega il core )
Gli occhi y lume de^ miei ,
Senza il qual non avrei
Giammai del viver mio ore serene,
ChMo di vedere ho spene
Alfin dolce tremanti;
£ le ciglia, stellanti;
E la fronte ch^or placida , or severa,
Or umile, or altera,
Assicura e spaventa i vaghi amanti;
E le guance , ove avete e rose e gigli ;
E le labbra, ove soli i fior vermigli;
£ la candida gola e U bianco petto,
E quel eh' è dentro ascoso ,
Assai più prezioso
Caro tesor del Cielo e di natura ,
Che , s' al pensier si scopre , il fa giojoso
Sì che mai d'altro obbietto
Non ebbe egual diletto,
3 IO RIME AMOROSE
Né mai piacer di luce così pura^
Ch^ il destin non F oscura y
Né la nemica sorte ^
Né '1 tempo^ né la morte:
Serena luce di virtù celesti ,
D'alti costumi onesti,
Che son di gir lassù fidate scorte.
Ma chi li turba , o chi si pon fra loro ^
E & men bello il glorioso coro?
Farmi veder fra lor di loro indegna
La fera crudeltate,
La qual di castitate
Talora il nome e la semUanta prende ^
E si dimostra nelle luci amate ,
E mi disprezza e sdegna:
Né sola v' é , ma regna
L' ingratitudin seco, e mi contende
Ogni premio che attende,
Ogni don che richiede
La mia costante fede 3
Onde indamo dagli ocelli amare stille
Io verso a mille a mille.
Per impetrar da voi qualche mercede:
£, se giammai la mi darete, io temo
Che sia la mercé prima il male estremo.
Oh! che può dar nemica aspra di pace.
Se non la morte in dono?
Né già schivo io ne sono,
Si bella é la cagion del mio morire.
Ahi, chi mMnganna? e perché pur ragiono
Di cosa che vi spiace?
£ perclié non si tace
Quel che puote inasprirvi al mio martire?
Pensier, eh' ascolti e mire
RIME AMOROSE 3it
Ciò che dentro si cela
Dove un bel petto gela,
Forse è virtù, che non alletta il volgo.
Quel chMo biasmo e divolgo,
E mal fa chi la scopre e la rivela
Senza sua glòria alle volgari genti,
E mischia le sue lodi e i miei lamenti.
Deh! non mi trasportar fuor del cammino
Dell^onor suo, chMo segno:
Schiviamo odio e disdegno,
E là miriamo ove 1 piacer c'invita^
E contempliam quel chiaro ed alto ingegno
E vago e peUegnno ,
E lo splendor divino
Dell^ intema beltà, quasi infinita.
Vita della mia vita,
Se mai terreno asciutto
Rende a chi 1 bagna il frutto,
Ovver pianta feconda
Al coltor che F inonda, *
Esser detto non deve ingrato in tutto;
Né voi, sebben di pianto io spargo un rivo,
Che quel produce ai che ancora V vivo:
E vivrò sempre un tempo; e se mai fia
Che 1 mio tepido fiume
E U vostro dolce lume
Maturi quello ondMo nutrirmi soglio
E raddolcisco ancora uso e costume ^
AUor la vista mia
Di quel che 'n voi desia.
Tanto godrà, qyanto da lei mi toglio:
Frattanto io pur m^ invoglio
Nel desio di lodare
Quel lume che mi pare
3ia RIME AMOROSE
Splendor celeste, e 1 bel sereno viso,
E F angelico riso ,
E le sembianze si leggiadre e care j
E la bella virtù della belPalma,
A cui si deve in terra alloro e palma.
E fra me dico: A voi già non s'agguaglia
Quella vergine antica ,
Forte, quanto pudica,
Ch'andò sette anni dallo stuolo errante
Per questi mari, e fo crudel nemica:
Né, scaltra v' è che saglia
Per arte di battaglia
In maggior pregio, più di voi si vante^
Ch'armi celesti e sante
Avete e schermi accorti
Contra i guerrier più forti.
E chi più forte fu d'Amore unquanco?
Pur l'avete si stanco.
Che vendicate in lui ben mille torti,
E ben mille trofei drizzar potete
D'arme e di spoglie eh' a lui tolte avete.
Canzon, se tua fortuna
Ti guida ove sfavilla
La mia nuova CammiUa,
Prima eh' a lei ti mostri, umil risguarda
Se di sdegno par eh' arda ,
O s'abbia fronte placida e tranquilla:
Né t'appressar, se di baciar non credi
La bianca mano, e a lei per grazia il chiedi.
%
RIME AMOROSE 3i3
CANZONE XXV.
Si duole che la sua donna abbia accettato un regalo
di frutte da un suo rivale, — Credesi che questa
canzone fosse indirizzata alla signora Dea Folpe
Losca.
Piante, frondose piante,
Che tra le foglie e i fiori
Nutriste i frutti in bel giardino adomo ;
E tu , di Flora amante ,
Che ne' felici amori
Soavemente sospiravi intomo 3
Sole, chMn quel soggiorno
Spiegasti i dolci raggi ^
Fiume, ch'i tronchi e Ferbe
Fai più lieti e superbe,
Girando spesso i liquidi viaggi,
Odi ch'io mi querelo:
Odilo, ó terra, o cielo. .
Madonna prende i doni
D'amante insidioso,
Ed a' nemici occulti apre la via;
E gusta (or mi perdoni)
Dolce venéno ascoso
Nel caro cibo che fuggir dovrìa.
Mortai dolcezza e ria
Deh non l'ingombri il petto!
E s'attoscar natura
Volle alma così pura,
Fé' la mia morte nell'altrui diletto.
Natura, iniqua maga.
Del mio dolor t'appaga.
Si4 RIME AMOROSE
E tu^ crudel, ne rìdi:
Ma rugiade fur quelle
Della belTalba, e pianto dolce e chiaro.
E, perch^io più difiidi,
Le mie nemiche stelle
Sul dono lagrìmàr, che fu sì caro :
Dono a me solo amaro ,
Che mi strugge pensando^
Ed a me sol crudele ,
/ Che suggo assenzio e fele,
Dove ti colse il mio nemico, o quando?
O don che m'uccidesti,
Dove, dove nascesti?
Amor, se dentro a' rami
Volavi come augello,
Piagar dovevi di mortai ferita.
Or, perchMo men rìchiam].
Sol dispietato e fello
Ti mostri a me, c^ho si dogliosa vita.
Qual pianta è sì gradita,
In cui vi colga i frutti,
Se d'odioso germe
Son le speranze inferme ,
E la mia fede e i miei sospiri e i lutti?
Qual si lontana terra
Che '1 mar divide e serra?
Canzone, io sono il tronco; e le mie fronde
Son mille miei desiri}
E i pomi aspri martiri.
RIME AMOROSE %iS
CANZONE XXVI.
Parla il Tempo aUe dònne , dichiarandosi punitore
inesorabile del loro orgo^.
Donne , voi che superbe
Di giovinezza e di beltà n^ andate;
Voi che Tarme sprezzate
Di Venere e d' Amore j
Voi sempre invitte e sempre vincitrici,
Voi vinte pur sarete
Dal mio sommo potere.
I gran vanti e le glorie,
Le corone e le palme,
JjB spoglie di tant'alme ,
Ond'i vostri trionfi adomi vanno,
Pur mia preda saranno;
E fia mia preda insieme
Questa vostra bellezza e questi' orgogÙo
Che U mondo onora e teme.
II Tempo io sono; il Tempo,
Vostro nemico, e vostro
Domatore e signore.
Che posso , sol fuggendo ,
Vie più contro di voi,
Che non può Amor pugnando
Con tante squadre e tanti assalti suoi.
Ed or, mentre chMo parlo.
La mia tacita forza
Entra negli occhi vostri e nelle chiome,
E le spoglia e disarma.
Quinci rallenta i nodi.
3i6 RIME AMOROSE
Quinci le faci ammorza ^
Quinci rintuzza i dai^
Degli amorosi sguardi ;
£ quinci a poco a poco
L'alta beltà disgombra^
Il cui raggio e il cui foco
Tosto alfin diverran cenere ed ombra.
F fuggo ^ i' corro ; T volo;
Né voi vedete ( alii cieche ! )
La fuga^ il corso, il. volo.
Né men vedete come
Ne. porti il vostro onore e il vostro nome j
E voi medesme meco;
E come co' miei passi
Ogni cosa mortai ratto trapassi.
Ma, ahi, par pur che stia
Qui neghittoso a bada.
Folli! deh, che vi giova
Lusingar voi medesme
Con volontario inganno ,
S'aperto il vostro damio
Vedrete alfin con dolorosa prova?
Tosto verrà quell'ora
Che con piena vittoria eternamente
Trionferò di voi.
Scaccerò in bando allora
Amor dal regal seggio,
Che ne' vostri occhi è posto;
Ed in quel loco poi
Spiegherà le mie insegne
La Vecchiezza e l'Onore.
Torrò di man lo scettro
De' vostri empi pensieri
All'alterezza, cne nel vostro petto
RIME AMOROSE 3i7
Quasi regina or siede:
K in quella stessa sede
Porrò la penitenza y
Che con dura memoria «
De' beni andati e deli' andata gloria ,
Quasi continuo verme ,
Roderà ognor le vostre menti inferme.
Vi farò a mio volere,
Come a vinte, cangiar legge e costumi,
Lasciar il canto, le parole e '1 riso}
I nuovi abiti egregi,
E quante spiega in voi supèrbe pompe
Ricchezza, arte ed ingegno.
Farò deporvi, in segno
Di vostra servitute,
Qual uom ch'in dura sorte abito mute.
Queste cose or v'annunzio.
Perchè, tra voi pensando
Come la beltà vostra si diltgna ,
E quel che poi ne segua.
Cessi quel vostro orgoglio
Pieno di ferìtate.
Che di servirvi amando
Ogni cosa mortai indegna stima:
Ma di voi stesse fate
Come pietà vi detta,
E ragion vi consiglia,
Ch'io coU'istessa fretta
N'andrò seguendo il mio viaggio eterno.
Su su. Stagioni, omaij
Su , Giorno , Notte ed Ore ,
Mia veloce famiglia ,
Che con moto superno
Ab etemo creò l'alto Fattore,
5i» RIME AMOROSE
Seraile il corso antiquo
D^e vostre vittorie
Per lo calle del ciel lungo ed obliquo.
CANZONE XXVn.
Ad Imenèo y in occasione delle nozze di D, Ftrginio
Orsini duca di Bracciano con D, FUmu Perelii
Montalio.
Delle più fresche rose ornai la chioma,
Lieto Imeneo, circonda
Pria che tramonti il fortunato giorno,
E n' incorona i sette colli ; e Roma ,
Ancor d^ eroi feconda ,
Rose produca alle sue torri intomo:
Di rose il Tebro oltre Fusate adomo
Le sue rive dimostri^
Né siano in maggior pregio il lauro e gU ostri,
Benché, vinto il nemico.
Di lor scornasse in quel buon tempo antico
O famoso Africano , o grande Augusto ,
Che nova gloria agguagua onor vetusto.
Se la fronde , Imeneo , eh' io tanto onoro ,
Ti piacque al crine avvolta ,
Perché fu di valore antica insegna ,
Or cangia nella rosa il verde alloro ,
Ch'in queste piagge é colta ,
E più nova virtù dimostra e segna ,
Tal ch'ogni fior per lei si sprezza e sdegna
Dalla bella Ciprigna,
E di più nobil sangue ancor sanguigna
La stima il fero Marte
RIME AMOROSE Si^
Che dispìegoUa in più sublime parte j
Talché degna la rosa è d^ alti carmi
Fra balli e feste, e più fra schiere ed armi.
Vieni dunque, Imeneo , cinto di rose,
Colla novella Aurora
Che 8^ adoma di rose il crine e 1 grembo,
E coir aure più lievi e rugiadose ,
Che, mentre ella sMnfiora,
Spargono intorno pur di rose un fiembo.
Vedi fiorir sino al ceruleo lembo
Dell'ondoso Tirreno
Che perle e gemme pur ti porta in seno^
Ma nel viso di Flavia in mezzo 1 gelo
Son più belle che 'n cielo,
E perde FAlba se con lei contende.
Vieni, vieni, Imeneo, che '1 Sol discende.
Vieni, vieni. Imeneo, ch'omai scintilla
Esperò, e 1 elei sMmbruna;
Ma Flavia più serena a noi riluce,
E con sembianza placida e tranquilla
Vince la bianca Luna ,
E vincerebbe la purpurea luce.
Vien\ che t' aspetta il valoroso duce ,
Che le luci divine
Pur di Flavia sospira e '1 biondo crine.
Ed a que^ dolci sguardi
Già par tutto di foco. E tu ritardi 7 . , .
Porta i diletti ornai , le noje sgombra ,
Scuoti la face d' oro , e scaccia V ombra.
Vieni ) che senza te perpetuo in terra
Non è scettro o corona^
Né stabil regno o signorìa costante
Vien per antica stirpe, illustre in guerra ,
La CUI fama risuona
3ap RIME AMOROSE
Oltre Fnltimo Battro e 1 mauro Atlante.
Per te già figli attende il casto amante;
Tu degU avi la gloria
Stendi a^ nipoti, e P immortai memoria;
Tu le cose mortali
Fai quasi eteme, alle celesti eguali.
Scuoti la face d'oro, e* quasi stelle
Siano intomo alla tua F altre facelle.
Ecco Im^ìéo: vedi la fiamma e '1 lampo,
Roma , e 'n fiorita vista
La notte e '1 ciel cui nulla nube attrista;
E quasi mansueti in lui rimira
L'Orse e 1 Leon che più lucente or gira.
CANZONE XXVffl.
AOa duchessa di Ferrant, Loda i singolari pregi
di lei — Questa canzone è intiiolaia Monile ; e
tale idea h pur dichiarata nelle due prime strofe,
polendosi in vero paragonare ad un monile Cor^
namento delle lodi.
Nel mar de' vostri onori.
Come sian margherite.
Queste lodi ho raccolte e 'nsieme unite :
Lega il lor filo i cori;
Brevi, ma belle sono;
Picdolo è sì, ma prezioso dono.
Dunque, Donna reale,
Di gradirlo vi piaccia.
Perch'io mai non mi stanchi, e msd non taccia.
Dunque, Donna immortale,
Se di farne i' m'ingegno
Novo monile, or non raggiate. a sdegno:
RIME AMOROSE Sai
Perchè di pregio eguale
Non è lucida gemma
A quella che vi pende e 1 sen v' ingemma ;
Né tra le brine e '1 gelo
Ha raggi più lucenti
Stella che desti gU odorati venti.
Ne tra le brine in cielo
* Cosi TAlbd fiammeggia;
£ lei Titone, ella voi sol vagheggia:
£ sovra il caro velo
Vi sparge a mille a miUe
Minute perle e rugiadose stille:
£ pare un lieto maggio
Fiorir di vaghi gigli
A' vostri piedi ^ e di bei fior vermìgli.
£ pare un lieto raggio
Arder ne^ bei vostri occhi ^
Onde pace e dolcezza e gio)a fiocchi.
Occhi, quando erro e caggio,
La vostra chiara luce
M^è scoria graziosa e nobil duce.
Luci, più bel zafliro
Non vide Sol né Luna;
Deh I non vi turbi il tempo , o rea fortuna.
Luci, più bel desiro
Non vidi acceso mai
Ad altri cosi puri onesti rai :
Né si mirabil giro
Fa la vergine Astréa,
Volgendo intomo, o Gntia o Citeréa:
Occhi e luci serene,
Occhi e luci beate.
Più bella via di quella via mostrate.
Tasso, FoL IF. %i
3aa RIME AMOROSE
Ocelli e luci ripiene
Di quel piacere, ond^io
Talor me stesso e più la terra obblio;
£ voi, che le Sirene
Vincete, o casti, o chiarì
Soavi accenti , e tranquillate i mari ;
£ voi, pietosi detti,
Io per voi cerco a volo
Uun mare e 1* altro, e Funo e T altro polo.
£ voi, pietosi aiTetti,
In cu r alma gentile
Fuor si discopre alteramenle umile;
£ voi, rubini eletti,
D^amor gioja e tesoro.
Aprite un picciol varco a^ messi loro;
Tu, bella mano e bianca.
Fra' tuoi serici stami
O fra le gemme serba i miei legami.
Tu , bella mano , e stanca
Di tesser gemme ed ostri.
Prendi cortesemente i detti nostri;
£ tu lo sUl rinfranca ,
Se dal soggetto ei perde.
Che la palma e f alloro a te rinverde.
£ non è degno fonte
Di lavar quell'avorio
Ch'io di lodare e di mirar mi glorio.
£ non ò degno monte
Là dove in treccia e 'n gonna
• Facciate d^ un bei tronco a voi colonna. «
Pur alla bianca fronte
£d a' dorati crini
Fami' ombra spesso e lauri e faggi e pini.
\
RIME AMOROSE
£ Febo a voi sospende
Il giorno in sulP occaso^
E par un picciol colle un bel I^arndso/
£ Febo a voi discende;
Sprezzando il mare^ e ^n quello
Di vostra gloria ei fa nido più bello.
3a3
CANZONE XXIX.
Alla duchessa di Ferrara, Dimostra com' eUa sia
veramente ornata d* ogni virtù regale, — // Tasso
chiamò catena questa composizione, non solo per-
chè i sentimenti degli ultimi versi di ciascuna strofa
si concatenano co* primi della strofa seguente, ma
eziandfo perchè, siccome nella catena gli anelli,
così le vwtìi sono V una coW altra congiunte.
Illustre Donna; e più del ciel serena ;
Da mille occulti lumi
Mille versate ognor gioje e dolcezze ^
E fanno preziosa aurea catena
Gli angelici costumL
£ le vostre celesti alme bellezze;
E 'n sì leggiadri modi ,
Per far più sempre un bel desio contento;
Non si congiunse mai Foro e F argento.
L'oro e l'argento in sì leggiadri modi
Mai non s' avvolse o prese ;
G)me voi ne sembrate adorna e vaga:
E tutte fiamme son P umane lodi ,
E vive stelle accese
Son le divine; onde U pensier s'appaga.
Né fra' ventosi campì ;
Se di candide nubi il cielo è carco ;
Tanto suol variar col suo beli' arco.
3a4 RIME AMOROSE
Col suo belTarco iiifra^ yentosi campi
Tanti color non mostra
L'Ifi cheU mezzo cerchio a noi descrìve,
Fra quanti' il vostro intero avvien ch^ avvampi^
Che voi di chiostra in chiostra
Fra le donne circonda e fra le divej
E vanno questi a quelli ,
£ quelli a questi raggi, e fan rìtorno.
Sempre girando e fiammeggiando intorno.
£ , fiammeggiando intorno a questi , a quelli ;
Scende e poggia la mente,
Né per gli estremi alcun vi tira a basso;
Ma chi si piglia a^ più sublimi anelli^
Rapito è dolcemente;
E contemplando va di passo in passo,
Perchè r innalza e scorge
Con lieto aspetto e con sembianza amica
Bella accoglienza e cortesia pudica.
E cortesia pudica innalza e scorge
L'2[rdire onde s^ avanzi,
Ed incontra ornamento e leggiadria,
E bel disprezzo ed arte insieme scorge.
Ch'anzi natura, ed anzi
Sembra dono del Ciel ch^a lui cMnvia:
E poscia avvien che trovi
Sdegno, ch'indegnità non prende a grado;
L'accorgimento è nell'istesso grado.
E neir istesso grado avvien che trovi
Altro obietto che piace.
Ed onor e vergogna insieme guarda
Con atti cosi dolci e cosi novi
In cosi bella pace,
Che , per mirare , il volo alFrena e tarda :
E par ch'onori e spieghi
RIME AMOROSE 3a5
L'alta umiltà, siccome in sacro tempio ,
E d^ altera umiltate un vero esempio.
Un vero esempio par disonori e spieghi
Poi la vaga beltade
E la bella vaghezza a paro a parò,
E maraviglia e riverenza il pieglii
Per r eccelse contrade ,
Per cui d^ alzarmi al ciel talvolta imparo:
E poscia a lor vicine
È dignità con maestade assisa,
Ch' in altri è sparsa , e 'n voi non è divisa.
Non fia divisa; e poscia a lor vicine,
Dove mai non s appigHa
Mago che le pertnrbi o tragga al fondo ^
Scorge virtù sopra il pensier divine 3
£ le produce e figlia
L'alma real quando si volge al mondo:
Ed in bel giro accolte '
È qui modestia e chi 'n temprar s'availza^
Fide compagne omai con lunga usanza:
Per lunga usanza in un bel giro accolte
Chi hetamente i doni
Raccoglie e sparge, e la real sorella:
E v'è fortezza, a cui si spesse volte
Pon Tira acuti sproni 3
E seco è chi l'acqueta e rende ancella:
E 'n più soavi tempre
Si vede Amor di rara nube in grembo,
E con lui castità nell'aureo nembo.
Nell'aureo nembo in più soavi tempre
Non stringe e non infiamma,
E non ha foco Amore, e non ha ghiaccio,
E par eh' altrove ei si dilegui e. stempre
Tra r una e l' altra fiamma :
3^ RIME AMOROSE
È qui dolce misura e dolce laccio ;
Onde talor s^ affida
Vera cleracnza negli aurati seggi;
E quella che fonuò P antiche leggi :
Cantiche leggi onde talor s^ affida
Astréa, che dentro Falnfic,
Da! ciel venendo, ^l^gg^ ì^ primo albergo.
Poi la virtù ch^in alto cor s^ annidai,
Talvolta allori e palme
Par che si lasce disdegnaodo a tergo.
In voi sempre dimora,
E visse già fra^ Cesari e gli Augusti ;
E la costanza ha seco i premi giusti.
Co^ premj giusti in voi sempre (limora
Quella cli'è luce e specchio
E duce e scorta a^ più lodati ingegni;
E sotto i biondi crini omai s'onora,
Quasi canuto e vecchio,
11 buon consigUo che mantiene i regni;
Poi cara e nobil coppia^
Che delle cose frali e delle eterne
Le scerete cagioni ancor discerne.
Ancor disceme cara e nobil coppia,
Cba, dove ascenda e voli,
L^ ultimo grado-, ove discende, il primo:
E, mentre ch'ei Tun vero e F altro accoppia,
Rinnova spesso i voli
DallUmo al sommo, o pur dal sommo alPimo.
O pietà santa, o santa
Religione, e più di luci J Orse
Segni lucenti a chi nel ciel trascorse !
Nel ciel trascorse, o santa
Religione; e tu, ch^ avvolgi e stendi
Catena di splendori, in lei ci prendi.
1
RIME AMOROSE s327
CAN20NE XXX.
I
In lode di Laura Peperara, Avendo invitate tuUe
le Ninfe a coronar la sua donna, celebra da prima
il nascimento di lei , poi descrisse le maraviglie della
sua infanzia , quindi le bellezze della àovenlìi , e
finalmeniie éUce che il mare e la terra devono con"
correre a onorarla co' loro doni pUi pregiatL -^
Le stanze di questo componimento si presentano
sotto T aspetto di' altrettanti madrigali tessuti insie--
me; e perciò il Tasso gli diede il titolo di corona,
avendo pur riguardo a ciò, che ad ima corona si
possono veramente paragonare le lodi.
Vaghe Ninfe del Po^ Ninfe sorelle^
E voi de' boschi, e voi d^onda marina ^
E Toi de^ fonti e dell^ alpestri cime,
Tessiam or care ghirlandette e belle
A questa giovinetta peregrina ;
Voi di frondi e di bori, ed io di rime:
E, mentre io sua beltà lodo ed onoro,
Cingete a Laura voi le trecce d'oro.
Cingete a Laura voi le trecce d'oro
Dell'arboscello onde s'ha preso il nome,
O pur de' fiorì a' quali il pregio ha tolto J
E le vermiglie rose e '1 venie alloro
Le faccian ombra all'odorate chiome
Ed alle rose del .fiorito volto:
E dell'auro e del lauro e de' bei fiorì
Sparga l'aura nell'arìa i dolci odorì.
Sparga l'aura Deffarìa i dolci odorì,
Mentr'io spailo nel cielo i dolci accenti,
E li porti ove Laura udir li suole,
E dove Mincio versa i freschi umori:
3a8 RIME AMOROSE
Portino ancora i mù cortesi venti
n chiaro suon deU^alte mie parole
DoTe cantaro già, quancTelIa nacque , 1
I bianclìi cigni in fresche e lucid^ acque.
I bianchi cigni in fresche e lucid* acque
Morendo fanno men soave canto
Di quel ch^udi^ quando costei nascea:
E 1 bel terren , dov' ella in cuna giacque y
Tutto vestissi di fiorito manto}
£ di cristallo il fiume allor parea,
£ preziose gemme i duri sassi
Sotto gU ancor tremanti e dubbj passi.
Sotto gli ancor tremanti e dubbj passi
Nascer facea la bella fanciullctta
Di mille vaghi fior lieta famiglia;
£, se premeva un cespo, o i membri lassi
Posava in grembo della molle erbetta,
Era a vederla nova meraviglia»
Qual fosse poi, tu dillo, o fiume vago;
Tu dillo altrui, famoso e chiaro lago.
Tu dillo altrui, famoso e chiaro lago.
Come da poi, crescendo il biondo enne,
Laura in te si specchiasse e gli occhi e '1 viso;
E come, nel mirar la cara imago
E le bellezze sue quasi divine,
Rassomigliasse il giovine Narciso:
Ditelo augelli, e voi dalie biandie ali,
Voi che le sete sol nel canto eguali.
Voi che le sete sol nel canto eguali.
Già tacevate, o cigni, in verdi sponde,
Cantando Laura di dolcezza piena;
Ed eran tante le sue voci e tali.
Che parean mormorando dir queli^onde:
È per fermo costei nova Sirena. —
[
KIME AMOROSE 339
Oltre i candidi cigni ^ onde beate ,
Son più belle Sireite in voi già naie.
Son più belle Sirene in voi già nate,
Acque e rive felici, ove sicuro
Il buon Titiro già pascea la greggia:
Né per dolce armonia così lodate
0 Amarilii, o Galatéa già fòro,
Com^ è costei che quel cantar pareggia ,
Di cui tra i boschi e 'n picciola capanna
Indegno è '1 suon delP incerata canna.
Indegno è '1 suon delF incerata canna
D^ accordarsi al bel canto: e, se F udirò
1 rozzi armenti e i semplici bifolci,
Per maraviglia ciò che Falme affanna
Obbliàr questi, e quelli ogni desiro
Dell^erbe verdi o pur dell^ acque dolci;
E di seguire il naturai costume
Quasi scordossi per vaghezza il fiume.
Quasi scordossi per vaghezza il fiume
Di rendere al gran Po T usato omaggio,
Da cui tenuta in si gran pregio è Laura,
Ch^ altra Ninfa agguagliarle ei non presume
Se Fode sotto un lauro o sotto un faggio
Con dolcissimi accenti addolcir Paura,
O se guidar la vede i cari balli
Sovra i candidi fiori e sovra i gialli.
Sovra i candidi fiorì e sovra i gialli
Suole spesso ballar Laura gentile
Con leggiadri sembianti al dolce suono}
Degna a cui bianche perle e bei coralli
Del nostro mare e del novello aprìle
Le sia portato il primo e ^1 più bel dono }
Degna a cui ne^ vicini alteri monti
Apra F antica madre i novi fonti.
33o RIME AMOROSE
Apra r antica madre i novi fonti
Al bel viflo di Laura^ ed a lei mande
Verdi fronde la selva in queste / piagge:
E^ inghirlandate ornai le belle fronti,
Portin le Ninfe ornai varie ghirlande,
E Fumili e F alpestri e le selvagge:
E voi siate le prime e le più snelle.
Vaghe Ninfe del So, Ninfe sorelle*
RIME AMOROSE
33 1
OTTAVE
Introduce la Gelosia a ragionar di sé medesima. —
Questo componimento servì per intermedio o per
comparsa in uno spettacolo teatrale. Forse furono
composte per una occasione simile o per una ma-
scherata quelle stanze irregolari dove s'^ introduce
a parlare il Tempo (Vedi a car. 3i5 ).
/
Io son la Gelosia ^ cli^ or mt rivelo ^
D' Amor ministra in dar tormento a^ cori ;
Ma non discendo già dal terzo cielo ,
Dov^Amor regna ^ anzi duo son gli Amorì -
Né lassù mai sMndura il nostro gelo
Tra le divine fiamme e i puri ardori :
Non però dalP inferno a voi ne vegno ,
Ch'ivi amor no^ ma sol \ìnce lo sdegno.
Forma invisibil sono ) e mio ricetto
È non chiuso antro od orrida caverna,
Ma loco ombroso, e verde e real tetto,
E spesso stanza de^ cuor vostri intema :
E formate ho le membra e questo aspetto
D'aria ben densa; e la sembianza esterna
Di color varj ho così adorna e mista,
Che di Giunon F ancella appajo in vista.
Questo che mi ricopre , onde traluce ,
Parte però del petto bianco e terso,
D'aria è bel velo,' e, posto in chiara l^ce,
Prende sembiante ad or. ad or diverso.;
Or qual piropo al sol fiammeggia e luce,
Or nero il vedi, or giallo, or verde, or perso,
Né puoi certo aflfennar ch'egli sia tale;
E di color si varj anco son Tale.
X
33a RIME AMOROSE
Gli omeri alati , alati ho ancora i piedi ,
Si che Mercurio e 'nsieme Amor simiglio;
E ciascuna mia penna occhiuta vedi,
D^ aureo color, di nero e di vermiglio.
Pronta e veloce son più che non credi,
Popol che miri : il sa Venere e 1 figlio ,
Leve fanciul che fora un tardo veglio;
. Ma, se posa o se dorme, io U movo e sveglio.
Questa, cMio nella destra, è di pungenti
Spine, onde sferzo degli amanti il seno:
Ben ho la sferza ancor d^empj serpenti
Fatta, e 'nfetta di gelido veneno;
Ma su le disleali alme nocenti i
L' adopro , quai fur già Teseo e Bireno :
L'Invidia la mi die, compagna fera
Mìa, non d^Amor; la diede a lei Megera.
Non son F Invidia io no, benché simile
Le sia, com^ha creduto il volgo errante.
Fredde ambe siam, ma con diverso sUle:
Pigra ella move, io con veloci piante,
E mi scaldo nel volo; ella in uom vile,
Io spesso albergo in cor d'illustre amante:
Ella fel tutta , e mista io di dolciore;
Ella figlia deirOdio, io dell'Amore.
Me produsse la Tema; Amore il seme
Vi sparse, e mi iiudri cura infelice;
Fu latte il pianto che dagli occhi or preme
Giusto disdegno, or* van sospetto elice;
Cosi il padre e la madre assembro insieme ,
E ^n parte m' assomiglio alla nutrice :
E 'i cibo ancor che nutricomroi in fiisce,
È quel che mi diletta e che mi pasce.
Di pianto ancor mi cibo e di pensiero ,
E per dubbio m'avanzo e per disdegno^
RIME AMOROSE 333
E mi annoja egualmente il falso e il vero^
E, quel ch'apprendo, in sen fisso ritegno.
Né si né no nel cor mi suona intero^
£ varie larve a me fingo e disegno:
Disegnate le guasto e le riformo;
E ^n tal lavoro io non riposo o dormo.
Sempre erro , e , ovunque vado y i dubbj sono
Sempre al mio fianco, e le speranze a lato;
Ad ogni cenno adombro, ad ogni suono,
A un batter di palpebre , a un trar di fiato :
Tal è mia qualità, qual io ragiono.
Principi, e voi, cui di vedermi è dato:
Ed ora Amor, fra mille lampi e fochi,
Vuol ch^ io v^ appaja ne^ notturni gioclii :
Perchè, s^avvien ch^al sonno i lumi stanchi
La notte inchini e la quiete alletti.
Io vi stia sempre stimolando a^ fianohi,
E col timor vi desti e co^ sospetti.
Perchè gente al teatro omai non manchi,
Né sian gli altri suoi giochi in lui negletti ....
Ma vien chi mi discaccia ; ond^ io gli cedo ,
Ed invisibii qui tra voi mi siedo.
\
334 Rl^^£ AMOROSE
OTTAVE
Dopo avere sfogata f ira sua conira la beUt%za delle
donne, capone di mille tormenti , si augura per
amante tuta brutta fimminaccia , sperando che al-
meno tal mostro sarà tutto per lui, — Appartiene
questo componimento al genere satirico -giocoso.
Questa^ che tanto il cieco volgo apprezza,
Sol piacer delle donne, e sola cura,
Caduca e fragilissima bellezza,
Un vii impeclimento è di natura.
Misero amante , cui, folle vaghezza ,
Dà in preda ad un^ angelica figura!
Misero! chiassai meglio entro alle porte
Deir inferno placar potria la morte.
Come in bel prato tra' fioretti e Terba
Giace sovente angue maligno ascoso;
Come in bel vaso d'or vivanda acerba
Si cela, od empio succo e velenoso;
Come in bel pomo spesso anco si serba
Putrido verme, ond^egli è infetto e roso;
Cosi voglie e pensier malvagi ed opre
Sotto vel di bellezza altri ricopre.
Dove bellezza appar, cortesia parte;
L'umiltà, la pietà, la bontà fugge:
Dov' è bellezza , come a propria parie ,
Superbia e ingratitudine nfugge:
Il seme, il fior d'ogni virtù, d'ogni arte
L'ombra malvagia di bellezza adugge.
Bellezza è mostro infame, è mostro immondo,
Sferza del ciel, con che flagella il mondo.
RIME AMORÓSE' 335
Siccome o noce acerba^ o pomo amaro ^
Meglio cb' altro maturo e dolce frutto ;
Condir si puote, ed è bramato e caro
Quando quelP altro è già guasto e distrutto }
Cosi nelle dolcezze del suo chiaro
Nettare Amor meglio condisce il brutto
Ch^acerbetto è per s&^ che non fa il bello,
D^ ogni esterno dolcior schivo e rubello.
Sia brutta la mia donna, ed abbia il naso
Grande che le faccia ombra sino al mento;
Sia la sua bocca si capace vaso,
Che star vi possa ogni gran cosa drento;
Sian rari i denti, gli occhi posti a caso,
D^ ebano i denti, e gli occhi sian d^ allento;
K ciò di' appare, e ciò che si nasconda,
A queste degne parti corrisponda.
Non temerò disella sia d'altri amata,
Ch'altri la segua, o pur di' altri la miri;
Non temerò s'ella alcun altro guata,
O se mesta talor par che sos{Hrìj
Non chiamerolla ognor superba, ingrata,
£ perversa, e ritrosa a' miei desiri:
Saranno i suoi pensier conformi a' miei;
Sarà mia tutta , ed io tutto di lei.
DIÀLOGHI
PIALOGO I.
■
DOiVNA. CAVALIERE.
( Il con/oliere » amante canuto » ricerca varf argcf^
menti per indurre la donna a corrispondere a*
suoi c^etHi ma questa ingegnosamente lo deride,}
m
DoruSe colf età fiorita
S^è dileguato il fiore
Della vaga beltà eh* alletta Amore,
In voi, canuto amante,
Amar che debbo?
Cw. Fé salda e costante,
Che immortai fia, sebben mortai la vita.
jDofi.Com^ esser può fedde
Quegli in cui dubbio avanza
E timor r incertissima speranza?
Cav. Non teme la mia fede,
£ certo è 1 dubbio mio, che di mercede
Degni fiano i miei preghi e le querele.
Z'oii.Che pregate? ch'io v^ami?
Cai^. Che m* amiate vi prego.
Z7o/i.S'amor premio è d'amore, amar vi nego^
Che tra le nevi e '1 gelo ,
Di che la bianca età vi sparge il pelo,
Non vive Amor che desioso brami.
Cai^. Amor vive nelP alma ,
Che tragge dalle stelle
U suo principio, ond'ò immortai con elle:
RIME AMOROSE 3)7
E 9 perchè pur le brine
Mi spargono degli anni il mrato c'I crine ^
Non gela la mia fiamma intema ed alma;
Anzi^ siccome il foco
Talor nelFaria bruna
Si raccoglie in sé stesso e si raguna
Tanto più for^mente,
Quanto è più intemo il verao orrido algente,
Così il mio ardor più forte è in freddo loco.
i7on. Ma, se quel eh' è nascoso,
Si conosce da quel che fuor si mostra,
A quai segni veggio la fiamma vostra?
Ghiaccio è ciò che n'appare.
Cui'. La fiamma mia per gli occhi miei traspare,
Ed esce ne' sospir foco amoroso.
Don.Sono gli occhi fallaci,
E fallaci i sospiri:
Ed io, perchè gU uni oda e gli altri miri,
Non son certa del vero
Che nel profondo suo volge il pensiero.
Né riconosco ancor F interne faci.
Cw.ha mia fé si promette
Ch'i sospiri e gU sguardi
Troveranno in voi fede o tosto o tardi.
DonMa^ se l'amor si pasce
Di quel che piace, o se ne more in fasce.
Che trovar puDte in voi che lo dilette?
Cai'. Della vostra bellezza
Avverrà che m'allumi
Ripercosso il bel raggio ne' miei lumi:
E rimirando voi neOa mia fronte.
Siccome in specchio o 'n fonte ,
Avrete di voi stessa in me vaghezza.
Z7o/i.Pur le fonti turbate
Tasso, FoL ir. aa
338 RIME AMOROSE
Non rendon vera ìmaeo,
E ^ndarno in lor si mira amante vago.
C^f;. Passerete più a dentro
In mezzo alTalma^ ov*è d^amor il centro:
Ivi vedrete la mia fede espressa ,
Bella si che fia degna
Ch' a voi piaccia cotanto j
Quanto a me gli occhi vostri e H vostro canto.
Questa è mia propria; questa
Amando voi, sarete amante onesta:
Ch* anima bella in vii corpo non regna.
j9an.Se '1 mio canto v*è grato,
Canterò lieta allora:
Felicissimo Amor che m'innamora.
E tu y compagna mia y
Fa degli accenti tuoi meco armonia ,
QuaT Progne canta a Filomena allato.
Santo Amor, solo è bello
Quel che '1 tuo raggio rende
Chiaro ed illustre, e U tuo bel foco accende:
Vero ardor, vera luce
Non è dove non arde e non riluce
Negli aspetti e nell'alme e questo e quello.
1F^
RIME AMOROSE SSg
DIALOGO IL
AMATA, AMANTE, AMORE.
( U amata e F amante espongono le loro reciproche
querele ad Amore , il quale li mette àt accprdo
con qitel testo del suo codice, il qual dice, dover
la persona amata riamar chi t ama, )
jimalo qui, signor , ne vegno,
Non già perchè alle leggi
Soggetta io sia del tuo amoroso regno;
Ma perchè tu, che puoi,
Costrìnga questo menzogner fallace
A serbar sua promessa e quella fede
Che sovente ei mi diede , *
Per Farco tuo giurando e per la face.
E ben dinanzi a lei
Che di nostra natura in cima siede,
, Fatto citar F avrei j
Ma costui pur si vanta
Ch^è tuo servo e soggetto,
E '1 giudicio d^ ogni altro è a lui sospetto.
Io te già non ricuso;
Sebben straniera, un tuo s^ace accuso.
Signor, costui mi fece.
Non pregato da me, libero dono
l)eir arbitrio del core e della mente;
E m'affermò sovente
ChSo poteva a mio senno
Dispor d^ogni sua voglia,
E che d^ ogni mio cenno
£i si farebbe inv'iolabiì legge.
Se dunque donna io sono
Il»
f
340 RIME AMOROSE
Deiralma e del suo core^
Deggio poter disporre
' Com^ ei ne fea prima ch^ ei fesse il dono :
£ siccome signore
Può fare il suo talento
Di legittimo servo,
Può cambiarlo con oro o con argento,
0 può donarlo altrui,
Cosi poss^io di lui.
L* anima sua, ch^ ancella
Si fe^ del mio volere.
Non dee mostrarsi a^ mìei desir nibeUa.
Ecco cliMo le comando
Che volga ad altro oggetto
1 suoi pensieri amando }
Ecco caio vo' che serva
Ad altra donpa, e sia
Omai sua, non più mia.
Faccia, faccia il mio impero,
Né si mostri ritrosa
Alle mie giuste voglie:
E s'ella irriverente
Contraddirmi pur osa,
A te me ne ncliiamo.
Signor giusto e possente j
Opra tu i dardi e '1 foco ,
Il laccio e le catene,
E scaltre hai nel tuo regno
Più gravi e fiere pene.
Sai che giusto egualmente esser conviene
A chi regge e governa.
Colla gente soggetta e coli' estema.
jimanlì ver parla madonna;
Ma rigorosa e dura
RIME AMOROSE 34 1
Si mostra in sua ragion oltra misura.
Son servo suo, noi niego.
Né negar lo potrei}
£ pur^ qual servo ^ al petto
Con infiammate note
Porto il suo nome impresso ^
Sì clì^ altri il segno cancellar non puote^
Ed è ver che giurando ho a lei promesso
Ch^ognor del suo volere
Farei legge a me stesso }
Ma che vuol? che comanda?
Nulla è sì malagevole e sì greve ^
ClVa me 9 per obbedirla ^ <
Non sia facile e lieve:
Non rapidi torrenti^
Non inospite selve
Piene d^armi e di belve ^
Non pioggia, turbo, o vento ^
Non locean turbato,
Non delPAlpe nevosa
I dirupati sassi ^
Dal suo servigio arresteran miei passim
Vuol che col petto inerme
Vada fra mille schiere?
Vuol elìsio assaglia le fere
Dell^ arenosa Libia?
O vuol che tenti il varco
Di Stige e d^ Acheronte?
Ecco per obbedir le voglie ho pronte*
Ma se vuol cliMo non 1 ami,
Se vuol ch^arda e sospiri
Per altra, e volga altrove i miei desiti^
Vuol impossibil cosa, e cosa ingiusta^
Che non vorrei potendo,
E non potrei volendo.
34^ RIME AMOROSE
Quando le feci il dono
Della mente e del core^
Ben volontario il feci;
Ed oltre al mio volere^
Ciò, volle il Cielo, e tu '1 volesti , Amore.
Ma posto cliMo volessi,
Per far lei paga e lieta,
Drizzare i miei pensieri ad altra meta,
Sosterrestil tu, Amore?
Soffrìrebbelo il Cielo?
No certo. Or che poss'io?
Posso sforzar le stelle?
Posso sforzar gli Dei?
Dunque in pace comporti
Costei a essere amata;
Poiché '1 mio affetto è tale,
Ch'è volontario insieme anco e fatale.
E snella a strazio, a morte,
Crudel, pur mi condanna,
Non ricuso martire.
Purché insieme si dica
Che sol per troppo amar Fho sì nemica.
JmoAmay tu, come faij —
E tu tempra lo sdegno:
Che ramata riami (ben lo sai)
Antichissima legge è del mio regno.
RIME AMOROSE V 343
D I A L O G O in.
AMANTE, AMORE.
( V amante propone varf dubbj\ e Amore li sdogUe, )
jdmaJTuy ch'i più chiusi affetti 'ì
Miri spiando entro agli accesi petti ^
Sciogli i miei dubbi ^ Amore ^
£ porgi dolce refrigerio al core.
Qualor madonna alle mie labbra giunge
La sua bocca soave,
Quasi il vedermi seco a lei sia grave,
/ ' Chiudendo gli occhi i suoi bei rai m^ asconde*
^mo.Questo pensier ti punge?
Per questo si confonde,
Da timor vano oppressa
L^alma, e per questo la tua gioja cessa?
Amali pensier che 1 annoi
L^ umiltà mia, di sua bellezza indegna ;
Questo timor m^nsegna, e turba poi
La mia letizia intema,
E m' è cagion d^ un^ aspra pena eterna.
^mo.Sai che soverchia gioja
Fa che un^ alma si muoja e tomi in vita )
Però se la gradita
Tua donna, allor ch'i dolci baci accoglie,
I suoi tremuli rai t'invola e toglie,
Ciò vien però che dolcemente langue
La sua virtute, e lascia il corpo esangue:
Né dar spirto a' begli occhi, od alle membra
Vigor più le rimembra }
344 I^^ME AMOROSE
Ma di eioconda morte,
Fiacca langaendo , gode in su le porte.
!^ma.Dunqué eoa qaal rimedio
Potrò levarle un cosi fatto assedio,
Acciò che lieto miri
Il lampeggiar di due cortesi giri !
^nio.Dàlle pietosamente
Morte; che di tal morte ella è bramosa^
Che solo ha per suo fin vita giojosa.
RIME AMOROSE 34$
t
SCHERZO POETICO.
U AMANTE E L' ECO.
Darà fin presta morte al mìo dolore^
O lungo corso di molti anni; Amore?
Ore.
Odo una voce. Amore, del mio suono j
O tu sei qui; mentre il mio duol risono?
\ Sono. •
Invisibil tu dunque ; Amor, sei meco?
ChMo non ti veggio , e 'n lagrime m'accieco.
Cieco.
Deggio sperar di mai vederti in lei
Che ne^ boschi dal ciel tragge gli Dei?
Fia dunque breve il duol che 1 pianto elice ,
E mi lice sperar d'esser felice/
Lice,
Ma quando ; Amor? chèU viver m'è molesto ,
E; come posso , di morir m^ appresto.
Presto.
Qual fia presto soccorso al mio tormento,
Se mill'anni agli amanti è un sol momento?
Mento.
Bugiardo Amor, il mio duol prendi a gioco,
JNè t' incresce di lui molto né poco?
Poco.
Dunque è pur ver ch'alquanto te n' incresca,
O pur mostri pietà perch'io l'accresca?
Cresoa.
Morrò, se cresce; e fia rimedio al duolo.
Sol morte al duolo ^ ond'io me ne consolo.
Solo.
346 &IME AMOROSE
Cresci tanto^ mio duol^ ch*io^ lasso! pera^
Poiché (T altra speranza il cor dispera.
Spenu
Spererò dunque in mentitor fallace,
Che'l falso ol meno dice, e'I più si tace?
Tace.
Tace, ovMo taccio; ed ovMo grido, grida j
Ed ora mi spaventa, ora m* affida.
Fida.
Vaneggio certo; Amor non mi risponde:*
Ma venir può questa risposta altronde?
Onde?
Questa è la voce mia che da me spira,
Ed Eco k rimanda e la raggira.
GÙXL
Eco, di selve abitatrice errante.
Prima di me tu fusti al mondo amante.
Anie.
Or pietosa tu sei delU altrui male ,
Vaga voce ne^ boschi ed immortale?
Tak.
MADRIGALI
MADRIGALE 1
In occasione che danzando colla sua donna
le potè stringere la mano.
Non è questa la mano
Che tante e si mortali
Avventò nel mio cor fiammelle e strali?
Ecco che pur si trova
Fra le mie man ristretta^
Né forza od arte per fuggir le giova,
Né tien face o saetta
Che da me la difenda.
Giusto é ben ch'io ne prenda;^
Amor; qualche vendetta^
E, se piaghe mi die, baci le renda.
MADWGALE H.
Alla sua donna che contemplava il deh.
Mentre, mia stella, miri
I bei celesti giri,
U cielo esser vorrei.
Perché negli occhi miei
Fiso tu rivolgessi
Le tue dolci pupille.
Io vagheggiar potessi
Mille bellezze tue con luci mille.
348 RIME AMOROSE
MADRIGALE Ut
Scherza sulla parola morire nel sigm/ieaia
di godere estremo diletto.
Tirsi morir yolea^
Gli occhi mirando di colei cb^ adora ^
Quand^ella, che di lui non meno ardea^
Gii disse: Oimè! ben mio,
Deh non morir ancora,
Che teco bramo di morir ancliMo! —
Frenò Tirsi il desio
Ch^ebbe di pur sua vita attor finire,
Ma sentia morte in non poter morire :
E, mentre il guardo pur fiso tenea
Ne^ begli occhi divini,
E '1 nettare amoroso indi bev^a ,
La bella ninfa sua, che già vicini
Sentia i messi d^ Amore,
Disse con occhi languidi e tremanti:
Morì, ben mio, cW io moro. —
Cui rispose il pastore:
Ed io, mia vita , mora —
Così morirò i fortunati amanti
Di morte si soave e si gradita.
Che, per anco morir, tornaro in vita.
MADRIGALE IV.
Per la guarigione della sua donna,
Languidetta beltà vinceva Amore,
Bench^ egli sì possente e forte sia :
r
v/
J^
RIME AMOROSE 349
E se tanto potea mentre languìa.
Quanto or potrà che acquista il suo vigore?
Olì pudica beltà ^ chMnvitta sei^
£ vincitrice ancor d'uomini e Dei!
Un tuo breve languir natura appaga.
Perchè dopo il languir ti fa più vaga.
MADRIGALE V.
Faraona il ronzio della zanzara al pianto éP Amore.
Mentre in grembo alla madre Amore un giorno
Dolcemente dormiva,
Una zanzara zufolava intomo
Per quella dolce riva.
Disse allor, desto a quel susurro, Amore:
Da si picciola forma
Com'esce si gran voce e tal rumore,
Che sveglia ognun che dorma? —
Con maniere vezzose,
Lusingandogli il sonno col suo canto,
Venere gli rispose :
E tu picciolo sei,^
Ma pur gli uomini in terra col tuo pianto,
£ 'n ciel desti gli Dei.
MADRIGALE VI.
Per una zanzara che punse il collo d'una bella donna.
Questa lieve zans^ara
Quanto ha sorte migliore
Della farfalla che s'infiamma e more!
35o RIME AMOROSE
L'una di chiaro focO;
Di gentil sangue è vaga
L'altra che vive di si hella piaga.
Oh fortunato loco
Tra '1 mento e '1 casto petto ! ^
Altrove non fu mai maggior diletto.
MADRIGALE VBL
Per improvviso rossore della sua dontìo.
Donna y chi vi colora
Come vermiglia e mattutina aurora?
Forse è piacer che '1 volto
Cosi Voma e dipinge ,
Star non potendo dentro il core accolto?
O vergogna che tinge
Il candor della fede,
Che per difetto rosseggiar si vede?
Ma qualunque tu sia, '
Color soave, della donna mia.
Per te" la colpa ancor bella sana.
MADRIGALE Vffl.
Per un cagnoletto della sua donna, chiamato Grechino»
il quale gii riusciva importuno co'* suoi latrati.
Grechin, che sulla reggia
Stai della mia reina ,
La quale è bella più di Proserpina,
Non vengo per furarti,
E non ho la catena
Da condurti legato in altre parti.
RIME AMOROSE 35i
Dunque non latrar più; lo sdegno affrena;
E lasciami passar sicuramente^
*Che non t^oda la gente.
Taci Grechin, deh taci!
E prendi questa oflfella e questi baci.
*
MADRIGALE IX.
Bach involato.
Dolcemente dormiva la mia Glori,
E ^ntomo al suo bel volto
Givan scherzando i pargoletti Amori.
MiravMo, da me, tolto ,
Gon gran diletto lei.
Quando dir mi sentii: Stolto, che iai?
Tempo perduto non s'acquista mai. —
Allor io mi chinai cosi pian piano,
E, baciandole il viso,
Provai quanta dolcezza ha il paradiso.
MADRIGALE X.
Si ride che sia di bd eeìoso un alto persoìutggio.
Perchè di gemme t^ncoroni e d'oro.
Perfida Gelosia,
Turbar già tu non puoi la gioja mia.
Non sai che la mia Donna altro tesoro.
Ghe la sua fé, non prezza?
E flfella fosse pur vaga d'altezza.
Chi n'ha più del mio core,
Dov'ha il suo regno e le sue pompe Amore?
v^.
35a RIME AMOROSE
MADRIGALE XL
Brama (tudire la voce di Laura,
Ore, fermate il volo,
Mentre sen vola il Sol rapidamente
Pìfel lucido Oriente;
Ey carolando intomo
All'aura mattutina
Ch'esce dalla marina,
L' umana vita prolungate e 1 giorno.
E voi, aure veloci,
Portate i miei sospiri
Là dove Laura spiri,
E riportate a me sue dolci voci,
Si che l'ascolti io solo.
Sol voi presenti , e '1 signor nostro Amore ,
Aure soavi ed ore.
MADMGALE XH. /
Descrive F apparir delt aurora e il levarsi della sua
donna 9 adombrata sotto il nome di aura.
Ecco mormorar Fonde,
E tremolar le fronde
Air aura mattutina, e gli arboscelli;
E sovra i verdi rami i vaghi augelli
Cantar soavemente,
E rider 1' Oriente.
Ecco già Falba appare,
E si specchia nel mai*e,
E rasserena il cielo.
j
RIAqS AMOROSE 353
E le campagne imperla e '1 dolce gelo ,
£ gli alti monti indora.
Oh bella e vaga aurora!
L^aura è tua messaggera^ e tu dell^aura
Ch^ogni arso cor rìstaura.
MADRIGALE XJH.
Parla il poeta con Amore, Sotto t allegoria del lauro
è adombrata Laura Peperara, L* ultima risposta
d^ Amore h fondata sulla proprietà del lauro {come
scrive Teofiasto)y dal quale y fregandosi insieme
la scorza o i ramif suole uscire il fuoco.
Con qual focU meraviglioso , Amore,
Il mio bel foco hai desto ,
E di qual selce tratto il vivo ardore? —
Né ferro trasse il tuo vivace foco.
Né fuor di pietra ripercossa uscio,
Ma dalla scorza d^ un bel lauro è nato. —•
E chi serba la fiamma in freddo loco,
O chi la tempra in guisa, o signor mio,
Che non avvampi T arboscello amato? —
La natura, non io, con 19Ì0 stupore:
Suo miracolo è questo j '
lo sol Fesca v^ appresso, ch^è 1 nùo core.
MADRIGALE XIV.
Dice che il suo desiderio non è <t amore ,
ma di vendetta.
Donna, quella saetta.
Onde già mi percosse il mio signore,
Accese il miq voler d^mmenso ardore.
Tasso, FoL IV a3
354 ^^^^ AMOROSE
Or^ benché spenta sta nel petto mio
La brama e'I foco, pur T bramo ed ardo
Per voi 9 cbe fiera, quanto bella, sete.
Ma la fiamma delFalma e '1 suo desio
Già non deriva da soave sguardo,
£ non è quel che voi forse credete.
Bramo si, ma vendetta;
E, se pur dee gioir, non per amore.
Ma per disdegno ornai gioisca' il core.
MADMGALE XV.
Accetta con gioja le leggi impostegli da Jmore,
Colla saetta dalla punta d^oro,
Ond^ebbi al petto si mortai ferita,.
Scrisse per leggi Amor della mia vita
Nel verde tronco d^un frondoso alloro:
m Ama ed ardi; e ristoro
« Sia quest^ ombra alF ardor cbe stilla il pianto. »
Dolci mie leggi (ondMo mi glorio e vanto).
Temute e care (ond'io gioisco e moro),
Se^ non basta nei bronco. Amor v^mprima
In questo cor, perchMo ne canti in rima.
MADMGALE XVI.
Dice cKe^i resta abbacato nel rimirar le bellezze
della sua donna.
Donna gentil, mentrMo vi miro e canto.
Mi passa un dolce ardore
Di vena in vena, e mi distrugge il core.
E , lodando il bel viso e '1 vago petto ,
RIME AMOROSE 355
E le due nere ciglia,
Dico: Deli! qual diletto
E qual dolcezza è questa e meraviglia?
Alfin, pieno di gioja e di stupore,
Non so s'io veffgia, o pur 8*io prenda errore.
Lasso! io m'abbaglio; e si conforta alcuno
Ne' begli occhi soavi
Tra 1 color bianco e ^I bruno ,
Siccome vuol chi tien del cor le chiavi:
E y dimostrando a me luce maggiore ,
Per veder troj^o mi fa cieco Amore.
s
MADRIGALE XVH
Con tre rimiUtudini descrìve la bellezza della sua donna
dopo la rìcuperaia sanità.
Non è A bello il rinverdir d'uà fiiggio,
O '1 ravvivar di lucida facella ,
O '1 serenar di tenebroso cielo,
Come negli occhi vostri il dolce raggio
Par di nuovo racceso, e come è bella
La rosa che s'infiora a mezzo '1 gelo:
E se già piacque la beltà smarrita.
Or che farà questa beltà fiorita?
MADRIGALE XVDI.
Descrìve aUegorìcamente la coltura del suo lauro ,
che è la sig. Laura Peperara.
Sian vomeri il mio stile e l'aureo strale,
Amore, al bel terren del novo alloro j
Aura quel dolce ventilar dell'ale
356 RIME AMOROSE
Che tu scotendo vai purpuree e d'oro;
Acqua il mio pianto clie sì largo inonda
Jjsi coltura mirabile el lavoro:
E^ ae non Terge al ciel da questa sponda ,
Le sia terra il mio core^ e tu 1 feconda.
MADRIGALE XIX.
Loda la H£. Laura Peperata, «^ Nel quatio veno
allude alla favola di Mirra. Poi descrive la patria
di quella dama, la quale non era aliar mariiata.
In fine ha risguardo alla proprietà del lauro di
non essere percosso dalfidmùm,
Fon è d'Arabia peregrina pianta
Questa e* ha dolce odore ^
Perch'in lagrime stilli il suo dolore:
Nò 1 ventre ebbe giammai gravoso e pieno
Ma sovra lucide acque
Nata ò di Manto nel tàace senoj
Ma^ tal com'dla nacque
(Che tutti P onorar, si a tutti piacque ),
Immortai qui F onore
Serba, siccome verde il suo colore.
Caro pregio del Gelo e di natura,
Che non hai paragone,
Tua grazia a te mi scorga e mia ventura •
Ove lampeggi e tuone,
Perchè delle tue frondi io mMncorone,
Che di Giove il furore
Mai non offende, o T aureo strai d^ Amore.
RIME AMOROSE 357
MADRIGALE XX.
I
Loda U amio di Laura , e ne accenna gli effcUi
Non fonte o fiume lod aura
Odo in più dolce suon di quel di Laura)
Né ^1 lauro o 'n pino o 'n mirto
Mormorar s^udì mai più doke spirto*
Oh felice a cui spira !
E quel beato che per lei sospirai
Cbè^ se gF inspira il core,
Puote al cielo aspirar col suo valore.
MADRIGALE XXI.
jtma la sua donna ^ benché ella oda bd; e in db
fa consistere U vero amore*
Donna bella e gentil, del vostro petto
Sou passioni eguali odio ed amore j
Ma non già del mio core,
Dove Fun vive, e spento è F altro affetto i
Anzi piuttosto non vi nacque mai
L^ odio. crudele, e nascer non potrìa:
Ma v'amai, se m' amaste j ed or non meno
Vamo, che voi m'odiate e sete ria,
Come alla mia fortuna ed a voi piacque:
Perchè non ama la sua donna appieno
Chi Fama sol quando la stima amante 3
No , no , non se ne vante.
Vamo io nemica, e quinci onore aspetto*
358 RIME AMOROSE
MADRIGALE XXU.
D^onde toglieste il foco
Che mi consuma a poco a poco e sfiice
In guisa tal che mi tormenta e. piace 2
Da una gelata pietra
Che non si spetta per continuo piantò^
Ma, quanto più T irrigo, più s^ indura,
Ed ha presa figura
Di voi che di bellezza avete il vanto:
Onde con vostra pace
Il vostro nome e la beltà si tace.
Felice la mia fiamma.
La qual m'infiamma così dolcemente!
Felice ancor pietra sì cara e bella ^
E più, s^ ardesse anch' ella I
Ma tiene il foco in seno, e A noi sente}
E quivi Amor la face
Accende alPesca d'un piacer tenace.
MADRIGALE XXHL
Alla Mig. Lucrezia .... — Scherza su questo nome
composto di Lue {sincopato di luce) e da retia,
i^oce latina che significa reti.
Donna, sovra tutte altre a voi conviensi^
Se luce suona e retij il vostro nome 5
RIME AMOROSE 35g
Perchè m'abbaglio allo splendor del vìso^
E caggio poi con gli abbagliati senai
Al dolce laccio; e dalle bionde chiome
Legato sono, e dalla man conquiso,
Che basta aUa vittoria inerme e nuda,
Più bella e casta oy^è men fera e cruda.
MADRIGALE XXIV.
Per%l>. Maifisa iEste. — Loda la belkzza del
suo volto, ma più ancora quella delibammo*
Ha gigli e rose, ed ha rubini ed oro,
E due stelle serene e mille raggi,
Il bel vostro purpureo e bianco viso;
Onde sua primavera è 1 suo tesoro ,
E gemme i vaghi fiori, e lieti maggi
Lucide fiamme son di paradiso:
Ma ì più bel pregio è la virtù dell'alma,
Ch'è di sé stessa a voi corona e pahna.
MADRIGALE XXV.
Sul medesimo sof^Uo*
La natura v'armò, bella guerriera J
E strali sono i guardi, e nodi i crini,
E le due chiare luci ambe facelle.
E 'n vostro campo è nella prima schiera
L^onor, la gloria; e stanno a lor vicini
Gli alti costumi e le virtuti anch'elle.
Ed un diaspro intomo il cor v' ha cinto )
E voi sete la duce, Amore il vinto.
36o RIME AMOROSE
MADRIGALE XXVL
Loda I hegU occhi neri della sua donna , e U desuim»
sempre sereni e tranquilli.
Questo 81 puro e lieto e dolce raggio
Non è eli stella, o pur di bianca luna,
Ma par di sole; e sole altro non aggio:
£ mentre sete più, luci, tranquille, ^
Quasi un bel mare il bel profondo io^
Con più soavi e lucide faviHe.
O sian lumi d^ amore ardenti e chiarì,
O dell^alma gentil chMn voi si mostra.
Deh! non turbi fortuna occhi sa cari,
E \ bel sereno e V alta pace vostra.
MADRIGALE XXVIL
Si lamenta che la sua donna non deponga i guanti
Lasciar, nel ghiaccio o nell^ ardore, il guanto
Amor più non solca
Da poi che preso e 'n suo poter m* avea
Nel laccio d^oro, ondMo mi glorio e vanto.
Mentre io n'andava ancor libero e scarco.
Il candor m'abbagliò di bianca neve
Sì che non rimirai la rete e i nodi.
Poi che fui cólto, e, di spedito e leve,
Tomai grave e 'mpedito e caddi al varco,
Coperse il mio diletto , e 'n feri modi
Sdegnò la bella man preghiere e lodi.
Ahi crudel mano! ahi fera invida spoglia!
Clìi fia che la raccoglia.
Né sdegni i baci e l'amoroso pianto?
RIME AMOROSE
36i
MADRIGALE XXVffl.
Persuade i proprj occhi a non perder toccasiùfue di
mirar le bellezze deUa sua donna ; perchè è mi-
glior t inavx^rtenza che giovi , delt accortezza che
non sia giovevole.
Occhi miei lassi ^ mentre chMo vi giro
Nel volto in cui pietà par che c^ inviti;
Pregovi siate arditi,
Pascendo insieme il vostro e mio desiro.
Che giova esser accorti, e morir poi
D'amoroso digiun, non sazj appieno,
E fortuna lasciar eh' è sì fugace?
Questo sì puro e sì dolce sereno
Potria turbarsi in un momento, e voi
Veder la guerra ov' è tranquilla pace*
Occhi, mirate, or. che n'afiida e piace
U lampeggiar de' bei lumi cortesi,
Con mille amori accesi
Mille dolcezze senza alcun martiro.
MADRIGALE XXIX.
Loda gH occhi della sua donna.
Sete specchi di glòria, in cui traluce
Etemo raggio dMmmortal bellezza,
Occhi leggiadri, e lucide finestre,
E chiarì fonti ancor di pura luce.
Da cui discendo no d'alta dolcezza,
Non come fiume da montagna alpestre ^
E ruote e sfere, anzi celesti segni,
£ Soli da scacciar nebbie e disdegni*
36i RIME AMOROSE
«
SMlluminate voi T oscura mente,
Occhi, voi sete occhi non già, ma lumi,
E '1 seren vostro è 1 mio novo Oriente ;
E Forror si dilegua, e F ombra e i fumi
Fuggop lungi da voi, luci serene,
Ch^ccendete desio d^alti costumi:
Luci e lumi, il cui raggio al cor sen vene,
£ 'n lui , come farfalla , arde la spelte.
MADRIGALE XXX.
Paria metaforicamente delle nozze della sig. Laura
Peperara col conte Annibale Turco,
Questa pianta odorata e verginella.
Che, secura dal fulmine e dal gelo,
Cresce si cara al mondo e cara al Gelo,
Quanto divien maggior, tanto è più bella ^
E giovanetta mano or di lei cogue
I novi frutti e le novelle foglie.
Oh fortunata man, cui tanto lice!
E chi vi canta alF ombra anco è felice.
MADRIGALE XXXI
«Sfitto stesso soggetto,
DelFarboscel cMia si famoso nome,
Or sMia fatta Imeneo la santa face,
E delle verdi fronde orna le chiome.
Amor, con tuo dolore e con tua pace:
E tu, che spesso gli volavi intomo.
Come al suo cibo suole augel rapace.
Alla beir ombra più non fai soggiorno,
Pur con tua pace, Amore, e con tuo scorno.
RIME AMOROSE 363
MADRIGALE XXXIL
Loda gU occhi bianchi , mostrando esser cosa lor
propria la sinceriià.
De' vostri occhi sereni il dolce umore ^
Quasi un candido mare, ha picciol fondo ^
Si che tràluce al mio pensier profondo
Con dolcissime voglie u nobil core:
Anzi in quel lucidissimo candore -
L'alma si scopre, e noi perturba Amore ,
E non vi sono insidie o scogli o rirti,
Né v'ha tempesta d'amorosi spirti.
MADRIGALE XXXm.
Per la malattia , e qtdndi per la guarigione
della sua donna.
Roche son già le cetre e muti i cigni
Al languir vostro , e secco il lauro e 1 mirto y
E con languidi rai pallide stelle,
E Falba in manti oscuri od in sanguigni j
E più si duole ogni gentile spirto.
E son discordi i venti e le procelle,
E par ch'aspetti di sì breve guerra
^ n cielo un nuovo Sole, un fior la terra.
Ride la terra, e ride il ciel sereno,
E rota il Sol via più lucenti raggi,
E r immagine bella appar nelPondej
E, rallentando i fiumi al corso il freno,
Cessan Tire de' vénti e i fieri c^traggi,
364 I^IME AMOROSE
Perchè alloro non perda o ramo o fronde:
E colla vostra pace ha pace intanto
U mare e Farìa^ e tregua il duolo e 1 piaiilo.
MAPWGALE XXXIV.
Jn questo dialogo fin il poeta ed Amore si dimosira
come negU occhi della donna amata sia U prrmio
alla serviàs dell amanie»
DoVè del mio servaggio il premio | Amore? —
In que^ begli occiù al6n dolce tremanlL —
E chi V innalza il paventoso core 7 —
Io 3 ma coli' ali de^ pensier costanti. —
E i ei 8* infiamma in quel sereno ardore 7 —
n tempran bgrìmette e dolci pianti. -—
Ahi ! vola , ed arde j e di suo stato è incerto. — -
Soffra; che nel soffrire è degno merto.
RIME EROICHE
\
SONETTI
SONETTO I.
ijoda U mg* Oiùfo aniiquarìo.
Uivì Augusti ed eroi^ paesi e regni
Sacri a Giove j a Minerva , a Febo , a Marte ,
Opre raccolte y o pur vestigia sparte y
E d'antico valor memorie e segni ^
Ricerchi, Olivo, e desti i chiari ingegni
Co^ marmi , co' metalli e con le carte }
£ maraviglie di possanza e d'arte
Dimostri, e U meglio eleggi, e 1 vero insegni.
E per te più s'apprezza e più si stima
Questa etate e quelP altre a cui non furo
I regi avari e le famose donne :
E i nomi guardi , e dall' obblio securo
E dal tempo ten vai, se rode e lima
Le statue ignude e gli archi e le colonne.
368 RIME EROICHE
SONETTO IL
Teme che 3 duca Al/bruo voglia ardere ta sua
Genualemoie liberata.
Chi colle fiamme qui di Flegetonte
I fochi desti e '1 gran rogo ha costrutto?
Questa d^ohblio vorago alia e di lutto
Si deriva da Lete, o da qual fonte?
L'opre mie, che sperai chMllustrì e conte
Fossero in ogni etate al secol tutto, ^
Chi consuma e sommerge? E questo il frutto
Ch* io colgo , o Feho , nel tuo fertil monte ?
Secca tu gli atri stagni, e da Parnaso
Corra a smorzar grincendj etemo fiume,
E n^apra un novo umor novo Pegaso}
E fede impenni alleale mie le piume,
Si che, lunge lassando il mesto occaso,
Volino in oriente incontra il lume.
SONETTO IH.
Sul medesimo eoggetto, — Nd primo quadernario PeUude
aW Eneide c£b Jumuto impedi non foue oMrucaata.
Tolse alle fiamme il glorìbso Augusto
La pietà che d'Achille agguaglia Vira,
Onde ancor vive, e cresce, e luce, e spira.
Fama, T incendio d^Uion vetusto.
n mio signor, che '1 Mauro e f Indo adusto
Sovra chi vinse o resse il mondo ammira ,
Vorrà ch'accenda una niedesma pira
Fido parto innocente e padre ingiusto?
Errò il padre : il figliuol la fé scolpita
In fronte porta, e sé ne gloria e vanta,
Come servo fedel, di note impresso.
L' un piange anco il suo fallo , e T altro canta
II suo signor: se Puna alP altra vita
S'innesta, ah vivano ambo al ben promesso!
EIME EROICHE 369
SONETTO IV.
Sul meduimo toggeUo. — Pare dagli uJtdnd versi che abntno .
un esemplare del poema Jbss€ bruciata, .
ÀhiI le fiamme d'Europa, accese in questi
Fogli; or son dunque d'altre fiamme spente?
E di taute fatiche e sì fervente
Studio non fia ch'altro che duol ne resti?
Già perduto n' è '1 frutto ! E tu potesti
Esser nel proprio mal lingua sì ardente ,
Ministra del dolor, non della mente ,
Che gli effetti seguir subito fésti?
Tremar le mani al duro officio , e^ 'n pianto
Volgesti gli occhi; ed a si degni scritti
Riverente Vulcan cesse ampio loco: ^
Indi incitato ( ahi troppa fretta ! ) il foco ^ '
Gli arse; e al soo danno mille Spirti invitti
Sin dal oiel sospirar udirsi intanto^
SONETTO V.
M due» di Ferrara. -Glijh comprendere come la gloria
affidata aUa penka dìe^U terUtori è la pia siabde.
Quando nel del tra mille aurate sedi;
Glie piene son de^ tuoi grandi, avi iUustrì ;
T innalzerà ; dopo girar di Justri ;
Chi comparte le pene e le mercedi; "
Sorger vedrai sótto gl'invitti piedi
Gl'Imperi; e. poi cader quasi bgustn
Frali; e capanne ti parran palustri
Gli eccebì letti de- tuoi regi eredi;
Di Menfi e di Babel cadute e sparte
Le meraviglie barbare ; e sepolta
Roma fra le ruinc; onde s'ammira.
Solo in terra vedrai farsi le carte
< Del cielo imago ; e 'n lor tua gloria accolta;
Qoal vÌ!iro Sol ; se tua pietà m' aspira.
Tasso, roL IF. ^4
370 RimiE^ EROICHE
SONETTO VI.
JIgli Accademici eritréiy frtf quaU era staio OMcriUo perjkvore
di Scip. Gamaga. Sotto P allegoria deW albero chiamato taaso
Poiché 'o vostro terrea vii tasso alberga
Dal Ren Iraslato, omF empia mau lo svelse
Là Ve par ch^ egualmente ornai F eccelse
Piante e le basse orrida pioggia asperga^
S'egli già fu negletta ed uroil verga,
Or, mercè di colui che qui lo scelse
Fra' suoi bei lauri, e propria cura feise,
Tosto avverrà ch'ai ciel pregiato sterga:
E caldi raggi, e fresch'aure, e rugiade
Pure n'attende a maturar possenti
E niddolcir l'amate frutta acerbe.
Onde il lor succo alT api achìfe aggrade ,
E mei ne stilli che si pregi e serbe
Poscia in Parnaso alle future genti.
SONETTO VII.
Serwe daOa tua prigione al jù. Sdpiomo Coniy ,
pregando che non vengano dautc U mt prt^nart,
Scipio! o pietate è morta, od è bandita
Da' regi petti, e nel celeste regno
Tra' Divi albei^a, e prende H mondo a sdegno,
O fia la voce del mio pianto udita.
Dunque la nobil fé sarà schernita,
Ch'è di mia libertà sì nobil pegno?
Né fine avrà mai questo strazio indegno
Che m'inforsa cosi tra morte e vita?
Questa é tomba de' vivi, ov'io son chiuso
Cadavero spirante , e si disserra
Solo il career de' morti.... Oh Divi ! oh Cielo !
S'opre d'arte e d'insegno, amore e zelo
D'onore han prenuo, ovver perdono in terra.
Deh! non sia, prego, il mio pregar deluso.
RIME EROICHE 371
SONETTO Vili.
Per malaitia dli D. Vincwto Gonzaga,
Langue Vincenzo^ e seco Amor, che seco
Mai sempre vive, e seco e per lui spira,
E per lui gK occhi volge , e 'n lui li gira ,
Argo e cerviér per lui , ma per sé cieco.
Langue assetato, ed or fontana e speco,
Or ombre brama e col pensier nmira;
Langue, e si dolce è Tatto ondaci sospira,
Ch^Amor, Dolce è, gli dice, il languir teco.
Coir ale al volto i pargoletti Amorì
Rinnovan T aure; e rasitéa si piagne.
Che par ch^ imiti il mormorar d^un tonte,
E gli lusinga il sonno; e le compagne
Van rasciugando i rugiadosi umori
Dal bianco petto e dalla bella fronte.
SONETTO IX.
In morie della im^Ue di />. FerroìiU TauonL
O tu che passi , e U cuardo ai marmi giii
Ch^alzò Ferrante alla diletta moglie,
E le già fredde e incenerite spoglie
Vi pose, e le scaldò pria co^ sospiri;
Le note vi segnò, che incise miri.
Ferro no, ma stillar d^ amare doglie:
Amor fabro ne fu, che il cor gli scioglie
In pianto, e fonte il fa d^ altrui martiri.
L'anima sua non più nel mesto petto.
Ma in questa tomba è chiusa; e, se talora
N^esce, sen vola alla compagna in cielo:
Poi riede, e langue in desiar quelPora
Ch'abbia eterno lassù con lei ricetto,
E che 1 suo velo unisca al caro velo.
37a RIME^ EROICHE
SONETTO X.
Ji duea.MfimtOf implorando la sua liòeraMiane
dal^
catccrc
Me novello Ission rapida aggira
La rota di fortuna^ e ^ se in sablime
Parte m' innalza , o pur se mi deprìme^
Sempre però m^ affligge e mi martira.
Piansi lassuso ; ov' entra il sole^ e spira
L'aura più lieta tra frondose cime*^
Arsi^ gelai, languii, pregando in rime^
Né scemai le mie pene o la vostra ira.
Or in career profondo o son cresciuti
I miei tormenti; od è più acuto e forte
Vecchio dolor, cui giro aspro aa cote.
O magnanimo Alfonso, a me si muti
Non sol prigion, ma stato: e, se mia sorte
Rotar pur vuole, intorno a voi mi rote.
SONETTO XI.
Loda la memoria del card, lapoUto (PErte,
fraieOo cPErcoU.
Giace Ippolito qui: la toga d^ ostro
La spada ricoprì, ma non la scinse j
E rinato sembrò, se mai la strìnse,
U togato Roman nel secol nostro.
Die, scrìvendo ed oprando, a colto inchiostro
Doppia materia: odj civili estinse:
Frenò cittadi, e guerre vide e vinse:
Resse purpurei padri in chiuso chiostro.
Pur ' meno attero fu de' suoi gran pregi,
Che dell' onor del buon fra tei cortese;
Che , se non ebbe trionfando alloro ,
Nudrì Parti, onorò gl'ingegni egregi
Nella città del ferro, il secol d'oro
Rinnovò , lunge vide; e 'n alto intese.
' RIME EROICHE 878
SONETTO xn.
I
ter t abdicazione di Cario V,
Di sostener^ qual novo Atlante , il mondo
Il magnanimo Carlo era ornai stanco:
Vinte ho, dioea, genti non viste unquanco^
Corsa la terra, e corso il mar profondo^
Fatto il gran re ;le^ Traci a me secondo,
Preso e domato 'FASncano e U Franco^
Sopposto al del T omero destro e '1 manco ,
Portando il pesa a cui debbo esser pondo.
Quindi al frate! rivolto, al figlio quindi:
Tuo Paltò imperio, disse, e tua la prisca
Podestà sia sovra Germania e Roma: —
£ tu sostien^ l'ereditaria soma .
Di tanti regni, e sii monarca agFIndi:
E, quel che fra voi parto, amore unisca.
SONETTO XIII.
Spera che V ambra del duca Ercole impiri Adonto
a liberarlo»
L'ombra superba del crudel PeHde
Chiese vergine illustre al campo argivo,
E, ingorda del real sangue cattivo,
SulFalta tomba in sul mattin si vide.
Scenda in suo scorno del pietoso Alcide
L'alma cortese; e pririonier, che privo
Quasi è di vita , in lioertade e vivo
Per grazia tonfi .... Ecco a' miei preghi arride:
Ecco s' apre la terra ; o pure è il cielo
Che si disserra e che dal manco lato
Lampeggia j o tuona il cielo, o U suol rimbomba.
Pur per nube vegg' io , quasi per velo ,
Col padre il figUo in deità traslató
Sovra aureo nembo, ed odo on suon di tromba*
374 RIME EROICHE
SONETTO XIV.
in morie dd Vermtaf ^enliluùmo firrartMt ^ eeetUmU mei
mpfreeenUtr pereonaggi tragici e ecmmcL
Giace il Yerato qui ^ che 'n real veste
Superbo , od in servii abito avvolto^
Nel proprio aspetto , o sotto finto volto ^
Come volle sembrò Davo o Tieste.
Se pianse e risonò funebri e meste
Voci, lagrimò seco il popol folto
La dura cena , e 'udietro il Sol rivolto
Parve^ ed in nubi ascoso atre e funeste.
Se rìse, rìser seco i bei notturni
Teatri degli scherzi e deDe frodi ,
Ed insieme ammiraro il mastro e farte.
Or le scene bramar , bramar le carte
Sembran Falla sua voce e i dolci modi,
E sdegnar altro pie socchi e cotomi.
SONETTO XV.
Iiuplorm daWùmhra del duca EreoU d*Ei$e
che gli «M renduta gùulÙM.
O di valor non già y ma sol secondo
Di nome Alcide , glorioso e forte ,
Che. mentre al mortai corpo eri consorte,
Facei bella la terra e lieto il mondo!
Manda dal delo un messaggier giocondo,
Che d'Astréa la bilancia in terra porte 3
Che r altre popolari or son si torte j
Cile in lor virtù non si conosce al pondo.
Quivi r antica colpa e '1 già sofferto
Castigo in un si libri ^ e dall^un lato
SUan ^i error miei, dalF altro ogni mio merto
Poscia il tuo figlio e mio signor laudato
Pesi col bene il mal, col dubbio il certo,
Qual Giove in del ])esa il valore e M Cita
RIME EROICHE 375
SONETTO XVI.
Si duole tessere stato abbandonato da un iunico
9uW avvertita.
Sotto il giogo 9 ove Amor teco mi strinse ^
D^ amicizia solcai campo fecondo ;
E d^ogni afTetto tuo mesto o giocondo
Si scolpì Palma dentro^ e fiior mi pinse.
Poiché me duro caso in imo spinse y '
Tu che premer dovei fistesso fondo ,
O' trame me^ ti sottraggesti al pondo j
Che '1 vii uso del volgo anco te vinse.
Ecco y omai pur risorgo , e già non lasso
Il giogo, io no, ma sol tutto il sostegno,
E di mia fede i tuoi difetti adempio.
Sparga ancor semi Amor, ch^ i solchi io segno,
£ segnerò fin atf estremo passo ,
Felice no, ma glorioso esempio.
SONETTO XVII.
Prega il duca Ercole di Ferrara che vofflia dal cido rendergli
benigni i suoi figlif i quali con iniolite arti cerca$Hmo di perderlo.
Alma grande d^ Alcide, io so che miri
K aspro rigor deUa real tua prole.
Che , con insolite arti , atti e parole
Trar da me cerca, onde ver me s^ adiri.
Dal gran cerchio di latte, ove li giri
Sovra Ferranti stelle e sovra il sole.
Un mcssaggier di tua pietà sen vole ,
E spirto in lor d^umanitade inspiri;
E suoni sovra il cor: Perchè traligni
Da me, mio sangue? e perchè si discordi
Da quel valor onde ten vai sì altero?
Tu clemente , tu giusto , al dritto , al vero ,
A^ messaggi del Cielo aver vuoi sordi
Gli orecchi sempre ed al cantar de^ cigni?
/
/
/
376 RIME EROICHE
SONETTO XVIII.
Per la prima graindanza di D. Marfita tFEne.
Donna , al pudico tuo grembo fecondo y
In cui delle mortali umane vesti
Pargoletto bambin pria non chiudesti ^
Sia quel ch^or pasci, dolce e leggier pondo:
Esca ornai novo peregria del mondo
Dal nobil chiostro^ ove a lui fur contesti
I nodi della vita, a mirar questi *
Campi delParìa e '1 lume almo e giocomlo;
E gli errori del sole, e i certi giri
Di questo, gbe si volge a noi d^ intomo,
Tempio etemo immortai, fanciullo ammiri: ,
E dimostrarsi realmente adomo
Entro e di fuor sMngegni, e quinci aspiri
A far per altre strade al ciel ritorno.
SONETTO XIX.
Scnt»e dal carcere di S. Anna al duca Guglielmo Gonnagap
invocattdo la sua protezione
Signor, nel precipizio ove mi spinse
Fortuna, ognor più caggio invér gli abissi}
Né quinci ancor alcun mio prego udissi,
Né volto di pietà per me si piuse.
Ben veggio il Sol, ma qual talora il cinse
Oscuro velo in tenebrosa eclissi j
E veggo in cielo i lumi erranti e i fissi:
Ma chi d^atro pallor cosi li tinse?
Or dal profondo oscuro a te mi volgo,
E grido: A me, nel mio gran caso indegno,
Dammi , che puoi , la destra , e mi solleva y
Ed a quel peso vii che si Faggreva,
Sottraggi r ale del veloce ingegno,
E volar mi vedrai iunge dal volgo.
RIME EROICHE 377
SONETTO XX.
in morie di D* Gio. tJPjiustna, tnncitore della batlagìia di Lepanto. —
Paragona il Turco a Serse*
Quel che F Europa col niirabil ponte
Air Asia giunse^ e sulle strade ondose
Guidò cavalli ed armi, e le sassose
Fé' piane a^ legni , aperto al mare un monte,
Ingiurioso con percosse ed onte
( Com' a lui parve ) i ceppi a Nettun pose j
Tal dianzi il Trace vincitor propose
Far servo il mar con minaccevcà fronte:
Già minacciava il giogo e le catene
A' lidi, non che ali^ acque, allor che vólto
In fuga rinnovò F antico esempio.
Ma tu, che lui fugasti, in quali arene,
O 'n qual libera terra or sei sepolto?
Qual trofeo s^ erge in tua memoria o tempio ?
SONETTO XXI.
In morie di ttn Cappuccino. Infoca la sua assisterua.
Spirto immortai, che saggio e 'nsieme ardito
Nel mortai campo alte vittorie avesti.
Di voglie schife armato e d^ atti onesti ,
Del corpo carco no, ma sol vestito;
Or che sei vincitore al ciel salito
Dopo lunghe contese , in guerra mesti
Noi qui lasciando, deh! risguarda or questi
Chiostri, ov^erì cotanto a* buou^ gradito:
E noi seguaci tuoi, ch'incontra il mondo
Te nell'opre e nel dir possente duce
Seguimmo, mira dal trionfo eterno;
E ne scorgi col ver di' a te riluce,
A ben oprare, e nel cor nostro interno
Suona ancor più, che non solei, faconda
37S RIME EROICHE
SONETTO XXII.
Iktold col tmrd, Mktmo che Potm di Bernardo TauOf jm»
padre f Steno roNocfe senxa degno sepolcro f e io prega m
Alban , F ossa paterne anco non serra
Tomba di peregrini e bianchi marmi ,
Di prosa adorna e di l^giadri carmi ^
Bla in alto aen Finvolve oscura terra.
Lasso I e pietà ^ che in onorar non erra
I nomi amati 9 potea pur dettarmi :
M n Tasso è questi; che tra r^ ed armi
u Cantò A dolcemente in pace e Vi guerra ;
« Ed oprò molto e seppe. » E 'n nobil tempio
Potea la tomba ornarne, ove passando
n dimostrasse il peregrino a dko;
Ma lo yietò dura fortuna 1 Or quando
Fia pieno il mio desir che tardi adempio?
Sia per te pago in terra, e Vi ciel gradito!
SONETTO XXIII.
Psaìa della ri/òrma del suo poemmi ma duiàa S conseguire
P aggradimento del PuMico.
Scrissi di vera impresa e d^ eroi veri ,
Ma gK accrebbi ed ornai, quasi pttore
Che finga altrui , di quel clr egli è , maggiore ,
Di più yagfai sembianti e di più alteri.
Poscia con occhi rimirai severi
L^opra; e la forma a me spiacqne e 1 colore;
E r altra ne formai, mastro migliore;
Né so se colorirla in carte io speri:
Ch* egro e stanco dagli anni , ove più rare
Tenti le rime far, men piaccìon elle,
E 'n minor pregio io son che già non era.
Pur non langoe la mente, e prigioniera
Esce dal career suo; né quel che pare,
Ma l'orme scorge e vere e pure e belle.
RIME EROICHE 379
SONETTO XXIV.
In lode di Scipione.
Dopo Romulo e Cosso ^ a Giove ofiferse
Le terze spoglie del re Gallo opime
Il gran Marcello^ e riportò le prime
Palme de^ Mauri ch'ei vinse e disperse. '
Nola il sa ben^ che lui fra schiere avverse^
Qual fra gli augelli V aquila sublime ,
O qual saetta in suU^ eccelse cime
Di sacre querce^ impetuoso scerse.
Non Paolo, o Claudio, ch^Asdruballe astrìnse,
Agguagliò Roma alla fulminea spada,
Ma sol del vecchio Fabio il cauto scudo:
•
Perchè rìpresse Funo Annibal crudo,
E r altro il tenne con molt^ arte a bada :
Pur Paltò Scipion fu quel che vinse.
SONETTO XXV.
Sopra Ù suo poema dellf Gerusalemme lìberaU*
1/ arme e '1 duce cantai che per pietate
La terra sacra a genti empie ritolse,
In cui già Cristo di morir si dolse,
E immortai fe^ la nostra umanitate.
E sì fu chiaro il suon, che questa etate
Ad ammirar F antico onor rivolse ]
Ma né pedoni, né destrieri accolse^
Che gissero oltre il Tauro, oltre F Eufrate.
Né so sM vaghi spirti al ciel rapiva,
Ma ben^ sovente di pietoso affetto
Si colorò chi le sue note udiva:
Me talor rapì certo, ed alcun detto
Dal cirl spirommi o Musa od altra Diva;
Deh! spiri or sempre, e di sé m'empia il petto.
38o RIME EROICHE
SONETTO XXVI.
M Gwtlmgo. Parìa del calamajo che B. Ttuso, suo padre,
gU lasciò morendo, e eh* egU at^ea rtcam daW Àfrica.
Qaest^arca fu di preziosi odori ^
Ch'or è Taso d' incbiosiro ; e^ fra k prede
Ch'egli acquistò nell^ afincana sede^
Ancor lui tolse il mio buon padre a^ Morì:
E ^n questo uso adoproUo^ e i vaghi amori
Per lui fé' conti, e la sua stabil fede^
Né del gran Carlo o del felice erede
Senza lui celebrò Tarme e gli allori:
Ed oltra l'Alpe e la famosa Ardenna
Nell'esilio portoUo, e nella morte
Lasciollo a me, cara memoria acerba!
Cualengo, a me fortuna ancora il serba:
Deh! quando io lodo il saggio Alfonso e forte.
Mai non sia scarso alla mia stanca penna.
SONETTO XXVII.
M jP. Meustro Agostino B^ini, a cui s^ incomincioim
a infieuoline la tnsta.
Perchè la lunga etate i lumi esterni;
Righino, adombri, e h mortai tua vista,
Onde i colorì e questa luce mista
Colle tenebre oscure a pena scemi.
Aperti hai gli occhi della mente interni
Nel di che mai non perde e non acquista.
Là 've nube non vela o verno attrìsta
Il lieto lume degli obietti etenii^
E '1 Sol che d'alta luce è fonte immenso
Ed infinito, ed indi uscir rìsguardi
Tutti i rivi d'angelici splendorì^
£ dell'acque e de' rai t'irrighi, e n^ardi
In modo tal, che noi conosca il senso ^
Alzando il cor fra i benedetti corì.
RIME EROICHE 38 1
SONETTO XXVIII.
So/nvi V effigie dd dtfimio Cario G, (Jòrse Carlo Goiaag«i).
Carlo ^ questi sei tu^ che del bel volto
Io riconosco ben Paria gentile,
E F ór terso de' crini , a cui simile
Altro non fu mai sparso o iir treccia avvolto.
Lasso! sei tu; ma finto: e non ascolto
La dolce voòe mansueta umile,
Né mi dimostra insieme il dotto stile
La bella man eh' all' altre il pregio ha tolto ,
Si ch'io la baci!... Dunque il vero aspetto
Fia ch'io sempre lontano ami e sospiri,
E le care accoglienze e i detti accorti?
Ben par che tu m^ ascolti , e par che spiri
Un'aura dolce di pietoso affetto
Dal freddo smalto eh' a sperar m'esorti.
SONETTO xxix.
jf $uoi UlftL Brama che nelle proprie opere^ si trasfondano
i pregi ch'egli ammira in essi.
O testimoni del valore illustri,
Per cui spiando il vero io vo sovente ;
Per cui spira e ragiona e m' è presente
Tal che mori già tanti e tanti lustri;
Mentre pur cerco come l'uom s'illustri,
E 'n me rinnovo un desiderio ardente
Che m' accendea la giovinetta mente ,
Continuando Fopre mie trilustri.
Fra voi dimoro , e sos[Hrando i' dico :
Deh! fosse in loro il dolce siile e farte
Ch' a morte fa si glorioso inganno,
Perchè agguagliasser quei che poi verranno,
Leggendo spesso le mie dotte carte ,
U novo Alfonso ad ogni vostro antico.
\
384 RIME EROICHE
SONETTO XXXIV.
Jn morta di D. Jf/òmo Dm^alo muwduMt del Vutt/K
Cadesti 9 Alfonso^ e ruinoso il ponte
Te con arme ed armati in mar sommerse,
£ 'ndietro il corso per timor converse
Àlféo, né giunse al desiato fonte.
Tu, che sembravi air animosa fronte
Orazio 9 e chiuso il yarco avresti a Serse
Quando il giogo co' ceppi il mar sofferse,
E vendicar potei gli oltraggi e P onte ,
Davalo, tu cadesti! Ad opre eccelse
Nato di forte padre e d^avo invitto,
Da qual altro avrà '1 nome il lido e l' onde ?
Orrìbil caso , egual ( se 1 vero è scritto )
A quel che dalle nostre antiche sponde
Parti Sicilia per tempesta e svelse!
SONETTO XXXV.
Per la tuperma nmiattia dei prindfm di MmUmm.
Per assalire il mio Signor la Morte
Prese avea Tarme, e, di sue spoglie altera^
Mali e dolori accolti in lunga scluera
Ed immagini avea dolenti e smorte,
E ciò clie dentro alle tartaree porte
Spaventa Talma ove del ciel dis|>era;
Ma 'ncontra turba si spietata e fiera
Trovò mille difese e mille scorte:
E Virtù fiammeggiò tra l'empie larve ^
Come in Flegra solca sovra i giganti ,
E Gloria accesa d^un celeste lampo,
' E Poesia ) talcliè partissi e sparve ,
Dicendo: Ahi! qui non ho di ch'io mi vanii,
Benché vincessi: or viva: io cedo il campo.
RIME EROICHE 385
SONETTO XXX VL
In lotU di B9i;gamo.
Virtù fra questi colli alberga j e ^n prima
Vi crebbe; e sovra al più sublime ed erto
Monte rOnor poggiando ascese al merlo
Che ^n faticoso pre^o ha laude e stima.
Coglie la Gloria ancor ghirlande in cima y
£ mostra lauri e palme , el calle aperto^
Perch^akri non travie con piede incerto
Là dove Tozio ogni valore opprima.
Né qui spiegar le pompe sue disdegna
Fortuna anuca , e 1 largo pian rimira
Ove il carro domar V orrido Marte
Potrebbe; né più lieto in altra parte
Splende il Sol; ride il suolo, e Taura spira ,
Né più sicura Astréa vi scende e regna.
SONETTO XXXVII.
Sut medesimo soggetto.
Alta cittìi, più del tuo verde monte
Cha di sue forti mura ampia corona^
T'assicura la Fede e tMncorona,
Onde puoi lieta al cielo erger la fronte.
Te, fra le genti al bene oprar sì pronte,
* A degne imprese Cantate sprona ^
Per te Febo ritrova altro Elicona,
V hanno le Muse e l'ombre el fiume e '1 fonte.
In te s'acquista pregio altro che d'armi^
Ed ove splende pur dMnvitto duce
L'antica rama, el trae d'oscura tomba,
La gloria d'altri figli anco riluce
In dolci e vaghe rime e 'n dotti carmi :
Che più darti potrà mìa lira o tromba?
Tasso, To/. /r. a5
386 RIME EROICHE
SONETTO XXXVIII.
Sui medenmo sof^eOo»
Terra, che '1 Seno bagna e 1 Brembo inonda,
Che monti e valli mostri all^una mano,
Ed air altra il tuo verde e largo piano,
Or ampia ed or sublime ed or profonda j
PerchMo cercassi pur di sponda in sponda
Nilo, Istro, Gange, o s'altro è più lontano,
O mar da terren chiuso, o F Oceano
Che d^ogni intomo lui cinge e drconda,
Riveder non potrei parte più cara
E gradita di te, da cui mi venne
In riva al gran Tirren famoso padre.
Che fra Panne cantò rime leggiadre;
Benché la fama tua pur ri rischiara
E si dispiega al del con altre penne.
SONETTO XXXIX.
Si duole d^ casi della sua vitaf e si mostra dubbioso
déW at^venirt»
Fertìl pianta che svelta è da radici:
Percnè Paura le spiri e splenda il sole,
I tronchi rami rimenar non suole,
Né produr frutti in sua stagion felici.
Tal di mìa terra io tratto, e T infelici
Fronde perdute, e non le fronde sole.
Quando e dove risorgo?... Inutil mole
Sembro sterpata con infausti auspici.
lyaura etema e di Sol gli spirti e i rat
Almi e lucenti , e di sant' acque e pure
Aspettar debbo i benedetti umori?
Verdeggerò traslato , e darò mai
Frutti a^ digiuni? o pur ondare e ristori
A chi sia stanco per gravose cure?
RIME EROICHE 387
SONETTO XL.
\ In morte di ¥aghissimo povintUo.
Spento è il Sol di bellezza: or questi abissi
Cbi più ne alluma ed apre? or chi ne porge
L'ali al pensier che giace? e chi lo scorge
Là ov^ei nel cielo al suo Fattore unissi?
Lasso ! e qual danno mai più grave -udissi ?
Poiché tra F ombra il giorno or non risorge ^
Ma sol mesto coU^ ombra un fiume sorge
Agli occhi immersi in tenebroso ecclissi.
Tu che di là lo vedi^ angelo eletto^
Requie n^ infondi e lume 3 e tu cMnspira
A dir le palme onde te stesso onori:
Chèy se lo sul risponde al gran concetto ^
Or eh' anco il mondo il tuo valor sospira
Chi fia ch'oda i tuoi merti e non t'adori?
SONETTO XLI.
A papa CUmenU Vili. Ife implora la protezione.
Mentre fulmina il Trace^ e i monti e'i campi
Di morte ingombra^ e d'atro sangue inonda;
Mentre Francia^ di guerre ancor feconda,
Produce il seme onde sé stessa avvampi;
Tu di lontan prevedi i tuoni e i lampi
E i venti incerti e '1 ciel turbato e l' onda y
E per fortuna avvei'sa e per seconda
Da gran perìglio altrui difendi e scampi.
E; benché sia pensier l'imperio e il regno
Dell'alta mente , in me pietoso inchina
Gli occhi, quasi in negletto ed umil verme.
Tal Providenza di lassù divina,
Perché il ciel volga, già non prende a sdegno
La bassa terra e le sue parti inferme.
388 RIME EROICHE
SONETTO XLII.
AiPvnpertuhr Bukl/ò e ad Enrico re ili Fronda t etortan'
doli ti amotfer P turni contra U Titrco.
Ridolfo e Enrico^ a^ quali il Signor diede
I duo scettri maggior del secol nostro,
Perchè ornai contra il crudo e fiero mostro
Non volger Tarmi ed aggrandir la Fede?
Il fiaccargli le coma ben si vede
Esser posto da lui in poter vostro :
Queste la vera via ch^egli v^ha mostro
Di gire alla beata etema sede.
n pianger de^ meschini a voi s^ appressi,
Da Quel, che del suo sangue non fu scarso
Al mondo, per sua grazia a voi commessi
Pietà vi mova omai il veder sparso
Tanto sangue cristiano, e tanti oppressi
Pi cruda fame, e vie più d^^in tempio arso.
SONETTO XLIIL
M *ig' Atcanio Mori da Ceno in mart$
tPtin suo JìgiiuoUitó.
Mirar due meste luci in dentro ascose,
Una pallida fronte, un corpo esangue,
E, dileguando dalle guance il sangue.
Gelar le brine e impallidir le rose;
Padre-, ahi! padre, sentir voci pietose,
E questa e auella man fredda com^ angue j
E la madre languir, se '1 figlio langue,
Ch^a pena è viva, e di morir propose;
Di morte un volto pien, T altro di pianto,
Dell'immagine sua dolente impresso,
E cader tuo sostegno e tua speranza ;
Quinci silenzio, e quindi strida intanto.
Per tutto orror, è duol ch^ogni altro avanza,
Ascanio; ma tu'! vinci, anzi te stesso.
RIME EROICHE 389
SONETTO XLIV.
M ConsaìpOj scrittore ipdgpuolo di tragedie. Dice che iolo dt^ t^ersi
di lui egli ritrae solUevo a' tuoi qffànnL
Chi può temprar ; Consalvo, il gran disdegno
Che per alta cagion si move e desta ;
£ tranquillar il verno e la tempesta
De^ miei pensieri e dell^ affetto indegno,
Se tu non sei? Teco a dolermi io vegnoj
E, se doglia per doglia è più molesta*^
Come si cara e dilettosa è questa
Che d^ antico dolor porto e sostegno?
Chi m'addolcisce del mio pianto amaro^
Le fonti, e F aspro duol che Palma ingotnbra^
Se non se i tuoi soavi e ciliari accenti^
Cosi y piangendo e sospirando , imparo
Che la vita sparisce a guisa d^ ombra,
E dolce è la pietà d'altrùi lamenti*
SONETTO XLV. ' *
jti €onU di Pedeno, Confida nel suo ^patrocìnio.
Di pender' grave e d'anni, e 'nfermo il fianco,
£ già vario la chioma, e tardo il piede,
Né d'altro più che d'altrui danno erede,
E per morte bramar vivo pur anco:
Ma, di pregare e di lodar già stanco.
Pur con mio scorno, e a aspettar mercede,
Temo ch'empia fortuna avare prede
Di me non faccia, e 'mpallidisco e 'mbianco^
Siccome in alpe suol gelida pietra;
Ma l'alta vostra cortesia m'affida,
E per suo raro don risorgo e scampo*
Oh I se grazia maggiore alfin m' impetra ,
Bench'io ^ia men possente in duro campo,
Non temerò lei che minacela e sfida*
390 RIME EROICHE
SONETTO XLVI.
In lode di Tonmuuo SdgUanL
Stigliali y quel canto onde ad Orfeo simile
Puoi placar V Ombre dello stigto regno y
Suona tal^ ch'ascoltando ebro ne vegno^
Ed aggio ogii^ altro e più '1 mio stesso a vile.
E 9 s^ autunno risponde ai fior d^ aprile,
Come promette il tuo felice ingegno,
Varcherai chiaro ov* erse Alcide d segno ^
Ed alle sponde delT estrema Tile.
Poggia pur dall' umil volgo diviso
L' aspro Elicona , a cui se' in guisa appresso y
Che non ti può più 1 calle esser preciso.
Ivi pende mia cetra ad un cipresso:
Salutala in mìo nome, e dàlie avviso
Ch^io son dagli anni e da fortuna oppresso.
SONETTO XLVII.
ÌA)da il duca JUònto y che die U wù nome «1 Monte Alfontoy
eVumiUàdeUa ducheua di Ferrane
L'invitto Alfonso ; ove il suo merto è degno,
Alzò l'illustre nome e 'i diede al monte,
E d'alte mura incoronò la fronte
Per frenar de' nemici orrido sdegno.
Ma la vostra umiltà n'estima indegno
Sasso che più s'induri e più sormonte
E stia co' nembi e colle nubi a fronte,
E potea darlo al gran celeste regno j
Perchè la parte sua , eh' è più serena ,
Più rassomiglia in voi le pure luci,
E '1 suo candor col vostro invan contende :
Anzi, s'egli s'infiamma o rasserena,
Ogni steUa benigna a^ sommi duci
Per nomarsi da voi più chiara splende.
RIME EROICHE 391
SONETTO XLVIII.
Paragona f amù antatone D. EKtab, Farnese^ duchessa di
Ferrara f a Diaonef per beUezxa f Jèìicià e i^irtù.
Quanto ^gìà F altra Elìsa al duro amante
Bramò che fosse il vento e U mar nemico,
Quando nel regno di Latino antico
Cercava sede peregrino errante;
Tanto costei col suo real sembiante,
E col pensier sì casto e sì pudico ,
Rende a^ giusti nepoti il Cielo amico,
Per cui r Affrica trema e ^1 vecchio Atlante:
Nova e più bella e più felice Elisa,
Che non accusa il su^ amator crudele,
O 'nganno avaro del fratello infido;
Al cui pregar si placherebbe in guisa.
Ch'indietro ancor riporterìa le vele
Zefiro ed Austro da contrario lido.
SONETTO XLIX.
Ad Elena MiroaUa^ tedesca, in occasione della morte della
duchessa Barbara f sua signora. Paragona gVHUgiuimi amori
d'Elena greca to' legittimi di questa EUna germana.
Non fu sì chiara, per le fiamme ardenti
Ond'arse Troja e incenerissi alfine.
La bella Greca che U dorato crine
Troncò da poi con dolci alti lamenti.
Come voi per le vostre: e i vostri accenti
Fecer pietose in del Palme divine.
Quando lasciò Ferranti e peregrine
Quella ch'or vive fra T eteme menti.
Né, per fuggir dal vostro sposo eletto,
Varcaste lidi o tempestosi mari,
Né sete voi cagion di fera guerra.
Ma d^alma pace; e quanto intenso affetto
V innalzerà fra' tempj e fra gli altari ,
Tanto e sol resta abbandonato in terra.
>
393 RIME EROICHE
SONETTO L-
Loda la dueh. di Pafma Mar^hgrUa d^AìUfbria. iVel «^. 7 « Mf^,
aiiude a' due/rateUi, V uno mtorto, e PaUro ancor t4$H>,
Gemma delf Occidente ^ anà det m<xido -,
Tesoro e gloria dell* invitto padre; -
Luce, cbe scacci F ombre oscure ed adre;
Mar di gran senno e di valor profondo^
Nata del quinto Carlo, a cui secondo
Rimase il primo in opre alte e leggiadre^
Figlia pia, casta moglie , e santa madre ^
Col Ciel partisti il glorioso, pondo,
Perchè, se Tun quaggiù splende e nluce,
U altro le stelle illustri, e non si vanti
Due Soli in un sol tempo aver la terra.
Pur ambo gli hai nel core e nei sembianti,
E, come vive col fratel Polluce,
L^uno è nell'altro, e Funo e P altro in guerra.
SONETTO LI.
Mentre loda tZ j^. FaHo Gonzaga, ti dichiara vicCfo.
ad accostard aWaliezaa cft tale orgomenÈo,
Fabio, io lunge credea col basso ingegno
Sovra me stesso, in voi lodando, akarmi,
Ed agguagliar co* più lodati carmi
Quel valor che di fama etema è degno.
Ma, più d'appresso, or più sublime s^o
E la gloria veggMo d'imprese e d^armi.
Cui alzarsi dovrian metalli e marmi.
Non ch'umìl laude: e tal s'avrebbe a sdegno.
Così maggior si scopre antica torre
Od alto monte a chi vicino il guarda ,
E pogo^ar non vi pnote uom l^to e carco.
Però si ferma al periglioso varco
Del vostro onor la penna, e noi trascorre.
Già leggiera e veloce, or grave e tarda.
RIME EROICHE 393
SONETTO LU.
MmeduimOf eor^nnandoìo a due gran uittorief Puna di tè ttesiOf
e Paiira del dettino a lui i ai Tasso) at^erto.
Signor j cli^ imtnortal laude aveste in guerra ,
Là Ve i rapidi fiumi agghiaccia il verno,
In pace ancor s^ acquista onore etemo ,
E mano inerme apre Elicona e serra.
Tu nella tua famosa e nobil terra
Deh I non aver due gran vittorie a scherno :
li ima di te, che 1 tuo nemico intemo
Puoi raffrenar quando ei vaneggia ed erraj
L'altra di mia fortuna e d'empie e felle
Luci: e se '1 Cielo e 1 Fato lia ingiusta forza,
Chi vide mai più gloriosa palma 7
'Molti vinser la terra, e tu le stelle;
,Tu signoreggi il ciel che tutto sforza,
Rendendo vera liberiate all'alma.
SONETTO LUI.
Loda D, Maria Danàio, Pria parla di FfapoU, dicendola imagine
del delog poi timiglia la beUà di qj^Ua dama al tole.
Questa delgpuro ciel felice imago
Nobilissima terra, e '1 mar Tirreno,
Specchio lucente di splendor sereno
Là dove il Sol di rimirarsi è vago,
Ha voi per Faltro^ e non errante o vago.
Né per occaso mai v'attende in seno;
Ma sedendo illustrate il bel terreno^
E lui ch'ora somiglia un queto lago:
E fate illustri ancor sublimi ingegni;
Né v'alberga leone o tauro o mostro,
Ma dal suo cerchio Astréa per voi discende.
E rilucete qui per tanti segni ,
, Quante ha belle virtù l'animo vostro
Che 'n varie forme a noi riluce e splende. «
394 RIME EROICHE
SONETTO LIV.
In lode deUa mg. Barbara Sametmino
Questa d'Italia beOa e nobil figlia
È vivo esempio del valor primiero,
E della gloria antica il novo impero
Pur infiammar potrebbe (oh meravigliai);
E col seren ddle tranquille ciglia
Quetar Tardilo Franco e U forte Ibero^
E scaltro si possente o sì guerriero *
Fece del sangue altrui Fonda vermiglia.
E tu^ che FAffrican da noi dividi ,
Tu non circondi , o mar, né prima nacque
Barbara più gentile in altri lidL
Ma vincer non curò la terra e Tacque,
Perch'i vinti consoli e parte affidi,
Preso il bel nome die lodossi e piacque.
CANZONI
CANZONE I.
j^ila Clemenza. Cercatala in varie pani del mondo
e appresso varf principi ^ la trova alfine nelt animo
e nelle opere di S. o. Sisto V; onde lo invoca a
suo favore. ^
oanta Virtù, che dairorror profondo,
Che le qose ascondea nel rozzo seno,
Pria con volto sereno
I secoli spiegasti in chiara luce,
E , le tenebre scosse , apristi al mondo
Le varie forme, e di colori adomo
DalP oriente il giorno,
En'1 Sol che nel suo grembo il di conduce,
E lei che bianca e fredda indi riluce;
Tu fra le fianlme e T indurato gelo
Posta hai la sedè, e tu 1 conserva e guarda,
Perchè fra^ suoi contrarj ei non si stempre ;
E con soavi tempre
Tu disponi la terra e 'nsieme il cielo:
Ah! fia che tutto incenerisca ed arda.
Se muti albergo: e chi '1 partir più tarda?
Ove degg'io cercarti? ove s^ accende
La negra turba al raggio estivo e tinge?
O dove fiumi strìnge,
E le paludi e i man il ghiaccio indura?
Nò de^ miei detti il suono ivi s^ intende,
r^è ciò che vergar può la tosca penna 3
3g6 RIME EROICHE
Ma fere; e non accei\na
Barbaro Marte con sembianza oscura.
Deh! qual legge di falò o di natura
È si mutata? o qual crudele stella
Si mi ^persegue, o Dea, (se dir convienai)
E solo offende me , s* altrui minaccia y
Con spaventosa feccia?
Alma io non sono al mio signor nibella.
Perchè le colpe spesso io pianga e pensi
* Or con gelidi spirti , or con aòcensL
Sei dove sparve TOrsa? io pur mi volgo
AI bel paese in cui m^ affida a pena
L* accoglienza serena ,
Benché la terra ivi toccassi in prima,
Che poi nutrìmmi , e non com^ uom del volgo
Deh! qual altra più degna e nobil sede
Il sol girando vede
Con più tepidi raggi in altro clima?
Dov' e r aura più dolce in verde cima ?
Dove i guerrieri armenti alberga e pasce
Più fortunata piaggia o più feconda?
Dov' è più bello U monte o '1 piano o H lido ?
Dov'il suo proprio nido
Sotto ciel si benigno in altre fasce?
Qual terra più de^ suoi gran doni abbonda?
O dove più ne porta il vento e Fonda?
Tu pur soléi già ritrovar sovente.
Quivi d^ altre Virtù felice schiera,
Quasi in celeste spera,
Che non è parte a lei tanto simile;
E v'era Astréa, com'è nel ciel lucente,
Discesa a Carlo : e , se lassù V accolse ,
^Scorpìo allor si raccolse.
Or non so dove sia, fra Satiro e Tile,
RIME EROICHE 397
O fra gente selvaggia ^ o fra gentile.
Ma spesso il mìo pensier non lunge alPÀmo ^
Mi suol guidar^ quasi di riva in porto,
Mentre misuro pur F arene e '1 mare
Colle mie pene amare,
Perch^o non pensi di cercarla indamo
Là \e un gran duce, a cui l'occaso o Torto
JSfon vede eguale, emendi il nostro ' torto.
Mai vela non spiegò si presto volo.
Nave spingendo già leggiera e scarca ,
Come u pensier sen varca
Là dove alberga liberta te e pace.
Presso Pun mare e l'altro, in nobil suolo ^
O dove innalza la frondosa fronte
Imperioso monte
Che die riposo a «hi V invitto Trace
Vincer potea (la fama il ver non tace)
Là dove la gran quercia i colli adombra.
Ferma ad ogni procella, ad ogni nembo:
Deh ! non mi scacci dagli ombrosi rami ,
Perch' io pur mi richiami ,
Dove il buon padre mio cantava all'ombra.
£ talor penso a voi , Po , Mincio e Brembo :
Ap^mi almeno, alta mia patria, il grembo.
Pòi, quasi da un mio grave e lungo sogno
Io mi riscuoto, e dico: Ahi gran letargo!
A cui le rime spargo,
Nutrito di speranze incerte e false?
Che pur attendo omai? che pur agogno.
Già stanco, e sotto grave e doppia salma,
. Palma giungendo* a palma ,
In guisa d'^uom cui sol di gloria calse,
E per tempo girò Parnaso e '1 salse,
Ma no '1 tuo monte, o Sisto, in cui t'adoro?
3ga RIME EROICHE
O padre y e solo in terra e vivo esempio
Defla Clìiesa di Dio, ch^è in cielo eterna^
Ove fia ch'io la scema?
Più bella y che 'n avorio ^ o ^n marmi,* o 'n oro
Opra di Fidia, in te (se U ver contempio)
Ha la Clemenza e nel tuo core il tempio.
Seco è la Fede in un medesmo petto,
Che non ha forse al mondo altro nfugio:
Dehl più non faccia induco
Alle promesse ond' altri a me fu parco.
La mia salute e b tua grazia aspetto
Dalla tua santa man che lega e solve,
^Prìa che converso in polve
Sia questo grave mio tenace iucarco :
Vedi c^ho già vicin f ultimo varco.
A chi non sa , di perdonare insegna j
Però grido: Perdona a chi m* offese^
Che la fraude coprir di falso amore
È troppo grave errore:
Quasi guerrier sotto mentita insegna,
Perdona mille scorni e mille offese,
Mille gelide invidie ed ire accese.
Né sol io dalla grazia, io che mi pento,
10 che FoOeso fui, rimanga escluso;
Tante volte deluso,
Quante pregai, quante sperai perdono:
£, mentre il mondo alla tua gloria intento,
Là 've in sua vece il Re del eie! ti scelse ,
Mira fopre tue eccelse,
Rimbombi, come' suol lucido tuono,
La tua clemenza, e corra intorno il suono;
E non pur F oda il bel Sebeto , e U Tebro ,
E r Amo, e '1 gran Tirreno, e 'I mar che frange
11 Po turbato, e T Appennino, e rAl|)e,
I
RIME EROICHE 399
Ma l'jnge Abila e Calpe^
Parnaso, ed Alo, ed Achelóo, ed Ebro,
Istro, Tamigi, Senna, e Nilo, e Gange j
E U mondo tutto aspra sentenza or cange.
Voi, cui d'Italia il freno in mano ha posto
Fortuna, o regi; e voi, ctf avete in guerra
Soggiogata la terra,
Di gloria alteri e d^alta stirpe e d'armi.
Vizio è Tira crudele e Podio ascosto.
In magnanimo core r e d' uomo esangue
Quasi' pascer il sangue ,
Vivendo d'altrui pena, indegno panni.
Non aspetti il perdono i preghi o i carmi;
Non ritardi aspettato, e tosto incontra
Si faccia a mitigar T altrui cordoglio.
Se medicina ha il male, o pur restauro.
Anco il leone e '1 tauro
Atterra ciò eh' opponsi e ciò che 'hcontra ,
Non offende chi giace; e 'n alto scoglio
Fulmina il Cielo, e 'n più superbo orgoglio.
Vola, canzone, ove in sublime seggio
Fanno i purpurei padri alta corona
Al vicario di Cristo: a lui davante
T'inchina, e '1 pie gli bacia, e parla, e prega.
Quinci poi F ali spiega ,
E grida: Ove Clemenza altrui perdona,
Strìngendo amici cori, è più costante
Che catena di lucido diamante.
4oo RIME EROICHE
CANZONE DL
Dopo aver chiamato tutto il creato ad esaliar ia
gloria delt etemo Fattore, s* apre la via ad ac-
cennare I pregi ptf auali deve il mondo tributar
di lodi la Santità di papa Grrgorio XI F.
Da msL lode immortal del Be superno
Abbia quella del re principio in terra;
Anzi laudisi quel ch'i regi esalta^
Padre e mgnor che n^ apre il cielo e serra,
E le tartaree porte al cieco Inferno,
Onde antico avversario ancor n^ assalta.
Lodate Dio dal cielo , e insin dalTalta
Parte s'oda la santa e chiara tromba ,
O Angeli; o Virtù del sommo coro; ^
S'oda il canto sonoro
Dove null^ altra voce al cor rimbomba j
Lodai tu, etemo Sol, eh* il giorno iHostri,
O Luna , tu che fai men folta F ombra ;
Loda tei voi, sublimi ed auree stelle^
Lodilo il lume onde son chiare e belle
Quando la nera notte il mondo adombiy/,
Lodatel voi, di pura luce illustri
GeU de' cieli j e per girar di lustri
Non cessin mai lassù lode e concenti:
Lodatel sovra il cielo, acque lucenti
Perch'ei comanda, e solo etemi e fissi
Sono i suoi detti ; ogni altro vola e passa :
Que* no, benché trapassi il cielo e '1 mondo.
Lodate lui dall* ima sede e bassa ,
Dragoni, (s serpi, e tenelirosi abissi,
Foco, ghiisiccio, contesa in mar profondo
/
RIME EROICHE 4oi
De^ venti, che '1 perturbi insin dal fondo j
U lodin tutti i colli e gli aspri monti ,
I cedri y i lauri, i mirti, i pini e i faggi:
Voi colti, e voi selvaggi,
Ch^ incoronate le più alpestre fronti;
Voi, fere belve, e voi eh' all' aspre some
Porgete '1 dorso, e voi, congiunte gregge.
Voi, pesci, e voi deirarìa augei volanti:
Lodate lui, lasciando i proprj vanti.
Re della terra 3 e voi, ck'afTrena e regge
Colla lor verga, amici al santo nome,
Vergini sacre, e con recise chiome .
Giovani casti, età canuta e stanca:
Ch'ogni altra lode cade alfine e manca.
Ma sovra gli altri or tu, famoso Tebro,
E tu, d'antichi eroi madre e d'Augusti,
Alza il suo nome al ciel con auree penne 3
Ch^egli a te die Cesari invitti, e giusti
Pastori; e questi ch'io tardi celebro.
Dato da lui, sol per sua grazia or venne.
Egli, che volge il cielo ovunque accenne,
E cangiar puote al sole il ratto corso,
E dalla destra a noi Giove e Saturno,
Centra 1 giro diurno.
Mostrare , ei pronto move al tuo soccorso :
Ei volse a te pietose luci e sante,
A te d'imperio grande antica donna,
Che piangevi duo padri, al nero occaso
Giunti, pur come sia fortuna o caso,
O quasi manchi al ciel doppia colonna,
E minacci mina il vecchio Atlante:
Ei gli altri accolse in te, grave e tremante,
E fra' più gravi e saggi or questo ei scelse ,
Nato pier mitre e per corone eccelse.
Tasso, Voi IV. a6
4o? RIME EROICHE
Di stirpe degna e di più degno padre ,
Quasi novo Gregorio, al mondo nacque
Questi y che dal prìmier s^ appdUa e noma y
Perchè la fama^ che garriva e tacque,
E fra le nubi tenebrose ed adre
Nascose il capo e la canuta chioma ,
Più si vergogni^ e taccia Atene e Roma
E Tebe antica e la feroce Sparta
Del suo Alcide e di Marte ^ o pur JEgéo;
Né Romolo o Teseo,
De^ quai si chiara loda al mondo è sparta,
Di progenie gentil si glorii a prova;
Né d^ Alessandro ^ uom conosciuto al sangue,
Del re suo padre non contento e pago,
Si narri il parto, o '1 favoloso drago,
O r ignudo fanciul ch^usci dell'angue,
Che le favole prische ancor rinnova;
Ma casta nobiltà , eh' antica e nova
Virtute e gloria insieme adoma or rende.
Coli' alte insegne sue fiorisce e splende.
Cosi nascendo, mansueto, umile,
Seguisti, o sommo Padre, impresse l'orme
Del tuo, lunge d'error prisco e novello.
Chi vide mai nelle cangiate forme
Miracolo maggiore? al santo ovile
Prima giacesti semplicetto agnello,
Poscia al fonte lavasti il bianco vello ,
E chi travia reggesti , e clii vaneggia ,
Fatto sacro Pastor con sacra verga.
£ là , dov' egli alberga ,
Parve la mandra sua sublime reggia,
E s' udian risonar le selve e V onde
De' sacri accenti e de' più colti versi,
Onde più chiaro fu Scamandro ed Ida.
/
RIME EROICHE 4o3
Pastore or de^ Pastori^ e santa guida,
Da duo lati del mondo assai diversi
Tutti gli aécogli in suU^ antiche sponde ,
E di là 've 'i sol nasce o pur s^ asconde
Tieni delPalto Re vece e sembianza:
Oh meraviglia che tutt^ altre avanza !
Qual mastro suol, ch'in aureo e breve giro
L'immagin del gran mondo impressa mostri
Con tutto ciò che 'n terra o 'n ciel contempio j
Tal dimostrar solevi agli occhi nostri
Della Chiesa di Dio, che lieta or miro,
La vera forma in men sublime tempio.
Ora in questo sì grande il vero esempio
Vedrem per te di quella idea celeste,
Ove i suoi Cori il ne del ciel distinse.
£ chi più ne dipinse
La mente mai, cui vela il corpo e veste?
Or quanto con duo mar circonda intomo
Del famoso terren la rìgid'Alpe,
£ FAppennin divide, a te s4ncbina;
£d a questa del mondo alta regina
Pirene istessa più lontana e Calpe,
Sì che puote obblì'ar l'antico scorno.
Deh ! qual si loda magistero adorno 7
O qual r^o, o qual re, cui 1 Mauro o flndo
Raffreni, si disegna in Ato o 'n Pindo?
Dunque ogni loda il mondo a te converta,
A cui d'ogni suo dono illustra Palma
Il Padre etemo de' celesti lumi.
. Oh scelto a gloriosa e grave salma,
£ degno pria della corona offerta.
Santo d'opre, di mente e di costumi,
Brama mutar il corso il re de' fiumi,
Perch* altri il suo cammin non turbi o rompa,
4o4 RIME EROICHE
Ed occulto passar, di seno in seno.
Brama nel mar Tirreno;
Adda y a venirne alla romana pompa ,
Quasi dal sito par si mova e cange,
E Cremona e Mitan cli^ a te verrebbe ,
Già figlio ; or padre alzato a tanta gloria ;
Che mai trìonto o sede alta o vittoria
DMmperador non vi pervenne o crebbe
Per dispiegar F insegne alFIndo, al Gange,
O dove F Istro e U Ren percuote e frange :
E se corona è in ciel, la tua rassembra,
Mentre ancor vesti le terrene membra.
Oh qual (sian tardi, prego, a volger gli anni)
Là \e Sol di giustizia i raggi spande,
Corona di giustizia a te si serba!
Questa ancor si lucente e bella e grande,
In cui Roma, mutando i fieri affanni
In santa pace, mutò frondi ed eriia.
Giusto premio è del merto, a cui superba
Forza cede e furor d^ empia fortuna:
Parlo del proprio, e tacio il merto antico
Ch^ebbe Paolo sì amico;
Tacio il nome immortai che nulla imbruna ,
Perchè tenebre oscure asperga il tempo;
Tacio F arti , gli studi , il culto e '1 senno ,
E d' anUca eloquenza i rari pregi.
Questo giudizio approva il Re de^ Rcgi|
Che move il mondo, e gira il cielo a cenno,
E F alte grazie sue comparte a tempo :
E quelli adoro , in cui pensar m^ attempo ,
Profondi abissi di consigli e d^Qpre,
E la lucida nube ov^ ei si copre.
A voi mi volgo ancor, d^ elettro e d^auro
Angeli in ciel lucenti ; a voi' che sempre
i
j
RIME EROICHE 4o5
Siete de^ i*^ggì ài sua gloria accensì.
£ tu, Sol, che rìsplendi a' vaghi sensi,
Aspira al mio concento in dolci tempre,
Perchè si sparga il suon dall'Indo al Mauro,
Verdeggi al novo canto il mirto e '1 lauro,
Fra' marmi e fonti e seggi ombrosi e foschi
Risonando Gregorio il fiume e i boschi.
CANZONE m.
Jn lode di pi^Ki Clemente VITI* Allude al nome
di lui; accenna molle particolarità della ifita di
sì eccelso personaggio, e n' esalta i pregi piìi b^
minasi.
Questa fatica estrema al tardo ingegno
Concedi, o Roma, e tu che movi e reggi
L'alto ciet^ l'umil terra e '1 mar profondo*
A lui che di tue sacre eteme leggi
È vivo spirto, e del celeste regno
Sostien le chiavi, e porta il grave pondo,
E quasi folce in Vaticano il mondo.
Sacro la mefte, il cor, la penna e i carmi*
Questa è la meta eccelsa, a cui d^ intomo
Si volge notte e giorno
Il mio pensier j né di vittorie e d' armi
Cantate fama eguale o pregio attende:
Ma fine o meta a quel valor non miro
Che fiammeggia fra noi con luce eterna.
Qual dunque in ampia via del ciel superna^
S avvolga omai nel glorioso giro
Delle sante virtù eh' a lui risplende,
La stanca mente pur ch'in alto intende:
Né strada già più certa al Sol prescrìsse
U suo Fattor fra stelle erranti e fisse.
4o6 RIME EROICHE
Ned eiy chMl mondo illustra^ è più lacente
Simulacro di Dio, che 1 giusto e saggio
Ch'in sua vece e sembianza il del disserra;
Ma se vob talor, di raggio in raggio,
InBno al sonmio Sol Tardità mente
Ch^ in lui pensando non vaneggia od erra y
Non chini Tale ruinose a terra ,
Siccome avviene a chi si piega e volve
Dairalta luce, che il pensier tranquilla,
Ad oscura favilla
Ed a poca ombra algente e poca polve,
Né di cosa mortai più curi o pensi;
Ma là s'acGueti ove la gloria è pace,
Ove cede al silenzio il suono e 1 canto.
E s^a parlar di te si scoglie intanto,
Sommo padre e signor, la lingua audace,
Tu rischiara le voci, e purga i sensi
Al tuo gran nome, e li miei spirti acoensi.
Ma ignoto è, come il fin, di te parlando.
L'alto principio: e dove il cerco, o quando?
Ovunque io miri, o sia T occaso o Torto
Del tuo corso vìtal, divino assembra,
E pajon d'ogni età segni celati:
Vestito appena di terrene mèmbra ,
Dall' esempio degli avi al cielo scorto ,
Ad opre gloriose il cor volgesti,
E d'onor gradi infra le stelle ergesti;
Gradi d^ onore in disusata foggia ,
Rivolti al cielo, ov'uom giammai non salse
Con fame indegne e false.
Ma sol vero valor v' ascende e poggia.
Quinci dalla città ch'Arno diparte,
Nel lungo raggirar d'anni e ai lustri ,
Salirò sovra il Sol le nobil ahue^
I
I
RIME EROICHE 407 ^
Ivi cercando al6n corone e palme
Di loro imprese e di lor fatti illustri;
E 'n questa; che fu sacra al fiero Marte ^
Volte V antiche e le moderne carte ,
Pur d^ ostro adomo il tuo fratel si scorse ^
Che te per altra strada al ciel precorse.
Quinci ti rimirò dall^alto cielo
Astréa^ mentre ivi 1 sole i raggi vibra ;
Con ferme voglie a gravi studi intese;
E là Ve notte e giorno appende in libra ,
Cìnta la testa di ceruleo velo,
Dalle celesti porte a te discese:
Cessero al suo passar F ingiuste offese,
E la discordia e '1 suo furor maligno
Ch' i miseri mortali affligge e sferza ,
E con pungente sferza
Fa spesso i monti, i campi eU mar sanguigno;
Uonte cessero ingiuriose e i danni;
Ebber pace le gregge e i vaghi armenti
Ne^ verdi prati, e nell^ antiche selve
Deposero la rabbia orride belve,
E fér tregua col mar gF irati venti ;
La terra s^ allegrò nel fin degli anni.
Poi disella dispiegò, fuggendo, i vanni.
Col secol d^oro^ e degli antichi tempi
Al suo tornar conobbe i santi esempi.
E dove il Tebro le famose fronti
Mira de^ colli e le lor parti eccelse ,
Per vie secrete occulta ella sen venne;
E 'n vece di stellante albergo scelse
Quel tuo che sorge in mezzo a^ sette monti,
Ch^ oltre tutti i più adomi a lei convenne.
Quivi, quanto vergar F antiche penne,
Mentre di libertà lieta e superba
4o8 RIME EROICHE
Fu Roma^ e quanto d^ogni estranio
Poscia raccolse o prima.
Quasi caro tesor s aduna e serba
Descrìtto in carte: e te conobbe involto
Fra^ Muzj e Paoli, e fra' più sa^ e sacri
ChMmposer leggi al glorioso impero
Ed a lei ch^ adorò Clemente e Piero,
Ch^ora di nova gloria orni e consacri,
Simile a' padri antichi in opre e ^n volto;
IS '1 suo prisco sermone a te rivolto ,
Disse: « Or che tu risplendi, e U vero insegni,
Viver Bruto ameria ne vostri regni.
«Né Fabbrizio la corte a sdegno avrebbe.
Né Catone il servir; ma lieto or guarda
Cli^ ottuso ha la Clemenza il ferro e Tira,
Né di scender con lei dal ciel ritarda
La pura Fede a cui del mondo increbbe,
E 1 sacro stuol delle Virtù rimira:
Or questo meco a te benigno aspira,
Né premj usati al tuo valor promette,
Ma gloria etema e podestà suprema.
Ostro, manto, diadema.
Mitre e corone al tuo voler soggette;
E sovra i regi, e sovra il grande Augusto,
Alta sede e soolime a te prepara.
Ma ^ quando reggerai V Itaua e Roma ,
Della Clemenza pur t'onora e noma.
Che non fia al mondo di tua grazia avara,
Perché F asprezza sua contempri al giusto.
Che per troppo rigor diviene ingiusto;
Ma tutte sarem teco in • sacro albergo ,
Né senza te daremo al mondo il tergo. »•
Cosi dissocila: e tu Licurgo e Numa
Sembrasti a Roma, anzi fra taoni e lampi
RIME EROICHE 409
Quel ch^ebbe le sue leggi in viva pietra;
E di santo e divino ardore avvampi,
Che la tua mente informa e tutta alluma j
Onde aue grazie in contemplando impetra j
Mentre il profano e l'empio indi s^ arretra
Dove profondo orrore anco ricopre
E sacra nube intorno asconde e vela
Quegli a cui Dio rivela
Il volto suo, non pur gli afletti e Topre;
E, dove il monte folgoreggia e luce,
Tu non temi quel suon ch'alto rimbomba,
Ma sol r appressi , e '1 tuo frateUo è teco.
Qual meraviglia più d^ ombroso speco
Roma ci mostra? o 'n qual più nobil tomba
Ricerca l'ossa, e riverenza induce?
Ma tu sei vivo spirto e viva luce,
E, ricercando or quelle genti or queste.
Tornasti a lei qual messaggier celeste.
Te del mondo mirar le parti avverse,
Ond' Austro e Borea il del di nube ingombra,
E quei ch'Alpe e Pirene e '1 mar disgiunge;
E, dove assai più dura il gelo e F ombra.
L'estranio clima al tuo splendor converse.
Ch'alto spargea purpurei raggi e luoge,
Quei che sua vera fede a te congiunge
Regni e popoli amici, a trar non scarsi
Ned a versar per la tua grazia il sangue;
Né la memoria or langue *
De' tesori del Ciel donati e sparai:
E invitti regi d' auree spoglie adorni ,
C hanno a' barbari posto un duro morso.
La tua santa eloquenza a lui ristrìnse,
Vincendo invitto cuor che tutto vinse.
Tal dal mondo placato e quasi scorso
4 IO RIME EROICHE
Senz' armi e aeoz^ offese a noi ritorni ,
Giunto all^onor de' tuoi perfetti giorni;
Tale il lacro teaor dispensi, e spieghi
Le grazie e i doni, e sciogli insieme e leghi
Tale ascendi alla sacra antica sede;
Né potenza terrena ivi f esalta,
Ne coniglio o favor d^ amica stella,
Ma Provvidenza, e chi da sé t'appeUa
(Ch'ogni fortuna é men sublime ed alta),
E Pietà con Giustizia e viva Fede
Ch'ogni altezza quaggiù soggetta or vede.
Né giunge laude al grado, e solo il merto
Trapassa il del ch'é di tua mano aperto.
CANZONE IV-
In lode del cardinale S/bndnUo.
ComMl Sole a scoprir l'eterna luce,
Signor, mai non attende o canto o pregili,
Ma tosto avvien che spieghi
Dall'aurato Oriente i dolci raggi,
E, seguendo gli obbliqui erti viaggi.
Fa con perpetue leggi a noi ritorno.
Per riportarne il giorno;
Cosi vostra virtù pronta riluce ,
Ch'alia fortuna sua medesma é duce;
E no^ pregata giova, anzi previene
Le preghiere, che già son vecchie e lente,
Di lungo spazio; e, non lodata ancora,
Sé di sé stessa onora,
Tutta de' raggi di sua gloria ardente;
E per le vie dell'alto ciel serene
RIME EROICHE 411
Pigra è colei che suol volar repente ^
Né U volo appressa di sì noUl mente.
Tarda fu la fortuna al vostro merto.
Non solo a quel di lui che d'alta sede
L'ostro a' merti concede;
Tarda è la lode che voi segue ^ e bassa ;
Né giunge a lei che tutto addietro or lassa
L'oscuro mondo, e solo al cielo aspira:
Tarda si volve e gira
La fama e 1 grido suo ùìao ed incerto ,
Che solo« in voi lodando ^ é vero e certo.
Voi, tardo no, ma grave e d'alto ingegno,
Là sete giunto ove si svela e scopre
L^uom che d'ostro si fascia e d'or s'ammanta.
Come sia bella e quanta
La verace virtù, elove s'adopre,
Già Roma il mira ed ogni estranio regno,
Intento a' modi, alle parole, all'opre,
Quasi in teatro, poiché nulla il copre.
Là in dipinto cristallo accesi lumi,
E statue -mute infra colonne ebume,
E pompe alte notturne
Fortuna variando altrui dimostra:
Qui, dove il sacro manto a voi s'inostra.
In voi si veggon lumi eterni e santi.
Virtù vive e spiranti
Tra reali e divini alti costumi;
E tutti avvien che di splendore allumi
Quel sommo Sol che non in Tauro o 'n Libra,
Ma ne' cuor nostri e nelle menti alberga.
Quindi con mille raggi altrui risplende
Quella ch'in alto intende
Là dove l'altre alfine indrìzzi ed erga,
E Giustizia i suoi premj appende in libra;
4ii RIME EROICHE
E seco ogni altra in cui s^ adorni e terga
L^alma gentil cui nullo orrore asperga.
Ma tutte fa più care, anzi più illustri,
Gentilezza di saneue antica e d^alma
Yirtute infusa, ed alma
E fama ornai canuta e gloria prisca,
A cui s^ inchini Europa, e riverisca
La memoria delFavo al del traslato
Sovra il mortale stato,
E mille anni la serbi e mille lustri,
O pur finché la terra e 1 ciel s* illustri ,
E ueta cortesia con dolci modi
E 'n amici sembianti e 'n saggi detti
Sempre i migliori affida, e parte accoglie.
Dalle purpuree spoglie
n fasto fugge in più superbi petti;
Fugge il rigor, fuggono inganni e frodi ^
E v^ hanno albergo sol pensieri eletti,
Atti e virtù sublimi e puri affetti.
Oh come è bella Italia e Roma altera.
Anzi lieta F Europa e lieto il mondo.
Mentre reggete il pondo
G>1 vicario di Cristo, e quelF incarco
Che gloria accresce a chi n'è grave e carco!
E come il chiaro Sol dal primo Sole
Prender sua luce suole,
E più bella rotar celeste spera.
Cosi da voi lume immortai si spera.
Mentre spargete altrui del sommo Padre
Le grazie e i sacri doni in nobil parte
Del mondo, ch^è di Dio lucido tempio:
E con divino esempio
Egli per voi F accresce e le comparte
A questa delle genti antica madre,
RIME EROICHE 41 3
Che tolse a Giove i tempj e tolse a Marte ^
Sacrando a Cristo in terra altari e carte.
Squallidi sono e tenebrosi i regni ^
Di boschi in guisa e d^ arenose piagge^
Deserte o pur selvagge
Le Provincie y orbi i regi^ e i feri duci
Privi del giorno e delF amate luci,
Dove di santo ardor raggio non ferve,
Tra genti o sciolte o serve;
Ma vivon, come sian del Sole indegni,
Quei che mosser del cielo i tardi sdegni,
Più de^ Gmmerj^ a cui perpetua F ombra
Fa la vita mortale orrida e 'ncolta ,
O scaltra gente al più gelato cielo
Nell'altissimo gelo
E 'n tenebroso orror vive sepolta.
Deh! quale altro splendor la notte sgombra,
O fa di tanti error F ombra men folta
Che Fumil plebe al precipizio ha volta?
n peso, a cui s^ appoggia Italia e Roma,
Meglio ei sostien, canzon mia stanca e frale.
Che tu la gloria sua con debil carme ;
Però gli scettri e V arme
£ la pompa superba e trionfale
Potrìa forse parer men grave soma:
Ma , benché non sia laude al merto eguale ,
Pov'egli sparge i rai tu spiega Tale.
4i4 RIME EROICHE
CANZONE V.
Nel ritomo in Italia di monsig. Annibale di Capua^
arcivescùvo di Napoli, e NunsUo di Polonia.
Italia mia^ che le più estranie genti
E più lontane dalle vie distorte
Onde il Sol vita e morte
Suol recare alle cose errando intorno^
Venir vedesti al sacro seggio adomo
Anzi colui che Dio somiglia in terra ^
Qual di pace o di guerra
Messaggiero aspettato unqua rammenti,
O pur qual risonare intorno senti
Cosi degno di gloria e vera e salda,
Compii Signor ch'a^ nostri dolci campì
Dall* estremo d'Europa amato or rìeae,
Mentre i velli al leone il sol riscalda?
Per lui d'atra tempesta i tuoni e i lampi
Non turban pura pace e pura fede;
Per lui Marte non fiede,
Né face scuote ond^alta fiamma avvampi;
Per lui schiere non movi o 'n guerra accampi*
Ma pria, dove del mar regina afflitta
LMra ardente del Ciel grave sostenne,
L'una e F altra ei mantenne,
E giustissimo fu tra pochi e giusti.
Oltre i confini poi d'Italia angusti
La sua fama onoraro Augusto e i regi
Co' peregrini egregi
A cui segnò la via che solo è dritta; '
Ei magnanimo re di gente invitta
RIME EROICHE ^iS
Fe^ più divoto al successor di Piero,
E parve un chiaro Sol; cosi disperse
La folta nebbia e i tenebrosi orrori ^
E; delle carte illuminando il vero,
A guisa di fantasma il falso ei scerse
Di tanti antichi ed ostinati errorì:
Né sol gli umani cori
Ch^eran già chiusi alle fortune avverse,
Ma 1 ciel con altre cliiavi ancora aperse.
La terra istessa, ove sì lunga adombra
La fredda notte , e fra le nevi e '1 gelo
Taior non vede il cielo,
Lieta meravigliando al novo raggio
La fronte alzò senza temer oltraggio:
M Qual luce è questa sì serena, ed onde
Yien che lei nulla asconde.
Ma '1 carro illustra . e U pigro Arturo, e sgombra
Col suo cliiaro splendor i orrore e F ombra 7
Scesa è certo dal ciel, ch^a nullo è scarso
De^ suoi tesori e delle grazie eterne 3
Angelo è certo e donator di pace,
A cui simil di rado è in terra apparso.
Passi il suo raggio alle mie parti interne.
Pereti^ io nulla paventi il fero Trace.
O viva e santa face.
Al tuo splendor chi può temenza averne,
Se piovi in noi tante virtù superne? »
Cosi . diss* ^lla. Or che ^1 valor e '1 nome
Non pur là sotto TOrse è chiaro e grande.
Ma Tali intorno spande.
Più che non fe^ passando il duce Mauro,
E toma, Italia, a te, né pompa o lauro
Basta a^ meriti suoi si varj e tanti,
Ben ch^ altrì più si vanti
4i6 RIME EROICHE
Di schiere anciae, o pur d^ oppresse e dome
Genti ^ ei non chiede ali^ onorate chiome
U ostro con mani ancor di sangue tinte;
Né porta spoglie d^ ór superbo a^ tempj :
Ma paga è la virtù senz^ altra gloria.
Ei pacifico, inerme, ha Tire estinte.
Presi gli animi altrui j terrore agli empj,
£ de^ buoni è rifugio : oh gran vittoria !
Per qual nova memoria,
A auesti già turbati avari tempi,
Looiam più gloriosi e santi esempi?
L*onor, che Forme di virtute impresse
Sempre ricerca , e 'utorno a lei sol usa
(Gie sovente il ricusa)
Lusingando girarsi e quasi a forza.
Or perchè non si move e non si sforza ?
Facciasi incontro a quel sublime ingegno
Che fa Fonor più degno,
£ giunge merto alle virtuti istesse,
Là dpve nobil vita un tempo elesse.
Perchè noi trae da^ foschi e verdi seggi
Rooui a' suoi colli ed a' suoi dolci fonti
£ 'n quella luce che a lei sol risplende 7
Gli altari e i tempj e le romane leggi
n pregio omai delle più degne fronti
Tutti chiedon per lui ch^n alto intende:
Prega Italia e r attende^
£ i passi accusa al suo voler meu pronti:
All'amico Annibal chi spiana i monti?
Napoh ancor, mentre la gloria antica
Per volger d'anni e per girar di lustri
Fa gli avi suoi più illustri,
L^ aspetta alf onorata e sacra verga
Là \e le gregge sue pasce ed alberga ^
RIME EROICHE 417
£ U proprio ovile a cosi nobil fonia
Fortunato si chiama;
E U fiume e '1 moate e quella piaggia aprica^
Cui mormorando il mar Tirreno implica^
Serbano al suo * Pastor mille corone ,
Ch^ ardore o ghiaccio non scolora e «sfronda,
Come fior d^ Elicona o di Parnaso:
E del suo nome avvien ch'omai risuone
Noti pur Sebeto e F arenosa spoqda,
Ma quanto già da noi lunge è rimaso
Fra Borea e U nero Occaso^
E dove più s^ indura il gelo e V onda ,
Par clì^il gelido mare al suon risponda.
Taci j canzon mia roca ^ e frena i vanni :
Odi quel ch'ai mio core ornai rimbomba,
O sia di sacra fama un novo canto,
O suon d^ acque lucenti abbiam da presso,
O silenzio divio, cui chiara tromba
Non può agguagliarsi; e rìveriisci intanto
Del. vicario di Cristo il fido messo,
Quasi dal Gel promesso:
E, mentre a Ini s^ìnostra il grave manto >
Si volga in unùl prego altero canto.
Tasso, FbA /^. 27
ì
4.8
RIME EROICHE
CANZONE VI.
Inin)duce la Toscana^ dopo la fnorte del granduca
Francesco, a pregar successione alla serenissima
Casa de' Medici ^ ed a vedere adempiti i suoi %^od
con la nascita di Cosimo primogenito del granduca
Ferdinando,
Al cader «Tuo bel ramo che si svelse^
Pur come quel che sterpa orrido nembo ,
Sparso alla terra il grembo
De* suoi bei fiorì e delle spoglie eccelse^
Vedova pianta, ond^Appennin s^ adombra,
Parea dolera, e Flora in negro manto
Urne versò di pianto;
L^Amo e i monti addoppiar T orrore e Fombr^;
Né sparve il fiero duo! chMl volto ingombra,
Bencnè sopra le stelle
Translato il nobil ramo e quasi offato
Sia tra Palme più belle,
Più bel di quello ond^è F Inferno aperto,
Perch^egli aperse il cielo, e fu suo merlo:
Ma, com'esce di tomba
O da tronco talor voce rimbomba,
Tal studia nel lamento
Delle preghiere sue mesto concento.
«Padre del cìel (parea Toscana e tutto
Pregare il glorioso almo terreno.
Di mestizia ripieno).
Tempra d^Itaua il grave affanno e ^1 iiitto;
Mira di questi eroi la stirpe antica
Che prodiicea, siccome fronde e fiori.
Le vittorie e gli allori
RIME EROICHE 419
Mentr^ebbe il Cielo e la fortuna amica,
Senza il bel ramo suo. Sorte nemica
n gran ramo le toglie,
Come sia tocco da tempesta o gelo}
' O pur tua mano il coglie,
£, s^in terra ei fioriva, ei splende in cielo.
Deh! se ti mosse mai pietoso Ifcelo
Di quel ran^o eh' è tronco ,
Germogli il glorioso e nobil tronco.
Da radici alte e ferme,
Di virtuti e d'onore il tiovo^ germe.
«Padre e cultor delle più sagge genti,
Que' fiorì di leggiadri alti costumi
Or son celesti lumi,
£ fiammeggian lassù fra luci ardenti j
Ma qui si duol, quasi d'ingiusto oltraggio,
L'arbor sempre fiorita e gloriosa,
S'aUa sua chioma ombrosa .
Non splende di tua grazia il dolce raggio:
Succeda ancor più lieto il maggio al maggio,
E tutta ella s' asperga
Della rugiada tua pura e, celeste,
£ si dispieghi ed erga
Senza timor, di tuoni o di tempeste.
Deh , se ti mbsser mai pregliiere oneste ,
Se lagrime non false.
Se dell'onor d'Italia unqua ti oiilse.
Nasca il figliuol ch'io braino.
Quasi in vetusta pianta il novo Iramo!
«Nasca a Fernando Cosmo; indi la chioma
Colla corona del sno Antico adorni
Ne' suoi perfetti giorni, .
E trionfante il veggìa Italia e Roma;
Veggia di novp il Vaticano e '1 T?bro
4^o RIME EROICHE
lyàtj cTostrOy cf anni altera e sacra pompa^
Me fortuna interrompa
La gloria che sperata ornai celebro.
Ma. porti invidia alTAmo Anfrìso ed Elbro. »
Cosi Toscana disse;
E'I Re del del tonò con chiarì lampi,
£ stelle erranti e fisse
Volse benigno in più sublimi campì.
Or tutta daliegresza avvien ch^ avvampi
Fiorenza y e par imago «
Dell^ ampio ciel che più di lumi è vagoj
E dell'alta speranza
Parie s'adempiei e parte ancor n'avanza.
Così d'animo agguagli il re di Fella ,
D'anni pareggi e di fortuna Augusto ^
E di giustizia il giusto
Ch'oltre all'Istro domò gente rubellai
E quanti mai Cesari invitti e Regi
L^gi diero alla guerra, arme alla pace,
Vincendo o Mauro o Trace ^
E quanti fur mai peregrini egregi:
Cosi degli avi suoi rinnovi i pregi ,
£ sovra orridi monti
Spoglie innalzi e trofei; colonne ed archi
Porti sull'acque, e ponti ,
Onde l'amica terra e '1 mar si varchi;
Cosi di varie prede adomi e carchi
Da' barbarici regni
Vengan a' lidi Toschi i Toschi legni;
E fortuna seconda
Spieghi l'insegne sue di sponda in sponda.
Appena ella fermando i passi erranti
Sovra le sfere del celeste regno
Avria maggior sostegno/
\
RIME EROICHE 4it
Né d'altro in terra più si glorìi e vanti ^
E; benché pnr si cangi e vaiìi e volga
£ ingiuriosa faccia alte contese^
In magnanime imprese
Non fia ch^al mìo signor la gloria tolga.
Virtù par chMl fanciullo in seno accolga,
Qual celeste nutrice,
£ (F ambrosia divina ancor F instille,
Acciò che men felice
Fosse Romolo invitto p 1 fero Achille ;
£ se lassù di raggi e di scintille
Splende il Centauro e d^ armi ,
£ qui r antica fera in bianchi marmi,
Virtù ira noi si cole,
£d imagine e tempio ha sopra il Sole.
Cerca tra fonti e selve e statue e logge,
Canzon , la real cuna ,
E di^ : Senza favor d^ altra fortuna ,
Fra mille arti leggiadre ,
Virtù m^ affida e cortesìa del padre.
CANZONE VE
In tode di Mantova e della successione de* suài
principi^ e partìcolannenle della Casa Gonzaga.
Qual de' tuoi duci o de^ tuoi fatti illustri,
Città felice dell'antica Manto,
Gloria maggiore o vanto •
T'accrebbe, o pur ti fece il grembo adorno?
O quel, ch'in ampio sen d'onde palustri
Tu raccogliesti net materno esigho,
Figlio di Manto, e figlio
4^^ RIME EROICHE
Del Tosco fiume, quando a te J intorno^
Facendo con Apollo Astréa soggiorno,
Sorger le nuove mura in mezzo alF acque
Vedesti, e tutte alla superba mole
Meravigliar le Ninfe e*i Dei selvaggi,
E partir F ombre oscure e i caldi raggi
Con giusta lance più sereno il Sole?
O pur quel di fu a te più caro e piacque.
Quando Virgilio nacqpe, ^
Ch'ebbe, dov'odi anpor la chiara tromba,
Famosa cuna appo famosa tomba?
O pur quando a Tedaldo il sacro Augusto
Del paterno valore il premio diede ^
E tu di tanta fede
La mercè fosti, anzi Fonor più demo?
O quando al giusto padre ancor più giusto
Successe il figlio, e, come luciJonda
Dal fonte in fiume inonda,
' Derivò in lui virtù d' almv e d' ingegno ?
Ovver più lieta di femmineo regno
Eri talor quando la tiobil donna
E vincitrice fu d'empio contrasto,
E diede aitimi sì gloriosi esempj,
Sacrando in varie parti altari e tempj,
E '1 cor più d'ogm tempio e puro e casto,
Qi;iasi fosse d^l cielo alta colonna ?
Ch'in ogni cbr s'indonna
Amor del giusto , e 'n onorata impresa
S'obblìa, per nova grazia, antica offesa.
O ouando t' assalì d' intomo e cinse
Ezzelino, il feroce empio tiranno.
Nel glorioso afianno
Fosti più lieta del sonoro grido?
Perch' m vitto guerrìer che tutto vinse
RIME EROICHE . 4a3
Con quella man eh* era assai pronta a^ carmi;
Ma vìa più forte alT armi , • t
Lo scaccjò dal tuo verde ombroso lido^
Pur come di virtù nemico infido ,
E spesso ruppe le sue sclyere e sparse.
Ower di fama più onorata i fregi
Avesti allor chMn periglioso campo ^
Via più veloce che fulmineo lampo
( Tacio r altre sue spoglie e i cari pregi ) ^
Vincitore in un di tre volte apparse?
O per lagrime sparse
A Finamente 9 alTumil plebe amico ,
Rimembri con diletto il duolo antico?
O quando 9 vinto pria Manfredi in guerra ^
Contaminato del paterno oltraggio ^
Col re possente e saggio
Guido lece d^onor più raro acquisto
Là Ve di sangue^ Finfelice terra
Ondeggiava, e tra spoglie ed armi sparte
Orribil Morte e Marte
Corfean con volto lagrimQso e tristoì
O quando il vecchio figlio , a tempo avvisto ,
Macchia non volse onde«ronor s* asperga,
Ma 'n sé dolente, e 'ncontra Amor severo,
DMngiusto scorno in quelT ingiusto sangue
Lavar si volle , e feM tiranno esangue ?
Eli, come degno sol di giusto impero,
Insegnò altrui come f onor si terga,
Come 8^ innalzi ed erga.
Come più bel , dopo V ingiurie , ei splenda ,
Ed oppressa virtù più forte ascenda.
Tu ricca d'avi, jalma città famosa.
Fosti non pur, ma fortunata al mondo j
Di nipoti ei feccmdo:
4^ RmCE EROICHE
Anzi accrebber raa gloria e qa^ e questi,
Ma chi nel se» delFalta notte ombrosa
Ardisce nmnerar le vaghe stdle^
Opre antiche e novelle
Racconti y e i nomi onde ta gloria avesti ,
Perchè sopita grazia ornai si desti
D'antico fatto, e 1* fosco obbho noi cx^ra
Degl'ingrati mortali , onde sovente
Del passato s^ oscura alta memoria^
E parte aspira alla moderna gloria
De* novi eroi , ch^ è quasi un Sol lucente ,
Lo qual, rotte le nubi, i raggi scopra.
Ben fu mirabil opra,
Perchè le sue non vanti Asia od Egitto^
Fare invitta magone a duce invitto.
Di barbariche genti alta possanza
n varco in te non tenta, e non Paperse;
E, qual Porsenna, o Serae
^ Che fece oltraggio al mar di novo ponte,
Attila parte , e quel eh' orni empio avanza ^
E Federigo al fte del ciel rubeUo:
Ma lieto onore e bdlo,
E nobii pompa, « senza oltraggi ed onte.
Duo grandi Augusti in coronata fronte,
Pria Sigismondo e poscia Carlo accolse:
Quegli a Francesco onore accrebbe e grado,
£ r aquile e .la croce , altero e grande
Dono , cui la sua stirpe innalza e spande ;
Questi al figliuol di lui, che *i fosco guado
Fece sanguigno allor ch^al ciel le sciolse.
Onde Franaa si dolse.
Cosi trionfi di fortuna incerta ,
Chiusa alla guerra, e solo in pace aperta.
Così: la gloria deir invitto padre
RIME EROICHE 4^5
Accresce il figlio^ e palme aggiunge a palme ^
Le città pr^ide e Y alme ;
là altro figliuol la terra e V onde varca ,
E segue Carlo, e tra T addite squadre
Primo chiede i perigli y i premj estremo :
Alfin^ duce supremo,
•Era secondo a chi sedea monarca,
Quando il filo troncò F invida Parca.
Cosi Guglidmo al ciel F erede Ha scorto,
D^ altre città sicnor,* eh* affrena e regge,
£ la gloria degli avi in lor rinnova ;
E r uno i greci Augusti j e V altro a prova
Orna i romani, i quai diero arme e ieggje-y
E, mentre sogeìogàr F occaso e F orto ,
Qui Yirtute eUìe il porto,
La Fede Olimpo, Febo altro Parnaso ^ s
Ed altro Sol che non conosce occaso.
Qui Fauro e '1 lauro il mio signor corona ^
Né d'altrui fosti mai più altera o lieta,
Né man più giusta il freno allenta o stringe,
O più cortese a clii sMnchìna umile,
Né più dotta alla spada e 'n dolce stile:
E te di vero amor circonda e cinge
Muro sublime più di Pindo e d^Eta;
Né la tua fé s^ acqueta, •
Benché fili forte e di sicura possa ,
E sovra Olimpo é minor Petia^ ed Ossa.
4i6 RIME EROICHE
CANZONE Vffl.
Celebra la sig. D. Eleonora de' Medici Gonzaga,
principessa di Mantova.
Quando ritardo a^ miei peiuieri il cono, •
Donna dMmperìo degna ; i vostri pi^
Tesser volendo e 1 nbme vostro in rime.
Veggio farmisi innanzi ^ al primo occorso^
Invitto duce e cavalieri egregi:
Perch' io portar di Pindo ali alte cime
Tema, id suon più sublime,
Spoglie , palme , trofei , X insegne e F armi
£ U lucia ostro e le corone io veggio
£ '1 sacro manto e 1 seggio;
£, perchè d'ogni ardire io mi disarmi,
Mute quasi le cetre e bassi i canni.
Talché dico fra me : Chi poggia or tanto ,
Quanto la fama lor s'innalza e spande?
Qual mai virtù me' vinse in casi avversi?
Questa è materia da stancar nel canto
Febo e Parnaso, ove, in stil chiaro e grande,
Di gloriosa laude •ordisca i versi.
Merti così diversi,
O più raro valor, più demi esempi,
Italia non mirò, da poi ch'atterra
Vide il suo imperio m euerra.
Benché rammenti pur gu antichi tempi;
£ quasi gli alzerebbe aitar» e tempi.
Così pensando, i miei desiri intenti
Stanchi già sonò aim eh' io parli o scriva ;
Ma cortesia deh I non mi prenda a scherno ,
I^IIME EROICHE 427
E gradisca il silenzio, o i gravi accenti,
O '1 *puro affetto oncT il parlar deriva.
Né già men bel dello splendore intemo
È quel chMn voi discemo
Di fuor, perle, rubini, avorio ed oro, .
E rose sparte in bianca e viva neve,
E .'n dolce spazio e breve ,
Di natura e d^Amor gloria e tesoro:
Ma chi dipinge quel eh' io dentro onoro ?
Quai saranno i colori e F ombre e i lumi,
Onde possa ritrar leggiadro stile
Quelle, virtù di cui già sete adorna 7
O pietra, in cui scolpire alti costumi
Alcun possa talor d^alma gentile?
O penna che descrive, e poi distoma
Quel che man dotta adorna,
£ 'n varie guise pur colora e parte?
Ben si potrian, lodar ( non forse appieno )
Gli occhi e '1 volto sereno ;«
Ma , in descriver di voi V in tema parte ,
Vinti sarìan gF ingegni, e vinta Parte.
E come in ciel veggiam la bianca luna,
0 chi vicino a lei si volge errante ,
O, più loptan. Marte, Saturno e Giove,
Ma contar non possiam, qualor imbrana-,
Deir immagini sue, che son cotante.
Ogni stella che tarda o presta move;
Tal neUa mente , o dove
L'alma del suo splendor sMUustra e splende,
Lucenti raggi il mio pensiero adombra,
Quasi per nube ed ombra;
Ma de' vostri alti doni a pena intende
La minor parte, e se n'abbaglia e accende.
Ed a quelli ch'ei scorge^ il dir non basta
4i8 RIME EROICHE
Di fingna che A sciolga in pigre ▼oc! ;
Però nelTalina il meguo ascondo e celo.
Portino il vostro nome, o bella ^ o casta ^
Mille cigni canori e piò veloci
Dal Mincio alPAmo, anzi dalFAmo al cielo ^
Mentre con paro zelo
^ Vergo statua nel cor quasi o colonna.
Bella è la chiara ed onorata fama
Dove gloria più s'amaj
Ma più bella virtù d^eccdsa donna
Ch' m cima siede ^ e del suo cor s** indonna.
Gmzon, perchè alto sorga^
E sii nelle sue lodi adoma e Ueta,
Ella tocca ffonor più nobil meta.
CANZONE IX.
Per la nasdia del primogenito di D, ^incenso Gonzaga
prìncipe di Mantova.
Celeste Musa, or che dal ciel discende
Nova progenie in terra ,
E pace han di lor guerra
L'aria e Tonde tranquille, e cheto è il vento,
Prendi la cetra ; é dov' inchina ed erra
n Sol per via distorta, e dove ascende,
L'alto suon, che s'attende.
Spargi, e delle sue lodi alto concento,
Qual di corso lassù veloce o lento;
Perchè il vecchio Saturno, e '1 padre e '1 figlio
Che '1 sospinse in esiglio,
E tanti lor nipoti , ond^ è ripieno
Mar, terra e ciel sereno,
V '
RIME EROICHE 429
Meu chiai-o esempio^ danno , ove si vanti
L^ antica età di mostri e di giganth
Qui non vedesti guerre inteme o sdegni^
Non discordie e furori^
Non favolosi amori ,
Che quasi han fatto vergognar le carte *^
Ma verdeggiar le palme e i sacri allori^
Tra r alme tnon&ii e i ciliari jiugegni^
Via più che 'n mille regni,
Come sol vide il buon popol fli Marte,
Ed ornar la natura a prova è l'arte
Cittate antica e mansueto impero
D'invitto cavaliero
Che d'elmo rìcopria canuta chioma,
Qual Qqcinnato in Roma:
Poi di tre guerre, e saggio e forte e giusto ;
A prova trionfò col grande Augusto.
. Di questo nobil seme e di celeste
Principio al mondo nacque
Qui sovra lucid* acque
11 Gglio ed altri eroi famosi in armi,
I cui pregi la fama allor non tacque ,
Anzi Tali spiegò veloci e preste.
Ricordar ven dovreste
Voi che date gran pregio agli alti carmi,
Talché l'hanno minor metaUi e marmi 3
E, più dell'alti^, lu che cerchi intorno
U ciel di lumi adomo.
Onde scendon fra noi dall'auree stette
L'alme leggiadre e belle, •
Onde questa volò con auree piume*,
Ch'or apre gli occhi vaghi al novo lume.
Mentr'ella giù venia di sfera in sfera
Ne' sereni Viaggi,
43o RIME EROICHE
Tra cerchi e lumi e Vaggi ,
E tra forme lucenti e segni etemi
DL fere che non fanno air alme oltraggi^
Perchè la gente , oltra ragione altera^
Qua giù languisca e pera
£ vegeia rinnovar gli orridi verni,
Tutti romaro a prova; e qu(^^ superni
Regni lasciando e gli alti seggi a tergo,
Qual natio caro albergo ,
Ella parea portar diletto e pace ,
E ciò che gì va e piace;
E lieta le spargea di fiori 1 grembo
La terra , sparsa d^ un celeste nembo.
E '1 Mincio fé* pafer chiarì cristalli
E puro argento Tonde;
£ nell'antiche sponde
Di smeraldo parean le foglie e Ferbe;
E gemme in sulle rive e *'n fra le fronde
I fiorì somigliar vermigli e gialli;
E fiorìr prati e valli ;
E le piante mostraro alte e superbe
Fiorìta vista di bellezze acerbe;
E le gregge, pascendo, assai più bello
Fecero e chiaro il vello;
E Taure mormorar con dolci spirti
Tra pini e faggi « mirti;
E risonò di cigni il dolce- canto ,
E tre volte s^udì: Felice Manto!
E le voci sonora e lieta imago
Replicava tre volte;
E, perchè ogn'uom F ascolte.
Tre volte le portò la Fama a volo
Per F abitate parti e per F incolte:
Ed io, quasi presago, *
EIME EROICHE 43i
Sovra il suo puro lago
L' intesi , onde leniprai V intemo duolo.
Signor, che questo reggi e F altro polo,
Tal ch'uà tuo picciol cenno al ciel profondo
È Itgge, e legge al mondo,
Conferma le speranze e i detti Bostri
Dagli stellanti chiostri;
E se nube lontana il ciel adombra,
La scacci la virtù che '1 mal disgombra:
Onde cresca il fanciullo , e 'n lui rìsplenda ,
Pur come raggio o luce,
Del padre e d' alto duce
E di tanti avi suoi la fama illustre:
E se vera virtute al ciel conduce ,
Né fortiSna né fato invan contenda,
£i glorioso ascenda
Colle sue membra, e s^ni il suol palustre '
D^alti vestigi il suo valor trilustre ;
E tra r arti di pace ancor s' avanzi ,
Anzi tra V arme , ed anzi
Tra gli aurd scettri: alfia d^ Olimpo in cima^
Ove la fede é prima.
Poggi alla gloria, e con serena fronte
Fiammeggi armato in quel famoso monte.
Tu giacer il vedrai, canzone, in fasce,
E l'aquile, sostegno all'aurea cuna,
Segni d'alta fortuna,
Quasi voglian portarlo in grembo a Giove.
Pur, meutre ancor non move,
Se l' ali il sonno od altro afirena o lega ,
Tu veloce e leggiera al del le spiega.
43a RIME EROICHE
CANZONE X.
Nella conmamone di D. Vincemo Gama^
duca di Mantova.
Blusa, discendi ornai dal verde monte
Sul chiaro Mincio, e cingi il crìu di lauro.
Mentre il corona d^auro
Quel che le fronde tue non ebbe a ad^no }
Spargi sue lodi ancor dairindo al Mauro,
Quasi gran fiume dal tuo puro fonte,
E dell^ altera fronte
D novo onore illustra e U chiaro ingegno,
Che di loco senile il fa più degno.
L*una corona or prendi, & T altra or canta.
Cui non crollò fortuna, e non impose
Con mani ingiuriose, •
Ma natura e virtù che si F ammanta,
Fatta matura in sulP etate acerba,
E lieta in tanta gloria , e non superba.
izi molte virtù Fhan fatto adorno:
Quella che lunge vede e ^n alto intende,
E chi tutti difende
E più riluce d^ amorosa stella ,
Se vaghi raggi innanzi ì Sole accende,
O da poi ch^è sparito al cielo il giorno;
E stanno a lei d intorno
Fortezza , e ciascun^ altra onde sì svelle
O tronchi voglia alla ragion nibella ,
E non pajon ristesse, e non diverse
Nel loro abito eletto e ne^ sembianti ; •
Pur, come stelle erranti.
RIME EROICHE 433
1! una vèr V altra con amor converse ;
Queste corona danno e chiara palma ^
Anzi corona son di gloria all'alma.
Di queste ella si cinge ^ e vibra i raggi ^
Più che lucide gemme in Oriente,
Del suo splendor lucente}
^ Per queste antica fama ancor s' avanza ,
E vola incontra il Sol dall'Occidente^
Ed oltra i suoi ritomi e i suoi viaggi j
Con queste i forti e i saggi
Agguaglia, e, per natura e per usanza,
Ogni stato, ogni sf(H*zo, ogni possanza.
Taccia intanto Fortuna ostro e diadema
D'Assiri e Medi e dell'imperio afflitto,
E di Persia e d'Egitto
Estrania pompa, o d'altra gente estrema
Arme ed insegne prese in breve guerra ,
Scettri e seggi calcati e sparsi a terra.
Perchè la gloriosa e nobil sede.
Che Luigi innalzò, fera tempesta
Di fortuna molesta
Non turba già tant'anni e non la move;
E, incoronando l'onorata testa.
Questo suo novo successor possiede
Ciò eh' a lui si concede ,
Come sia grave salma, ond'ei linnove
L'antiche glorie, e cresca ancor le nove.
Ornai la dotta penna e '1 dolce earme
Erano scarse lodi e scarsi onori ,
Né bastavan amori ,
E '1 frenare i cavalh , e '1 mover l' arme j
Tanto il senno viiicea l' etate e l'opre,
E tesoro ei parea, se terra il copre.
Or ha ben largo campo in cui si mostri
Tasso, FoL IF. a8
434 BIME EROICHE
Fra popoli e città famose e liete ^
£ 'n cui le regga e quetp^
O pur le mova; e 'n cui si volga e stenda
> Più che 'n teatri e 'n cerchi o 'ntomo a mete;
E 'n cui seco talor contenda e giostri^
Né per gli affetti nostri
Si turbi, o men sereno altrui risplenda ^
Ma quasi Olimpo in verso il cielo ascenda
Sovra le nubi (animo tranquillo
Dove non s^ode mai procella o pioggia^
Né Borea od Austro poggia |
E dove sua natura e 'i cid sortillo^
E sotto fremer senta e sdegno ed ira^
Qual tuono o nembo che trascorre e gira.
Il mio signor, nel chiaro alto sereno
Che nulla passìon maligna adombra,
Con pura mente e sgombra
Gode in sé stesso di perpetua pace,
E fuori la conserva; e sotto T ombra
Di sacre penne lieto é il bel terreno
A cui fiorisce in seno
Tutto quel che ne giova in terra o piace.
Con amicizia e con amor verace.
Virtù, crescete in quest'età feconda:
Agli alti ingegni è largo campo aperto.
Ha favore ogni merto.
L'industria ha loda, e de' suoi doni abbonda:
Arti, sorgete, e poesia risorga;
Suoni il suo nome e Tebro e Mincio e Sorga.
Canzon, dove ne vai, rozza ed inerme,
Fra gemme ed ostro ed oro? e dove accampi,
Quasi muta alle trombe, e cieca a' lampi?
RIME EROICHE 435
CANZONE XI.
Al sig. Scipione Gonzaga. Loda ì marchesi
della sua Casa.
Qual di pianta gentil felice verga
Diviene arbor novella , e verdi fronde
Di^iega a prova , e fior purpurei e biai^chi)
Tal la tua stirpe avvien ch^ innalzi ed erga
Al delo i rami^ ove con lucid^onde
Bel fiume invita i peregrini e stanchi :
£^ perchè nulla manchi
Di vero onore, ornai T antica agguaglia,
£ sacra palma e trionfale alloro
In lei s'innesta, e Foro
Vi riluce coli' ostro, e gli occhi abbaglia 3
Cantano alTombra i cigni, ed ode il canto
U Tebro e Roma, e non pur Mincio e Manto.
Par che mille eccellenze in uno accolga.
Per dar materia al più lodato carme,
Di quante il Sol n^ illustra errando in giro;
E '1 leon de' Boemi annidi, e tolga
L'aquile de' Romani, e i nomi e Tarme,
E quell' arti ond' i Greci ancor fiorirò :
Qual Tessaglia ed Epiro
Duo Pini esalta, e coli' invitta Roma
Yespasian, eh' è forte e largo e giusto,
^on sol di nome Augusto;
E Giulio dal suo antico in lei si noma;
£ teco a prova Scipio oggi risplende ,
Mentre del tuo splendor suo lume accende.
E '1 valor di Casliglia ancor risuona
E d'Aragon fra' merti onde Ferrante
436 RIME EROICHE
Si mostra , e più mostrossi Alfonso adorno.
E se ^n vece di scettro e di corona
È la real virtù d'alma costante,
Chi più n^ha dentro, o più ne scopre intomo?
Ma indietro a voi ritomo,
Luigi e Cario, gloriosa coppia.
Ed a' Franchi, a' Germani opporvi ardisco,
Qual uom che fugge rìsco,
E poi sen pente, e i suoi perìgli addoppia;
Perchè se 'n questo arringo a terra io caggio,
È lode la caduta, e non oltraggio.
Ma la vostra virtù, chMn parte aggiunse
Dove fortuna suol poggiar di rado.
Grand' onor impetrò d^ Augusti e regi;
Né quel ch'Abita e Calpe in mar disgiunse,
O di Stige tentò l'oscuro guado.
Ebbe di fama si onorati fi^gi ;
Né Teseo i vostri pregi
Oscurar può, ma la sua luce appanna.
Benché Ippolita splenda, e care spoglie
Abbia dell'altra moglie^
E d' Elena si canti e d'Arianna;
E da quegli all'inferno è '1 calle aperto.
Al ciel da voi, ma più solingo ed erto.
E se nascean nell' affricana terra
Mille giganti, ove l'un cadde esangue,
Tutti cadeano, e si partia la gloria;
Ancor domi i Centauri in breve guerra
Avreste insieme, e l'idra e '1 toro e l'angue.
Di Sciron, di Procuste alta vittoria.
Ma di più vera istoria
Fur soggetto il valore e i merti vostri,
Che sotto un giusto re nasceste a tempo,
£ 'n più felice tempo
RIME EROICHE 43?
Che non fu di giganti e d^empj mostri ^
Né dì si gravi colpe ancor fecondo^
Né maggior meraviglia apparve al mondo.
Ganzon^ comete e fiamme
Ed altri il ciel mostrò turbati segni,
E d archi e di corone ei si dipinse ;
E poi tosto r estinse ]
' Ma questa luce apparsa a tanti regni y
Questo splendor di cavalieri e d'opre.
Ancor per gloria sua rivela e scopre.
CANZONE Xn.
Nella malattia del duca Alfonso II e d^ j
Descrii^e il lutto di Ferrara , e invoca la Dea
deUa sanità.
Chi vide il Sol lucente e puro il giorno ,
E Paria senza nubi e chiare l'onde,
£ spirar Faure e i più sereni venti,
E poi d'orrido vel coprirsi intomo
II ciel oscuro e '1 mar eh' all' alte sponde
Si frange, e tra le nubi i lampi ardenti,
E tempesta cnidel,.... pensi e rammenti
L' immagine turbata , e F assomigli
Al già si lieto albergo, ed or si mesto,
Che par quasi funesto ,
Là dove or langue il buon Alfonso e i figli:
Cosi , Fortuna , lor turbi e scompigli !
Quai cerchiam di natura infermi e frali
Più chiarì esempi, e 'ncontro acerba morte
Chi n' assicura e ne difende in terra 7
Tanti guerrierì suoi , quant' aspri mali ,
438 RIME EROICHE
Tant^ arme son , quanti dolori : il forte
E r saggio cavalier temuto in guerra,
Cui né di grave lancia incontro atterra^
Né spada mossa da possente braccio,
Aneli egli giace e langue ! . . . Or che far ponno^
Vigor perduto e sonno ,
Egre donne e fanciulli? i servi io taccio ,
Che sono or quasi fiamma, or quasi ghiaccio.
Ond^liscir tanti mali, e di qual parte
Sen volaro a turbar la festa e 'i gioco?
£ senza dipartirsi , oimé ! vi stanno 3
E| per volger antiche e nuove carte,
Medicina o rimedio ancor vai poco,
Onde si tempri si gravoso affanno.
Ahi Ferrara 1 ahi Ferrara ! a questo danno,
Perché mostri rea sorte anco turbarse,
Altro, se dritto estimo, egual non fora.
Leggesti di Pandora,
Che già di tutti i doni adoma apparse;
Ma questa ha più le stelle avare e scarse.
Scopria di vaga donna il ricco vaso
Ardita mano, e parte a schiera a sdùera
Repente i mali uscian, pur come alati,
E, dall'Orto giungendo infin F Occaso,
Tutto quello ond'uom giaccia af&itto o pera.
Fra' miseri mortali a morir nati,
Spargeasi al sommo, all'imo, a mezzo, a' lati:
Sol la Speranza ivi rimase al fondo ,
Che volar non potè, rinchiusa Fuma.
Or bella mano eburna
Serra la nostra speme, e '1 grave pondo
Sopra v' impone : e che n' aspetta il mondo ?
O Dea, tu che discacci i mali, e lunge
Li mandi, tu in lor volgi il dolce sguardo,
RIME EROICHE 439
Rasserenando il verno e la tempesta^
Se giusto prego insino al cielo aggiunge.
Deh ! movi ornai , ch^ ogni altr^ a juto è tardo :
E se teco or ne vien pietate ^ e resta ^
Né giammai senza te si trova o desta ,
Non consentir ch^ estingua morte avara
Onestate e valor ^ bellezza e senno ^
Ch^alto lume già fenno^
Ma le tenebre nostre aprì e rischiara,
Che così d^ adorarti il mondo impara.
Deh! qual novo pittor t'adorna, o Diva,
Un tempio in questa riva?
Chi l'immagin con note erge e sospende.
Mentre dal Cielo il tuo favor s* attende 7
CANZONE Xin.
In lode di D. Matteo di Capua^ prìncipe di Conca f
e della sua Casa.
Spirto gentH, ch'i più lodati esempj
Segui d'alto valor che forte o giusto
Affrìcano od Augusto
Lasciasse al mondo, od altro invitto ducej
Quel tuo maggior, ch'adorni i sacri tempj
Fé' di novi sepolcri, e 'a bianchi marmi
Spiegò l'insegne e l'armi,
E giunse a' chiari nomi e fama e luce,
Segnò quel calle ove pietà conduce:
Tu , da lei scorto , al tenebroso inferno
Od a' felici campi
Per favolose vie non movi il passo ,
Ma poggi al tempio dell'onore eterno,
44o RIME EROICHE
Del cai ardente desio nelPalma avvampi ^
Perchè gloria più salda in lei si stampi^
Ch'in bel raelallo o 'n sasso,
Ed abbia gli anni in terra e 1 tempo a scherno,
Come han Talme lassò Stige ed Avemo.
E, mentre d'Ademaro in ciel risplende
L'ardente spirto più ch'in lucid' ostri,
E gli stellanti chiostri
Tutti della sua luce orna e rischiara,
Qui la sua fama antica il volo stende
Oltre '1 corso del Sol che '1 dì riporta
Per via lunga e distorta,
E innanzi a lui bella si scorge e chiara^
E gli altri, ch'ascondea la terra avara
Là 've perpetua e cieca notte adombra
Il suo profondo seno ,
Sono, la tua mercè, famosi e conti.
Ma dell' antichith la nube e F ombra
Sparisce, come a' raggi in bel sereno
debbia, compressa d'atro umor terreno.
Chi fia che lor racconti.
Se folta selva, quando il gel si sgombra.
Di tante frondi non s'adorna e 'ngombra?
Felice stirpe, otide il più nobil regno
Ch'il nostro mare inondi o 1 sole illustri^
In gran girar di lustri
Si gloria ( oh gran favor di stelle amiche ! ) y
E perchè quattro volte il fero sdegno
D'aspra fortuna abbia gittato a terra,
Con perigliosa guerra.
Tante corone de' suoi regi antiche.
Movendo l'arme al sommo onor nemiche ^
E svelti i tronchi: da radice a forza,
Quest'anco innalza, e spande
RIME E^^OICHE 441
La nobil chioma , e cento rami e cento,
Ch'empia tempesta non la crolla o sforza ,
Bench'ella sorga pur fiorita e grande ,
E si faccia d^onor sacre ghirlande;
Senza tema e spavento,
E di sua lode adoma in verde sdorza,
Via più con gli anni acquista onorò e forza.
E quando il regno aggiunse al grande impero,
£ quando il diede al successor di Carlo
Chi sol pol^a donarlo,
Quasi un bel premio delF imprese eccelse;
E poich'ai fine il glorioso Ibero
D'Aragon venne folgorando, e, spinti
I suoi nemici e vinti,
Difese lei che 1 fece erede e scélse,
E quanto il tenne , e proprio albergo ei felse
Finché successe il buon nipote al figlio.
Ella si stese e crebbe:
Né senza quella chiara invitta fede
De' tuoi maggiori in pace, o 'n gran perìglio
D' aspra contesa , alcuno a regnar ebbe ;
E degno grado a quel valor si debbe,
Sostegno alPalta sede,
D' animo ognor costante e di consiglio ,
E per guerra e per morte e per esigilo.
Ma co' regi, che fati avari e scarsi
Ebber sovente in guerra, e '1 regno islesso
Or predato , or oppresso , •
E da giogo crude! talora afHitto,
Non poteva ella insino al cielo alzarsi.
Né fu si ampia la fortuna o '1 clima.
Come il merto si stima :
Poi ch'ai gran Carlo ed a Filippo invitto
Non ha meta o confine il Ciel prescritto
44^ RIME EROICHE
In barbarica terra o 'n mar profondo;
Ma la giusta possanza
Trapassa le Colonne ^ e i sacri altari
La dona , ed a lei sembra angusto il mondo.
Poche ha la litirpe tua sembianti o pari
Fra rorìiJAlpe e i duo famosi mari^
E 'n te sé stessa avanza,
E '1 primo re le aspira e 1 Gel secondo
A sostener di gloria antica il pondo.
E perchè d^ ostro altri s* adomi e d^ oro ,
È scettro imperioso in guerra ei porti:
Altri spesso riporti;
Vinto il nemico in campo , altera pabna,
E cinga il crin di trionfale alloro;
Altri; il re difendendo , a morte il toglia;
Porpora sacra e spoglia
E prisca fede e gloria ardente ed alma
Sono a te cara ed onorata salma ^
Dagli avi imposta; e la sostiene e regge
E 'n sé stessa T aduna
La tua virtù che non vacilla e manca ,
Ma di seguir tanto valore elegge ,
Con più destra e seconda alta fortuna ,
Sin dalle fasce e dalla nobil cuna;
Né mai 8^ allenta o stanca ,
E quasi a sé medesma è viva l^ge.
Mentre i popoli tuoi frena e corregge.
Sigrlbr^ deh mira! come Italia e Spagna ^
Le più belle del mondo e care parti.
Hanno diffusi e sparti
Gli onori e Tarme e le vittorie intorno
Dovunque Y Ocean circonda e bagna ,
E come avvien chMn più tranquilla faccia
In lor suo albergo faccia
RIME EROICHE 443
Fortuna e Marte d^ auree spoglie adomo ,
Né più stimi del mondo altro soggiorno.
E qual nelTalto Egeo noccliiero accorto
Spande ventosa vela
Quando è placida Faura^ e 1 mar s^ acqueta ;
£ 1 ciel rìsplende dall^ Occaso alFOrto^
Che nulla nube a mezzo giorno il vela,
Spiega tu cortesia , cli^ invan si cela y
A gloii'osa meta 9
Sin che, nel mar gittando il ferro attorto^
Lieto alfin prenda il più felice porto.
Canzon mia, non può ingegno o stil più colto
Darti colori e lumi
Si varj y che di lor tutta rìsplenda j
Ma quel signor c^ha le tue Muse accolto
In degno albergo, al suo splendor t^ allumi:
E se parer più bella altrui presumi ^
Fa ch*egU in grado U prenda ,
E di': Quel ch'in me splende, o poco o molto,
Raggio è suo. solo, e '1 vero in luce avvolto.
CANZONE XIV.
Loda la nobiltà e il valore di D, Cario Gesualdo y
principe di Venosa, e particolarmente la sua
grande eccellenza nella musica.
Musa, tu che dal cielo il nome prendi,
E corone hai lassù di stelle e d' oro ,
Non sol di verde alloro
Cingi in Parnaso la serena fronte,
Da' bei giri celesti a me discendi
Con alta lira che 'n mirabil tempre
444 AIME CKOICHE
Orni 9 suoni e contempre.
Se non disdegni il seggio ombroso^ e 1 monte^
E '1 dolce mormorar del chiaro fonte,
Qui siedi, e spazia tra' bei fiori e Terba
Nella stagione acerba:
Qui da cipressi è cinto ombroso chiostro^
E di palme il bel colle ancor verdeggia.
Lascia teatro o reggia,
Se 1 ciel lasciasti, e d^auro i premj e d'ostro
Ch^ altrui promette e serba,
Musa mia, non severa e non superba.
E meco qui tra la fontana e '1 verde
Canta del novo Carlo i nomi e i pregi,
E i suoi famosi regi,
E degP invitti eroi la stirpe antica
Che lieta in lui s^ innalza e 'n lui rinverde^
Né sol Venosa or sotto P ombra ammanta,
^ Che pur si gloria e vanta
Di nobii cetra al grande Augusto arnica^
Ma quella terra fortunata , aprica ,
Ch'inonda e parte a più felici genti,
Coir onde sue correnti,
L'Au6do che da lunge anco risuona.
Sin dove il seggio a lui fortuna scelse.
Tu nelle parti eccelse
Quei ch'ebber già d^ Italia alta corona
Vedesti, e dire or tenti
Uarmi e '1 nome di raggi e d'or lucenti.
Tu li vedesti, ov'io lo slìl non ergo,
Sovra il gran sole e gU stellanti giri.
Tu che vedi e rimiri
Lo spirto ignudo dal suo fragil velo :
E, venendo quaggiù, reale albergo
Fra la virtute e '1 glorioso onore
RIME EROICHE 445
Nel magnanimo core
Di lui t^ eleggi, e FassoinìgU al cielo.
Né si quaggiù si tempra ardore o gelo
Nella stagion che non sMnfiamma o verna
Nella sua vece eterna
Per magistero mai d^alma natura,
Siccome tu gli tempri il core e U petto ^
E d'ogni vago affetto
Dolce legge tu sei j dolce misura y
Quasi armonia superna,
E 'n lui rìsuoni pur la voce intema.
Nò sol in mezzo al cor la chiara tromba
Dell'opre ascolta gloriose, illustri,
Che, già cento e più Iqptrì,
Die fama a Gesualdo in pace e 'n guerra;
Ma del grandmavo il nome anco rimbomba,
Ch' a' nostri dì fu quasi un chiaro Sole
Dell'onorata prole.
Tal ch'oscurar noi può F invida terra
Che lui col padre insieme involve e serra.
Questa è la nobil voce e '1 chiaro canto
Ch' entro pur s' ode , e 'ntanto
L'alma lusinga al suon di gloria, e molce;
Qual meraviglia è se risuona a^ sensi.
Perchè di lei si pensi,
L' altro <ii fuor cosi sonoro e dolce 7
E qual più altero vanto
N'ha Tebe o Smima o la città di Manto?
Già mentre al mondo die terrore e legge
Coir arme gfavi il buon popol di Marte,
Ed ogni estrania parte
Soggetta fece al suo possente impero ,
Gracco al soave suon, come si legge,
I fulmini temprò d'ardente lingua.
446 ^ RIME EROICHE
Perchè Fardor s^ estingua
Che spesso accende un cor superbo e fero:
Tu del tuo generoso alto pensiero ,
Che per desio d^onor s^attretta e 'nfiamma,
Qual veltro appresso damma ^
Non sospingi, signor, né fermi il corsa
Con sonora armonia d^ estrama voce;
La tua sola veloce
Può farlo e lento , e porgli un saldo morso ,
E puote a dramma a dramma
Scaldare il gelo e 'ntepidir la fiamma.
£ quel che d^Asia i regi oppresse e vinse,
A più feroce suon de^ greci carmi
Correa veloce alFarmi,
Ma poi, mutata legge, il tenne a freno,
E la sua fiamma im|)etuosa estinse.
Tu medesmo, Alessandro all'alte lodi,
Timoteo a' novi modi,
Sei d'armonia celeste entro ripieno*,
E tu plachi te stesso, e fai sereno
L'animo tuo sublime e 1 chiaro ingegno.
O d'ogni onor già degno,
O d'antica progenie a' novi tempi
Serenissima luce e vivo raggio;
O buono, o forte, o saggio.
Ch'illustri di virtù lodati esempi;
O mia speme o sostegno.
Gloria d Italia e del suo nobil regno!
E se questa d'eroi famosa madre.
Che già sostenne il grave e nobil pondo
Dell'imperio del mondo,
Diece a te di bontate avesse eguali ,
All'imprese dì uovo alte e leggiadre
Valore insieme e cortesia risorta
RIME EROICHE 44/
Fóran più fida scorta;
E giustizia, ch^al ciei rivolte ha Pali,
Si fermeria « tra' miseri mortali:
E seco il mondo pur farebbe adomo
In placido soggiorno,
Dando a^ yizj più gravi etemo esiglio,
Intrepida fortezza e prisca fede,
Che più sicura sede
Non trova, e teme pur danno e perìglio,
Ma più vergogna e scorno,
E sol tarda pietale il suo rìtorao.
Musa, dal ciel venuta, al ciel aspira
Gol nobil peso ove dimostra e segna
Al buon Carlo d'Olimpo il dritto calle
Vera e certa virtù, non pur sublime.
E s'io le basse rime
Inchino come augel palustre in valle,
Piana via non si sdegna.
Ch'altissima umiltà sovente insegna.
CANZONE XV.
In lode del cardinale di S. Giorgio Ondo Aldobrandinì^
nipote di papa Clemente VIIL
Ecco già d' Oriente i raggi vibra
Il novo Sole, e 1 desiato giorno,
Ch'ò già promesso, lieto alfin risplende;
E , mentre ei notte e giorno agguaglia in libra ,
Ecco già P ostro io veggio al crine intomo
Del mio signor, che 'n degno grado ascende:
Ecco il suo premio al suo valor si rende;
Ecco Fonor s'adegua e giunge al merto,
448 RIME EROICHE
Seguendo lui che gli assicura il varco
D^ alzarsi fin al ciel ch^ egli apre e serra :
Parte regge la terra ^
Sostenendo di Pietro il grave incarco;
Ma nello stato si dubbioso e 'ncerto.
Come buon padre esperto ,
Grave ha U giudicio^ e non avaro o parco ^
Però giammai non erra,
Sia in pace il mondo ^ o *n perigliosa guerra.
Roma j e' ha del valor corone e palme y
Non pur men cari e gloriosi pregi ^
Ben se n* avvide, ha già molti anni e lustri^
E '1 mio signor, fra le più nobili alme,
Degno stimò de' più onorati fregi
Che faccian lieti i suoi famosi illustri.
Né Roma sol, ben cli^a' suoi rai s^ illustri^
E le tenebre antiche apra e disperga,
Ma qual esposta all'indurato gelo
È d^ Europa più eulta e nobil parte
Conobbe i modi e Parte
E r alto ingegno a lui dato dal Ciclo ,
E cpme per tai gradi ascenda e s'erga;
Ed or ch'in sé 1 alberga.
L'alta Roma, dico io, non Qnto o Ddo^
Mille virtù cosparte
In lui rimira, e le consacra in carte.
Ben l'antiche e le nove ei volge, e prima
Con sollecito studio anco rivolse.
Per arricchir d'un bel tesoro eterno;
E da questo e da quello estranio cUma ^
Ove l'industria de' miglior s^ avvolse.
Peregrinando pur la state e 1 verno,
Ei sapere adunò, eh' è bene interno,
Lo qual fortuna non invola o toglie
^ BIME EROICHE 449
Come suo dono^ e non 8en gloria o vanta.
Cosi vide egli e seppe ^ e 'n suo profondo
Ingegno accolse il mondo
Cmla scorta del Ciel sicura e santa}
Q,sl pri. meritó puT„.re. .pogfe,
Gli alLn pur se n^mvogue.
Di cui si glorioso alfin s^ ammanta ,
Cliiesto all'onor secondo;
Ma degno è di portar del primo il pondo..
E nell' età più grave e non acerba j
Ch'onor veste e virtute^ innanzi alT ostro
£i la vesti come abito celeste;
E fortuna^ che fa Palma superba^
Nulla ha d! imperioso in lui dimostro ,
Brame destando alla ragione infeste;
E mover non poirìa nembo o tempeste
Che perturba^& il suo pensier tranquillo y
E del saggio intelletto il bel sereno ,
Lo qual in bene oprar sé stesso avanza:
E 'n sua maggior possanza
Sotto un modesto e mansueto freno
Tien la fortuna a cié lo Gel sortiilo ^
Come Scipio o Cammilloy
Di saper ^ di bontàWomito a pieno ^ .
Grave in umil sembianza.
Oh d'Italia e d'Europa alta speranza!
Quel che di tre corone il crìn circonda;
L'altre, come a Dio piace , e com'è giusto ^
Può tórre e dar con infallibil leg^e
E col potere onde mai sempre abbonda ^
Non da Cesare dato e non da Augusto^
Ma da lui eh' ab eterno in del l' elegge j
E d' alto il basso mondo e move e regge ;
Lunge rimira ove d' orrore ingombra
Tasso, FoL IF. 29
45o RIME EROICHE
Empia fortana ancoY le parti estreme ^
£ ai vii giogo animi alteri indegni}
Vede più feri sdegni
Del ciel turbato che si cangia e freme ,
£ qual ivi sovrasta onrihil ombra ^
E quinci e quindi adombra
L'Orto e FOccaso che si crolla e teme^
£i quai vapori o segni,
Quasi disfatte le corone e i regni
E sembra il buon nocchier ch'i mesi e gli anni
MelPEgéo corse, e passò Scille e Sirti,
S'ode fremer da lunge o Fonde o '1 vento,
E del mar teme insidiosi inganni,
£ '1 variar de^ tempestosi spirti.
Lontana nube in rimirare intento ^
Veloce al provveder, ma grave e lento
A scior le vele ed a levar il morso
Che tiene i legni ove più il cielo avvampi.
Intanto agli altri insegna, e d'alta seda
H governo lor crede ^
E predice il sereno a' tuoni, a' lampi
Del periglio uncino , ^ pur trascorso ,
Nel lungo e dubbio corso 3
O come ^ assicuri o* Pir si scampi
Con animosa fede
Dal mar eh' usurpa le più ingiuste preda
Canzon mia, tardi nata e tardi adoma,
Or vedi com' appresso il ciel riluce ,
E con alto rimbombo anco risuona,
E lieta Roma , e i colli e i sacri tempi ,
Perchè i turbati tempi
Volge fortuna ove lampeggia e tuona.
Tu nella pura e più vicina luce
Guida non cerchi o duce 3
RIME EROICHE ^ 45i
Ma, dorè di sua gloria ei sMncorona,
Pur con gli anliclii esempi
Della sua grazia i tuoi difetti adempì
CANZONE 3CVI.
Ptr le nozze del prìncipe Vincenzo di Mantova
con D. Eleonora de'. Medici
Italia mia, che FAppemiin disgiunge ,
£ da mille suoi ronti
Mille fiumi a duo mari infonde e versa,
Quel ohe parti natura, amor congiunge,
Talché non ponno i monti
E i gran torrenti, onde è la terra aspersa,
Far Funa all^ altra avversa.
Amor, le tue divise e sparse voglie
Or unisce e raccoglie,
E spiana Talte vie nel giogo alpestro
Dal tuo sinistro lato al iato destro.
Ei la testa canuta e U petto e i fianchi
D'orroì* dispoglia, e sgombra
I duri passi e le più rozze piante ,
E mille sedi a' peregrini e stanchi
Prepara, e poi s^ ingombra
Di lieta pompa in più gentil sembiante.
Talché r invidia Atlante.
Altro eh' Oreade or miri e Dei selvaggi
Tra pini, abeti e faggi;
Altro che pie di capro, o fronte adorna
Di verde fronda o pur d' acute coma.
Or di beltà celeste e di costumi
Scorgi 4onne e donzelle,
45a RIME EROICHE .
Qual frescbe rose al dolce estivo gelo^
E quando notte accende i tanti lumi^
Come notturne stelle^
E quando Falba scioglie il fosco velo:
£ se duo Soli in cielo
Fur visti già, del ciel turbati segni,
E sue minacce e sdegni,
Or duo Soli congiunti, e non s'attrista.
Mira la nostra età: mirabil vistai
Duo Soli di valore e di bellezza.
Ambo nelT Oriente
Rotano i raggi incontra, o stanno a paro;
L*un per T altro fiammeggia e per vaghezza
DelT altrui foco ardente,
E Fun per F altro è pur sereno e chiaro;
Né mai destino avaro
Ce gli asconde o sommerge, e 'n giro alterno
Non fanno state o verno;
£ sempre sono eguali i raggi e i passi,
Perch'un mai F altro non oscuri o las^.
Tu già colosso altero al Sol drizzasti.
Rodi, al buon tempo antico:
Chi due n'innalza a questi, e chi gF indora?
. Qual simulacro fia che avanzi o basti
Al secòl nostro, amico
Di nove meraviglie ondaci s'onora?
Altra cittade ancora
Mira del Sol che in fronte a lei rìsplaide;
Altre belFopre attende,
E sovra i monti e i nembi in aria sparsi
Del suo gran fondatore il nome alzarsi
Ma questa doppia luce altrove gira
n suo bel corso intanto,
£ '1 suo vivo splendor dispiega altrove.
^ RIME EROICHE 453
Onde Flora ne piange e ne sospira
Fra mille gioje^ e Manto
Accresce le sue latidi antiche e nove^
E quasi incontra or move
Dal suo puro^ tranquillo e dolce lago^
Dal seggio fresco e vago.
Dalle fiorite sponde e dalle valli,
Da' suoi lucenti è liquidi cristalli :
Fra tante palme omai, fra tanti lauri ,
Fra tante eccelse spoglie,
Tanti alteri trofei d'arme famose
Che furo tolti à' Garamanti, a' Mauri,
Il bel Vincenzo accoglie
E Falta Leonora, alme pietose.
Chi gigli sparge e rose
Dove la bella coppia or posi e giaccia,
Ch'Amor di nuovo allaccia,
E di rossore e di pallor dipinge,
E castìtate i nodi ordisce e strìnge?
Canzon, di raggio in raggio
Segui la nova e gloriosa luce
Clral pensier mio riluce:
Ma, perchè non t'accenda e non avvampi.
Per sua pietà candida man ti scampi.
454 RIME EROICHE
CANZONE XVn.
/
Per la nascita del tenogenito del Duca di Maniova.
{V. Senu8i, T. II, £ 196.)
Crescan le patine al Blindo e i novi allori
Or nel fcaioe parto y
Che già precede il quarto, *
Per la speranza de* suoi novi onori ^
£ le sue rive di smeraldo infiori
n fiume ch'ascoltò la nolnl Musa,
Per cui di Siracusa
Ha maggior pregio la tebana Manto ,
£ più rimbomba il canto,
£ non pur d'armonia le selve ingombra,
Ma / gran teatri , ove discende alT ombra
Non sol Pan d'Arimanto,
Ma Febo stesso, e 'n suon più grave e dolce
Arbori, sassi e fere aOrena e molte.
Ben è ragion , poi eh' i soavi accenti
Degna d'udir il padre.
Degna d'udir la madre
Con gli alti ingegni a vera gloria intenti.
Ma qual delF auree fiamme in ciel lucenti
Fu pari alla sua stella,
Pari neir esser bella?
Fu Marte che splendea più lieto in vista,
E per usanza pur turbato attrista?
O 1 Sol che raggi più lucenti or vibra.
Mentre sen passa da leone a libra ,
E più la notte acquista ,
Puro mostrando il bel seren notturno?
O quel che pare a noi pigtt) Saturno ?
RIME EROICHE 455
Pari ben sono a voi, celesd lumi^
Di chiara stirpe antica
Ch^ebbje fortuna arnica^
Gli onori, le virtù , gli alti costumi ,
Che tra T ombre del mondo oscure e i fumi
Splendon con vivi raggi:
I forti y i giusti y ì sagrì ^
I magnanimi duci e gU alti ingegni
Produsse a scettri y a regni
Questa stirpe , d'eroi sempre feconda ,
La cui gloria fra noi vola e circonda
Oltra gli altari e i segni
D^ Alessandro e d^ Alcide ^ e gira intomo
E dove sorge e dove incliina il giorno.
Talché par quasi fato^ e ben conviene
Che questa invitta prole
Risplenda come Sole
Ch^apra le nubi intomo e U ciel serene,
E che s' agguagli ornai la nova spene
Coir antica memoria,
E Puna e T altra gloria,
Io dico di nipoti e d' avi illustri ;
£ d^ altre imprese ancora e d'altri pregi
S' onori e d' altri più lucenti fregi
Per' cento e cento lustri ,
E rinnovarsi paja il tempo veglio
Che Hi d'ogni valor lucido speglio.
Altri opprima . gì' iniqui , e sparga il sangue
Degli empi e degr ingiusti ,
O pur da' grandi Augusti
II seggio impetri ov'è il tiranno esangue^
Altri vinca il leone orrido e l'angue,
E segua illustre esempio
D'alzar famoso tempio
456 RIME EROICHE
Alla Vittoria 9 e cento spoglie d'oro
E del Trace e dei Moro;
Altri al fiume sanguigno il ratto corso
Tardi co' morti corpi ^ e ponga il morso
Coronato d'alloro;
Altri di sostenere il ciel si vante,
E sembri novo Alcide a noTO Atlante.
Canzone ^ io son già stanco y
Né ben raccoglier posso in breve carta
Quella gloria eh' è in terra e 'n del cosparta.
CANZONE XVm.
Loda la granduchessa di Toscana Giovanna iAu-
stria y figlia dtU impcrator Ferdinando* Dopo aver
esaltata la grandezza, il valore e la nobiltà pa^
tema, celebra la propria virtù di lei e la propria
bellezza, e F assomiglia nel suo venire in Italia
ad angelella che scende dal cielo ; e qui, pas-
sondo a celebrare la grandezza e la felicità della
Casa de' Medici, attribidsce alle nozze di Gio-
vanna la pace dltaUa,
Deggio forse lodar l'aurato albergo
In cui dimori, o quello in cui nascesti?
Questi o que' pregi, o queste glorie o quelle?
O '1 tuo valore, a cui mi sveglio ed ergo^
Qual uom già lasso eh' a gran di sii desti?
S'errò col raggio 4i minute stalle,
Vede cose più belle
Allo splendor che le colora c^orna.
Ma chi porta lontan sì care salme,
E coglie allori e palme?
Chi poggia incoiitr' al sole , e chi soggiorna ?
E chi giunge alle mete, e chi ritorna)
RIME EROICHE 457
Pur io dirò che nella reggia antica
Di sacri Augusti avea con auree penne
Gran simulacro e con favor secondo^
Ma spesso trapassò fortuna amica
D'una stirpe nelF altra , e quasi tenne
La terra ^otto V ale e '1 mar profondo :
Or più felice è 1 mondo;
Non sorte ^ ma. virtù trionfa e regna ^
Non idolo scolpito in oro o 'n marmi |
Né di corone e d'armi
Falso splendor 9 ma vera gloria e degna
Del cielo ornai che di saUrvi insegna.
Vera gloria dal ciel deriva , e nasce ^ ^
Dove nacque il fratello e '1 padre augusto
£ gli avi tuoi che trìonf&r la terra;
E son fede e pietà le prime fasce',
Ed amor d'onestate, amor del giusto; .
Son Parme sue fortezza e senno in guerra ;
Né già vaneggia ed erra
D' un tétto in altro , come a' primi tempi ,
Né trascorre dall' uno ali' altro sangue ,
Né per vecchiezza or langue;
Ma ferma con più helli ed alti esempi
La sede in Occidente incontra gli empi.
Indi, per arricchir d'un bel tesoro
(Che gemme sono i fi^Ii,.onde risplenda
La gran Toscana ) , a lei volgesti i passi
Con odorato crin di lucid'oro,
Come angeletta che fiammeggi e scenda,
E quei cerulei campi addietro lassi.
Gli altri ingegni son bassi ,
E tutti rochi sono i nostii accepli
In lodar te, che l'umiltade inchina,
Donna, duce e regina;
458 RIME EROICHE
Ma tutti sono ad onorare intenti
I segff, in cui tu regni alti e lucenti.
Te questo albergo trion&nte accoglie^
A cui iT intorno udì sì dolce canto
n nobii Amo e chi da^ fior si noma:
Altri recò le gloriose spoglie;
Altri n^ usd che la corona e 1 manto
Portò di Pietro ^ e sacra aatica soma :
Talché r Italia e Roma
Quinci r imperio alFonor suo converso,
Quinci Tede colei che gli alti imperi
£ dona i regni interi ,
Né Puno air altro per disdegno avverso ,
Né monte scorge o mar di sangue asperso.
E ^n te rimira si leggiadre forme
Di felice virtù, che meno apprezza
Barbare e Greche o pur Romane illustri,
E tutti inverso al cielo i pasà e Forme,
E i figli vaghi dUmmortal bellezza ,
Cui non disfiora il trapassar de^ lustri:
E mentre più gV illustri,
Né crudel guerra i nostri lidi infiamma ,
Né rischiara il tuo nome acerbo esiglio,
Non morte né periglio, /
Non piaga o serpe e non accensa mamma.
Né ferro che scuffini a viva fiamma.
Canzon, vince sé stessa
L' alma reale , e V una e V altra sorte ,
Essendo la più casta e la più forte.
RIME EROICHE
459
CANZONE XIX.
Nel vinaio della duchessa di Ferrara pé suoi
. Stati, ^rega P abbondanza e la serenità che tac--
compagnino. Poi tocca i sommi capi delle cose
che si offriranno alla sua vista j e, con àmiUtU'
dini tratte dd segni celesti, esalta ftH omamenii
dello Stato ferriarese. Indi passa aa anteporre il
duca Alfonso ti re di Sparta, e la duchessa Mar-'
^rita alle regine spartane ed egizie, lodando la
cortesia, t unultà e C altre sue virtù.
Tu die segui la pace, e fai cT intorno
La terra più felice e più feconda,
£ porti i dolci frutti e i vaghi fiorì} —
E tu, che U ciel sereni e Paura e Fonda^
Uscite insieme il desiato giorno
Che Margherita e le compagne onori.
*^Pene, affanni e dolori,
Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegno,
Strazio o tormento indegno
Non turbino , o sospiri a mille a mille ,
Parti cosi tranquille;
Né fortuna il viaggio o tardi o rompa,
Ma vi spieghi reale altera pompa.
Dall^uno ail^ altro mare a lei si mostri
Quanto d'Ercole invitto il figUo regge,
£ quanto almo paese accoglie e serba ,
E i popoli cui frena antica legge,
E serici trapunti e gemme ed ostri,
Che far non ponno alma gentil superba}
E coir etate acerba
A prova la natura in ogni cenno
Scopra valore e senno
46o BIME EROICHE
In teatro ; in consiglio, in giostra, in dama,
Non sol varia sembianza,
£ varie ins^e e penne sparse a* venti ^
E co' destrier feroci arme lucenti.
SÒL. che Topre mortali e le fatiche
lUustrì da si grande ed aureo cinto
Che. la fortuna e ì fato annoda e serra ^
Ed albergando colle stelle amiche,
Di varie forme vedi il cidi dipinto,
E teco ogni altro che si volge ed erra ,
Mira la nobil terra,
. Quasi gran fiiscia che F Italia fenda,
£ fra due mar si stenda:
Ha questa il suo bel Sok, e chiari lumi
Sono i santi costumi j
E '1 carro, a cui son Tore intomo ancelle^
È virtù non soggetta a fere stelle.
E qui Tallero Po, di cui T imago
Nel ciel rìsplende, e fortunata nave
Che gloriosi eroi conduce e porta*,
£ con bellezza phcida e soave
Giusta vei^e ancor : né fero drago ,
Né scorpio incontra la sua bella scorta }
Né capo o chioma attorta
D' orribili serpenti a^ suoi* viaggi
Sparge infelici raggi,
Ma gregge mansueto, e senza tosco
Fere in campagna e 'n bosco j
Né vi rugge leon che Tire accoglia.
Ma d'Alcide é trofeo più ricca spoglia.
Altre spoglie, altre palme, altra corona.
Altre fatiche guarda, e 'n altre imprese
Più libero valor e 'n altro campo :
Né mi^n saldo di quel che poi difese
^ RIME EROICHE 46i
Mortali strette y o vìnse a Maratona ^
Ch^ a' Persi non giovò riparo o scampo ^
Splender con chiaro lampo ;
Né cTun regno due regi or degni estima^
Come fe^ Sparta in prima ^ *
Una sola città , ma 'n tre succede
Ài padre.il figlio erede ^
E ^ in tre luoghi fermando un seggio altero ;
È tre volte possente, e tre guerriero.
In così bella parte e sì felice
Le grazie intomo ella cosparga e versi ,
Qua! nova luce i raggi e la rugiada j
E mieta chiara gloria in dolci versi
Più d^ Artemisia o Porzia o Berenice ,
O colei eh' adoprò V amata spada.
Lieta e vaga contrada,
Fortunato paese, almo terreno,
Àer puro e sereno ,
Valor senza onestà fra noi non serpe,
Come troncata serpe,
Ma in lei veggio, s'altri il divide e spezza,
Com'è perfetto onor casta bellezza.
Ella non mostra mai barbaro orgoglio, '
Come solca regina in Menfi adorna,
O F altre che son già nude ombre e polve}
Ma cortesia con umiltà soggiorna ^
Dov'ella siede, e fugge ira ed orgoglio ,'^
£ '1 timor si dilegua e si dissolve.
£ s'ella a te si volve.
Atti non vede o portamenti estrani.
Non sembianti inumani,
Non ode feri accenti, aspra favella
Di gente a Dio rubella.
Non diverso parlare o. suon discorde,
Qual armonia di mal distese corde.
4fi% RIME EROICHE
Canson mia. d^ onorarla
Vedrai più che 1 poter la veglia pari:
Fra i monU alpestri e i mari, ^
Ta di\ ae trovi intoppo al tuo deao:
Son della turba anchMo,
E I fra cavalli ed anni e chiara tromba ,
Margherita, il tuo- nome in me
CANZONE XX.
*
In lode della granduchessa di Toscana Bianca Cap-
pello, Con bett artifizio s^ apre la via ad esaltar
pure I pregi del granduca suo consorte , e mas-
sime il discemimenio di lui siweriore a quello di
Teseo e di Paride: perche Élena, giuoKOia da
essi per la più virtuosa e la pus bella , cagano
la rovina ds Troja ; laddove Bianca Cappello ,
eletta da lui in moglie, assicurò la pace e la con^
cordia de* suoi Stati.
Talvolta sovra Pdio, Olimpo ed Ossa
Portò l^giere salme augel volante,
E sovra il mauro Atlante,
E sulle nubi ove mai strai dalParco
Non giunse, e non sali turbo spirante^
Ma col volo mancò Tardità possa,
Perchè innalzar non possa
Peso maggiore e più gravoso incarco :
Tal io, se mai cantando al ciel men varco
Con picciol nome in sull'alzate pemìe.
Veggio sotto le valli e i monti e i poggi 3
Né cerco ove riposi , ove m' appoggi ,
Ma dove stilo il vostro onor sostenne
Par di cadere accenne^
RIME EROICHE 4SS
£ sMn alto mi spazio e non vacillo ^ '
Mi glorio in del tranquillo ,
Che spargendo gran fama onor s'impetra,
£ pregio acquista ogni sonora cetra.
Ma, cantando per voi, sublime Donna,
La nobiltà sia fonte in cui si versi
Alta materia a' versi y ^
Indi '1 principio s'apra, indi s'ordisca
Ogni alta laude, e vinca i casi avversi •
La nobiltà, eh' è del valor colonna.
In cui si ferma e 'ndonna,
Perdi' altri pur F onori e riverisca,
Come origine suol famosa e prisca,
ISè per contraria sorte oppressa giacque.
A voi die cuna il mare^ il mare in grembo
V'accolse, e nd ceruleo e vago lembo, <
Dove alato leon la terra e. F acque
Tiene com' al Qd piacque ; .
£ fra palme cresceste e pompe ed ostri
DegU avi egregi vostri j
£ '1 vostro merto è un mare , e , s' ora il solco.
Ritornerò come Giason da Coleo.
Altre più vere maraviglie e belle,
Ona'ha F etate antica invidia e scorno.
Dentro son e d' intomo ;
Né già bugiarda fama altrui le finse.
Ne favolosi onori in rime adomo:
Non Teti'in mezzo alFonde, o le sorelle
Ninfe leggiadre e snelle;
Non conca o bianche spume, in cui dipinse
Greco pittor la Dea che '1 pregio vinse:*
Ma son vera bellezza e vera gloria.
Vero candore, anzi splendor sereno
Cli' abbaglia occhio terreno ,
464 RIUE EROICHE
Demi di gran poema o pur (Tistorìay
Ch iUustn alta memoria^
, £ 1 bel nome che piace a^ vaghi sensi ^ .
Ove sen parli o pensi j
E vero e casto amor di nobil alma
Sotto giudice grande ha certa palma.
Qiè dove il padre augusto alzò Giovanna ^
E grandezza di scettri e di corone^
Nudo amor vi ripone^
Amor grande^ amor saggio ^ amor pudico ^
Che prima non segui selvaggia Enone ^
Amor che non si turba e non s^ inganna j
Né '1 biasma e noi condanna
Mente sublime : or ceda esempio antico ;
Ceda amante e pastor di farsi amico
A lui che la Toscana adoma e regge ^
Giudice di beltà più dotto e scaltro^
Che non fu già quelP altro:
£ s^ ella pur lo sprona^ ha fren di legge ,
Non tra ruvide gregge^
Non tra gli armenti usato e tra* btfolci,
Ma tra studj più dolci;
Che Paltò imperio già non perde in guerra^
Ma cresce novo onor d'antica terra.
£ direi y non facendo al vero oltraggio:
Cedale il domator del reo Procuste^
Che d^imprese più giuste
Gloria maggior invitto core attende }
E son or quasi oscure e quasi anguste
Lodi antiche e lontane al vivo raggio
Di lui ch^è forte e saggio.
£ se pur Fun dalF altro a noi discende ^
' Né più fama canuta omai contende^
Ch'akò quasi del tempo un bel trofeo ^
RIME EROICHE 465
O sey qual pianta e' ha gran rami ed ombra y
U anticnitade adombra,
Siasi eguale al gran duce il gran Teseo ^
Né si vanti d'Egeo,
Per Atene e Fiorenza, il nome e Fopre
Che lunga età non copre,
Ma questo amor quanto n'udirò innanzi,
£ questa fede ogni memoria avanzi.
Oh! quanto è più felice il novo esempio.
Quanti diversi effetti, e in quanti modi
Hanno più chiare lodi
Di quel lungo rimbombo indi raccolto!
Ivi mirìam due ratti e mille frodi,
Altari violati ed arso tempio,
E Funo e F altro scempio
'Di Polidoro tronco, e guasto il volto
D^ Ettore sanguinoso e non sepolto;
Di tanti figli orbo e dolente il padre,
Schiere in fuga rivolte, accesi legni.
Estinti fochi e non estinti sdegni,
E morti e roghi e faci oscure ed adre;
Mesta e piangente madre ;
Troja in fiamme conversa; a faccia a faccia
Europa Asia minaccia
Con fulminanti duci, e sponde a sponde.
Venti a venti centrar), ed onde ad onde.
DalF altra parte il passar vostro alF Arno
Bellezza accrebbe, e grand* onor gli aggiunge,
E due città congiunge,
Due famose città fra '1 mare e i monti.
Talché -non le perturba o le disgiunge
Quella discordia ond'io mi struggo e scarno,
Ma par ch^ il tenti indarno ;
Ed al cielo alzeramio amiche fronti ,
Tasso, Voi IF. 3o
466 AIME EROICHE
E desili concordi avranno e pronti ,
Presti i cavalli j e 'n mar le navi e farme^
Mentre il fiero Ottoman ripone e serba
IVelP alta mente sua T ingiuria accisa :
E dove tromba suoni il fero carme,
Perch^ uom s' infiamnù ed arme y
Non fia chi più si mova e più sfaccenda,
* E più s* adorni e splenda :
\ t Cosi fermi legami annoda e tesse
. Casta beltà cli^ alto giudicio elesse.
Canzon, tu non vedrai tra fera turba
Donna amata odiosa , o vana imago,
Là Ve adorare il volgo i mostri volse 3
^ Ma dove a Marte idolo antico ei tolse,
Né falso re v'onora o vero mago,
Latrante cane o drago,
Fra mille suoi devoti e fidi servi
Or ti raccolga e servi
Pudica moglie in lieta pace e santa.
Che di candore e d'onestà s'ammanta.
CANZONE XXL
Cekbm le nozze del duca d* Urbino con D. Lucrezia d^Este^
lodando V una Casa e t altra,
•
Lascia, Imeneo, Pamhso, e oui discendi
Ove fra liete pompe il nobu fiume
Col canto de' suoi cigni a sé t'appella.
Ben sai eh' a' tuoi ritorni ognor tu rendi,
Quasi per certa legge e per costume.
Vie più lucente e più fiorita e bella
Questa non pur famosa riva e quella ,
RIME EBcOICHE 467
Ma U vecchio Tebpo -e 1 Nilo e 1 più lontano
Lido dell'Oceano:
Quinci Italia d^eroi sempre è feconda 3
Quinci al Franco, al Germano
Mille rivi comparte, e, quasi un mare,
Nulla scema in se stessa ancor a^ appare (^).
Quinci non pure altera e gloriosa
Sen va la terra, e palme e verdi allori
Con più felice sen nutre e produce,
Ma la parte immortale e luminosa
Par che di nuove stelle indi s'onori,
E splenda a noi con più serena luce ;
Perchè, siccome già Teseo e Polluce,
Romulo e quel che presso a lui s'asside,
Neir aureo albergo peregrini accolse,
Tal da' mortali ei tolse
I Guelfi e gli Azzi, e l'uno e l'altro Alcide,
E sol per sé li volse ,
E vede fiammeggiar i duci illustri,
O sotto o sopra il Sol rimiri e lustri.
Vieni, vieni y Imeneo, spiegando l'ale
Là 've pudico amante, in cui sfavilla
Celeste amor, te brama e te sospira.
(*) Questa stanza manca d*un Terso, ed è rottalo;
onde il verso undedmo non ha riscontro di rima. Una
tale mancanza è in tutte le stampe da noi vedute; né
sappiamo che alcun editore prima di noi se ne accor-
gesse. Mentre pertanto desideriamo che altri, coll^ajuto
d* un testo fedele , v* introduca la sincera lezione , noi
proponiamo, a modo di lontana coniettura, la corre-
zione seguente:
Suesta non pnr famosa riva e ouella,
a qiiaote il vecchio Tebro e 4 Nilo inondai
E gP iperborei campi e ^1 più lontano
Lido aell^ Oceano: ep.
468 RIME EROICHE
Oh che degna f invita ed immortale
Schiera! qui seco è placida e tranqplla
Bellona , e Marte senza ferro ed ira }
Che r armi ond^ egli a gloria eterna aspira ^
Ed a domar ciù mosse guerra al cielo ^
In un de' suoi gran rami ora depone:
Qui senza il fier Gorgone
E Palla in bianca yéste e 'n puro veb;
Qui Febo alte corone
Di lauro al crin le tesse , e par che 'ntanto
Empia altrui di sé stesso e svegli al canto.
Qui vedrai fra le Grazie e fra le Muse
La vergine seder timida e lieta,
Cui Ciprigna è nel volto, e Delio in seno....
Ma ecco aprir le vene algenti e chiuse
La terra aiFaura or eh' è sì dolce e queta;
Ecco rider intomo il del sereno;
Ecco quasi un vermiglio aureo baleno:
Imeneo scuote in pna man la face
Mei foco accesa onde nel cielo ardenti
Son le superne menti ^
Nell'altra un laccio lucido e tenace
Ch'innanzi agli elementi
U Fabro etemo di mirabii tempre
Formò, perdi' egli stringa e piaccia sempre.
Solvi, o feuce sposo, il casto cinto.
Che, severo custode, a te riserba
Puri e in cielo graditi almi diletti }
Vivi , or che puoi , tra qua' bei nodi avnnto,
Che Marte omai questa tua etade acerba
Par che a diverse sue fatiche affretti:
Par che veder dalla tua destra aspetti
Senna e Reno placati, e '1 Trace invitto
Sin qui (vergogna pur del nostro nome!)
RIME EROICHE 46g
Gemer sott' aspre some,
E le campagne del fecondo Egitto
Tutte trascorse e dome.
Onde il grandmavo tuo pieni rimiri
'Per te, sua viva imago, i suoi desiri.
Cigni del Po , cui tal dà cibo ed ombra ,
Che men fora Permesso a voi giocondo,
Alzate il canto, e 1 volo alzate insieme
Ch'i fólgori non teme;
Però che, mentre Tali il nobil pondo
De' nomi aggrava e preme,
V arride il Ciel di nulla avaro e parco,
Perchè v'alziate a lui còl degno incarco.
CANZONE XXn.
Per ìe nozze di D, Marfisa dEste
col prìncipe di Massa.
Già il notturno sereno
Di vaga luce indora
La stella che d'amor scintilla e splende ;
E, rugiadosa il seno,
I crin stellanti all'ora
Spiega la notte, e '1 ricco vel distende:
Ed Imeneo già scende.
Trattando l'aria e i venti
Colle dorate piume )
E mentre sparge il lume
Dell'aurea face in mille raggi ardenti.
Destro il ciel gli si gira,
E gli arride la terra , e l' aura spira.
f
470 RIME EROICHE
Ardon le piagge e Fonde
Di legittimo foco
Al lampeggiar delle celesti faci;
S*ode tra fronde e fronde^
Qual di colombe y un roco
Dolce interrotto mormorar di baci ;
Con nodi più tenaci
U edera il tronco abbraccia ^
E circondan le viti
GF infecondi mariti,
Né 'n tana o *n nido è chi solingo giaccia^
Ed in spelonca e 'n bosco
Lascian F ira i leoni , i serpi il tosco.
O Dio, tu pur congiungi
All'opre aella vita
Sotto giogo di fé concordi amanti;
E poi risani ed ungi
Di mele ceni ferita,
Si che stiUa per gli occhi in dolci pianti:
Tu, che d'unir ti vanti
Dentro, un istesso petto
Pensier casti e lascivi,
£ lusinghieri e schivi
Rendi i vaghi sembianti e 1 vago aspetto,
Tu sei che pungi il core
In cui spuntò le sue quadretta Amore.
Questa bella guerriera,
Che o contra Amor s'accinga,
O per lui cinga F arme , è vincitrice ,
Dall'amorosa schiera
Lunge sen va solinga
E scompagnata, in guisa di fenice;
Però eira lui non Uce
RIME EROICHE 471 .
Frenarla, e si contenta ,
Snella taior non sdegna, «
Di seguir Falla insegna,
Si eh' altrui piaghi , e piaga in sé non senta :
Ma non s'agguagli teco
Fanciul nato di furto, ignudo e cieco.
Santo Imeneo, deh! guarda
L'amante a cui non cale
D'altro diletto, ed odi ornai la voce
Che l'ombra lenta e tarda,
E chiama te senz' ale ,
Pigro cursor dietro a cursor veloce j
E qual destrier feroce
Che l'ardente disdegno
In fumo accolto spiri,
E '1 fren morda e s'aggiri,
£ di canora tromba aspetti il segno,
Tal ei par che s'accenda,
E '1 dolce invito di battaglia attenda.
Già veggio e sento, o parmi.
Sonar lo strale e l'arco,
E chiara fiammeggiar F aurea facella :
Ecco punta è dall' armi ,
Quasi cervétta al varco,
E già sente costei fiamma novella;
Ma talvolta rubella
Si mostra nel sembiante ,
E vaga e ritrosetta
Minaccia e 'nsieme alletta.
Or di guerriera in atto ed or d'amante;
E 'n un dubbia e confusa.
Fra vergogna e desir brama e ricusa.
Va fra gli sdegni, ed osa,
Pudico amante; alfine
471 RIME EROICHE y
Pietosa lìa questa bdtà cradele.
Si coglie intatta rosa
Fra le pungenti spine,
E fra^ morsi deli^api il dolce mele. *
E benché asconda e cele
Sue voglie, e ti contrasti,
Rapisci: più graditi
Sono i baci rapiti,
Tanto soavi più, quanto più casti:
Non cessar fin che '1 sangue
Si versa, e vinta ella sospira e langue.
Sacra un Ueto trofeo
Del l)el cinto disciolto
E deir altre sue spoglie in questa parte;
E i giochi d^ Imeneo
Rinnova in nodi accolto
Più bei di qne' ch^ uiìir Ciprigna e Marte :
Perchè, se Febo in parte
li vero a me discopre,
Dal bel grembo fecondo
FigU verranno al mondo.
Per cui rinnoveransi i nomi e Fopre,
Famose in pace e 'n guerra ,
Di quei ch^ ornano il cielo, ornar la terra.
Ma ecco in Oriente
Appar la stella amica
Gli a noi la nova e chiara luce apporta.
Facciasi a questa ardente
Lusinghiera fatica
Tregua ch^ a pugna invita e riconforta ;
E la fanciulla accorta
Gli occhi tremanti abbassi ,
E sull'amato fianco
Appoggi il capo stanco:
RIME EROICHE 4?^
Versi fiorì Imeneo suf membrì lassi,
E. temprino gli ardori
Colle penne dipinte i vaghi Àmon.
Canzone, i chiari ingegni
Sveglia in questa famosa antica sponda ,
Che debil voce alta armonia seconda.
CANZONE XXHL
In occasione delle nozze di D, Cesare d^Este
con D, F^irginia d£ Medici,
Ciò che Morte rallenta , ^jnor restringi ^
Amico tu di pace , dia di guerra ,
E del suo trionfar trionfi e regni ;
E mentre due belPalme annodi e cingi,
Così rendi sembiante al cid la terra,
Che d^ abitarla tu non fuggi o sdegni.
Non sono ire lassù : gli umani ingegni
Tu placidi ne rendi, e Podio intemo
Sgombri, signor, da* mansueti cori^
Sgombri mille furori,
E quasi fai, col tuo valor superno.
Delle cose mortali un giro etemo.
E 'n questa parte , ov^ è si bello il mondo ,
E 81 conforme al del, perchè riluce
Tutto de^ suoi celesti e chiari lumi.
Del suo primo splendor splendor secondo,
E di sua luce accendi un^ altra luce,
DalPArao ritornando al re de* fiumi.
Tornano i graziosi alti costumi
Che morte estinse , e quel valor rinverde 3
Fiorisce la beltà di riva in riva,
474 RIME EROICHE
La gloria si ravviva,
La grazia si rinnova e nulla perde ^
Che s' alcun ramo è secco ^ il tronco è verde:
Anzi i duo tronchi e le due stirpi eccelse,
Onde si volge alla sua gloria anùca
L'Italia, e quasi tocca in ciel le stelle^
E nelle fronde la virtù si scelse
Felice nido , e sotto V ombra amica
Fiorir gP ingegni e leggiadre arti e belle;
£ quinci incontra a nembi atri e procelle
D'Adria Funa s'innalza e i venti sprezza,
E quindi l'altra è sovra il mar Tirreno,
E 'ngombra il largo seno
D'odor, d'ombre, ^i fiori e di vaghezza,
E quel eh' asconde è pari a tanta altezza.
Qual vergine viola o bel giacinto
Lega un sol filo, ed una mano istessa
Due piante ingemma in più mirabil modo,
Tal Cesare a Virginia or semM avvinto,
(di' a Cesare Virginia è già promessa),
E l'arte e la coltura insieme io lodo»
Gemma par l' uno e l' altra , ed occhio e nodo :
Nodo di pura fé saldo e tenace;
Occhio d'Amore, e preziosa gemma
D'onor ch'Italia ingemma,
Ond'ella splende e mira e stringe in pace
Duo germi illustri , e più s' onora e piace.
Per questi spera ancor di nuovo ornarsi
D' Ippoliti e d' Alfonsi , e 'n lido o 'n monte
Alzar novo trofeo di sposUe e d'armi,
E più lieta che prima e bella farsi y
E d' altre torri incoronar la fronte ,
Segnata di fin oro i blandii marmi.
Dolci rime frattanto e vaghi carmi
RIME EROICHE 475
L^ orrido verno ascolti , e si rallegri
A' varj balli e rassereni il cielo ^
E intepidisca il gelo^
E nulla turbi in terra i giorni allegri,
Né delle fauste notti i corsi integri.
Canzon , vedrai pompe notturne e giochi ,
Lampi in teatri e fochi,
E città finte in vere , e V false larve
Beltà verace, in cui si rado apparve.
CANZONE XXIV.
IfèUe nozze di D. Alessandro Gonzaga
con D. Francesca Guerrieri,
Spiega F ombroso velo,
E de' più vaghi fiori
Orna e dipingi, o terra ^ il crine e *1 seno.
Aure, spargete il cielo
De' più soavi odori,
Facendo il di più chiaro e più sereno.
Non ricusate il freno,
O minacciosi venti.
Deposto il fiero orgoglio,
E, chiusi in qualche scoglio.
Non dispergete invan gli altrui lamenti^
E regni un anno lieto
Zefiro mansueto.
Tu canta, o puro lago.
Che Quasi u mar simigli ,
E nell' aòque d* argento hai rena d' oro :
Tu, Po} tu, Mincio vago;
Tu, suo figlino!; voi, figli
476 RIME EROICHE
Di monti alpestri, or &te un lieto coro:
Voi di canne, io (F alloro
Coronati cantiamo 3 ^
Voi, pini, abeti e faggi,
Voi colti e voi selvaggi.
Più raddolcite il suon di ramo in ramo)
L'alno all^ acqua risponda,
Ed al fiume la fronda.
Cantiamo, o cigni, il giorno
Ch'Alessandro e Francesca
Con sì felice nodo aggiunge insieme.
E '1 Sol di luce adorno
Là si ritorni, ond'esca
Più lieto poi dalle contrade estreme ^
Né più la dolce speme
Egli ritardi ornai 3
Né foco aggiunga al foco
Ch'in gentil core ha loco,
Ma spenga in mezzo F onde i caldi rai :
Che fresca notte accoppia
Meglio si bella coppia.
Ha la notte i suoi pregi,
n rischio e le contese,
Le sue chiare vittorie e le sue palme ^
Né mai de' vinti regi
Più bel trofeo sospese
Alcuno, o riportò più care salme.
Presi i corpi e non l'alme.
Qui non cinto o bipenne,
Non elmo, non lorica -
Di spietata nemica.
Non scudo che man fera alto sostenne^
Fan gloriose or queste
Spoglie belle ed oneste:
RIME EROICHE 477
Ma bellezza e valore,
Nobiltà, cortesia ;
Caste YogUe e pensier leggiadro ed alto.
L^ inespugnabil core
Tu pna vincesti, e pria
Rompesti lo suo duro e freddo smalto
Nel caro e dolce assalto;
A te prima risplende
Pietà ne^ vaghi lumi,
Ove ancor ti consumi;
£ guerriera gentil vinta si rende
Dolcemente e s'adira,
Parte langue e sospira.
E mentre il tuo fratello
I più lodati agguaglia
Coli' opre in guerra appresso il Reno algente,
Più del vinto rubeUo
In notturna battaglia
Ella ti fa giojoso, ella possente.
Dell'estremo Occidente
Qual preda o qual tesauro
Tanto s! estima e prezza ,
Quanto viva bellezza
Di perle, di rubin', d'avorio e d'auro?
Questa vince e possedè
Forza non già, ma fede.
Canzon, più non si vanti istoria o carme
D'Ercole e di Teseo,
Mentre io chiamo Imeneo.
478 RIME EROICHE
CANZONE XXV.
Nelle nozze del me. Ercole Tasso
colla sìg. Lelia Jgosia.
Terra gentil^ ch'inonda
n chiaro Serio e U Brembo^
£ voi, frondosi colli e yaghi monti ^
G>lorite ogni sponda
Nel fresco ombroso grembo,
E coronate le serene fronti:
Temprino il vino i fonti;
Né vaghezze selvagge
Solo dimostri intomo
L'almo paese adorno
Ch' invidia move all' arenose piagge ,
Ma la città sia lieta
Più che non fu già Tebe antica o Creta:
Perdi' un Ercol novello
Or di concordi voglie
Prende una bella , una pudica Augusta;
Né così nobil vello
Ebbe, o sì care spoglie
L'altro, mal grado di matrigna ingiusta:
Questa é mercè più giusta
Del suo valore umano
E del fedele amore ;
E vie più bello onore,
Ch'irsuta pelle ad uom per doglia insano,
O donna che '1 richiami
Ad opra indegna de' suoi vaghi stami.
Tu, vaga fama, or taci
Quell amor si disciolto ;
RIME EROICHE 479
Or è sotto le lesgi e morde il freno.
Bergamo vide i naci
Nel bel virgineo volto,
Per cui Bologna obblia col picciol Reno;
E 'n quel sì casto seno
Tu puoi bramato sposo
Deporre i tuoi desiri.
Percliè dunque sospiri?
Qual altro piacer brami o qual riposo
Di si dolce fatica
Nell'ombre oscure della notte amica?
E tua, sposo felice:
Duro custode il passo,
Legge o vergogna F uscio a \e non serra;
Ire e tornar ti lice.
Né trovi al pie già lasso
Più caro albergo o più sicoro in terra ^
Sia pace o crudel guerra,
Il ciel sereno o fosco,
E crollin feri spirti
In mar le navi, e i mirti
E i pini e i faggi nell'ombroso bosco.
Godila dunque intanto,
E loda tu la notte: il giorno io canta
Io canto il di eh' aggiunge
Bellezza e cortesia,
Onestade e valor con dolci nodi;
E fo sonar più lunge
L'alma tua stirpe e mia,
A cui tu cresci belle e chiare lodi.
E, mentre leggi ed odi
Il merto di tuo padre,
E le virtudi e i pregi
De' cavalieri egregi,
48o UME EROICHE
E Fopre lor A conte e si leggiadre ,
Ne rinnovi F esempio ,
£ rende grane il tuo fratello al tempio.
Nascan figli e nepoti al nostro Alcide,
E fra le schiere e Farmi
Cantino i nostri carmi.
CANZCNE XXVI.
Nette nozze det principe di Conca Matteo di Q^ua
e D, Giovanna di Zunicax
S'era fermo Imeneo tra Ferto monte
£ '1 mai*e in cui sovente Austro risona
Là Ve cinge e incorona
Napoli d^alte mura antica fronte^
Napoli; che di gloria e d'or corona
Impone a tanti duci.
Quante serene luci
Non ha la notte allor che '1 velo spiega:
Qui con Amor, ch'avvolge i cori, e lega
L'anime pellegrine,
Facea ghirlande al crine.
Ed allori giungendo insieme e palme,
Ei tessea i nodi preziosi all'alme.
NelF aureo albergo in cui la stirpe antica
E di Caspi e di Troja ancor si vanta,
E qual traslata pianta
Adombra ove quel mar la terra imphca,
Or delle Muse a prova i versi canta,
Or delle Parche il coro.
L'uno e F altro canoro^
E dove tace Fun, F altro risponde.
RIME EROICHE 481
Ed alternali le note i monti e fonde:
Uun le passate cose
Ancor più gloriose^
E Peltro rende le future illustri ^
A cui fan quasi velo e gli anni e i lustri.
Dice il primìer: Da que^ felici campi , - *
Dove per merto sono in pace accolte
L'alme dal vel disciolte,
La cui gloria qual fiamma avvien eh' av vampe ,
Siate voi, prego, al nostro suon rivolte:
Voi che varcaste i mari,
Fuggendo i tetti avari;
Voi che spargeste per la patria il sangue )
Voi che feste il nemico in terra esangue )
Voi che salvaste i regi,
Guerrier', voi duci egregi; ,
E voi con sacro manto e lunghe chiome;
Ch'oggi s'eterna il sangue vostro e '1 nome.
Nasca, dice il secondo, al novo erede
Di gloria, di valor, d'alto consiglio,
L' un dopo l'altro figlio
Che prenda esempio dall'antica fede;
Ivi più forte, oV'è maggior periglio,
Nasca agli scettri, all'armi.
Tra l'ostro e i bianchi niarmi;
Nasca a regger le schiere armate in gueiTa ,
A possedere in pace amica terra:
E ne' rami si scorga
Come virtù risorga ;
L'arbore, in vece pur di fiorì e foglie,
D' alti trofei s' adorni e d' auree spoglie.
Poscia d'ambo s'udia quasi un concento.
Più ch'altro fosse mai sonoro e dolce,
Ch' altrui lusinga e molce ,
Tasso, Fol IF. 3i
483 &1ME EROICHE
£ queta il mar sonoro ^ e queU il vento:
Arride il Re del ciel ^ che T mondo folce^
Ed ogni nube oscura
Di nemica ventura
Si sgombra al senno , e 1 Sol più chiaro intorno
• Par che luce raddoppi al novo giorno;
La notte in vel più vago
Spiega ogni etema imago}
Uè d^ avversa fortuna sìlcun si lagna ^
Mentre è lieta e felice Italia e Spagna.
Anzi quel mare e questo e gemme ed oro
Lor porta "^ e bianche perle e lucidi ostri ^
Perchè s^ adomi e mostri
D^ influite ricchezze un bel lavoro 3
£ gU eroi d^ Occidente e i duci nostri
Par che splendano a prova
In vbta altera e nova
Per onorar la bella e nobil coppia
Ch'ambe F Esperie in un sol nodo accoppia.
Pace ha intanto e riposo
La terra e 1 mar ondoso;
E '1 collo a sciolto bue si fa più moHe^
E non impiaga aratro o campo o colle.
La fama i detti sparge
Sin là Ve per Teseo pianse Arianna,
E nova fede antico error condanna.
RIME EROICHE 483
CANZONE XXVn.
Ptr le nozze di Ferdinando I mtnduca di Toscana
con Cristina di Lorena,
Odo sonar d'Italia intorno i monti
Delle più colte e più leggiadre rime,
£ crollar Palte cime
Gli olmi, i pini, gli abeti, i lauri, i faggi,
Per cui facean concento i fiumi e i fonti,
Insin dall^alpe all'arenose sponde;
E '1 mar con tutte Fonde
Mormorando cessò gli usati oltraggi,
E dalla crespa fronte ardenti raggi
Incontra '1 Sol vibrò purpurei e a oro,
A cui sospende Parco e la faretra,
Onde i figli di Miobe irato estinse,
Febo, e prende la cetra,
Com'allor ch'i Giganti in Flegra ei vinse.
Coronato d' alloro :
Ecco dal suo canoro
Giogo lunge le Muse, e lunge avvampa
Di nuove faci una congiunta lampa.
n giorno lieto e 1 suo splendor conosco,
£ la pompa real ch'Italia accoglie;
E con mutate spoglie
Te, Ferrando, veder lontano or parme:
Te , prima gloria del paese Tosco ,
Te canta il coro (e Febo a' suoi concenti
Ti molce l'aria e i venti)
Che già cantò* de' tuoi la gloria e l'arme;
£ 1 Greco a te misura il nostro carme :
Ma non cessan le Grazie, o cessa Amore
484 RIME EROICHE
Intanto di versar rose e giacinti ,
E ouanti fiori il maggio a noi produce^
O 1 aprile ha dipinti
A Questa ch'onestate e fé conduce ,
Di aè stessa maggiore ^
Per farle eterno onore;
Benché non bastin fiori; ombre e ghirlande ^
E ciò ch^nstilla il ciel, la terra spande.
Che non è degno onde si faccia il manto,
Od altro che le membra orna e circonda ,
Ciò che si scuote e sfronda ,
Per serico trapunto , o tesse e pinge:
' E di verdi sorelle indegno è 1 pianto
Che s^ aduna stillando al freddo cielo
Per cristallo che 'n gelo
Di vecchia neve più s^ndura e stringe ,
E quello che di conca umor dipmge:
£ quanto sceglie in più lucenti arene
Avara man dell'Ermo o pur del Tago,
Non basta al culto onde si mostra adorna,
Quasi del cielo imago;
Né sotterra ; ove il di giammai non toma^
Di preziose vene
Pietra a lei più conviene;
Né splende a par di lei, dov'ella appare ,
Perla o gemma che mandi il ricco mare.
Ma coli' animo vince ogni ricchezza ,
Ogni tesoro ; e giunge in nobil parte
Che più ne serba e parte;
E; mentre Foro sparge, onore aduna,
E gloria miete : e ^n più sublime altezza
Clii siede? E se non parve il seggio angusto
Alla figlia d'Augusto,
Chi più si può vantar d' ampia fortuna ,
RIM£ EROICHE 4^5
O di chiaro valor che non imbruna
Per volger d' anni o per girar di bistri ,
Quand^ella terra e ciel mesce e perturba?
Anzi lucente è qui, non pur ser^io,
S^ air animosa turba
Ralleiìtò mai F ingiuriosa il freno,
Nemica a' fatti illustri:
E quinci par che illustri
Toscana tutta e le rischiari il giorno,
E corona le fa di raggi intomo.
Quinci r ava passò le gelidi alpe,
Ch'ad invitto d^ Europa antico regno
Giunse quasi sostegno ,
E diede i successori al grande Enrico:
Oltre Pirene ancora , Àbila e Calpe ,
L'una e T altra d'Alcide alta colonna
Incliinan Falta donna
E la figUa che fece al padre amico
Lo sposo eh' era dianzi aspro nemico :
Qui torna la nipote y e più feUce , •
Onde colei parti, costei riporta
Gioja e speranza pur di novi figli,
Quasi una istessa porta
Ch'aperse il passo al ferro ed a' perigli
Dell'Italia infelice,
' Or sia più grata in vice:
Ed onde Marte i nostri campi infiamma
Senza incendio Imeneo scuote la fiamma.
£ qui pur lega Amor due nobil almej
Qui il sangue Lotteringo in un si mesce
Con quel eh' a' Toschi accresce
L'antica gloria, e novo onore aggiunge^
E qui due stirpi invitte in un congiunge,
E ciascuna di fama ha ricchi fregi
486 RIBIE EROICHE
Tra peregrini egregi^
E trìonli e corone e scettri e palme.
Siringe b fede qui due fide palme:
E d^una parte castità risplende
Con bella pura, e nobiltà pareggia ,
E ciò ch'in donna più s'onora e piace;
D' altra quasi fiammeggia
Valor I senno, di guerra arte e di pace;
Spirto dì' al cid intende,
Astréa eh' a lui discende;
E mentre l'una mano il ferro vibra,
L^ altra giuste bilance appende e libra.
Ma di più grave carme e d'dtra penna
Degna è quella virtù che n l'esalta,
E di lode più alta;
Che questa si disperde al lieto grido,
E parlo e scrìvo in guisa d'oom ch'accenna,
Mentre Imeneo si canta al cid notturno^
E più bello ch'ebumo
Suona il teatro e '1 bel paterno nido,
E l'Apennino e l'arenoso lido.
Vivan dunque felici; e '1 breve dono
Usino dell'età che vola e fugge
Più veloce che strai, né toma indietro;
Ch' ogni cosa si strugge :
Ecco chi saldo pare, è quasi un vetro;
£ di color che sono.
Sol d rimane il suono
E la fama che parla in guisa d'ombra :
L'altre cose la morte e '1 tempo sgombra.
Vivan felici adunque,
E dian figli e nipoti al Tosco impero,
E premio alla virtude e luce al vero.
RIME EROICHE 487
CANZONE XXVin.
j4Ua duchessa di Mantova* Si studia di mostrarti
riconoscente de" segnalati benefizj da lei rìcevutL
Ella cooperò molto per la liberazione del Tasso
dal carcere di S. Anna.
Caro agli egri mortali il lucido auro,
E d'Oriente son le gemme e gli ostri;
E i fonti e i verdi chiostri
E Popre varie di colorì e i marmi 3
Cara è la gloria , e del famoso lauro
L'antico pregio e F onorato grido ;
Lo qual di lido in lido.
Là Ve non sono intesi i nostri carmi,
Spare[e il canoro suon di trombe e d^armi:
Ma dono di salute al corpo esangue
Tuttì altri avanza, ove la mente e Falma
Sgombran quasi compagne il duolo acerbo.
Fa la vittoria il vincitor superbo,
Ed obblì'ando la sua nobil palma.
Per diletto ei talor vaneggia e langue^
Ma le spoglie di sangue
Tinte , alla nave altrui che tutta spalma ,
Son de' tesori assai men grave salma.
Ma la salute fa più lieto il corso
D'umana vita, che fra scogli e sirti
Le vele a' feri spirti
Di fortuna dispiega, e cerca iT porto.
Questa portaste voi , eh' in mio soccorso
Veniste a me, quasi celeste Diva,
Quand'io, sospinto a riva.
Più splender non vedea F Occaso e FOrto:
488 RIME EROICHE
Luce al cieoo dona^, e vita al morto.
Doni celesti fur cli^obblio noo^copre;
Voi dal ciel li prendeste , alma divina:
Voi sete luce in quel gran Sole accensa
Ch'i santi raggi suoi spai^ e dispensa j
E vita sete voi ch^indi dechina
A far vìva quaggiù la fede e Fopre:
Per voi chiaro si scopre
Che grana sforza il Òiel ch'altrui destina
La morte in sua giustizia o 'n sua rapina.
Voi la vinceste: oh che leggiadra schiera
Venne con voi d'alte virtuti elette,
Quando nel cor ristrette
Le mie già vinte ebber rifugio e scampo !
Altre scendean dalla superna sfera;
Altre in voi^ nate allo splendor ch'informa,
Presa han sembianza e forma,
E tutte folgorar con chiaro lampo.
Morte crudele, e fuggitiva in campo ,
Come fera cacciata al folto bosco,
("aceva a' regni oscuri indi ritorno,
Cedendo la mia grave inferma spoglia.
Ed io, tremante più ch^ arida foglia,
Apersi gli occhi stanchi, e vidi u giorno
Men ohe pria non solea turbato e fosco:
Or me stesso conosco,
E del mio vaneggiare ho dogUa e scorno.
Parte il trofeo del vostro nome adomo,
E di quella pietà ch'ai primo sguardo
Scacciò la tnorte e '1 gran timor eh' adduce,
E, mentre in voi riluce.
Fa deir anima vostra un puro tempio. '
Ma perchè sono a celebrar si tardo
Tant'altre? anzi fra via l'onoro e passo,
\
RIME EROICHE 489
Quasi impedito e lasso ,
£ U dover e U desìr sì male adempio?
Bellezza e castità di raro esempio
Congiunte in voi ^on si tenaci nodi ,
Che scioglier non li può fortuna o morte ,
Qual penna porterà ch^al del più 8\erga?
E pronta cortesia che seco alberga^
E quella ond^ alta donna è giusta e forte y
' In quali carte avran più ciliare lodi?
O 'n quai più degni modi,
Coir altre air al ciel fidate scorte,
In voi s^ onorerà valore e sorte?
Io , eh' aU^ispano Ibero, alPindo Idaspe
Or non posso mandarne il chiaro suono,
Di voi nel cor ragiono
E nella parte di me stesso etema;
Benché la Parca il breve filo inaspe,
E 'n mortai grana di caduca vita,
Iti è da me scolpita
Ove scorger sol può la vista intema:
E chi fia che V onori o che la scerna
In queate pigre mie membra terrene?
Ma pur dove il gravoso e fragil manto
Nulla di vero a' puri spirti asconde,
Essi vedran com^al mio dir risponde,
E sarà noto in più sonoro canto
D'altre Muse lassù, d'altre Sirene.
O sol felice spene!
Or chi ricerca fra' mortali intanto
Dal Borea all'Austro maggior fama o vanto?
E s' avverrà che mia fortuna incerta
Faccia giammai per me cavalli e navi ,
E con aure soavi,
O con turbate , pur di regno in regno
490 RIME EROICHE
Porti la mia ne^ suoi perìgli esperta,
Già non mi converrà gittare al fondo ^
Come dannoso pondo,
La mia salute, e dimostrarmi indegno
Del vostro dono; e '1 combattato ìeffìo
La fede condurrà; né rupe o scoglio^
Né procelloso nembo o fero vento,
Uh la sommergerà Carìddi o Scilla,
Quando più si |)erturba onda tranquilla.
Care merci nel mar novo spavento
Perde talvolta; io, per turbato orgoglio
Saggio più che non soglio,
L'amata soma salverò contento.
Perchè si sparga pur Foro e T argento.
Riverente, canzone, inchina e prega
Quella che rozzo stile in te dipinse.
Anzi adombrò come il suo onor rìsplenda y
Già d'Amo, ora del Mincio etema gloria;
E dille pur che segua alta vittoria,
£ salute a quest'alma e pace or renda.
Vinca fortuna ancor, se morte vinse,
£ fugata respinse;
E, dove l'arco in me rivolga e tenda.
La sua pietà mi copra e mi difenda.
/.
RIME EROICHE 491
• CANZONE XXK.
Celebra le moUe virtù della duchessa di Mantova ,
e lo splendore deUa sua Casa.
Come nel fare il cielo il Fabro eterno
Le pure e somme parl^ e più lucenti
Prese dagli elementi,
£ nel formar le stelle erranti e fisse}
Così F anima vostra ali^alte menti
Simile ei fece^ e '1 magistero intemo
Al lavoro superno
D^ agguagliar simigliando allor prefisse,
£ mille varie forme in sé descrìsse.
Quinci, D^ogni virtute il sommo io soglio,
Disse, per farla a meraviglia adoma; —
Talché Palma gentil ch'in voi soggiorna,
È d'ardente splendor lucido speglio,
£ del pili bello il meglio:
Né raggi tanto chiarì e lieti or vibra
Apollo in tauro o ^n libra,
Quanti ne sparge il Sol ch'in voi rìsplende.
Onde ogni altro il suo lume accresce o prende.
In voi pradente è la giustizia, e giusta
È la prudenza, e pudicizia é forte
Nell'amor del consorte,
£ fortezza é pudica (oh bella schiera!),
eh' il fato non temea , non V empia sorte ,
Non fuga, esigilo, e non prìgione angusta,
Non morte o forza ingiusta,
Non fiamma o spada e non tiranno o fera:
Or non è men costante e meno altera,
Né temerìa quel ferro onde s'aperse
/
49^ RIME EROICHE
Lucrezia il petto, e '1 foco acceso e F angue
Che depreda gli spirti e Wetta il sangue ,
Sol per sottrarsi alle fortune avverse ^
Né di Pompeo e di Serse:
E del petto faria con novo esempio
Tomba non pur, ma tempio ^
Né sarebbe di vita avara e parca
Al vostro sposo, e sprezzeria la Parca.
Ma come varie schiere na duce invitto
Spesso raccolte in onorata impresa ^
E pur senza contesa
Vince talvolta, e fa più nobil opra^
Così vostra ragion, per far difesa,
Squadra molte virtù; ma U core afflitto
Per doglia o per despitto
O per ira o timor non vien che scopra,
Né 'n contrasto nojoso unqua s^adopra.
Né trova cosa al nel desio molesta ^
Ma lieta la fortuna e '1 Gel benigno :
L'altare, il serpe, la corona e 1 cigno,
Ed ogni stella, ch'é lassù contesta,
A favorirvi è presta.
Non sol Giove e Satqmo e gli altri erranti
Con plàcidi sembianti
Rimiran Falto albergo ove pria nacque,
E questo sì lucente in riva all^ acque.
E come nave può, ch'arbori e sarte
Abbia e vele e governo, i venti e Fonde
Solcar, benché profonde,
Nel tempestoso Egeo di notte oscura y
Ma pur sempre eUa avendo aure seconde,
E 1 mar tranquillo intorno, e 'n ogni parte
Senza nubi cosparte
Serenissimo il giorno e Tana pura,
RIME EROICHE 493
Spiega le vele all'Aquilon secura^
£ vola per F ondoso instabil regno:
Tal nei perìgli in voi pronta sarebbe
La vostra alta virtù , poi eh' ella crebbe.
Né sono pigre Farti o U chiaro ingegno^
Né di fortuna sdegno,
O fero occaso , od apparir di stella
Non move atra procella,
E '1 ciel ride, il mar tace, e splende il raggio,
E l'aura spira, e non vi turba oltraggio.
Oh fortunata, in qual lucente albergo
Era fortuna in ciel quando nasceste
Con bellezza celeste.
Con ogni aspetto ed ogni stella amica?
Or la corona pur del padre, o questa
Deggio lodar, mentre le carte F vergo
E col pensier più m'ergo?
Ei dove il nostro mar la terra implica,
E fra gente più strana e più nemica.
Si fa temer col suo valor, colFarmi;
E, quanto gira il Sol, dispiega e spande
Nome famoso ed onorato e grande :
Ei saggio, ei largo, erge metalli e marmi.
Lodato in mille carmi ^
Egli fonda città, non pur corregge^
Ed egli é viva legge.
Ove i preroj e le pene altrui compàrta.
Più che di Tebe re, d'Argo e di Sparta.
Ma '1 signor vostro in sul fiorir degli anni.
Nell'oriente del suo di sereno,
Non sol vi porta in seno.
Ma nel cor vi tien viva e 'n mezzo ali' alma j
E cresce il vostro amor senza veneno.
Senz'ire, senza liti o senza affanni.
49( BUIE EROICHE
Batte frattanto i vanni
Xid vostra Tama gloriosa ed alma:
Voi cT onestate, ei di Talor la palma
Ha fra milTaltri; ei legge o canta o scrÌFe
Leggiadri versi, o^ d^ onorata polve
Sparso, gli alti destrieri ei frena e volve
Da mover guerra all^affricane rive^
£, mentre in pace or vive,
D^armi coperto il porterìa sul dorso,
Vincendo i venti al corso.
Tal ch^ insieme può far F imprese illustri,
Ed istoria di sé per mille lustri.
Così ei diviene efenio: e voi nel figlio
Perpetuo il fate; e la real sembianza
Vi dà gloria e speranza
Che sia stirpe imraortal de' figli vostri:
E, dovunque volgete intomo U ciglio,
Vedete come giunto in un s'avanza
Il senno e la possanza,
E si loda il valor con puri inchiostri*,
Vedete alti palazzi e pompe ed ostri,
Scettri, corone, imprese, opre leggiadre,
Varj pregi e trofei d^ eccelse spoglie,
E quanti insieme adoma e quanti accoglie
Il suocero, il fratel, lo sposo, il padre.
Or, gemme ed arme e squadre,
E quanti innalzan tempj, e quanti altari.
Terre soggette e mari.
Città, popoli, navi in sen profondo,
E tutto intento ad onorarvi il mondo.
Canzon, tante virtù con tanti onori,
Tante grazie del Ciel, tanta fortuna
Vedrai dove tMnvio, ch'ai primo sguardo
Dirai: Per questa altezza il volo ò tardo;
RIME EROICHE 4g5
E ciò ch^ altrove è sparso, or qui s^ aduna,
Tal ch'altra luce imbruna.
Pur osa dirle neghittosa e lenta,
S' alcun giammai ne tenta :
Questa a eterno ardor poca favilla,
£ d^ infiniti abissi è breve stilla.
CANZONE XXX.
Al cardinale Sfondrato, Si vale di parecchie compa"
razioni per esprìmergli la propria gratitudine^ come
^a suo oenefattore e protettore.
Nella stagion che più sdegnoso il cielo
Si mostra, e Febo con turbato aspetto
Breve n'apporta e nubiloso il giorno.
La madre antica dall' afflitto petto
Manda sospiri , e del suo ingiusto scorno
Si duole avvolta in tenebroso velo.
Vedendo sé dal pigro orrido gelo
D'ogni onor priva, e quasi in tutto estinta
La gloriosa sua diletta prole 3
Ma quando torna a noi più vago il sole,
£, la rabbia brumai distrutta e vinta,
Il di più lungo rende e più giocondo,
Gioisce allor la terra, e nel fecondo
Ventre virtù riceve, onde di fuori
Con ogni pianta sua sé stessa adoma.
Simil gioja, signor, in me soggiorna^
Che, dopo tanti guai,
Or consolato alfin da' vostri rai
Spero per voi, mio Sol, far frutti e fiorì,
£ racquistare i miei perduti onori.
4g6 RIME EROICHE
Nella istessa stagion^ qaando più appanna
Oscura nebbia il sole, e ghiaccio e neve
Al vomero nasconde e 'ndura il solco ,
Un anno a lai sembrando il giorno breve,
Sta mal suo grado in oùo il buon bifolco,
Chiuso nell^ umil sua casa o capanna ;
£ quivi s^ange invano, invan s'affanna,
Che lungo verno il suo lavor distorm,
£ vieti a torto il giusto culto ai campi:
Ma tosto poi che con più chiarì lampi
Discopre il gran pianeta i colli adonu^
Levando air aria il velo oscuro ed atro^
Lieto riprende il villand F aratro,
£ i carì semi al buon terren dà in pegno,
Per trame usura a più maturo tempo.
In si trist'ozio anch io tenuto un tempo.
Signor , da stagìon ria ,
Or che '1 bel lume vostro a dò m'invia^
Ritomo a coltivar F inculto ingegno,
Per trame fratto che di voi sia degno.
La nobil pianta , di cui fu inventore
Nelle sue gloriose alte fatiche
Il gran figliuol di Semele e di Giove,
Mentre giace fra i pruni e fra l'ortiche
Non può frutti proaur, che non ha dove
S'appoggi e mostri il suo natio vigore;
Ma se cortese man d'alcun pastore
Da' tristi vepri e dall' inutil erbe
La solleva, e l'aggiunge ad olmo o salce,
AUor con più d'un pampano o d'un troice
Si spande ed alza, e tra le foglie acerbe
D' uve alfìiì si dimostra adorna e grave ,
Pel cui dolce liquore almo e soave
£lla, che si vii dianzi e neglett'era^
\.
RIME EROICHE 4g7
Poscia tenuta vien cara e gentile.
Cosi la mia virtute a terra umile
Sterile a forza giacque;
Ma, poi ch^ alzarla e sostenerla piacque
A voi, signor, col vostro appoggio spera
Di farsi, oprando, gloriosa altera.
Allor che nel leon più caldo il raggio
Apollo spiega, e par eh' a noi vicino
Guidi il gran carro Ó! òr novo Fetonte,
Sul mezzo giorno errando il peregrino
Per solitario alpestre orrido monte,
Astretto di seguir F aspro viaggio,
Se, dopo cammin lungo, un fonte, un faggio
Trova fuor di sua speme , ov' arso e stanco
Le labbra immolli, e posi i membri lassi.
Quivi spegne la sete, e quivi stassi
Sovra 1 Verde terren posando il fianco
Presso al bel rio che 1 vicin ramo adombra;
Poi grato a si fresch' acque , a si dolce ombra,
Neir aspra scorza e nella pietra dura
Scrìve con laude lor gli obblighi suoi.
Tal io, già ristorato appien da voi.
Fonte di mia salute,
E pianta d'ogni onor, d'ogni virtute.
Le glorie vostre e tanta mia ventura
Farò in voi conte ad ogni età futura.
Quando per terminar alte contese
Col faUace parer del cieco Marte
Crudo guerrìer s'accinge all'altrui danno;
O quando per voler più di sua parte
La violenza in uno opra e T inganno
Contra chi forse lui mai non offese ;
Mira l'oppresso del natio paese
Fiamma vorace accender le contrade.
Tasso , Fot. ir. 3a
:i
4^ RIME EROICHE
Che non ha fona oncF a lai possa Of^na :
Ma se gli giungon pcn fidi soccorà
D'amiche genti ardite, allora cade
A ouel crudel ForgogUo, e 'n fuga rìede,
E '1 vincitor d'onor carco e di prede
Serba nel petto suo grata memoria
Di chi '1 sottrasse a man rapaci e ladre.
Tal ìoy da voi soccorso, (^ le squadre
D^ empia fortuna a terra
Traggo dopo un* ingiusta orrìbil guerra ,
£ (u si fortunata e gran vittoria
Se la salute è mia , vostra è la gloria.
E '1 già stanco nocchier, che ^ndamo accorto
Non potendo schermir F aspra procella
Va col suo legno in preda ai venti, alTonde,
S'awien che sorte o pur benigna sldla
Le già sdrucite e sconquassate sponde
Dopo diverso error sospinga in porto ;
Sicuro si| ma in viso afilitto e smorto
Vassene umile al tempio a sciorre i voti
Fatti a Nettun ne* suoi maggiori afEanm^
£ quivi appende co* bagnati panm
O cera, o legno, ove i perìgli noti
Renda e 1 felice suo scampo alle gentL
Tal io, signor, che, da centrar) venti
Ck>mbattuto. gran tempo , alfin pur sono
Scorto al lido da voi con chiaro lume.
Nel tempio delia Gloria al vostro nume,
Grato di tanta aita.
Questa man, questo ingegno e questa vita,
Che da voi tengo e riconosco in dono,
Col cor pien d^ umiltà consacro e dono.
Ben veggio il nobil tuo giusto desio,
Canzon; ma invan t* affanni, indarno speri
RIME EROICHE 499
Mostrar con ombre intemi affetti e veri.
Se di scoprir pur brami
ÀI mio signor quantMo P onori ed ami,
Di', che quanto conviensi a mortai Dio,
Tanto è vèr lui T amore e Ponor mio.
CANZONE XXXI.
Ptr la nascita del serenissimo principe di Mantova.
Presagisce di lui effvgie prove di virtù e di valore.
Nasci, e. del casto e fortunato ventre
Uscendo, scarca la tua madre ornai
Di tante doglie e guai
Ond'or grave P opprimi , o nobil pondo.
Nasci, parto gentile, or nasci; e, mentre
A' tuoi gran genitori e a noi ti dai ,
Con più lucenti rai
Dia segno il Sol del tuo bel lume al mondo:
Che se mai giorno fu fausto e giocondo
Al nascer d'uom, cui fato alto e felice
Donasse aspetto di benigne stelle.
Gioir nel tao natale a noi ben licej
Poiché lassù nel ciel regnano or quelle
Che quaggiù in terra fan Popre più belle.
Teco la bella Astréa nelP Oriente
Veggio vaga apparir, augurio e segno
Che nel suo antico regno
D'esser per te riposta ancor ha speme;
E '1 divm nunzio a lei scorgo presente.
Saggio pianeta, per donarti ingegno
Pronto e sublime e degno
Della tua stirpe e del tuo nobil seme:
/
5oo RIME EROICHE
La Dea (Tamor, e M padre e Favo
Al sommo già del ciel poggian viciiìi
Tra lor conversi iu vista dolce e cara:
Raro influsso, disonori alti e divini,
Ov* altri aspira indamo , a te prepara
Non pur di scettro , ma d"* incenso e d*
Ma ben ch^or teco ogni buon astro sorga ,
E i rei vìnca, disperga, opprima, o ceU
Con forti e folti veli
Per provvidenza dell^ etèma dura^
Ben ch^ altera di te speme mi porga
n favor cMiai nascendo oggi da' Qeli,
£ 'n quei chiar si riveli
Gran parte già di tua virtù futura,
Più però assai m'affida e m'assicura
La propago immortai che per tant'anni
Ha data al mondo il tuo gran ceppo veccliioi
TSè temo che '1 mio ardir altri condanni.
Se , innanzi avendo così vivo specchio ,
A predir le tue glorie or m'apparecchio.
Tu, nato, prima col sereno volto
Cliiaro indisio darai che 'n te non hngoe
Il valor del tuo sangue,
Sembrando il padre alle fattezze conte;
Poi, come Alcide già, ch'appena sciolta
Dalle fasce afferrò, strinse, ed esangue
Rendè l'uno e l'altro angue
Con fanciullesche mani ardite e pronte.
Così, perchè non men di te si conte.
Fin dalla culla prenderai baldanza
Di cose oprar maravigliose e nove ,
Ond'abbian poi le genti anco speranza
Ch' escan del tuo valor col tempo prove
Eguali a quelle del figliuol di Giove^r
RIME EROICHE 5oi
£ quando poi da^ pueril costumi
T'avran ridotto a tal giudizio i tempi,
Che da' rei vizj ed empi
Ogni contrario lor per te si scema ;
£ mirar nelle istorie e ne' volumi,
Quasi in ampi teatri e 'n sacri tempi,
Possi que^ degni esempi
Che fama avranno a par dd cielo etema;
Allor, quai dalla rota alta e supema
Sono al suo moto i minor cercni tratti ^
Tal contra '1 monAo e i torti giri suoi
Le drìtt'orme seguir, le lodi e i fatti
Sarai costretto degli antichi tuoi
Tutti pregiati e gloriosi eroi.
Quindi sul fior della tua Terde etade
Non fia di te chi negli eletti studi
Più s'affatichi e sudi,
O '1 tempo con virtù meglio dispensi;
Né fian aonor men dure altrui le strade.
Né chi 'n disagi o 'n esercizi cradi
Più !1 corpo avvezzi e studi
Per aver ciò eh' a vero eroe conviensi:
Di pareggiarti alcun giammai non pensi,
Né quando a pie farai, col braccio invitto,
Chi contra ti verrà, pentito e stanco.
Né quando in finto o 'n vero aspro conflitto
Ti converrà mostrarti ardito e franco,
A spumoso destrìer pungendo il fianco.
Cosi in virtù con gli anni ognor crescendo,
Altrai prima avanzando, e poi te stesso.
Pria di te '1 grido impresso
Nel mondo avrai, eh' a ferma età sii giunto;
Né so s'io debba dir dando o togliendo
Gloria al tuo sangue , il cui splendore appresso
5o2 RIME EROICHE
Al tuo temo cV oppresso
Non resti dal maggior lame consunto:
E qual fia poi stupor veder coi^unto
In te con tal saper animo tanto?
£ questo insieme sacro a Palla e a Marte ?
Oh quante lingue allora in ogni canto
Di te diranno! oh quante dotte carte
Saran del nome tuo vergate e sparte!
Deh! piaccia a i Geli a me tanto di vita
Serbar^ e al Dio che sì veraci carmi
Or mi detta, donarmi
Tal parte alior del suo ricco tesauro^
Che con gli occhi veder, e con più ardita
Lingua cantar di te Pimprese e rarmi^
E col tuo ajuto farmi
Possa famoso dal Mar indo al mauro;
Che, s*a corona d^ onorato lauro
Alto soggetto mai degno poeta
Sospinse, o pur d^anior vive fiiviOe^
Sperar ^trò coU^ alma altera e Ueta ,
Seiìza invidiar al grande Omero Achille,
Di viver teco anch^io milFanni e nulle.
Vattene ardita innanzi al mio signore,
Canzon, nata dal core; e al suo cospetto
Giunta, dirai con voce alta e sonora:
Felìee u figlio a cui per padre eletto
Tha '1 suo destino! e tu felice ancora,
Cui di tal successore il Gelo onora!
RIME EROICHE 5o3
CANZONE XXXn.
jil duca di Ferrara Alfonso IL Scrive dal carcere
di S. Arnia , implorando pietà e demenza.
O magnanimo figlio
D^ Alcide glorioso.
Che '1 paterno valor ti lasci a tergo;
A te^ che dall^esiglio
Prima in nobil riposo
Mi raccogliesti net reale albergo,
A te rivolgo ed ergo
Dal mio career profondo
U cor, la mente e gli occU ;
A te chino i ginocchi,
A te le guance sol di pianto inondo ,
A te la Ungaa iscioglio ;
Teco ed a te, ma non di te mi doglio.
Volgi gli occhi clementi,
£ vedrai, dove langue
Vii volgo ed egro per pietà raccolto.
Sotto tutti i dolenti
Il tuo già servo esangue
Gemer, pieno di morte orrida il volto,
Fra mille pene avvolto
Con occhi foschi e cavi.
Con membra immonde e brutte,
£ cadenti ed asciutte
Dell'umor della vita, e stanche e gravi,
£ 'nvidiar la vii sorte
Degli altri, cui pietà vien che conforte.
Per me pietade è spenta
£ cortesia smarrita,
Sci RIBIE EROICHE
S^in te, aienor, non nasce e non si trova*
Lasso! qua! me tormenta
Nova scniera infinita
Di mali? o che più mi diletta o giova?
Ah! congiurate a prova
In del le stelle, e 'n terra
G)ntra me son coloro
Che 8^ Oman d'ostro e d'oro;
£ contra il mio Parnaso ognun fa guerra:
Ed io pietà pur chiesi
A milk, e te via (HÙ d*ogn' altro ofEuL
Ma che? Giove s'offende;
Ed offeso, co' voti
Si placa, onde dipon poi Famie e Pire.
Ed io perch^ Jforrende
Saette tue che %coti
Sovra me, mentre fiamma e sdegno qiire,
Far non potrò che gire
In più ocuosa parte,
Renìdendo i numi amici
Con voti e sacrifici,
E 'n te onorando or Giove , or Febo, or Marte,
Che tutte lor virtudi
Nel tuo petto reale ed altre cliiudi?
Ma non oso, signore,
Stender la lingua audace
Nelle tue lodi, e dir gli scettri e Tarme;
Che forse indegno onore
A' tuoi pregi di pace
E di guerra sarebbe il nostro carme.
Ed io pavento , e panne
Che '1 mio cantar t'annoi;
^ Onde, sebben del canto
Forse m' appago e vanto , .
RIME EROICHE
Temo ,cigno infelice i fulimn taoi ^
E sol pronte le penne
Colà saran dove il tuo ciglio accenne.
Trova*, canzon, il grancT invitto dace
Fra le dne suore assiso}
Che '1 vedrai forse più demente in vi
5o5
CANZONE XXXra.
Alle principesse di Ferrans. Scrina da S, Anna ,
confessandosi reo^ ma, dolente del fallo commesso^
in cìd per altro il cuor suo non ebbe parte alcuna,
e invocando tolta mediazione deUe medesime ap-
presso il duca Alonso lorojhaiello.
O figlie di Renata,
Io non parlo alla pira
De^ fratei, che né pur la morte pnio;
Che di recnar malnata
Voglia e cosdegno ed ifa
L'ombre, il cener. le fiamme anco partio:
Ma parlo a voi, che pio
Proausse e real seme
In uno istesso seno,
Quasi in fertil terreno
Nate e nodrite pargolette insieme.
Quasi due belle piante.
Di cui serva è la terra, e il cielo amante.
A voi parlo, che, suore
Del grand' Alfonso invitto,
Avete onde sprezzar. Giuno e Diana ,
Ed ogni reffio onore
Di quelle cain Egitto
So6 RIME EROICHE
Più ristrinae co* suoi legge profana^
Che, se moglie e germana
Ofin chioma votiva
Ch'ornò il del di faville,
Voli vostri ben mille,
Passando ove sua luce a pena arriva^
Ardon nel primo cielo
Anzi il gran Sol dUnestinguibil zelo.
A voi parlo, in cui fanno
Sì concorde armonia
Onestà, senno, onor, bellezza e gloria;
A voi spiego il mio affanno,
£ della pena mia
Narro, e 'n parte piangendo, aceiba istoria:
Ed in voi la memoria
Di voi, di me rinnovo.
Vostri effetti cortesi,
Gli anni miei tra voi sperà,
Qual son, oual fui, che chiedo, ove. mi trovo^
Chi mi guidò, chi chiuse,
Lasso 1 cni m'afBdè, chi mi deluse.
Queste cose, piangendo,
A voi rammento, o prole
D' eroi, di regi gloriosa e grande :
E, se nel mio lamento
Scarse son le parole,
Lagrime larghe il mio dolor vi spande.
Cetre, trombe, ghirlande.
Misero ! piango; e piagno
Studi, diporti ed agi.
Mense, logge e palagi,
Ov'or fui nobil servo ed or compagno,
Libertade e salute,
E leggi, oimè! d'umanità perdute.
i
RIBIE EROICHE 5o7
Da^ -nepoti cF Adamo ^
Oime! chi mi divìde?
O qual Circe n^i. spinge infra le gr^ge?
Oimè ! che in tronco o in ramo
Augel vien che s'annide^
£ fera in tana ancor con miglior legge:
Lor la natura regge;
E pure e dolci e fresche
Lor porge Tacque il fonte;
E '1 prato e U colle e '1 monte
Non mfette salubri e faci! esche;
E '1 cìel libero e Paura
Lor luce e spira, e lor scalda e rìstaura.
Merlo le pene; errai:
Errai , confesso ; e pure
Rea fu la lingua, il cor si scusa e'n^r
Chie4o pieta^ ornai;
£, sfalle mìe sventure
Non vi piegate voi, chi lor si piega?
Lasso! cni per me prega
Nelle fortune avverse,
Se voi mi sete sorde?
, Deh! se voler discorde
III si grand^ uopo mio vi ùl diverse ,
In me fra voi T esempio
Di Mezio si rinnovi e '1 duro scempio.
Quell^armoma si nova
Di virtù che vi face
Sì belle, or bei per me faccia concenti.
Si ch^ a pietà commova
Quel signor, per cui spiace
Più la mia colpa a me, che i miei tormenti^
Lasso I benché cocenti ;
Ond'a tanti e sì egregi
5o8 RIME EROICHE
Utoli di sue glorie,
A tante sue vittorie ^
A tanti suoi trofei , tanti suoi finegì y
Questo s^ aggiunga ancora:
Perdono a chi F offese ed or F adora.
Canzon, vìrtute è là dov'io t? invio:
Meco non è fortuna:
Se & non hai^ non nai tn scorta aknma.
CANZOBTE XXXIV.
P^uolH che questa cantone sia stata scritta alla Corte
d'Urbino, a cui allude la quercia descritta nella
prima stanza. Si duole della sua fortuna.
O del grand* Appennino
Figlio picciolo Aj ma glorioso,
E di nome più duaro assai che d^onde!
Fugace peregrino
A queste tue cortesi amiche sponde
Per sicurezza vengo e per riposo.
Lealtà quercia che tu bagni e feconde
Con dolcissimi umori, omTella spi^
I rami di , Mi monti e i mari ingombra,
Mi ricopra coli* ombra :
L'ombra sacra, ospitai, ch'altrui non n^
Al suo fresco eentu riposo e sede,
Entro al più denso mi raccoglia e chiuda,
Sì ch'io celato sia da quella ciiida
E cieca Dea, eh' è cieca e pur mi vede,
. Bench' io da lei m' appiatti in monte o 'n valle,
E per solingo calle
Notturno io mova e sconosciuto il piede }
RIME EROICHE 5og
E mi saetta si, che ne' miei mali
Mostra tanti occhi aver, quanti ella ha strali.
Oimè! dal di che pria
Trassi V aure vitali , e i lami apersi t
In questa luce a me non mai serena,
Fui delP ingiusta e ria
Trastullo e segno ; e di sua man soffersi
Piaghe che lunga età risalda a pena.
Sassel la gloriosa alma Sirena
Appresso u cui sepolcro ebbi la cuna:
Cosi avuto v'avessi o tomba o fossa
Alla prima percossa !
Me dal sen della madre empia fortuna
Pargoletto divelse: ah! di que' baci,
Ch'ella bagnò di lagrime dolenti,
Con sospir mi rimembra, e degli ardenti
Preghi che sen portar Paure fugaci,
Ch'io giunger non dovea più volto a volto
Fra quelle braccia accolto
Con nodi co^ stretti e si tenaci!
Lasso! e seguu con mal sicure piante.
Quale Ascanio o Cammilla, il padre errante.
In aspro esiglio e 'n dura
Povertà crebbi in quei si mesti errori;
Intempestivo senso ebbi agli affanni^
Ch'anzi stagion matura
L'acerbità de' casi e de' dolori
In me rendè l'acerbità degli anni.
L'egra spogliata sua vecchiezza e i danni
Narrerò tutti or che non sono io tanto
Ricco de' proprj guai, che basti solo
Per materia cu duolo?
Dunque altri ^ ch'io, da me dev'esser pianto?
Già scarsi al mio voler sono i sospiri;
Sio &IME EROICHE
E queste due dTumor si larehe vene
Non agguaglian le lagrime alle pene.
Padrei o buon padre^ che dal del rimiri ,
Egro e morto ti piansi , e ben tu il sai j
E gemendo scaldai
La tomba e il letto: or che negli alti giri
Tu godi^ a te si deve onor, non lutto;
A me servato il mio dolor sia tutto.
( Manca il retto in tuUe k slampe
da noi vedute, )
CANZONE XXXV.
Per la nascita del prìncipe di Toscana, GU propone
per esempio della sua condotta i suoi grana avi
della Casa de* Medici, e gU presagisce jelicissinuM
vita e gloriosa.
y Musa, le cetre e le ghirlande
Di mirto e i bei mirteti ove talvolta
Dolce cantasti lagrìmosi carmi ^
E lieta prendi altera cetra e grande ^
Coronata d^allór; che a clii ne ascolta,
Canto si dee ch^ uguagli il suon delTarmi.
Or tuo favore a me non si risparmi
Più ch^a quei che cantar Dido e Pelide;
Che, sebben lodo pargoletto infante,
È 1 ragionar d'Atlante
Minor soggetto, e U Gel già sì gli arride,
Che può in cuna agguagliar Topre d'Alcide.
Già può domare i mostri, ed or lo scudo
Tratta , or cotf elmo scherza , e Palla e Marte^
L'asta gli arruota Tun, T altra la spada:
-RIME EROICHE 5ii
Ed egli, al folgorar del ferro ignudo,
Intrepido sorride^ e con lor parte
L'ore, né scherzo alcun tanto gli aggrada
Mentre a' feri trastulli intento Dac(a.
Soave canto di nutrice o vezzi
Non gli lusinghi gli occhi al sonno molle j
Ma '1 suon, ch'alto s'estolle,
Lo svegli, e già i riposi e l'ozio sprezzi,
£ vere laudi ad ascoltar s'avvezzi.
Quinci Lorenzo e quindi Cosmo suone
Alle tenere orecciiie, e 'n lor si stille
Dolce ed alta armonia di fatti egregi. —
Tal, ma in più ferma età, dal suo Chirone
Udia cantar l'avventuroso Achille
Del genitore e. del grand' avo i pregi. —
Oda che, scinti d'arme, in toga, i regi
Temuti in guerra e i capitani mvitti
Agguagliar di fortuna e di valore;
Oda che al primo onore
L'arti greche e romane e i chiari scrìtti
Tomaro a sollevar gl'ingegni afflitti.
Di Giulio ancor la vendicata morte,
Ch'ehbe alf antico Giulio egual fortuna.
Sappia, e per duol ne pianga e ne sospiri;
Sappia eh' in ciel traslato or gli è consorte
D^ onore: e, quando F orizzonte imbruna,
Fra l'altre stelle lampeggiar rimiri
La Giulia luce e vigilar ne' giri.
Mentre ad ogni alma al sangue suo rubella
Con orrido splendor, con fiera faccia
Sangue e morte minaccia.
Teman pur gli empj i rai dell'alta stella.
Che o custodire o vendicar puot'ella. '
5ia RDOS EROICHE
Oda poi laudi più famose e conte
De lor due grandi e generosi eredi
Del sacro peso ddT imperio -onusti^
I miai di tre corone ornar la fronte^
Calc&r gli scettri . e dal gran Èeg^o i piedi
Porser so?ente a regi ed agli Augusti :
Oda come fur saggi e forti e giusti;
G>me , per liberar T Italia e Roma ,
L'uno e Faltro sudò sotto il gran manto:
E 'nsieme onori il canto
Gli altri che d'ostro e d'or fregiar la cfaioma,
E lei che Francia armata in eonna ha doma.
Ma sovra mitre e scettri alti e diademi
S innalsin d' un guerrier V arme onorate y
Che fu scudo d' Italia e spada e scampo y
Per cui poteva a' prischi onor supremi
Di novo ella aspirar; ma in verde etate
Passò I quasi nel del trascorre un lampo.
Vedova la milìzia ed orbo il canq>o
Rimase y e de^ hdroni arte divenne
Quella che nelle tue superbe scuole ,
Marte y apprender si suole;
E 8^ ammutir^ quando il gran caso avvenne,
Le lingue tutte , e ai stemprar le penne.
Ma pur figlio lasciò Falto guerriero,
Onde il natio terren si fé' giocondo
Per nova spene, e non fu già fallace;
Che i fondamenti del toscano impero
Fermò poi si, che, per crollar del mondo,
Nulla si scuote e sta sicuro in pace,
E l'onora l'Ibero e '1 Franco e '1 Trace.
Questo lo specchio sia, questo l'oggetto
A cui rivolga vagheggiauao i lumi;
RIME EROICHE 5i3
Quinci i regi costumi^
Quinci 1 valor e 1 senno il pargoletto
Tragga, e nMmpriiHa e informi il molle petto.
Ma rivolga ancor gli occhi a' veri e vivi
Spegli d'ogni valor: miri il gran padre
Tra 1 fratel sacro e tra Tarmato assiso j
Quinci anco i semi di virtù nativi
Maturi, e d'alte immagini leggiadre
S'empia e fecondi, e i baci lor nel viso
Lietamente riceva, e mostri al riso
Com' ei ben li distingua ; indi la mano
Al fianco del gran s^io secura stenda ,
E la spada ne prenda, «
Ed a sé volga (onore alto e sovrano)
Trofei, vittorie, il Nilo e l'Oceano.
Gran cose in te desio ; ma ciò che fora
Mirabile in altrui , lieve in te sembra ,
O discesa dal ciel progenie nova:
Ch'a te ridon le stelle, a te s'infiora
Anzi tempo la terra, a te le membra,
Qual pargoletta al ballo, orna e rinnova;
Si placa il vento, e Faria e F acqua a prova
A te si raddolcisce e rasserena,
E depongon per te le fere il tosco;
Stilla a te mele il bosco;
A te nudre il mar perle, ed ór F arena,
E scopronti i metalli ogni lor vena.
Mille destrieri a; te la Spagna serba,
E mille altri ne pasce il nobil regno
Che si bagna nell'Adria e nel Tirreno,
De' quai parte con fronte alta e superba
Erra disciolta, e parte altero sdegno
In fumo spira e morde il ricco freno; %
E ducisi il Carrarese, e manni a pieno
Tasso, Voi IF. 33
/
5i4 RIME EROICHE
Non slima aver in cui s'affretti e sudi
Per formar tempj ed archi e simulacri
In tua memdrìa sacri}
' E Mongibel rimbomba, e *n su Pincudi
Ti fan già Farmi i gran giganti ignudi.
Canzon, s'a' pie reali
Tua fortuna t'invia, P^g^; ^^ ^^^3
£ '1 pregar sia con umiltà di baci.
CANZONE XXXVL
•
in morie ìT Ercole Gonzaga cardinale di Meuttowt,
Accenna il comun lutto , ma specialmente di Ronuu
Indi Jinge che C illustre dijimto apparisca in sogno
al suo inclito nipote Francesco , eccitandolo a li-
berar la Chiesa dagli empj , mostrandogli la mi-
seria delle cose limane^ ed esortandolo a volger
r animo al solo verace bene che h in cielo.
Già s' era intomo la novella udita
Della morte d^ Alcide, alle cui spalle
La Chiesa il suo gran peso avea commesso;
L' ItaKa si dolea , che ^i dubbio calle
Vedea di Dio la greggia errar smarrita,
E gr inimici lupi aver già presso.
E qual è di dolor segno si espresso.
Che non mostrasse allor? dicanlo i rivi,
A cui col suo gran pianto accrebbe Fonde^
Ditel voi, che di fronde
Con gli accesi sospir, boschi, vi ha privi;
Eco , di' '1 tu , eh' altronde
Tanti mai non udisti aspri lamenti.
Ne gF iterasti in si pietosi accenti.
RIME EROICHE 5i5
Ma neir alma città ch^nonda il Tebro,
Com^ella maggior parte ebbe nel danno ^
Cosi di duolo maggior segno apparse,
Qual mostrò allor che ì suo fiero tiranno ,
Di furore e di sdegno insano ed ebro,
Lei di voraci fiamme intorno sparse,
E le colonne e gli archi e i tempj le arse ,
£ ciò che prima alzar gli arilichi Augusti,
Cile memoria del fatto anco non langue^
E sol poscia col sangue
Forse bramò degV innocenti e giusti
(Àlii più crudel d^ogni angue!)
Spegner F incendio rio che 'u un sol punto
L^opre di tanti lustri avea consunto.
Or nel danno comun, nel novo lutto
DelFumil plebe e degli eccelsi padri,
Fra querele e sospir' si spesse e tanti,
Dentro premendo i pensier foschi ed adri ,
Sol mostra il gran Francesco il ciglio asciutto,
Ed assai men turbati atti e sembianti:
Ma pur, benché di nero il mondo ammanti
U ombra che fuor del terren grembo sorge,
E H ciel spieghi i bei lumi in lui contesti.
Egli tien gli occhi desti,
Né quiete alle membra afflitte* porge ,
Ned agli spirti mesti}
E, mentre pensa all^ aspre sue sventure.
Ondeggia in ampio mar d'acerbe cure.
Alfin , quando ogni lampa in cielo appare
Piò fosca , quasi lume a cui già manche
Il nutritivo umor che lo mantiene.
Gli serpe a forza il sonno entro le stanche
Luci , e i sogni it' apporta , onde gli pare
D^ esser traslato in parti alte e serene.
5i6 RIME EROICHE
Ed ecco quivi intanto a lui ne vìoie
Il sacro Alcide : oli come ha gli occhi e il ▼olio
Venerando ed altero, e com'è queto
10 vista! oh com'è lieto
In atti! oh come in quei dimostra sciolto
Del suo core il secreto!
Cinto ha d' ostro le membra , e 1 crin di stelle,
E quinci e quindi sparge auree fiammelle.
Repente un novo orror per Fossa scorre
Al saggio suo nipote, e gli s'agghiaccia
11 sangue intomo al core e si costrìnge:
Pur distende ver quel l'amiche braccia;
Ma, qual chi cerca tra le man raccorre
GU atomi , ^ol il vento e l' aria strìnge :
Onde nel volto di rossor si pinge;
Poi dice: Padre, a me chi ti riduce?
Forse ritorni ad abitar laggiuso,
O pur ha noi deluso
Vano rumore, e tu d'umana luce
Godi nel corpo chiuso?
Che pura forma e di materia scossa
Com'è ch'esser degli occhi oggetto possa?
Allora quei da luogo eccelso e chiaro,
E di lucenti e spesse stelle adomo,
Le quai mente divina informa e move^
Incominciò: « Verace fama intomo
Di me si sparse, e 1 passo altrui si amaro
Lieto varcai, ch'i pie mi resse Giove;
Or vuol l'amor, eh' a mille segni altrove
Già d^ averti dimostro a te rimembra.
Che te de' fatti tuoi renda presago.
Io di lieve aer vago
Formalo a me medesmo ho queste membra ^
Del corpo vana imago}
RIME EROICHE Sr?
Ma, perchè punto il tempo unqua non tarda,
Miei detti accogli e serba, e 'n giù rìsguarda.
«•Mira là quella turba in un ridutta
Da più parti /e ^n più parti e 'n sé divisa
Ed in somma discordia, or si concorde,
Com'ella il cielo ad espugnar s^ avvisa
Col valor de^ giganti ond è condutta.
Né di sé stessa par che si ricorde.
Oh quante incontr' a Dio profane e lorde
Lingue son mosse! oh quante inique spade!
Oh quanti monti un sovra T altro eretto!
Ove, ed a qual effetto
Ne vanno? onde tal rabbia? onde in lor cade
SI reo, si folle affetto?
Deh ! qual confusion in voi si vede
Di lingue» sì, ma più d^opre e di fede?
«Tarmerà Dio di folgori tremendi
La forte destra, acciò che i sacri lempj
Securi sian da questi iniqui e stolti.
Ecco io tornar già t'odo, ecco già gli empj
Smarriti al fiammeggiar de^ lampi orrendi j
Eccoli già percossi e 'n fuga vólti.
Saran tra le mine altri sepolti
Delle gran moU a danno lor composte;
Pian dalle fiamme in polve altri conversi; .
Altri n' andran dispersi;
Altri coir alme al ben oprar disposte
Dallo stuol de* perversi
Si ridurran sotto tue fide scorte ,
E tu loro aprirai del ciel le porte.
«Ma, pria che questo avvenga, al tuo destino
Tu medesmo un sentier largo prepara,
E ^nsino ad or t'infiamma a nobil guerra;
E perché possi ogni superba avara
5i8 RIME EROICHE
Voglia sprezzar^ lìen^ giù lo sguardo chino ,
K vedrai quanto è angusta e vii la teira^
E in quanto breve giro in lei si serra
La vostra gloria e la potenza umana ^
Che cosi par eh* ogni mortale apprezza.
Deh! saran sempre avvezze
Le vostre menti in seguir P ombra vana
Del ben , fama e ricchezze ,
Ch* acquistate in molf anni , e che in brev' ora
LMngordo tempo alfin strugge e divora?
«Vedi come la terra in cinque cerchi
Distinta giace, e che ne son due sempre
Per algente pruina orridi e inculti;
Deserto è il terzo ancora, e che si stempri
Pare, e si sfaccia negli ardor soverchi:
Restan sol quelli frequentati e culti 3
Ma sono air un delF altro i fatti occulti.
Quante interposte in loro e vaste e nude
Solitudini scorgi , e 'n ogni parte
Quasi macchie cosparte,
Lor come isole il mare intomo chiude-,
E quel che 'n voce e 'n carte
E oceàn chiamato, ed ampio e magno,
Che ti sembra or, se non un picciol stagno?
«Omai dunque dallMme alle supreme
Parti il cor volgi, e lieto al cielo aspira,
Onde r animo nostro orìgin prende.
Che questo, il qual de* globi intomo gira
Ordin meraviglioso , unito insieme
Per man del Mastro eterno, in sé t'attende.
E questa che dal cielo il moto rende
Dolce armonia, mista d'acuto e grave,
A cui pur dianzi chiusi eran tuoi sensi.
Ti desti ^ e quindi accensi
KIME EROICHE 519
Tuoi spirti sian di sacro ardor soave ,
Sin eh' altro miri e pelisi. » —
Cosi detto, ei disparve: e quegli il seno
Restò di gioja e di stupor ripieno.
Piangano gli altri il chiaro Alcide estinto y
Canzon, tu canta lui, chMn cielo è divo,
E vive in terra ancor nel gran nipote:
Questi è ben tal che puote
Far che 1 mondo di lui non paja privo.
Né fian d'effetto vuote
L' alte speranze già da noi concette ,
S'egli è pur ver che Febo il ver ne dette.
CANZONE XXXVn.
Per le nozze del marchese di Pesapn con D, lu^
vinta della Rovere. Celebra i pregi di hd, ed esalta
t illustre sua sposa sopra C antica Lavinia Jl^iuola
del re Latino e moglie Ì Enea,
O principe più bello
Del Sol quando riluce
Del celeste monton nell'aureo vello,
£ miglior cavaliero
Dell' immortai Polluce,
E del pietoso Enea maggior guerriero,
£ della gloria altero
Che gU avi ebber n^P armi ,
Non ho degni di te* rime né carmi.
Per te la casta moglie
Del re del Lazio antico
Cangiate avrebbe l'ostinate voglie,
Messo Turno in obblio,
Ed ogni primo antico
5ao RIME EROICHE
Che le fea caro il 3uo terrea natio :
Così novo desio
In quella dubbia impresa
Di genero si bel T avrebbe accesa.
Se ti vedea Cammilla,
Sol per lo strai cadea
Che da* begli occhi tuoi parte e sfavillila
£ sol fornir la guerra
La tua beltà potea,
Pria non veduta fra' onortali in terra :
E U cor chMndura e serra
lì furor cieco e folle ^
Aperto avresti, e fatto assai più molle.
Guerrier certo felice,
Ma più felice amante,
Che quel che fare armato a te non lice,
Inerme far lo puoi
Col tuo vago sembiante
E col dolce splendor de* lumi tuoi,
Quai regi o quali eroi
Ebber più degne palme,
O più chiare vittorie di tante alme?
L'arme a' nemici tolte.
Le spoglie sanguinose.
L'insegne al vento alteramente sciolte,
Fur trofei de' maggiori.
Pompe a molti odiose.
Ed assai spesso invidiati onori;
Ma '1 trionfar de' cori»
Sola è vera vittoria,
E tua certa immortale e rara gloria.
^ In carro trionfale
Parmi ch'Amor ti guidi,
Simil di fama, e di beUezza eguale:
RIME EROICHE Sai
Cento vergini elette
Ne* più famosi lidi, ^
Cento neV monti e cento in isolette,
Punte dalle saette,
Di guarir non son vaghe ^
Tanto son dolci F amorose piaghe!
Fra tante e cosi eccelse,
Cosi belle ed illustri,
Una, disavanza IValtre, egli ti scelse:
Nova Lavinia, e nata (*),
Già quattro o cinque lustri.
Di chi più degna è di nomarsi Amata,
. Ch* è veramente nata
Pur del medesmo sangue.
La memoria del quale anco non langue.
Canzon, va sulF Isauro,
Dov' è la nobii coppia ,
Ch'Amore ed Imeneo si bene accoppia.
(*) Il veder questa istessa parola nata ripetuta poco
appresso per cagion di rima nel verso 7.% ne & sospet-
tare di corrotta lezione neirun luogo o neir altro; se
pure non fu questa una svista del medesimo Torquato :
il che ne par tanto più verisimile, quanto che non
sappiam trovare altra voce da sostituirvi o prima o
dopo, senz* alterare il senso del costrutto. — (Gli Edtt.)
;i3 RIME EROICHE
CANZONE XXXVm.
In lode di D, Plncenzo Gonzaga
prìncipe di Mantova,
Chi descriver desia le vaghe stelle
£ 1 Sol che gira iiiiorao,
Ma teme si gran voio; e spera e tenta y
Da te cominci, il cui sembiante adomo
E come questo e quelle,
Alma reale, a vera gloria intenta.
Penna tìmida e lenta,
Veloce per desio talora T yidi:
E come FOcean trascorre e varca
Nave gravosa e carca
Che già radendo agli arenosi tidi^
O pur da^ cari nidi
Dispiega augel le piume,
E cerca poggio ernoso o verde bosco
O dolce fonte o fiume,
Trapassa alfin le nubi e Faer fosco;
Tal dall'altezza in cui F altrui fortuna
Ti pose, anzi '1 valore,
Le bianche vele ad euro e Tali io spando,
E cantando men vo F antico onore
Che giaounai non imbruna,
£ intorno i nomi gloriosi or mando,
E sopra il ciel volando,
Ove figura ogni stellante segno,
E risguardando va di sfera in sfera
U ardita mente altera
Le tue sembianze nel celeste regno:
Se pur noa prendi a sdegno
RIME EROICHE 5^3
Ch'in bei colori o 'n marmi
Io te contempli, o pur t'adombri o pinga,
E ne' sonori carmi
Di pure forme i simulacri io finga^
Ivi le scorge ove la chiara luce
Nulla turba ed adombra,
Né l'arte vela del gran Mastro etemo
Che qui le spiega quasi in nube o in ombra,
O dell'idea traluce
L'imago a pena al mio pensiero interno.
Dunque lassù le scemo
Veracemente, e come raggio a raggio
Si congiunge nel Sol, in un le unisco Q;
Però cotanto ardisco.
Che non pavento di fortuna oltraggio:
Purché l'alto viaggio
Non precida la sorte.
Io non invidio a Febo i suoi cavalli,
Mentre per vie distorte
Porta la face de' celesti balli.
E non invidio P immortai Pegaso,
A cui la fama antica
Favoleggiando affisse eterne penne,
Perché la mia potrà , al tuo nome amica ,
Cercar l'Orto e l'Occaso,
E '1 Polo occulto, e l'altro onde sen venne
«
(^) 11 .Bottarì e il Seghezzi leggono : Dunque lassù ti
scemo Veracemente , e cóme raggio a raggio Si congiunge
nel Sol, (T altrui unisco. Alcune edizioni più recenti, in
luogo di d'altrui unisco, hanno d* altrui Punisco. Nel-
Tun modo e nell^ altro, pare a noi che non ci sia co-
strutto. La lezione da noi immaginata contiene se non
altro un senso chiaro e consentaneo al conlesto. —
( Gli Edit. )
5^4 RIME EROICHE
Colei che già aostenne
Nel suo grembo reale il caro pondo
Delle tue uiembra e la tua nobil salma ^
In cui discese Falma
In riva al Mincio a far più bello il mondo ^
E '1 mio esiglio giocondo,
Quando la gentil pianta
Cantai; che non annida augei maligni,
Bella, feconda e santa,
Ma sol per sua natura aquile e cigni.
Felice stirpe, a cui si largo il Gelo
L'aquile sue comparte,
Che son native ornai, non peregrine;
Perdìè una voli ond'Aquilon si parte,
Ed ingombra di gelo
Le rive del tuo Mincio e di pruine;
E r altra nel confine
Dond' Austro move la ventosa pioggia;
E r altre due sen vanno a Tile, a Battro:
E cosi tutte quattro
Le divide col mondo e 'nsieme alloggia.
Né tanto cresce o poggia
Pianta fra Siri ed Indi;
E la vittoria in terra albergo felse,
E da lei quinci e quindi
Pendono scettri d^oro e spoglie eccebe.
Ma questi , e i duci fortunati , egregi ,
. Che se n' o'maro in guerra ,
E quei che d'ostro circondar le chiome,
E la gemina laude e i veri pregi
Ch'illustrar già la terra,
Spero cantar col tuo lodato nome,
E l'ire vinte e dome,
E le voglie recise e tronche in erba ,
HIME EROICHE 5^5
Che tutte son trofei nel saggio petto ^
Torre d^alto intelletto^
E tutte glorie delFetade acerba.
Oh se pietà mi serba
A quel che volgi e pensi ! . . .
Frattanto pur col mio pensiero ascendo
Dove non vanno i sensi,
E quel ch^ onora il mondo y in cielo apprendo.
Canzon, son tutti i cerchi
Nelle parti del ciel pure e tranquille
Intorno al sommo Re nell^alto seggio.
Tutte le cose io veggio
Negli ordini sembrar dovrei partille,
Luci, fiamme e faville.
Tu le prime risguarda
Che fan corona al primo e quasi tempio:
Questa m'illustci ed arda,
Ch^è principio degli altri e vera esempio.
5)6 RIME EROICHE
CANZONE XXXIX.
In morte di Barbara tP Austria duchessa di Fer-
rara. Dopo aver descritto il cordo^io dei duca
Alfonso per sì funesta perdita , introduce r Italia
a piangere le sue sciagure, le quali ella asfea ab-
' hluite sotto gli auspici di quell inclita Sovrana^
ma, lei spenta , ella depone ogni speranza e ^ah^
bandona alla costernazione. Di qui trapassa il
poeta ad accennare il lutto di tuli Europa air-
f annunzio dell infausta no\*ella. Ma intanto che
tutto ^ duolo e lagrime quaggiù , t anima di
Barbara ascende alla glona ed alla letizia ce-
leste , e prende a scherno le vanità di questa
miserabile valle.
Già spiegava F insegne oscure ed adre
Morte nel freddo e tenebroso volto
D^ alta regina , e non parea superba j
Benché lo spirto abbia nel fin disciolto ;
E renda il corpo alla sua antica madre ^
E tronchi il fiore ^ e mieta il frutto in erba
Perchè quel viso estinto in sé riserba
Il primo onore ^ e maesth non fugge
Da quel candor eh* impallidito agghiaccia j
Né la disperde o caccia
L'ombra crudel che lui cF intomo aduggej
Ma, come fra le spoglie e fra le palme
Sovente il vincitor di nobil terra
I costumi de^ vinti ancor non sdegna,
Par che sì mansueta in lei divegna
Chi vinse il suo mortai con lunga guerra,
E scosse lei di belle e care salme;
E, mentre fra le caste e nobili alme
La più nobile e casta al cicl ritorna,
Morte spietata di pietà s^ adoma.
RIME EROICHE Si;
Morte ogni duro core accende e spetra y
£ sembra un dolce sonno in que^ begli occhi )
Un bel silenzio in quella fredda lingua^
Materia da coturni e non da socchi.
Ne fu scolpita mai gelida pietra
D^ atto sì vivo che 1 dolor distingua j
E desti mille affetti e mille estingua^
Compii volto real, mentr'ella giace
£ si riposa tra 1 dolente coro
Su la porpora e F oro
In placida quiete e 'n santa pace:
E le meste virtù y c\i a pie le stannb ,
Le fur compagne in terra ^, e chi più s^angC;
È la più lagrìmosa e la più bella.
E fra U pianto degli altri e la procella
Par soave armonia quant^or si piange;
Pur tempra la sua lode il loro affaimo:
E se repente dopo lei non vanno,
Solo quella che) '1 velo onora e guarda,
LMncominciato volo affrena e tarda.
E nelT invitto Alfonso arde e sfavilla
Con varj modi, e ^1 duol s^ avanza e Tempie,
E cresce amore, e 'nsieme il suo tormento.
Né ì fato accusa, o F aspra sorte, o F empie
Parche; né freme tra Cariddi e Scilla,
Né 'n duro scoglio mormorando il vento,
Come il dolor die trova al suo lamento
Ogni varco rinchiuso, e dentro ferve
Ove non é chi Foda o chi risponda:
Né la ragion v^ affonda ,
Perchè ogni voglia alfin s^ acqueta e serve ;
Ma pur, membrando i tempi Ueti e i mesti,
Gli atti benigni e gravi e le sembianze
E quel lume del cielo in terra apparso^
/ .
5a8 EIME EROICHE
E poi dd mondo dil^uato e sparso ^
E '1 desio de^ figtiuoli e le speranse
Che la gloria immortal gP iufiamini e desti
De Pufìo e T altro Alcide , alme celesti ^
E U suo vedovo albergo e Falta reggia ^
In gran tempesta di pensieri ondeggia.
Ma P Italia^ di stridi il cielo empiendo^
E sparsi i crini, e gli ocelli in lei conversi ,
Squallida pianse e miserabil vecchia:
« Barbara % morta , oimè! qaai casi avversi,
O qual percossa più mortale attendo?
Che minaccia Fortuna ed apparecchia?
Ma se affanno e martir di rado inveodiia,
Questo m^ uccida, e sia F estremo colpo
Che mi trafigga Palma e passi il core
Col pungente dolore;
Che se mi trae di vita, io non P incolpo.
Oimè! Palma real di puro velo
Vedendo cinta e di leggiadri «odi.
Sperai già troppo; or se ne scinge e spoglia,
Perchè rimanga in me perpetua doglia.
Che de^ veri miei pregi e d^alte lodi
Serbo amara memoria, e non la cdo.
Benché sia fatta sì odiosa al Gelo,
E sotto al Sol turbato, alPaur^ fosca,
A gran pena me stessa e lui conosca.
«Io veggio fraU in me, se non inferme.
Le membra afflitte, e sou domata e vinta.
Ed amo il peso che più volte ho scosso.
Archi e teatri e simulacri e terme
Mirai distrutti, e quella gloria esttnla
Ch'adombrava P Imperio allor commosso.
Metalli e manni io più drizzar non posso
A' gloriosi; anzi tra '1 mare e PAlpe
RIME EROICHE 529
Bttspingo a pena, e 'n su gli alpestri gioghi
I barbarici gioghi; *
£ già facea tremare Abila e Calpe,
Atlante^ Olimpo, e tolsi e diedi i regni!
Vidi insegne e trofei giacer , deposto
Alla statua d'Augusto il gran diadema!
La Spagna mMnchinava e l'India estrema,
Le parti d'Austro e d'Aquilone opposto;
£ tranquillai quell'ire e quegli sdegni !
Onorai d' alti prem) i chiari ingegni ,
Cinsi la terra e quasi il mar profondo
Di schiere e d'arme, e fei le mura al mondo!...
•«Ma, qual incendio che s'infiammi e sparga,
Dagli aspri monti ne' miei dolci campi
Più volte si yersò spietato orgoglio,
Perchè una Tolta appresso V altra avvampi,
£ sempre sia di sangue altrui più larga-,
£ vidi presa Roma e '1 Campidoglio, «
Né rupe in Appennino o 'n mare scoglio
Da' Barbari securo; e intomo intorno
Piene tutte le piagge e tutti i lidi
D' orrida morte i' vidi ,
£ vergognoso oltraggio e grave ' scorno*
Ma 'n questa mia gentile e vaga parte.
Dove l'Adria s'allaga e '1 re de' fiumi,
La stirpe d'Azzo ebbe si il Cielo amico,
Che difese l'onore e '1 nome antico.
La sua fé, le sue leggi e i suoi costumi;
£ son di lei tante vestigia sparte ,
Tante illustri memorie in vive carte,
Onde vecchia sperai (ohe più s'apprezza)
Caduco onor di giovenil fortezza.
« Tu , d' Augusti e di re sorella , e figlia
D'alta progenie che l'imjierio accrebbe,
Tasso. FoL IV. 34
53o RIME EROICHE
E duo mondi domò • ma vinse a Cristo ,
Né per Cristo donarli ancor F increbbe ^
, Speranza m'aggiungesti e maraviglia^
1^ ch'obbliava ogni mio vano acquisto^
E, col tuo sangue al mio confuso e misto ^
Credeva alzarmi al cielo: or teco insieme^
Barbara j 'i caggio^ e teco giaccio^ e teco
Ogni mio lume è cieco.
Oh credenza fallace , oh falsa speme!
Per te barbaro nome amai pur dianzi ,
Ch'era odioso (or men rimembro, e torpoj;
Per te stimai vii danno ogni ruina.
Or faccian sacra tomba, alta regina,
Ogni sparso edificio al nobil corpo,
Ogni mole caduta, e i monti avanzi
Quanti ne fian , quanti ne furo innanzi :
E, se U mio grembo stretto e picdol sembra,
Sia r Europa sepolcro a queste membra. **
Cod disse r Italia, e del suo pianto
Corse torbido il Po sull'alta riva,
E lagrime spargea con dogliose urne*,
E gran rimbombo e sospiroso usdva
Dalla Parma e dal Taro e Mincio e Manto:
E Barbara sonar Paure diurne.
Barbara rison&r Paure notturne,
E Barbara fremean le selve e i colli.
Barbara mormorava il mar vicino.
Barbara PAppennino,
Pur come turbo i tronchi offenda e crolli,
E inaspri il verno, e cresca il nembo , o come
Si veggia senza il sole il ciel rimaso:
E mugghiava il Tirren che Ponde imbianca
Or sulla destra sponda, oc sulla manca j
E piangean le sorelle il mesto occaso j
RIME EROICHE 53 1
Donne e donzelle con incolte chiome
Sull'Amo sospirar F amato nome^
E 'n suon^ qual non udì Gefiso ed £bro,
Barbara ancor cliìamò gemendo il Tebro.
£ le voci d'Italia e i mesti accenti ,
Oltra TAlpe nevose ancor s' udirò ;
E la funebre pompa e le facelle
Sol quelle simigliar che 'n lungo giro
Il gran re della Persia a varie genti
Già dispose fra V India e '1 varco E' Elle y
Qual grande annunzio pur d'alte novelle.
Cosi tosto affrettò la Fama il passo,
Anzi '1 volo spiegò coir ali impigre,
Appo cui lenta è tigre,
£ '1 volar d'ogni augello è tardo e basso}
Mille sonanti lingue ancor disciolse
Cesare invitto, e i gloriosi regi
Nell'Occidente empiè d'amaro lutto 3
Né Germania ritenne il viso asciutto,
Ma senza l'or, senza ornamenti e fregi,
Vestissi a bruno , e duol con duolo accolse :
E come rimbombò, mentre si dolse,
L'Istro e l'Ercinia e vie più lunge Ardenna,
Scrìver non può questa mia stanca penna.
Ma tu, «alita dagli oscuri abissi
Di questo umano obblio, dall' orrìd' ombre
Fra cui s'oscura ogni celeste raggio.
Di maraviglia e di piacer ('ingombre,
Mirando i lumi erranti e i lumi fissi
Sotto a' be' piedi, e '1 Sole e '1 suo viaggio
Che ne ritoglie e toma aprile e maggio.
Che ti par strada obliqua e strada angusta.
Mentre vola il tuo spirto e ti conduce
Al ciel, ch'à pura luce.
#
N
S3% RIME EROICHE
Ed inoontrì per via F anima augusta
£ r altre coA belle e co^ degne
Che già portare in terra il grave incarco
Di corone e di scettri ^ e Weme ascendi,
Ed ambo gli emisperj a scherno prendi,
£ stimi r Oceano un picciol varco,
Dove spiegar le gloriose insegne;
£ 'nfiammi in Dio ciò che raffredda e spegne
La morte al mondo; e già del Be superno
Vedi la glorja in quel trionfo etemo.
Canaon, se fama antica oggi non mente,
Bebbe Artemisia, con lodato esempio,
Il cenar freddo : il mio^signor la fiamma
Mandò nel casto petto e se n^ infiamma*,
£ non arse più bella in sacro tempio.
Non dirlo a lei , che d^ amor vero ardente
Fra que' divini cori il vede .e sente;
Ma il narra alla sorella: essa ti prenda,
C i iniei lamenti e f altrui lodi intenda.
CANZONE XL.
In lode del cardinale Albano.
Alma, ch'aspetta il Cielo, e '1 mondo onora
E pregando ritarda , acciò che spieghi
L' ale da più sublime e degna parte ,
Mentre alle membra ancor t'avvolgi e leghi,
Mille divine luci ad ora ad ora
Mostri, a guisa di stelle, in te cosparte;
E come il Padre eterno al cìel comparte
Duo maggior lumi, e Funo al di sereno ,
L'altro alla notte ombrosa
RIME EROICHE 533
La pura luce sua non tiene ascosa^
G>si Puna virtù che strìnge il freno
Alla prosperità ch'ardisce ed osa^
L'altra ti diede pur quasi nell'ombre
Celeste e luminosa^
Ch'ogni temenza dal tuo cor dìsgombre^
E quella in Roma apparve in Vaticano,
Quasi 'n sul mezzo giorno, e vi refulse,
£ nell' altra città che '1 mare inonda ;
E, finché fero turbo indi t'avvolse,
Ricco vi fusti del sapere umano
E d^ogni bene ond'uom si rado abbondai
E perchè ti portasse aura seconda
Al primo grado in cui s'onora e stima
D valor de' soggetti,
Moderasti neirauna i primi affetti |
E lasciasti ragion seder in cima 3
E fur lodati i modi gravi e i detti,
^ Un tenore , un colore , un volto istesso
Fra mille varj aspetti,
E Talto cor d^nterne leggi impresso.
Questa die luce al tempestoso Egeo
Della vita mortai, eh' a noi perturba
Dispietata tempesta e fero vento ^
Né mai fra minacciosa e mobil turba
Dal suo stato più bello altri cadéo,
Indegno più d'esiglio o di tormento,
Cui la colpa dia tema od ispavento}
Né della sua caduta è chi risorga
Più glorioso alfine,
Benché si vanti pur d'alte ruine^
E '1 suo gran precipizio onor gli porga
E fra lontane genti e fra vicine^
Non quel Greco che vinse in mare i Persi:
/
534 RIME EROICHE
Né par che ben «* accorga
Che riimoccnza UloslFa i casi avversi.
adorò ddFAsia il re supeiix);
Tu PiOy coi Fumiltade in cielo esalta^
E 'n terra alzoUo alla più nolnl aede.
Ei più non ^olò la Grecia o Falla
Citùij ma giacque in quelTeùlio acerìbo;
Tu vivi ^ e r un per te s' avanza e ---^--
Nel suo nativo albergo, e F altro ercile
Della patema gloria in Roma andca
Or teco si raccoglie,
E Roma t*oma di purpuree spoglie:
Ronuii ch^al tuo valor fu sempre arnica^
E i tardi e^ giusti premj altrui non toglie:
Ed ogni rischio ornai passato e scorso,
Non turba aura nemica
De^ vostri onori il grande e lieto corso.
O Roma, a te già diede un re Corinto,
Poi Spagna Augusti, e sempre in te s^ aperse
Il valor peregrino un^ ampia strada.
Né Grò, né Cambise, o Dario o Serse
Pose giogo sì dolce a rege avvinto;
Né fe^ tanto col senno e colla spada,
Quanto già tu, eh* ove sormonti e cada
U Sole avevi steso il grande impero;
Ed or, mutata legge,
Ond* i popoli erranti in te corregge
Con santa verga il successor di Piero,
E guida al ciel le mansuete gregge,
Quel buon costume antico ancor tu servi :
E '1 Tedesco e Flbero
Assidi in alto, e regni insieme e servi.
Né fiume o colle o monte a noi distingue,
Ma 'i valore i Romani; e più non spegna
RIME EROICHE 535
Impresa nota mai guerrieri armenti;
Ed alma illustre che di te sia degna,
Perch'ella parli altrui con molte Ungue,
E lodi il tuo signor con varj accenti, ^
Pur tua la chiami: o sia fra Fonde algenti
Nato d^Istro o di Reno o 'a altra riva
Dove il Rodano rode,
È tuo, s^è valoroso, e tu n*hai lode.
Ed ogni sua belPopra a te s'ascriva.
Tu, madre senza inganno e senza fit>de,
E tu de^ santi figli il ciel riempi.
Non come falsa Diva^
E gli consacri in terra altari e tempi.
Ma pur, fra qhanti d^ ostro ammanti e fasci,
Nessun con maggior lume in te risplende
Del grande Albano, or eh' è sereno il cielo,
Or che nebbia noi turba e noi contende
Alma ch'in terra n'abbandoni, e lasci
Anima gloriosa il sacro velo:
E , come il Sol dopo le nubi e U gelo
Awien che vie più bello i rai cosparga.
La virtù vincitrice,
Poi ch'ella è combattuta, è più felice,
E versa gloria più lucente e larga.
Né morte guerra, come sembra, indice;
Né vecchiezza il molesta o rompe il sonno;
Ma i giusti spazj allarga
Quegli che '1 die, ch'altri allungar non ponno.
Canzone, i bei vestigi altri ricérca
D'Alba vetusta: e tu fra' sette colli
Rimira un sacro veglio
Che del valor Albano é vivo speglio,
E per signor e per mia luce io volli.
A quest'Alba serena anch'io mi sveglio:
516 RIME EROICHE
Darmi la dotta mano or non ti apiaocia;
Ma s^ ancor più t^ estolli,
Un bel silenzio alfin Ì*onorìy e taccia.
CANZONE Xli.
In lode della Casa Grillo.
Come dall'aureo Sole è sparsa intomo
Serena luce e seminati i raggi ,
Cosi la gloria da virtù deriva,
E tutto illustra, e tutto appare adomo
Quanto ella appressa, e sgombra i duri oltrag^
£ '1 fosco obbuo dove il suo lume arriva:
Né di splendor la priva
L*antichiUi, sM nomi oscuri inrolve;
Né la pallida invidia ancor V adombra
Crescente in guisa d'ombra :
Maggior, se d'Oriente il vel dissolve;
Minore a mezzo il corso, ove risplenda
Il perfetto valor ch'ai sommo ascenda.
E ben fu quasi un Sol del nome vostro.
Fra' suoi consorti e suoi guerrieri egregi,
Grillo, quel primo ed onorato Amico;
Né vesti Roma di più nobil ostro,
Poi ch'ebbe spinto in aspro esiglio i regi,
I suoi purpurei duci al tempo antico :
Vero di gloria amico ,
Che ricercoUa in perigliosa guerra
Fra l'onde tempestose e i feri venti,
£ fra nemiche genti,
E fra le navi che fuggirò a terra.
Dove le bagna il mar V umido lembo ,
E per salvarle i fiumi aprirò il grembo.
RIME EROICHE 537
Yoi) di Provenza avventurosi lidi;
E voi, de^ fuggitivi alte latebre,
Rodano ed Arlij e voi, sicuri porti,
Udiste risonar con rocbi strìdi
Il mar tinto di sangue in suon funebre,
E miraste gPincendj e F aspre morti.
Tu, che gli abeti porti
Or nel turbato campo, or nel tranquillo,
Sèi testimonio ancor del suo valore,
Ch^i suoi con grande onore
Ridusse, come Catulo e Duilio;
E tornò vincitor dall^onde salse,
Onde la chiara stirpe in pre^o salse.
Nobile stirpe, in cui se Tuno è tronco,
L'altro Amico poi nasce e vi frondeggia,
Qual ramo d^ór che di lòntan riluce,
Quanti ne sono intomo al verde tronco,
Ch^ogni arbor di Liguria ancor pareggia,
E quanti frutti e fiori ella producei
Alcuno è fatto duce
Di cavalieri; ed orna alcuno e spalma
Le torreggiane navi, e i negri legni
Arma ne salsi regni ,
E spesso ha gloriosa e cara palma;
Altri col fren della temuta legge
La possente città governa e regge/
Ma chi lodar potrebbe il buon Lamberto,
O chi seguirlo? o quel ch^alFelmo impose
L'aquila imperiosa, altero dono?
O di quel vostro agguaglia il clìiaro merto ,
Che fé Tonde vermiglie e sanguinose
Presso Durazzo, e lui tremante al suono?
Poche cose ragiono,
E molte nel mio cor descritte io serbo;
538 RIME EROICHE
Che per esémpio sol ^ arti leggiadre
Vi basta il saggio padre ^
Ch^andò uelT Oriente al re superbo:
Né fia che Falte lodi il tempo estingua
Del cor, del senno e dell'accorta lingua.
Canzon, se tromba o squilla
Rompe ad Angelo nostro il leve sonno ;
Si ch^egli s'alzi col pensier sublime,
Noi seguir colle rime
( Se pur elle volar si alto ponno ) ;
Ma i fratelli ritrova e te gli mostra;
E di': Son bella della gloria vostra.
CANZONE XLH.
In loda del sommo pontefice Sisto V.
Come poss' io spiegar del basso ingegno
Le vele in alto? e col mio tardo canne
Cosi pronto mostrarme,
Ch' i' solchi di tua lode il mar profondo?
Girar dell' Ocean l'ondoso regno.
Io di vittoria indegno?
Cara merce è il tuo nome e grave pondo;
Però dico fra me: S'io passo, affondo ,
O rompo nelle sirti e 'n duro scoglio.
Cosi temendo mi rivolgo indietro,
D'ardir privo e d' orgoglio,
E rimiro l'arene e i salsi Udi
E '1 mio torto sentier; ma tu m'affidi,
Nocchiero esperto e successor di Fietit).
Oh! se per grazia di varcare impetro;
Teco verrò dove risplende il vello
RIME EROICHE 539
(Benché in mare più largo)
Del puit) sacro e mansueto agnello,
Che tu sei Tifi, e la tua nave è Argo.
Ma, quasi monti, al cominciar trapasso
Cento opre tue, cento tue lodi e cento.
Dove mi porta il vento
Del tuo santo favor nelF ampio gorgo
Che non ha riva o fondo, e quanto io scorgo
Degli anni già trascorsi indietro lasso.
Benché il mio stil più hasso
Sia del meno alto grado ove più sorgo,
E tutte all^ austro pur le vele io porgo,
O sovra i regi, o sovra i grandi Augusti
" Da' merti alzato in più sublime sede,
O de' s^ggi? o àe^ giusti
Verace esempio , o padre , o santo veglio ,
Delle sacre virtù lucente speglio.
Anzi del Sol che illustra antica fede,
La qual V altra fermò che parte e rìede.
Tu dispensi non sòl terreni onori
E le corone in terra.
Ma le grazie del Cielo e i suoi tesori
Con quella stessa man che Tapre e serra.
Qual regno, qual poter, qual forza d'auro
Agguagha l'alta podestà concessa
DaUa Parola stessa
Vestita pur di nostra umanitate?
Dell'imperio roman Reno, Istro, Eufrate,
Termini furo , Abila , Calpe e Tauro ;
Né sovra l'Indo o '1 Mauro,
La 've gli accende una perpetua state.
Posero il giogo le sue schiere armate.
Non sono al tuo confini i fiumi o i mari,
O le paludi pur ch'indura il verno y
54o RIME EROICHE
Non colonne od altari;
Non monti alpestri ed ermi e ^nculte arene
Oltre Menfi superba , oltre Siene;
Non Acheronte o Suge o lago Avemo;
Nbn la stellante sfera o '1 cieco Inferno:
Non di due mondi o Tana o T altra reggia^
' Ma quello è in ciel disciolto
Che sciogli in terra (oh piaccia a Dio che U veg^ij^
E quel ch^ avvolgi qui; lassuso è avvolto.
Taccia Roma i trionG e i regi avvinti
Condotti in Campidoglio appresso il carro,
Ch^ altre cose qui narro,
Altre vittorie io lodo ed altre palme ,
£ d^ altre imprese e d^ altri lauri or calme.
Te duce, ella fa guerra, e, i vizj estinti,
O coir Idra già vinti
E coir Arpie, trionferà colf alme ^
Deposte in terra le più gravi salme,
Perchè degno or non è loco terreno
Di si vittoriose e care spoglie;
Ma in quel tempio sereno
Fia quel trionfo, e 'n quel lucente chiostro
Fiammeggiando il piropo e F oro e F ostro
Fra tanti marnii antichi orna e raccoglie;
Ed agli Dei fallaci ancor ritoglie,
Come a te piace, o Sisto: e tU; drizzando
Gli obelischi alla Croce,
E lei sublime al ciel tre volte alzando.
Fai tremar Babilonia e '1 re feroce.
E sette vie, dove pietà non falle;
Drizzi a' tempj maggiori, e vi consacri
Altari e simulacri ]
E sentier più sicuro altri non segna
All'eterno trionfo; e non P insegna:
RIME EROICHE 54i
Già in via Sacra o 'n via Lata , o 'n altro calle^
Monte adeguando a valle,
Non si spiegò sì gloriosa insegna y
Come questa ond^ il re trionfa e regna.
£ se tale è quaggiù, qual fìa nel cielo "
Sovra il cerchio del Sole e gli altri giri,
E senza nube o velo?
Ma per cercar la terra intomo intomo,
Non pur là dove nasce e more il giorno,
Non fia cb^opre si eccelse alcun rimiri,
£ sì pietose lagrime e sospiri:
E tu fai quelle e queste, o sommo Padre;
Tu, divino architetto.
Usando dentro e fuori arti leggiadre,
De^ più santi edificj adomi il petto.
Tal ch^ Italia ed Europa a te divota.
Come solca, si mostra appresso e lunge;
£ donde' appena giunge
La vaga fama con veloci penne , \
Gente che desiosa a noi sen venne
Per infinito mar con vesta ignota
Da gran parte remota.
Il tuo gran seggio, e lui ch'allora il tenne,
Riverente inchinò dove convenne:
Né r aquile spiegaro o quinci o quindi ,
Quanto la Croce estendi , altero volo
Fra gli Etiopi e gli Indi
O altre solitarie estreme sponde,
A cui sian quasi chiostro il cielo e V onde \
Ma dair ardente o dal gelato suolo
Venendo, e sotto dianzi ascoso polo.
Altri non vede cosa eguale a Roma ,
0 Roma a te sembiante
E felice, o felice ancor ti noma,
Già pari a te, per opre altere e sante.
54^ . RIIIE EROICHE
Anzi ma^or, sì ch^4 ristauro al danno
Di tutto ciò ch'alta mina iuTolve^
E ^1 tempo cangia e volve
Co^ sacri magisteri onde s^ avanza
£ rinnova sua gloria e sua speranza
Vie più di lustro in lustro o d'anno in anno
E color che verranno ,
Spirar veggendo tua viva sembianza
Da' marmi y e i segni ancor d^alta possanza,
Diran: Beato vecchio , onde s'accrebbe
L'antica maestate e Fonor prisco,
A chi tanto mai debbe
Roma, di sue mine omai felice,
Che rinasce da lor come fenice? — '
Ma tu, signor, cui lodo e riverisco.
Se por le mete alle mie lodi ardisco,
Mon alla gloria tua, eh' è senza fine,
Non sia (u grazia parco
Pria che stanchi la voce e U canto inchine,
Perch' il silenzio è porto appresso il varco.
Canzon, vedi alle stelle alzarsi un tempio,
De' peregrini marmi opra e lavoro,
In cui sudir molti anni i mastri egregi:
Vedi metallo ed oro
Appresso gran palagio e sacro monte.
Logge, teatro, selva e chiara fonte,
E statue antiche e nove, e novi pregi,
E di fisima e d'onor lucenti fregi:
Qui dal peso talor grave respira.
Ove di zelo avvampi
Altro Mosè nel monte , e Dio gV inspira '
Sua viva legge, e senza tuoni e lampi.
V
RIME EROICHE 543
CANZONE XLin.
Di/nostra la sua allegrezza per la promozione delV eminentìss.
Scipione Gonzaga al cardinalato.
Non è noVo Tonor di lucid^ ostro
Nella tua stirpe antica ,
Di cui t'adonìi e ne riluci e splendi;
Ma novo è il merlo onde sublime ascendi^
Alma di gloria amica ,
E U saper e 1 valor che nMiai dimostro.
Nova materia di purgato inchiostro *
Alle più dotte carte
Danno, sacro signor, F ingegno e P arte,
Le paròle, i pensier, Fopre, i costumi,
Quasi santi di gloria accesi lumi ,
O stelle in cielo sparte )
E son chiaro soggetto i carmi a' carmi ,
Non pur T imprese de^ maggiori e Farmi.
Quelle ^nastàr per fare il crine adorno
Di porpora sovente
A molti, la cui forma ancor non langue:
Te non illustra solo il gentil sangue.
Ma più la nobil mente
Ch'a noi dal cielo scende e fa ritorno.
Lodi altri pur quel che n^ abbaglia intomo,
Or, gemme e pompe e fregi,
Ch^o più belli contemplo e cari pregi,
£ , là dove a gran pena il volgo sceme ,
DMmmortali virtù bellezze eterne^
Che t^ agguagliano a^ regi ,
E ti fan caro al Cielo e caro al mondo.
Ma troppo a^ versi miei gravoso pondo.
S44 &IME EROICHE
Ben se n^ avidde Pio , che da^ primi anoi
Tal die presagio in vista
Il tuo valor che teco nacque e crebbe;
Egli, che lunge vide e 'n cor sempre ebbe
f^Come il ver fede acquista )
D^ Oriente scacciar gli empj tiranni
Da^ nostri lidi e ristorare i danni ^
Sottratte al giogo indegno
Le fide genti, e stabilire il regno
De' suoi divoti y ed innalzar la Croce y
Con provvidenza e con pensier veloce
Te ne stimò già degno y
£d era^ obbietto d' un volere istesso
L'onor di Cristo e quello a te promesso.
E '1 di medesmo in gran pubblico lutto ^
Onorato ed acerbo,
Recise la sua vita e la tua speme;
Ma s'ei toccar potea le mete estreme
11 Barbaro superbo
E '1 suo regno crudel sana distrutto,
E lieta Italia e Roma e '1 mondo tutto.
Ma pur di novo poggia
La speme tua, ch'ai tuo valor s'appoggia
E ferma in sé , pur come pianta suole
Ch'intorno è tronca, e poi verdeggia al Sole
Ed alla nova pioggia ,
E tutto ciò ch'in Pio s' estìnse e giacque,
Poi risorse in Gregorio e 'n lui rinacque.
La gloria, la virtù, Tartì più belle.
Io dico, e la speranza
Che Sisto adempie or e' ha di Pietro il manto.
Non per Eaco, o per Mino o Radamanto
La tua gloria s' avanza
Laggiù fra 1' alme al vero Dio rubelle }
RIME EROICHE 545
Ma per questi eh' alzar sovra le stelle
Ponnp il valor romano
Là 've non giunse Augusto od Àffrìcano,
Od altro pur magnanimo e gentile.
Qual fu giudizio in terra unqua simile?
Per questi in Vaticano
Fra' più degni t'assidi e fra' migliori,
E te medesmo e l'onor proprio onori.
Qual piacer questo agguaglia onde oggi Roma
Cosi lieta si vede?
E da' suoi colli e dalle rapide onde
Delle canore trombe al suon risponde,
Ed un di quei^ ti crede ,
Da cui r Aurica fu percossa e doma,
E con quel caro nome ancor ti noma^
E già d opre e d'aspetto
T oppone a quanti ha già ascoltato é letto
Fra l'antiche memorie. Ed in te onoro
L'ostro di cui ti copri; amai l'alloro
Pur coU'istesso affetto:
Che fia, s'avvien ch'io l'arme ornai riprenda,
E l'alte insegne mie dis[MegIìi e stenda?
Canzon, mentre risona il Mincio e '1 Tebro
Di novi accenti e ciliari,
Non ritengon la fama o l'Alpe o i mari.
Ch'ella dispiega l'ale e sparge il gfddo
In ogni monte d'Asia e 'n ogni lido;
E par ch'ai suon rischiari
E sereni oltre il Tauro, oltre POronte
La figlia di Sion l'oscura fronte.
Tasso , FoL IV. 35
546 RIME EROICHE
CANZONE XLIV.
Alla gloriosa memoria di Barbara ^Austria
duchessa di Ferrara.
Cantar non posso ; e cf operar pavento
Contrario affetto colla lingua al core
Che vorria fare onore
A quella donna ch^ora è diva in cielo;
Ma come potrò mai mostrar di fore
Qò che spesso fra me ne parlo e sento ^
£ quel chiaro concento
Delie sue lodi chMo nascondo e cdo^
S'ella^ che vede com'io^ tremo e gelo^
Sin dalle stelle non mi detta i versi?
L'anima beHa ancor non era avvinta
^ Del laccio onde fu cinta,
Quando primiero in lui questi occhi apoisi
Ma di sua propria mano il Mastro etemo
U tessea per sua gloria a mezzo il verno.
Era non di rubini o di diamanti
Quel che legar dovea Palma reale,
Ma di fede immortale
E di celeste amor con dolci tempre;
Né di pvegio o valor si trova eguale,
Né strinser mai a bei legami e santi
Si gloriosi amanti,
In cui Tardor coli' onestà si tempre^
Né, dove si gioisce e vive sempre.
L'uno e T altro beato è insieme unito
Con affetto più caro in altro modo :
Nobilissimo nodo,
Per allo esempio de* mortali ordito,
RIME EROICHE 547
. Di cui rimago fu tra le, più belle
Creata innanzi al sole ed alle stelle!
Alle fila lucenti e preziose,
Al mirabil contesto ; al bel lavoro
Che vince ogni tesoro
Lo qual s'asconda della terra in seno,
£ de^ fiumi e del mar le gemme e Foro,
Giunta la vidi, e superar le spose
Più belle e più famose
Che son fra V acque d' Adria e del Tirreno :
E, d^alta maraviglia oppresso e pieno,
Uomo io parea clie non usata luce
Repente miri , cosi nobil donna
Veggendo in treccia e 'n gonna,
E ceder Tarme d' ognMIlustre duce,
E l'alte palme e le famose insegne ^ ,
Nò mai di scettro fur mani più degne.
Non si fermava il mio pensiero in terra , ^
Che r invitta sua stirpe inchina e cole.
Ma trapassava il sole,
Dove son Palme degli antichi Augusti,
Quando una donna che teatri è scole
Empie del nome chiaro in pace e 'n guerra,
E i suoi nemici atterra,
Ma leva al cielo i valorosi e i giusti ,
Tu, disse, che già meco un tempo fusti,
E poi seguisti quel che '1 senso alletta,.
Odi il vero da me, che pria s'intèse
Neil' immortai paese,
E parte mira questa in cielo eletta.
Che della gloria etema è specchio ardente,
Lucido a par d'ogni divina mente.
Come ella fii nella terrena vita,
Che per lei quasi diventò celeste,
3\H RIME EROICHE
Le più belle ed oneste
SùÌ>ito empiè dì nobil maraviglia;
K fra le spoglie d^ ostro e d^ór conteste^
Fra le ]iompe reali era nutrita ^
Ma pur in sé romita
Spesso innalzava le divote ciglia,
Come chi fra sé pensa e si consiglia 3
E fra i chiarì trofei dell'avo invitto
E i novi scettri e le corone eccelse y
Fra cui fortuna scelse
V albergo e sollevò P imperio afflitto y
L^ormc seguia che santo piede imprime
Colla piana umiltà vie più sublime.
Quando V anima santa al mondo venne,
L'ornò mirabilmente il sommo Padre
])elle doti leggiadre
E de' bei doni e de' superni lumi
(]he fan più belle le immortali squadre y
^c chi vicino a lui spiega le penne
Parte mageior ne tenne:
E serenando il cielo e '1 mare e i fiumi,
Fiorir facendo le campagne e i dumi,
Verdeggiare ogni monte ed ogni bosco ,
Sicure errar le mansuete gregge.
Sole o con chi le regge,
E lasciaro i serpenti il fiero tosco:
Ma le ragioni a morte egli non tolse.
Perchè il suo merto far piò chiaro volse.
Ma, poi che accrebbe in lei natura ed arte
Il suo valore ed onestade, insieme
Fede ed amore e speme
L'alzar di terra a guisa di colomba,
O com' aquila pur tra le supreme
JNubi che mira di lontana parte.
RIME EROICHE
Ma non bastan le carte
A scrìver quel che nel tuo cor rimbomba ,
Quasi angelico suon d^ etema tromba :
E ben felice è quel con cui s^ accoppia
Novello Alfonso che F antico agguaglia
Neil' arti di battaglia ,
Né fu congiunta mai più nobil coppia^
Ma quel che giunge Amor, Morte divide,
E invidia al novo Peleo il suo Fetide.
Ciò detto avendo , la costante destra
Nel bene oprare alle stellanti rote
Colla fronte rivolse, e cosi disse:
Le sue stelle son fisse;
Ma quel eh' a lei mi die, mutar le puote,
Mesta canzone : e poi da me disparve ,
Qual vera Dea , non come vane larve.
r/
^49
CANZONE XLV.
Si lagna colf aure della sua prigionia in S, Anna^
dicendo che niuno ha pietà di lui; e quindi le
imnia a volare intomo ed Principino di Toscana,
e fargli note le sciagure del misero poeta ^ accioc-
ché egli 9 teneramente commosso, implori co'* suoi
sguardi la mediazione del padre in favore di chi
potrà co* suoi versi rendere immortale la gloria
della Casa Medicea.
O figlie della Terra,
Compagne dell'Aurora,
Aure, dell'aria albergatrici erranti,
Che qui, dove mi serra
Duro destin, talora
Date audienza a' miei nojosi pianti 3
55o RIME EROICHE
O degli afflitti amanti
Secretane cortesi,
Dell^Amor me^saggiere,
Fjde y caute e leggiere j
Che là portate i lor sospiri accesi
E i lamenti e le doglie
Ov^è chi gli ode e con pietà gli accoglie;
loy che tanto più sono
D^ogni amante infelice,
Quanto odio è più d^ amor pronto a far danno.
Aure, in voi spargo il suono
Che del mio petto elice
Or giusto sdegno ed or non giusto aiEwno.
Non d^un soave inganno
Di voce ' lusinghiera ,
Non d'un guardo furtivo.
Non d' un sembiante scliivo , .
Non d'una fronte rigida e severa,
Non d^un guanto o d'un velo
Che gigli copra e rose, i' mi querelo:
Misero! ma mi doglio
De' più nuovi tormenti
Ch'abbia il regno dell'odio e della sorte;
E veggio farsi scoglio
Pietade a' miei lamenti,
Tinta nel volto di pallor di morte:
Né posso aprir le porte
Di questo vivo inferno.
Ove son degli errori
Gli Angioli 1 punitori,
Perch'io sfoghi cantando il duolo interno,
Nuovo Orfeo, colla cetra;
Tanto la mia Proserpina s'impetra!
Aure, a cui parte alcuna
RIME EROICHE 55i
' Non si chiude , e che V ale
Dispiegate dall' uno all' altro polo j
Là 've già fuor di cuna
Segna fanciul reale
Con non sicure ancor vestigia il suolo, •
Drizzate il pronto volo,
E mormorar mie note
Col suon de' vostri spirti
Tra fiori e lauri e mirti
Del magnanimo Cosmo oda il nipote,
E pietosi i miei duoli
D'Amo alternino i cigni e gli usignuoli.
Quivi il mio nome intenda
Dalla nutrice, o s'ella
Figlia è del sonno , o s' è di sue compagne ,
Ed a formar l'apprenda
Con lingua alla mammella
Usa, che ancor da lei non si scompagne;
Né per pietà si lagne.
Né versi alcuna stilla
Sovra la mia sciagura ,
Che la sua gioja pura
Non desio che per me sia men tranquilla;
Ma per segno cu pianto
Sol mostri gli occhi rugiadosi alquanto:
E , riguardando il. padre ,
Sembri almen che gli dica :
.Signor, perché s'invidia agli anni miei
Chi r opre tue leggiadre
Tolga a morte nemica ,
E 'n fra gli eroi le sacri e i semidei?
Chi degli avi i trofei.
Le palme e le corone
Orni di stelle eterne?
N
55i RIME EROICHE
Chi le chiome materne
RaOigurì nel cid, noyo Ccmone (*)7
Chi mMnviti con carmi
Dietro a chi per età precorre alT armi ? —
Canzon^ non lunge alia città de^ fiori
Sorge un bel poggio ameno:
Ivi il fanciullo è delle Grazie ia seno.
(*) Tutte le stampe da noi vedute hanno Zenone;
ma ne par ^lanifesto che il poeta abbia voluto qui al-
ludere a Canone che \ idc assunta in ciclo la chioma di
Berenice. — (Gli Edit. )
MADRIGALI
MADRIGALE I.
In lodt della Méscla, ove andai^a a diporto
la duchessa Margherùa di Ferrara.
Ha Ninfe adorne e belle
La casta Mai^herìta, ed essa è Dea,
Se virtù fa gli Dei, come solea;
Però boschi y palagi e prati e valli y
Secchi ed ondosi calli
Le fece il grande Alfonso, e cinse intomo
Navi , e d' erranti fere ampio soggiorno ,
E giunse i porti e i lustri in cui le serra,
Perchè sia fa prìcion campo di guerra ,
E i diletti sian glorie,
E tutte le sue prede alte vittorie.
MADRIGALE IL
Sul medesimo solito. Loda particolarmente la duchessa.
Mésola , il Po da' lati e '1 mar a fronte ,
E d'intorno le mura, e dentro i boschi,
E seggi ombrosi e foschi.
Fanno le tue bellezze altere e conte,
E sono opre d'Alfonso, e più non fece
Mai la natura e Parte, e far non lece;
Ma che la valle sembri un paradiso ,
La donna il fa che n'ha sembianti e viso.
554 BIME EROICHE
MADRIGALE 01.
Sul medesimo saggetto.
Mentre sul lido estremo
A te cotf acque dolci e colf amare
Vien quinci fl Po, quindi risuona il mare,
Uun riceve i tributi ,
L'altro li porta, e Funo e Paltro a prora
A te gli onre e rinnova,
Perchè le valli e i boschi or non rifiuti :
E quei sempre discende e mai non riede,
Rivolgendosi a tergo,
Appresso il novo albergo;
Questi parte ritoma e 'nc<ȓtra e cede,
E dk la terra e Fonda or doni or prede.
MADRIGALE IV.
Sul medesimo soggetto.
Chi la terra chiamar vuole una stella,
Siccome gli altri lumi
Onde s'adorna il ciel, lucente e bella,
C hanno monti e campagne e mari e fiumi
E prati e valli e selve
E timidi animali e fere belve
E Ninfe cacciatrici^ ecco or somiglia
Parte del cid sereno,
Con tante luci di bellezza in seno,
Questa vaga e felice a meraviglia }
Ed or che Falta donna in lei risplende,
Pur r Oriente e U Sol ci mostra e rende.
/
/
RIME EROICHE 555
MADRIGALE V.
Lutinga il tonno alj^h del principe di Mantova.
f
Aure, spirate} 'e voi con lucid^onde,
Acque e susuni or mormorate, o rivi,
Fuggendo i raggi estivi,
Perchè dorma U fanciul tra fiori e fronde.
Voi gli cogliete, e voi spargete a prova,
Leggiadrìssime Ninfe, e gigli e rose
E narcisi e giacinti a lui a intomo.
Ed altri fior già colti in valli ombrose,
O 'n pianta cne rinverde e 1 crin rinnova,
O lungo il fresco ed umido soggioono.
O Grazie, voi che si F avete adomo,
E gli Amoretti che gli sono eguali,
Faccian vento colTali,
E gli augelletti risonar le sponde.
MADRIGALE VI.
In lode duna figUa di D. Gios^anna Zunka di Capua^
principessa di Conca, *
Come odorato mirto
Sorge con verdi fronde,
E benigne ha le stelle e Taure e Fonde,
Così nel casto seno
Cresci £ nobil madre,
Di care spoglie adorna e di leggiadre.
Pargoletta fanciulla,
Nutrita da Fortuna in fasce e 'n culla.
5S6 RIME EROICHE
BIADRIGALE YIL
A Pkiok, dove nacque VirgUio,
Tra queste piante ombrose
n gran Virgilio nacque,
E in riva a queste chiare e ludd* acque;
E y se vi spira il vento.
Par che la terra e *1 ciel fiicdan conoentc
E quasi da' bei rami ancor rimbomba
La sampogna e la tromba,
E vittoria il bd lago
E la selva risuona e 1 fiume vago.
MADRIGALE Vm.
NeW istesio soggetto.
Qual è questa ch^io sento
Dolcissima aimonia di verdi fronde,
D^aure, d^ augelli e d^ onde 7
Qual suono, o quale spirto
Fa cosk mormorar il lauro e '1 mirto?
Forse è quel di Virgilio, e 'n questi rami
Par ch'egli spiri e canti e viva ed ami,
Ch'i suoi pensieri han Palme
Pur vaghe di cantar vittorie e palme.
RIME EROICHE 557
MADRIGALE IX.
Invoca la protezione del prìncipe D, Fìncenzo di Mantova
presso il duca di Ferrara*
O nipote d'Augusto^;
Se pìetate è nel cielo o fra gli eroi^
Scaldi e commova ornai gli spirti tuoi y
Sì che la voce del tuo cor si spiegln
In si soavi preebi .
Che possano addolcire
Del mio irato signor gli sdegni e Tire,
Ey fornito il mio scempio,
Egli idol mio si faccia y io gli sia tempio.
MADMGALE X.
In lode di Vincenzo Giusti musico»
Mentre in voci canore
I vaghi spirti scioglie
Giusto, tempra in ciel Paure, in noi le voglie 3
Si placa Paura, e '1 vento
Placido mormorando
Risuona , e van. tuoni e procelle in bando :
Un intemo concento
N* accorda anco ne^ petti ,
E i membri acqueta da^ soverchi affetti j
E se pur desta amore.
Gli dà misura e norma
Col suon veloce e tardo, e quasi forma.
556 RIME EROICHE
MADRIGALE XL
/n lode del sig, Federigo Zuccheri^ c^gregio pitìan.
La bella tela eletta ,
In cui con dotta mano i color parti ^
Ed ombreggiata sol mille ocdii alletta ,
Mentre più vaga in queste e 'n quelle parti
Di bei color i avviva,
A chiunque più la mira
Rapisce con tal forza i sensi e. F alma^
Che già spira F iouigo , à pù non spint
Ferma il pennello; hai già d* ognun la palnu;
Pittor: che se più Fopra adomi o curi
Dando spirto aff imago, altrui lo furi.
MADRIGALE XIL
in morte di D, Marfjkerila Bentiifo^ Turchi
Non è questo un morire,
Immortai Margherita,
Ma un passar anzi tempo alT altra vita:
Né delT ignota via
Duol ti scolora o tema.
Ma la pietà per la partenza estrema.
Di noi pensosa e pia.
Di te lieta e sicura.
T'accomiati dal mondo, anima pura.
RIME SAGRE E MORALI
/
/
SONETTI
^ »
SONETTO I.
Implora Pasùsienia dtWarcangtìo 51 itìckeU.
yJ Michele, o divino angel beato ,
Prima luce del cielo e primo onore,
In cui sé stesso espresse il gran Fattore,
E dell^opra il pensier vide agguagliato;
Deh! volgi gli occhi al mio dolente stato,
E largo a me comparti il tuo favore,
E di periglio ornai trammi e d^ errore,
Ch^ a te 1 guardarmi e V aitarmi è dato.
A te commise Dio di me la cura:
Ed io consacro a te la mente e 1 petto,
A te giungo le palme ed ergo il volto.
Tu benigno gradisci il puro affetto,
E fa che sotto le tue ali accolto
Vita ne viva ognor lieta • sicura.
TTasso, FoL IF. 36
56a RIME SACRE
SONETTO U.
Im^KQ 5L Francesco f perchè lo ajud a npportare
I tuoi tormaUi.
Servo di Dio^ che ramor suo trafisse
Con quelle piaghe che '1 Figliuol sofferse
Quando di sangue il duro legno asperse ,
A cui pietà del nostro error T affisse;
Dal cielo, onde ten glorii e quasi fisse
Stelle le vedi fiammeggiar cosperse
Della luce di lui chMn te F aperse,
Rimira or me che la sua sferza afflisse.
Cojd duri a me sono ì suoi pungenti
Colpi, come a te fur dolci le piaghe,
Che Fune fur d^amor, gli altri son dMra.
Ma tu me gli addolcisci, e tu mMns^ira
Tanto dell' ardor tuo chMo me n'appaghe^
£ chiami in Dio felici i miei tormenti.
SONETTO III.
Dàlia glia prigùme ùwoca & Arma nel giorno
a lei consacrato.
Diva, a cui sacro è questo ostello e questa
Magion ch'agU egri dk si pio ricetto,
Odi miei preghi, e mira il puro affetto,
Ed al mio scampo vien' pietosa e presta;
E, fra la guerra intema e la tempesta
De' miei torbidi sensi, alFegro petto
Porta nel tuo dì sacro, in cui l'aspetto,
Lieta tranquillitate e pace onesta.
Portala, che puoi farlo, onde il mio zelo
In te raccenda , a te rischiari il canto ,
E i miei pensieri a te purghi e gP inchiostri
A te, di cui nipote è '1 Re del cielo,
Figlia la madre 3ua, ch'egli cotanto
Volle esaltar negU stellanti chiostri.
E MORALI 563
SONETTO IV.
A S. Francetco neW aito di; ricep§r le »UmaU.
Francesco , mentre ne' celesti giri
Tien' fissi gli occhi ^ il tuo Signor risguardi ,
E Fami e '1 brami e te nMnfiamml ed ardi^
E la sua morte e 1 nostro error sospiri;
Perchè, qual aura che perpetuo spiri,
Ti passa al cor F ardente spirto e i guardi
Acuti pur come saette o dardi,
E senti in te medesmo i suoi martiri.
Ma cosi dolce punge e dolce avvampa
Il tuo dolce Signor, ch'ogni diletto
À lato a que' tormenti amaro stime;
E prendi allor ( meraviglioso aflfetto ! )
Delle sue piaghe F amorosa stampa ,
Come salsi colui che 'n te Pimprìriie.
SONETTO V.
AUa Congregazione d^ Monaci di S. Benedetto.
Nobil porto del mondo e di fortuna,
Di sacri e dolci studi alta quiete,
Silenzj amici, e vaghe chiostre e liete.
Là dove è T óra e F ombra occulta e bruna;
Templi, ove a suon di squilla altri s'aduna.
Degni vie più d'ardii e teatri e mete.
In cui talor si sparge e 'n dui si miete
Quel che ne può nudrir Falma digiuna;
Usci di voi chi fra gli acuti scogli
Della nave di Pietro antica e carca
Tenne F alto governo in gran tempesta.
A voi , deposte l' arme e i feri orgogli ,
Venner gli Augusti; e 'n voi s'faa pace onesta,
Non pur sicura, e quindi al ciel si varca.
564 RIME SACR£
SONETTO VL
Ndh notti dd muoo Wt^aU,
in A mirabìl notte a 'mezzo il verno
* ly angelici concenti il ciel sereno
Sonare udissi, e «Talto affetto òr pieno
Par chMo gli ascolti col mio senso interno.
£ 1 celeste Figliuol del Padre etemo'
Si degnò diventar figlio terreno
Di mortai madre; e del suo nobil seno
Nacque in vii loco, e pur non Tebbe a schema
E questa notte Cristo anco rinasce
Fra r umiltà: chi gli appareccUa albergo
Degno di lui che portò pace al mondo?
Gliel dia T anima mia, ch^a lui sol tei^o
Fra questo e quel desir eh* in lei si pasce;
£ presepio gli sia, ma puro e mondo.
^ SONETTO VII.
SyOo $te$9o «oggetto a & OkwM.
In onesta sacra notte, in cui non osa
L alma spiar cagion sovra natura,
Dio si fece uomo, il gran Fattor fattura,
Servo il Signor fra gente aspra e ritrosa.
0 del celeste Re Vergine sposa,
Che, mentre in carne di mortai figura
Ce 1 rappresenti con pietosa cura,
Maria somigli santa e gloriosa;
£lla già il fece 9 ed ogni di tu formi
£ produci i suoi membri , ed io li veggio
Nel presepio , nel tempio e nella croce.
Né premer queste piume, or che non dormi;
Debbo ozioso e lento; e teco f cliieggio
Colla mente adorarlo e colla voce.
E MORALI 565
SONETTO Vili.
Buponde ad un sonetto della j%. Margherita Sarocchif
disprex%ando Ponor del mondo.
Luce, d^onor^ ch^ abbaglia e par ch^oflfenda
Mentre invaghisce e parte e fa ritorno^
Più non desìo che ^n questo uman soggiorno
Me con fako splendore illustre renda.
Ma, temendo che 'l,di s^ affretti e scenda
Precipitando I il mio pensier distorno;
E temo r altra morte e Y altro scorno , ^
E bramo far d^ogni mio fallo emenda.
Così talora al mondo anch'io mMnvolo,
E spargo per dolore un caldo fiume,
E coscienza il cor mi, punge ed unge.
Oh pur là dove splende etemo lume
Richiamar possa quel volgare stuolo,
Da cui te, donna, il tuo valor disgiunge!
SONETTO IX.
Alla santUsima Qroce nel venerdì Manto.
Croce del Figlio, in cui rimase estinta
L'ira del Padre e '1 nostro fallo immondo }
Croce, che sostenesti il degno pondo.
Di sangue prezioso aspersa e tinta ;
Per te fu Tempia reggia aperta e vinta,
E Palme tratte dalForror profondo.
Quando egli affisso trionfò del mondo, »
C'hala tua nobil forma in sé distinta.
Trofeo di spoglie gloriose e belle.
Segno d'alta vittoria, i segni eccelsi
Cedanti pur che fanno il cielo adomo j
ChMl Re de^ regi, il qual creò le stelle,
In te, che seco di portare io scucisi.
Vita la morte fa, gloria lo scorno.
5G6 RIME SACRE
SONETTO X.
A S. Gwttanni etHOigeUtta.
Uscito in guisa cT aquila volante
Dal chiarissimo tuon eh' alto rimbomba ^
Mirasti e 'n sulT occaso e *n sulla tomba
E di giustizia il Sol nel suo levante :
E la tua santa man del vero Amante
Lo spirto figurò quasi colomba ,
E quella voce qual sonora tromba
Che venne a preparar le strade avante;
E la gloria sul monte a noi descrìsse ,
E '1 monte e la sua cena e la colonna
E la corona e 1 sacro e fero legno.
Ma della grazia etema un picciol segno
Fu ciascun altro a queU'Amor che disse:
Ecco tua madre, ecco il tuo figlio, o donna.
SONETTO XI.
Contigua U Jt^. Ercole Forano ad abbandonar Pamore.
Mentre non anco è 1 porto a te spanto
Di questo Egeo, ch'Amor turba e raggira^
E piana è V onda , e U vento amico spira ^
Yaran, le vele accogli, e toma al lito;
Che se desio di nova preda ardito,
O dolce canto oltre t' alletta e tira ,
Vedrai di questo mar F orgoglio e Pira
Fra mille morti timido e smarrito.
Oh quante, ch^or nel sen placido asconde,
Fremer Cariddi allora e Scille udrai !
Né già mercè, cantando, ivi s'impetra.
Qual misero Arione anch'io la cetra
Ebbi nella tempesta, e, se cantai^
Non vidi al canto mio delfin^ tra Fonde.
E MORALI 567
SONETTO XII.
Alla sandsnma F^gine^ la quaU ndracolosanunU lo risanò
e quasi risuscitò in un punto.
Egro io languiva, e d^alto sonno avvinta
Ogni mia possa avea cT intorno al core;
E pien d^ orrido gelo e pien d^ ardore
Giacca con guancia di pallor dipinta:
Quando di luce incoronata e cìnta ,
E sfavillando del divino ardore,
Maria, pronta scendesti al mio dolore,
Perchè non fosse Talma oppressa e vinta.
E Benedetto fra que^ raggi e lampi
Vidi alla destra tua; nel sacro velo
Scolastica splendea dall'altra parte.
Or sacro questp core e queste carte,
Mentre più bella io ti contemplo in cielo,
Regina, a te che mi risani e scampi.
SONETTO XIII.
Al padre Francesco Panigarola, pregandolo nella sua infimutà
a tnandargU un sacerdote,
Francesco, inferma entro le membra inferme
Ho Palma,, e 1 tuo pavento e mio nemico.
Che pur di novo assale ài modo antico
Armato e forte me stanco ed inerme. .
Or clii da chiostre solitarie ed erme
Con mansueto spirto e con pudico
Mio ne verrà, ma più di Cristo amico*.
Ch'armi e forze mi dia più salde e ferme?
Tu nel gran rìschio, in cui gelata ho Palma,
Manda chi Pune accresca, e P altre porte,
Dalle tue schiere pronto al nostro scampo.
Che ben sai come incerto è questo campo
Di spiritai battaglia, ove con morte
Ha spesso il vincìtor corona e palma.
568 RIME ShJCRE
SONETTO XIV.
Prtga Iddio cfu gU mtotiri U Mouiero^ da ràonua^
ttua pntnn ctiftit*
Padre del ciel, or ch^atra nube il calle
Destro m' asconde , e vìe fallaci io stampo
Per questo paludoso instabil campo
Della terrena e lagrìmosa valle ,
Reggi i iQiei torti passi, ondMo non falle,
£ di tua santa grazia il dolce lampo
In me risplenda, e di securo scampo
Mostra il sentiero a cui voltai le spalle.
Deh! pria ch'il verno queste chiome asperga
Di bianca neve, o di si bfeve giorno
Copran tenebre eteme il debil lume,
Dammi chMo faccia al tuo cammin ritorno,
Quasi vestito di celesti piume.
Signore, e tu mi pasci e tu m* alberga.
SONETTO XV.
Deterùfe la sig. CUUa Famue ndPatto ch'dU rwoise
aivoiamente gli occhi al delo.
Rivolse Clelia sospirando al cielo
Gli occhi sereni, e, nel mutar sembiante,
Simigliar fiamme le bellezze sante
Sovra il nostro indurato e freddo gelo^
E parve dir con amoroso zelo :
Perchè più tardo peregrina errante
Di far a te ritorno, o primo Amante,
Lasciando il mio caduco e fragil velo? —
E co' sospiri e co' soavi detti
Quasi rapito fu lo spirto vago
Da quel terrestre nel celeste tempio.
Chi vide mai quaggiù più bella imago
Tf angelica beltà? più chiaro esempio
D'avere a scherno il mondo e i suoi diletti?
CANZONI
CANZONE I.
Alla santissima Croce nel venerdì santo.
jA.Iina inferma e dolente^
Che sì diverse cose intendi e miri^
La terra e Fonda e i bei celesti giri^
Ed or leone, or drago,
Or centauro di fiamme e d^ór lucente,
Or tauro, or orsa, or altra luce ardente,
E pur vaneggi d^una in altra imago;
Ne' bei celesti regni
Drizza a più certi segni
U tuo pensier, eh' è del tuo mal presago.
Oggi ch'indi riluce
Languido lume e lagrimosa luce.
Mira del Re superno,
Mira, alma peccatrice, alma pentita.
Il trofeo d'empia morte e di pia vita:
Il trofeo che risplende
Sovra quel foco e quel cristallo etemo;
U trofeo ch'ei drizzò del cieco Inferno.
Mira il trofeo sul monte ov' egli ascende ,
Mirai sparso di sangue;
Mira il Signor che langue
Nell'alta croce incoronato e pende.
Ora ch'il Sol- n'adduce
Languido lume e lagrimosa luce.
5jo R»IE SACRE
Oggi che piange il Sole,
Oggi eh il Cielo e il Mondo ampio e Natura
Piangono in veste tenebrosa e oscura^
Anima, chi non piange?
Chi non sospira e non si lagna e dole?
Anima, quai singulti o quai parole, .
Qual Etna di sospira quai Po, quai Gange '
Di lagrimoso umore
Bastano al suo dolore?
Qual cor di marmo, ahi! non si spetra e frange?
Ahi, ahi! clii più riduce
Languido lume e lagrìmosa luce?
Alma, al pensier rimbomba
Il sonoro martel co^ duri colpi,
Onde te stessa e il tuo peccato incolpi!
Odi com^ è trafitto
Quel che fu, come agnel, puro, e colomba!
Tu , cagion di sua croce e di sua tomba ,
Odil gemendo omai languido e afflitto
E sanguigno e spirante :
Odi pie voci e sante;
Odile, e di lor serba al cor lo scrìtto,
Ch^a morir seco induce
Languido lume e lagrìmosa luce.
Alma , seco moriamo ,
Seco in croce af&gendo i falli nostri,
Per tornar seco agli stellanti chiostri.
Alma, se non germoglia
O di cedro o dì palma il tronco o U ramo,
Come la croce a noi figli d'Adamo,
Il suo frutto, il suo fior, la verde foglia
Non è sembiante al germe
Di nostre anime inferme;
Ma grazia e merto avvien chMndi si coglia:
/
E MORALI 571
Di tal pianta il produce
Languido lume e lagrìmosa luce.
Questa . questa è la serpe
Che 'n loco s* innalzò selvaggio ed ermo^
Ond^ebbe già salute il volgo infermo:
Cosi dal legno sacro,
Che della nostra vita è viva sterpe,
Risana il mal che più si spande e serpe.
Deh! qual di puro sangue ampio lavacro,
Ànima, vuol cne lavi
Le tue colpe si gravi,
Oggi cIiMnsieme col mio duol consacro
Al glorioso duce
Languido lume e lagrìmosa iuce 7
Deh ! quanto il fallo abbonda
Oggi ch'il pianto nostro è troppo scarso!
Ma che? Pietà s^ avanza, e il sangue è sparso!
Ahi! cor, che non ti stampi
Tutto di quelle piaghe? e in vece d'onda
n sangue fia che di sua grazia inonda.
Ahi! cor, perchè non t'apri e non avvampi?
Almen, quante le stille.
Tante sian le faville
Che fan là croce al mio pensiero e i lampi,
Mentre .ch^a lui traluce
Languido lume e lagrìmosa luce.
Poggiam là Ve conduce
Languido lume e lagrìmosa luce.
5;! RIME SkCXE
CANZONE n.
Pel batledmo del $econdogemto del duea di M€nUov€U
Quai figure ^ quali ombre antiche ^ o s^;m ,
Quali imagìni vide ardenti e belle
n Gentile o F Ebreo tra fiamme e lampi ,
Qnai promesse celesti a^ lieti regni
Fatte son ne^ cerulei e largiti campi ^
0 voi che rimirate in cid le stelle^
E predicete i nembi e le procelle ,
Come questi chMo veggio
Compartir tante grazie? e grazie io chi^^gìo
D^ antico error, di vecchio mal novelle
Sul Mincio ov^ora T seggio ^
Ora che si rifì di spirto e d^ acque
n fandul che soggetto a morte nacque
Nel suo terreno stato, e, comMo scemo,
Già rinasce immortale al regno etemo.
All'alta luce, che rischiara e splende,
Infermo è F occhio umano, e frale il guardo,
E per soverchio di splendor i adombra ,
Come d'aquila ei sia ch^in alto intende;
Che di giustizia il Sol disperde e sgombra
Quanto ebbe di fallace e di bugiardo
Secol antico, al- ver dubbioso e tardo:
Qfiesta luce ne illustri.
Ascosa già tant'anni e tanti lustri,
Ch^ogni altro lume è oscuro, e, sUo ben guardo,
Non fa le menti illustri.
Ma qual re dell^ Occaso, o qual guerriero
Per lui promette nel celeste impero.
Che soma (or eh* egli è volto all'Occidente)
Ben tre volte Satan ancor possente?
E MORALI 573
Chi ^1 volge all' Occidente y in del mirando
Quella serena parte onaesce il giorno?
O qual sacrata man tre volte il segna ,
Tre volte Fange, onda il Signor lottando
Rassembrì; e 'uvitto lottator divegna^
Talché il nemico invan gli giri intomQ
Nelle terrene latte, e n'abbia scorno,
Ove più fero assale,
E vinta miri ogni sua possa e frale ,
£ coronato il vincitor adomo
Di corona immortale? ^
£ chi tre volte poi , segnato in fronte ,
Il sommerge nel chiaro e sacro fonte,
Perdi' egli muoja , e con Gesù risorga ,
£ l'alta gloria sua vicino ei scovffLÌ
In cosi periglioso e fero assalto,
In cui s' accampa P avversario antico
Con mill'arti, mill'armi e mille inganni,
Vesta ardito fanciul virtù dall'alto.
Fede, speme ed amor, di pace amico
£ di costanza in superar gli affanni,
£ sprezzator del mondo e de' suoi danni:
Arme dal ciel discese
Alla stirpe real, per alte imprese,
Perchè faccia spiegar gli alteri vanni
Nelle giuste contese 3
Ne pareggi con lor gigante ignudo
De' nipoti d'Enea dipinto scudo.
Né quel cli^^ Roma antica accobe in grembo ,
Quasi caduto da celeste nembo:
Né s'altri giammai furo onde si vante
Famoso duce, e 'n lor tutto sfaville
n magnanimo cor di santo zelo:
Ceda chi porse aita al vecchio Atlante,
574 KUfE SACRE
Cooie fa detto , in sostener ti cielo y
Non che Teseo e 1 compagno o ì fero Achilie.
Frattanto al viver sno Fore tranquille
Siano j e i giorni felici j
E benigne le stelle^ e i cieli amidi
£ la grazia divina in lui si stille,
Qual pioggia in colli aprici j
E di sua chiara luce il dolce raggio
Alto di gire al del calle o viaggio
Segni e dimostri, e 1 desti, e scorga il passo
Per le sublimi vie non tardo o lasso.
Tra bella e sacra pompa
Movi or, movi, canzon, lodando al tempio,
E di\* Basta la fede al novo esempio,
Mentra io prego, e con voi pregando adoro,
Bench^io parie non sia del vostro cotx>.
CANZONE m.
Alla beatissima F'crgine di Loreto, Tanta devozione
inspùò al Tasso il santuario di Loreto ^ e talpen^
timenio de* suoi gfovenili errori^ cVegU dettò que-
sta sublime canzone, dalla quale apparisce non
pure la sua molta pietà , ma anche il proponi-
mento eh* ei fece di non più esercitar la sua penna
SPI materie profane.
Ecco, fra le tempeste e i fieri venti
Di questo grande e spazioso nflire,
O santa Stella , il tuo splendor m^ ha scorto ,
Che illustra e scalda pur Y umane menti ,
Ove il tuo lume scintillando appare,
E porge al dubbio cor dolce conforto
In terribil procella ov^ altri è morto,
E MORAlLI 575
E dimostra co^ raggi
I securì viaggi,
E Questo lido e quello ^ e 1 polo e 'i porto
Della vita mortai ck^a pena varca ^
Anzi sovente affonda
In mezzo Tonda — alma gravosa e carca.
Il tuo splendor m^afBda^ o chiara Stella}
Stella^ onde nacque la serena luce;
Luce di non creato e sommo Sole;
Sol che non seppe occaso, e me rappelia
Teco (ja^ lunghi errori, e mi conduce
Air alta rupe ov'in marmorea mole
L^umil tua casa il mondo onora e cole.
Grave di colpe e d^onte^
Già veggio il sacro monte,
Talché del peso ancor Palma si dole,
E sotto doppio incarco è tarda e lenta ^
Né contra il cielo imporre
Superba torre — a^ P^gg^ ardisce o tenta.
Quanti diversi monti, e quale altezza
Di saper vano e di possanza inferma
Soglion pur invaghir i folli e gli empi!
Anima vaga, al precipizio avvezza
Angelico ed umano, or ti conferma
Con questi più sicuri e sand esempi;
Qui va piangendo i tuoi passati tempi,
Quando con fragil possa
Pensavi Olimpo ed Ossa,
E di lagrime pie lo cor adempi:
Di virtute in virtù sublime ed alta
Più che di colle in colle
Via qui n^ estolle,. — e T umiltà n'esalta.
Qui gli Angeli innalzaro il santo albergo
Che già Maria col saiito Figlio accolse,
576 EDIE SACRE
E 1 port&r sovra i nembi e sovra Tacque.
Mìracol grande! a cui sollevo ed ergo
La mente, eh* altro ohbietto a terra volse ^
Mentre da' suoi pensier oppressa giacque.
Questo è quel monte ch'onorar ti f»acque
Delle tue sante mura.
Vergine casta e pura
Anzi il tuo parto^ e poscia^ e quando ei nacque,
Perchè Atlante gP invidi y avendo a scorno
Suoi favolosi pregi 9
Del Re de' regi — e tuo Fumil soggiorno.
O voi, chMn altra età le piagge apriche
£ i più gelidi monti e i salsi lidi
Peregrini cercaste, e '1 mar profondo ,
Colossi ed altre maravigUe antiche;
Onde la fama avrà perpetui gridi,
Sepolcri e mura aUor non ebbe il moudo;
Né miracolo primo, ower secondo
A questo ch^io rimiro.
Parte fra me sospiro,
£ di lagrime appena il viso inondo.
Qudle fur d' uom superbo , opre son queste,
Ov'io fisso le ciglia
Per maraviglia, — 'd^ umiltà celeste.
Felici monti, onde la viva pietra
Sì rozza fu recisa , e questi ancora
Ov'il marmo di fuor la cinge e copre,
Perchè tal grazia ella dal Cielo impetra,
Anzi da lei, che tutto il Cielo onora,
Mentre la sua pietà rivela e scopre,
G han via men pregio i magisteri e 1 opre
Di Fidia, o di chi mova
La mano ardita a prova,
E, dando vita al sasso, il ferro adopre;
E MORALI 577
E felice il color ^ lo stile e farle
Del beato pittore x
Ck^ umilia il core — e move interna parte.
E tragge a rimirar la santa imago
Dall' estremo Occidente a stuolo a stuolo
Peregrinando con tranquilla oliva
Quei che dianzi bevean Flbero e '1 Tago,
E da' regni soggetti al freddo polo
Di là dalT Istro y e da più algente riva :
E mille voti alla celeste Diva,
Che scaccia i nostri mali,
Solvou gli egri mortali,
Il cui pregar per grazia al cielo arriva:
E i magnanimi duci a Dio più cari
Offrono argento ed auro,
Sacro tesauro, — a' tuoi devoti altari,
Quinci di ricchi doni intorno splende
E di spoglie ritolte a morte avara
U tempio, e di trofei del vinto Inferno.
Gregorio ancor più adomo e bello il rende ,
Mentre la sua virtute in ciel prepara '
Alla sua gloria eterna un seggio etemo:
Gregorio, a cui già die Fallo governo
Della nave ch'ei regge,
E delle fide gregge,
E le chiavi del cielo il Re superno;
Gregorio e buono e grande e saggio e santo,
Qual vide antica Roma
Colla gran soma — già del grave manto.
Ma tu, che vedi sovra i monti in terra
L'immagine esfaltata. e te sublime
Sovra ogni altezza de' celesti Cori,
Reggi la penna che vaneggia ed erra,
E prendi in grado le cangiate rime:
Tasso, FoL IF. 37
1
578 RIME SACRE
E non sdegnare, ove talor t* onori
n tardo stile, chMo nel cor Cadoii^
Perch^ oda in altii modi
Le tue divine lodi,
E d'angelici spirti i ^anti onori 5
Né manchi il snon, come agli accenti nostri,
All'eterna armonia
In dir Maria — negli stellanti chiostri.
Vergine, se con labbra ancora immonde,
E di mele e d' assenzio infuse e sparse y
Di lodare il tuo nome indegno io sono,
Di canto in vece il pianto io chiedo e Fonde
Dell'amorose lagrime non scarse.
Caro della tua grazia e santo dono,
Che sovente impetrò pace e perdono.
Vagliami lagrimando
Quel ch'io sperai cantando 3
Vagliami de' lamenti il mesto suono:
Vedi che fra' peccati e^ro rimango,
Qual destrier che si volve
Nell'alta polve — o nel tenace fango.
O Regina del ciel, vergine e madre.
Col mio pianto mi purga,
Si eh' io per te risurga
Dal fondo di mie colpe oscure ed adre^
E saglia ove tua gloria alfin rimiri
D'esto limo terreno
Su nel sereno — de' lucenti giri.
* —,
E MORALI 579
CANZONE IV.
Sopra la Cappèlla del Presepio fatta costruire
da papa Sisto V in S, Maria Maggiore.
Mira devotamente, alma pentita ,
Un tempio augusto e grande,
£ le nove opre in lui del novo Sisto,
Che d^ogni parte a contemplar nMnvita,
Ove il Sol raggi spande,
Ed egli le sue grazie, anzi di Cristo
Cli^oggi è nato, oggi apparso ed oggi è visto,
Divina imago dMnvisibil padre
Che seco fece e col suo spirto il mondo.
Quel ch^ apparse a Mosè, qual viva fiamma
Che luce e non infiamma;
Quel ch'Egitto percosse, e 'n mar profondo
Aperse a' fidi il passo / e V empie squadre
Lasciò sommerse al fondo 3
Quel d'eserciti Dio che dona e toglie
^ Le vittorie e le spoglie 3
Quel Re di gloria e Re del ciel superno
Oggi si mostra qui nel Figlio etemo.
E con divinità mirabil' tempre
Inumanità contesta
Unisce, e quel ch'appare, o cela a' sensi,
Solo egli sa comMl congiunga e '1 tempre:
Ma '1 volo han corto a questa
Opra sublime i miei pensieri accensi,
Od altra mente ch'invaghisca e pensi,
Mentre maravigliando a' santi gin
Piena di riverenza e di spavento
Vinta natura si conosce e vede
Wo RIME SACRE
Dair animosa fede
Coir ingegno immortai che meno è lento :
E qual cristallo in cui non passi o spili
O pioggia od aura o vento ^
Tal a quel raggio sol d' etemo amore
S'apre il virgineo fiore j
E perchè arroge al mondo empio e protervo^
Vergine è madre, e U Re somiglia il servo.
Pensiero j aperto è il cielo , e mille e mille
Corone e fiamme e lampi
D^angeUco splendor Than fatto adorno;
Ma dalle parti lucide e tranquìUe
Di que^ celesti campi
Sparsi d^on bel candor che vince il giorno ^
E da quell^ armonia che gira intomo ,
La rozza turba a contemplare inchina^
Desta alla nova luce e desta al canto;
E queir umile albergo ov' è nascosa
Già nella notte ombrosa ,
Che stende riverente il sacro manto,
Degli angeli e del cielo alta Regina,
Col Vecchiarello a canto;
E 1 parto adora , che promesso fue ,
Tra r asinelio e ì bue;
E vedrai , dove un loco angusto il serra ,
Miracolo a^ celesti eguale in terra:
O maggior, come credo; e veggio, o parmi,
Ch^ogni divina mente,
Ogni sfera celeste ancor F onori,
Per lui deposte già T insegne e Farmi
Nell^ ultimo Oriente
E nell^ avversa parte, e queti i cori
Che di Marte accendean fiamme e furori.
E non è sol fra se la terra amica,
^
E MORALI 58 (
Serrando a Giano favoloso il tempio j
Ma fra la terra e 1 cielo è stabil pace ^
Nato uomo e Dio verace ,
Che^ offrendo sé medesmo al fero scempio^
Sosterrà pena sol di colpa antica ^
E può domar quell^ empio
Ch ordì per nostra morte il primo inganno,
Fatto di noi tiranno,
E, qual trofeo lasciando il preso incarco,
Aprir del Cielo e d'Acheronte il varco.
Già divien muto Apollo, e T antro e Tonde,
E gli Dei falsi e vani ,
La cui morte nel canto egli predisse;
Né Dafne nella quercia altrui risponde
Più con accenti umani.
Ma quel fine ha lo spirto, ond^ella visse,
Ch^agli idoli superbi il Ciel prescrìsse ;
E giace Amón nella deserta arena.
Ove tempesta face Austro spirando,
Pur come soglia in procelloso Egeo;
Co^ tempj di Mitréo
Giace il gran carro; ove legò domando
Berecintia i leoni, or non gK affrena;
Giacciono o sono in bando
I Coribanti ancor di Creta e d^Ida
Che rimbombò di strìda ;
£ dagli altari suoi dolente fugge
Api ed Anubi, e più non latra o mugge.
E '1 vero ch'adombrar le prìme carte,
Sparge luce novella.
Luce eh' è luce dell' etema luce.
Correte, o genti, da lontana parte
, Colla serena stella
Ch'a ritrovare il Signor vostro è duce;
58a RIME SACRE
Ed oflfrìle co^ regi^ a cui riluce,
Come a Dio, come a re che il fine attende ,
Mirra odorata, e ^nsieme incenso ed oro;
Co^ pastori il lodate, e U vostro affetto
Non vinca un rozzo petto;
E con gli angeli fate i balli e ^1 coro,
E con qual mente più sMllustra e 'ntende,
Coronate fra loro:
Ch'alle schiere celesti, alle terrene
Egual gioja conviene:
E d* uom , ch^ è vero Dìo , ¥ amore e 1 zelo
Oggi esalta la terra, umilia il Cielo.
Sisto, la nostra mente al ciel solleva
Colle imagini sante e i sensi etemi
Purgati , e V alma dal terreno e grave
Desta al maraviglioso ed alto suono;
Però quasi umil dono
T'offre canzone il core, e spera e pavé,
Ed invaghisce di que' Cori etemi
Air armonia soave ;
Anzi sé stesso pur gli sacra, e molce
Al suon canoro e dolce,
Poi ch'odori non ho ch'io sparga o incenda,
O statue o spoglie d'or ch'ai tempio appenda.
E MORALI 583
CANZONE V.
Parafrasi dcUinno Stabat Mater ec.
Stava appresso la croce
La Madre lagrimosa,
Mentre il Figliuol pendea sulF aspro monte:
E con querula voce^
Dolente e sospirosa ,
Mirava il fianco e la sanguigna fronte ^
Gr indegni oltraggi e Fonte,
E V aspre piaghe e U sangue
Del suo caro Figliuolo;
E le trafisse il duolo
U anima, che s^ affligge e plora e langue.
Oh quanto è afflitta Madre,
Con guance umide ed adre !
NeV' lamenti e nel lutto
Parea tremula canna,
Mirando del Figliuol T acerbe pene.
Chi terna '1 volto asciutto
Nel dolor che F affanna^
O nella morte ch^ ei per noi sostiene 7
Chi nel suo duol s^ astiene
Da lagrime e sospiri
Là dove Maria piange,
E Gesù muore , e i ange ,
E soffre , anzi la morte , aspri martiri ?
DoY^ ella sparge il pianto ,
Ei versa il sangue intanto.
Vide, vide Maria
n Figliuol ne^ tormenti, «
Tutto di sangue e di sudor vermiglio 3
/
584 lUME SACRE
Vide la Madre pia^
Per colpa d^ empie genti ^
Lacero , sconsolato e morto il Figlio ,
(]on tenebroso ciglio;
Udì con quai parole
Bende lo spirto al Gelo:
Parte squarciossi il velo y
Tremò la terra ^ impallidissi il Sole^
E 'n tenebre notturne
S^aprìr sepolcri ed urpe.
Madre, fonte d'amore,
Ove ogni odio s'ammorza,
Che su dal ciel tanta dolcezza stille,
Fa chMo del tuo dolore
Senta nel cor la forza.
Le bgrime spargendo a mille a mille;
Fa ch'in chiare faville
Tutto il mio cor si sfaccia,
E per amor si stempre,
Lm solo amando e sempre:
Pur eh' il mio foco a lui rìsplenda e piaccia ,
Figi neU' alma vaga
Ogni sua dolce piaga.
Del tuo Figliuol piagato.
Che morir per me volse.
Parti meco ogni pena, ogni ferita;
Fa ch'io non sembri ingrato
A lui che mi disciolse
Dalla catena da Satan ordita :
Mentre avrò ^irto e vita,
Fa^ ch'il duol sia verace,
E '1 mio pianto sia vero.
Perch'io di cor sincero
Sia teco appo la croce, e tuo seguace;
E MORALI 585
E fa ch^io t^ accompagni ,
Maria, dove ti lagni.
Fra vergini più chiare ,
O chiarissima lampa,
Maria , sii , prego , a me pietosa e dolce !
Delle sue piaghe amare
La dolcissima stampa
M^ imprima il Re che 1 ciel col ciglio folce;
E '1 duol che m*ange e molce,
D^ amore ebro ed acceso ^
E la sua stessa morte
In me soffra e comporte
Nel giorno estremo alfin da te difeso;
E mi sia guardia e scampo
La Croce in duro campo.
Canzon mia, perchè muoja il corpo infermo,
Si doni il cielo all'alma,
E gloria etema e palma.
SCIOLTI
Descrive la Ferace ^ e le paragona GesU Cristo,
m
Dio, fra gli altri dipinti e vaghi augelli.
Quel dì che prima dispiegar le penne
Per P aria vaga al suon delT alta* voce ,
Fé' la fenice ancor, come si narra,
L' immortai rinascente unico augello,
Se pur degna di fede è vecchia fama :
E in si mutabil forma il Padre etemo
Figurar volle, quasi in raro esempio,
L'immortale e rinato unico figlio
Che rinascer dovea, come prescrisse
I
586 RIME SACRE
Quando ei ne generò F eterno parto.
Loco è nel più remoto ultimo clima
Dell'odoralo e lucido Oriente ^
Là dove F aurea porta al ciel disserra
Uscendo il Sol che porta in fronte il verno :
Né questo loco è già vicino alFOrto
Estivo ; o pur air Orto ove si mostra
U Sol cinto dì nubi a mezzo il verno;
Ma solo a quello ond^ ei n^ appare ed esce
Quando i eiomi e le notti insieme agguaglia.
Ivi si stende negli aperti campi
Un larghissimo pian^ né valle o poggio
In queir ampiezza sua declina o sorge;
Ma quel loco è creduto alzare al cielo
Sovra i nostri famosi orridi monti
Sei volte e sei la verde ombrosa fronte:
E quivi senza luce al Sole é sacra
Opaca selva ^ e con perpetuo onové^
Di non caduche fronde è verde il bosco
Che r ondoso Ocean circonda intomo.
E quando delf incendio i segni adusti
Nel ciel lasciò^ nel carreggiar, Fetonte,
Sicuro il loco fu da quelle fiamme ;
E quando giacque in gran diluvio il mondo
Sommerso , ei superò F orribili acque.
Né giungon quivi mai pallidi morbi,
O pur F egra vecchiezza , o F empia morte ,
Non cupidigia, o fame infeme d^oro>,
Non scellerata colpa, o fero Marte,
O pur insano amor di morte iniqua^
"Sono F ire lontane , e '1 duolo « e 1 lutto ,
E povertà d^ orridi panni involta,
E 1 mal desti pensieri, e le pungenti
Spinose cure^ e la penuria angusta:
E MORALI 587
Quivi tempesta ; o di turbato vento
Orrida forza il suo furor non mostra '^
Ne sovra i campi mai F oscure nubi
Stendono il negro e tenebroso velo^
Né d^alto cade impetuosa pioggia}
Ma in mezzo mormorando un vivo fonte
Lucido sorge e trasparente e puro^
E d^ acque dolci e cristalline abbonda^
E ciascun mese egli si versa e spande,
Talché dodici volte il bosco irriga:
Quivi alza rami da sublime tronco
Arbor 'frondoso , e non caduchi e dolci
Pendono i pomi fra le verdi fronde.
Tra queste piante- e in quella selva alberga
Appresso il fonte Punica Fenice ,
Che dalla morte sua rinasce e vive y
Augello eguale alle celesti forme ,
Che vivace le stelle adegua^ e '1 tempo
Consuma e vince con rifatte membra.
E, come sia del Sol gradita ancella^
Ha questo da natura officio e dono,
Che^ quando in cielo ad apparir comincia
Sparsa di rose la novella aurora, '
E dal ciel caccia le minute stelle,
Egli tre volte e quattro in mezzo alf acque
Sommerge il corpo, e pur tre volte e quattro
Liba ^del dolce umor del vivo gorgoj
Poscia a volo s^ innalza , e siede in cima
Deir arbore frondosa', e quinci intorno
La selva tutta signoreggia e mira :
Ed al nascer del Sol ivi converso.
Del Sol già nato aspetta i raggi e il lume}
Ma poiché Paura m quel lucido auro
Onde fiammeggia il Sol, risplcnde e spira,
588 RIME SACRE
A sparger già comincia in dolci
U sacro canto, e la novella luce
Colla mirabil voce affretta e chiama ,
A cui voce di Cinto, o di Parnaso
Dolce armoma non si pareggia in parte y
Né di Mercurio la canora cetra
L'assembra, né morendo il bianco cigno.
Ma, iM)i che Febo del celeste Olimpo
Trascorse i luminosi aperti campi,
£ per queir ampio cerchio intomo é vòlto j
Egli, tre volte ripercosse al petto
L'ali d'oro e dipinte, al Sole applaude
Con non errante suon la notte e '1 giorno}
Ed il medesmo ancor parte e distingue
L'ore veloci, e, quell'accesa fronte
Venerata tre volte, alfin si tace.
Pur, come sia del sacro oscuro bosco
E di quei tenebrosi ed alti orrori
Sacerdote solingo, a lui son conti
I secreti del Cielo e di natura,
Però di riverenza e d'onor degno.
Ma poi fomiti cento e cento lustri,
Nella vetusta età più grave e tarda.
Egli , che già passare a volo i nembi
Poteva e le sonore alte procelle.
Per rinnovar la stanca vita e '1 tempo.
Chiuso e ristretto pur da spazj angusti ^
Fugge del bosco usato il dolce albergo,
E , di rinascer vago , i lochi sacri
Addietro lascia, e vola al nostro mondo,
Ove ha i suoi regni la importuna morte:
E già drizza inveccliiato il lento volo
In quella di Soria famosa parte
A cui diede egti di Fenice il nome;
E MORALI 589
£ di selve diserte ivi ricerca
Per non calcate vie secreta stanza ,
£ si ricovra neir occulto bosco :
£d allor coglie delF aereo giogo
Forte palma sublime, a cui pur anco
Comparte di Fenice il caro nome,
Cui romper non potria con fieri denti
Serpe squamosa , o pur augel rapace ,
Od altra ingiuriosa orrida belva;
£ chiusi allor nelle spelonche i venti
Taccion fra cavernosi orridi chiostri,
Per non turbar co' lor torbidi spirti
Del bel aer purpureo il dolce aspetto ;
Né condensato turbo i vani campi
Del ciel ricopre , ed al felice augello
Toglie la vista de^ soavi raggi.
Quinci il nido si fa, sia nido o tomba
Quello in cui pere, acciò rinasca e viva
U augel eh' è ai sé stesso e padre e figlio ,
£ sé medesmo egli produce e crea.
Quinci raccoglie dalla ricca selva
I dolci succhi e' più soavi odori
Che scelga il Tino , V Arabo felice ,
O 1 Pigmeo favoloso , o Y Indo adusto ,
O che produca pur nel molle grembo
De^ Sabéi fortunati aprica terra;
£ quinci Taura di spirante amomo
Colle sue canne il balsamo raguna;
Né cassia manca , o ¥ odorato acanto ,
Né deir incenso lagrìmose stille;
£ di tenero nardo i novi germi,
£ di mirra v'aggiunge i cari paschi.
Quando repente il varìabil corpo
£ le già quete membra alloga e posa
5go &IME SACRE
Nd vilal letto del felice nido,
E nel fako sepolcro ardente lume
Al suo nascer prepara anzi la morte.
Sparge poi colla bocca i dolci succhi
Intorno I e sovra alle sue proprie membra
Ivi r esequie sue si fa morendo:
£ debol già con lusinghieri accenti
Saluta il Sole, anzi T adora e placa,
E mesce umil pregliiera all'umil canto,
Chiedendo i cari incendj , onde risorga
Col novo acquisto di perduta forza.
Fra varj odori poi Palma spirante
Raccomanda al sepolcro, e non paventa
L* ardita fede di si caro pegno.
Parte di vital morte il corpo estinto
S^ accende, e Fardor suo fiamme produce^
E del lume lontan concepe il foco,
Ond'egli ferve oltra misura e flagra,
Lieto del suo morir, perchè veloce
Al rinascer di novo egli s^ affretta.
Splende quasi di stelle ardente il rogo,
E consuma il già lasso e pigro veglio;
hsi luna il ccfrso suo raffrena e tarda;
E par che tema in quel mirabil parto
Natura faticosa e stanca madre.
Che non si perda T immortale augello,
Ma di gemina vita in mezzo il foco
Posto il dubbio confin distingue e parte.
Nelle ceneri aduste alfin converso.
Le sue ceneri accolte egli raduna
In massa condensale; e quasi in vece
È r occulta virtù d^otenio seme.
E quinci prima F animai rinasce,
E in forma d^uovo si raccoglie in giro;
E MORALI 591
Poi si riforma nel prìmier sembiante ^
E dalle nove sue squarciate spoglie
Alfin germoglia F immortai Fenice.
Gik la rozza fanciulla a poco a poco
Si comincia a vestir di vaga piuma j
Qual farfalla talvolta a^ sassi avvinta
Con debil filo suót cangiar le penne.
Ma non ha per lei cibo il nostro mondo ^
Né di nutrirla alcun si può dar vanto;
Ma celes^ rugiade intanto liba
Dall^ auree stelle e dalP argentea luna,
Cadute in cristallina e dolce pioggia.
Queste raccoglie j e fra ben mille odori ,
Sin che dimostri il suo maturo aspetto
Nelle cresciute membra, indi si pasce;
Ma quando giovinetta omai fiorisce,
Fa, volando, ritomo al primo albergo:
E quel disavanza del suo corpo estinto
E dell'aduste e incenerite spoglie
Unge di caro ed odorato stìcco,
In cui balsamo solve, incenso e mirra;
E con pietosa bocca indi. V informa ,
E tondo il fa, siccome palla o sfera,
E, portandol co' piedi, al lucido Orto
Si rivolge del sole, e U volo affretta,
E r accompagna innumerabil turba
D'augei sospesi, e lunga squadra e densa,
Anzi esercito grande intomo intomo
Fa quasi nube , e ^1 volator circonda :
Ne di tanti guerrierì alcuno ardisce
Al peregrino duce andar incontra.
Ma deir ardente 1^ le strade adora.
Non il fero falcone ardita guerra
Gli move, o quel che i fólgori tonanti
Sgs RIME SACRE
(Come è favola antica) al ciel ministra.
Qoal le sue barbaresche orride torme
Scorgea dal fiume Tigre il re de' Parti,
Di preziose gemme e d^ aurea pompa
Altero y e di corona il crine adomo ,
Purpureo il manto, ch^è dijHnto e sparso
DalTago di Sona d^ perle e d^oro,
£ col fren d^oro al suo destrier spumante
Regger soleva il polveroso corso
Per le città d^ Assiria alto e superbo,
Ov'ebbe fortunato ed ampio impero;
Tale ancor va maraviglioso in vista
Uaugel rinato, e con reale onore
£ real portamento i vanni spiega.
Il color è purpureo, onde somiglia
n papavero lento, allor che al cielo
Le sue spoglie spai^endo al Sol ross^gia:
Di questo quasi velo a lui risplende
U colio, la cervice, il capo e U tergo.
Sporge la coda, che di lucid^oro
Rassembra, e d'ostro è poi macchiata e tinta.
Nelle sue penne ancora orna e dipinge.
Pur come in rugiadosa e curva nube,
JJbtco celeste: in lui si varia o mesce
Verdeggiante smeraldo a' bei vermigli
£d agli altri cerulei e bianchi fiorì.
Ha due grand' ocelli eguali a due giacinti^
£ riluce da lor vivace fiamma ;
£ pur gemma somiglia il rostro adunco.
La testa gli circonda egual corona,
Ck)me la cinge al Sol co' raggi ardenti.
Son le gambe squamose, e d^ór distinte
L^ unghie rosate, e la sua forma illustre
Fra quella del pavon mista somiglia
E MORALI 593
E delFaugel chMn riva al .Fasi annida.
Grande è cosi , che a pena augello o fera
Nata in Arabia sua grandezza agguaglia^
Pur non è tarda, ma veloce e pronta,
E con reale onor nel ratto volo
La regia maestate altrui dimostra. .
Del verde Egitto una cittade antica
Ne' secoli prìmieri al Sol fu sacra :
Quivi scorger solea famoso tempio
Di ben cento colonne altiere e grandi,
Già svelte dal tebano orrido monte;
E quivi, come è fama, il ricco fascio
Ripor solea sovra i fumanti altari,
E ^1 caro peso, destinato al foco.
Alle fiamme credea tre volte e quattro.
Adorando del Sol T ardente imago.
Fiammeggia il seme acceso, e '1 sacro fumo
Con odorate nubi ondeggia e spira,
Tal ch'egli aggiunge agli stagnanti campi
Di Pelusio, e, spargendo odori intorno,
Di sé riempie gli Etiopi e gl'Indi.
Maravigliando alla mirabil vista,
Tragge l'Egitto, e '1 pellegrino augello
Lieto saluta, e festeggiando onora:
Bepente è la sua forma in sacri marmi
Scolpita, e in lor segnato è '1 nome e '1 giorno,
O fortunato, o di te padre e figlio.
Felice augello, e di te stesso erede,
Nutrito e nutritor, cui non distingue
Il vario sesso, e lunga età vetusta
Non m^nda , come gli altri , al fine estremo !
Né Venere corrompe il suo diletto,
Non cangia indebolito, e invan dissolve;
Lui di Venere in vece é lieta morte,
Ta»so, Voi IV. • 38
Sgi RIME SACRE
Onde rinasci poi Pistesso ed altri ,
E colla morte immortal vita acquisti.
Tu y poiché la vecchiezza i mari e i monti
Cangiato ha qaasi e variato il mondo ,
Perpetuo ti conservii e quasi etemo,
A te medesmo ognor pari e sembiante;
E tu sei pur del raggirar de? tempi ,
E de^ secoli tanti in lui trascorà,
Di tante cose e di tante opre illustri ^
Sol testimonio , o fortunato augello :
E felice vie più, perchè a noi mostra
Quasi in figura di colori e d*auro
U unico Figlio del suo Padre Iddio,
Dio come è M Padre, a lui sembiante e pari :
E la natura col tuo raro esempio
Insegna pur alF animosa mente
( S^ ella dubita mai ) com^ei risoi^
Dalla sua morte e dal sepolcro etemo;
E benché nostra pura e nvitta fede
Abbia lume più chiaro, onde cMllustrì,
Te non disprezza, e con perpetuo onore
n tuo bel nome al tuo Faltor consacra,
Gh^é sommo Sole, ond^ ha sua luce il Sola
E MORALI 5g5.
OTTAVE
Lagrime di Maria Vergine.
Piangete di Maria Tamaro pianto,
Che difiUUò dagli occhi alto dolore,
.Alme y vestite ancor di fragil manto ,
In lagrime lavando il vostro errore:
Piangete meco in lacrimoso canto
L* aspro martir che Te -trafisse il core
Tre volte e quattro , e ciò cli'allor soflerse,
Sentite or voi; della sua grazia asperse.
Chiaro Sol, che rotando esci del Gange ,
. D'alta corona di bei raggi adorno,
Piangi dolente or con Maria che piange,
E piovoso ne porta e scuro il giorno.
Tu piangi il duol che la scolora ed' aoge,
O Luna , cinta di procelle intomo :
E voi spargete ancor di pianto un nembo,
Pallide Stelle, all'ampia terra in grembo.
Colla Madre di Dio tu piangi, o madre
De^ miseri mortali, egra Natura;
E Fopre tue più belle e più leggiadre
Piafìgan teco , gemendo in vista oscura :
Piangan le notti tenebrose ed adre
Oltre Fusate: e quei chMl sasso indura,
E U vento e U gelo inaspra, orridi monti,
Spargano lagrimosi e larglù fonti.
E corra al mesto suon de' nostri carmi
Lagrime il mar cJalT una all' altra sponda :
E, perch'io possa appieno al ciel lagnarmi.
Sia lutto e duol quanto la terra innonda.
Piangan colle pitture a prova i aiarmi,
/
5^ RIME SACRE
Del cor men duri ove 1 peccato abbonda y
E Popre (Tarte muta^ alte colonne j
Sembrin le statue lagrìmose donne.
Tu^ Regina del ciel, ch^a noi ti mostri
Umida i lumi e Tuna e P altra gota.
Fa di lagrime dono agli occhi nostri, ^
Ed ambe Fumé in lor trasfondi e vóta^
Perchè^ piangendo, agli stellanti chiostri
Teco innalzi il pensier Palma devota:
Parte del Tebro in sulla verde riva
U tuo santo dolor formi e descriva.
Già U suo Figlio immortale avea riprese
Le membra, che sentir di morte il gelo,
Co* segni ancor delle mortali offese^
Ma, più del Sol lucente, in bianco velo,
E come vincitor d* eccelse imprese.
Era tornato fiammeggiando al cielo,
Àncisa Morte, e vinto il cieco InferaO)
E Palme pie rendute al regno eterno.
Ella medesma , che 1 crudele assalto
Dar vide al dolce Figlio, e ^n mente il serilKi,
£ vide tinta di sanguigno smalto
La lancia onde sentì la doglia acerba ,
Lucido il mirò poi levarsi in alto,
E trionfar di morte empia e superba,
Sovra le nubi ergendo e sovra i venti
n suo trofeo fra mille schise ardenti.
Or, tutta in sé raccolta, alfin rimembra
Quanti per lui sofferse aspri martiri
Dal dì ch^ egli vesti P umane membra,
E quante sparse lagrime e sospiri.
E 'n questo suo pensiero altrui rassembra
Freddo smalto ch'umor distilli e spiri.
Ben mostra a noi quel che contempli e pensi,
Chi la dipinse e cotonila a^ sensi.
E MORALI 5g7
E prima le sowien ch^ il nobil pondo
Senza fatica espose e senza duolo,
Nel fosco della notte orror profondo.
Fra -'duo pigri animali in umil suolo ^
Quando il suo Re produsse al cieco mondo ^
£ vide ignota stella il nostro polo
A' peregrini regi in Oriente
Segnar co' vaghi rai la via lucente.
Rimembra rumìi cuna e i rozzi panni
E U dolce lamentar del picciol Figlio,
E U suo pargoleggiar ne^ teneri anni,
Quando angelo era pur d^ alto consiglio ;
E U sospetto d'Erode, e i primi affanni
Della sua fuga e del suo gran periglio,
E per notturne vie Falte tenebre
D' Egitto , ove trovò fide latebre.
Poscia il perduto suo Figliuol le riede
A mente , e quel dolor eh' allora aprilla j
E ne' begli occhi la pietà si vede.
Che dolorose lagrime distilla.
Duolo a duol y lutto a lutto in lei succede ;
Ferro e face è il martir ch'arde e sfavilla:
E mostra ben ne' lacrimosi sguardi
Quante ella abbia nel core e fiamme e dardL
Alla colonna il pensa, e stille a prova
Ella versa di pianto, egli di sangue:
E, immaginando, il suo martir rinnova,
Martir dell'alma che s'affligge e langue.
Pensa poi come in croce estinto ei giova,
Anzi vita ne dà: mirabil angue.
Ch'unge del nostro error l'antica piaga.
Cosi pensando in lagrimar s'appaga.
E fra se di suo cambio ancor s attrista.
Donna chiamata; e si lamenta e duole
598 RIME SACRE
Che perde un Dio figliuolo, un uomo acquista
E ripensando alP oscurato sole ,
Al ciel ch^ apparve tenebroso in vista,
Al vacillar della terrena mole,
Piange col mondo il suo Fattore insieme,
Che disse in croce le parole estreme.
Par nel volto del Sol minore eclissi,
Cirin quel della sua Madre afflìtta ed egra;
O in quel del FigUo, in cui '1 divino unirsi
Col mortai , che si parte , e noi rìntegra.
Ma sua di?initate allor coprissi
Colla nube di morte orricla e negra,
£, ricoperta la divina luce,
A lagrimar le donne e '1 cielo induce.
Sembra poi ch^il pensiero al di rivolga
Che r ebbe esangue , anzi sanguigno , in seao
Con mille piaghe, e 'n ricordar si dolga.
Impallidito il bel volto sereno,
E ^n duo fiumi i begli occhi aflor disciolga,
Alle querele sue tentando il freno,
E i pie membrando, e questa' mano e» quella
Che fece il sole ed ogni ardente stella.
Sparso nel dolce seno ond^egli nacque,
Di lagrime e d^ odori e 'n lino avvolto,
Maria poscia il contempla, e come ei giacque
Nel grembo della terra alfiu sepolto.
Questo pensier d^ amare e tepide acque
Alla Vergine inonda i lumi e '1 volto j
Però questa del cielo alta Reina
GU occhi nel suo dolore a terra inchiaa.
Lìi dove intanto le tartaree porte
jRompe il Ke vincitore^, e doma e spoglia
I cicchi regni delP oscura Morte,
Pria che gli antichi spirti il cielo accoglia,
E MORALI 5g9
Cqtne apparisse il glorioso e forte
Con lucente immortale e liete spoglia ,
Né stily né penna mai^ né lingua esprime ^^
Né r intende pensier santo e sublime.
Qual interno pittor giammai dipinse
Nel cor^ che di suo spirto é vivo tempio ^
La sua vittoria , onde la morte estinse j
Non pur le pene e '1 sanguinoso scempio?
E chi di lei^ che nel Signor sMncinse^
Potè ri tra r^ quasi da vero esempio,
Le lagrime, i pensieri e i santi affetti,
E com' esser . traslata al cielo aspetti?
ÀIzìam or, con Maria, d^ amore acceso ' ^
Il pensier nostro, come fiamma o strale,
Seguendo alto Signor chMn cielo asceso
Siede a destra col Padre, al Padre eguale 3
Né di terreno aflfetto il grave peso
Tardi la mente che sMnnalza e sale:
Alziamo il pianto; e sovra '1 cielo ascenda
Sol per &ua grazia, ed ella in grado il prenda.
Ed in santa dolcezza Amor converta
Quel che d^ amaro il nostro fallo asperge.
Piangea la Madre allor, quasi deserta
Valle di pianto, ove '1 dolor sommerge 3
Piangea per gran desio, sicura e certa
Già della gloria ov'ei ne chiama ed erge,
Ove di stelle alta corona e veste
Avrà di Sole , in maestà celeste.
E piangea stanca pur nel corso umano,
E col peso mortai , ch^ é grave salma ,
, lyiesta e solinga, e già nel ciel sovrano
Bramosa di salir la nobil alma.
Ancisi intanto da furore insano,
Aveano i fidi suoi corona e palma.
6oo RIME SACRE
Pìangea gli altrui martiri e M proprio scampo ^
Nella vita eh' a morte è duro campo.
E piangendo diceva : Oh com' è lunga
La mia dimora, ansi Fesiglio in terra!
Deh ! sarà mai eh' a te ritomi e giunga y
Pur come da tempesta o d'aspra guerra?
Bramo esser teco, o Figlio; a te mi giunga
QueUa santa pietà che 1 del disserra:
Se non son clella Madre i pr^hi indegni.
Chiamami pur dove trionfi e xeffXL
Deh! non soffrir che si consumi ed arda
Tra speranze e desini il cor penoso.
Odi b Madre y che si lagna, e tarda;
Odi la Madre pia. Figlio pietoso.
E se già lieta io fui dove si guarda,
Quasi per ombra, il tuo divino ascoso,
Quante avrò gioje in ciel sMo ti riveggio
Coronato di gloria in alto seggio?
Mostrati, o Re di gloria, o Figlio, ornai,
Tu che servo apparisti in tomba e 'n cuna,
E fa contenta a chiarì e dolci rai
La vista mia , eh' amaro duolo imbruna.
Tra gli occhi cari e i miei, c'han pianto assai,
Non s'interponga o sole o stella o luna:
Cedete al mio desir,. pianeti e cieli,
Perch' alla Madre il Figlio alfin si sveU. —
Cosi dicea nel lutto. E voi portaste,
Angeli , al Figlio il suon devoto e sacro ,
E le lagrime sue pietose e caste,
Bench' uopo a voi non sia pianto o lavacro.
Or, se mai d'altrui duol pietà mostraste.
Portate queste mie, eh' a lei consacro:
E '1 lagnmoso dono, o Spirti aiiiici.
Offrite , o. sempre lieti e 'u ciel felicL
E MORALI 60 1
OTTAVE
Lagrime di Gesù Cnsto.
Voi, che sovente il Re d'eterno regno
Alla colonna e 'n sulla croce esangue
Qui contemplate, e '1 duro iniquo sdegno
Ond^ aspramente egli è percosso e langue, ,
D' alU corona di martirj indegno
Clii si dimostra y e nega il sangue al sangue?
Deh! clii le vene mai n'ebbe piò scarse,
Che temesse versarlo ov'ei lo sparse?
Pietro non già, che fé' la piaga all'empio,
E le ferite e 'i ferìtor prevenne ,
E pur in sé medesmo il fero scempio
In croce dopo 'i suo Signor sostenne:
Non chi prima segui pietoso esempio.
Che, perdonando. Cristo in morte dienne:
Non Giacopo, non Paolo, o mille e mille,
Che fiumi fean, non pur sanguigne stille.
Se vogliam dunque or simigliarci a Cristo,
Versando il sangue dall'umane membra.
Chi piange seco , e seco '1 pianto ha misto ,
Mentr'egli piange, e il pio Signor rassembra?
Non sei, tardo pensiero, ancora avvisto
Ch'ei nostra umanitate a noi rimembra?
Deh! concediamo i pianti ai pianti amari:
E l'uom pietà da Dio, piangendo, impari.
Udiste il grido che nel ciel risuona.
Pregando il Padre in dolorosi accenti:
E s' invitta virtù, ch'altrui perdona.
Sicura nella morte e nei tormenti,-
Ci manca a gloriosa alta corona,
6ù% RIBfE SACRE
E non è chi morire ardisca o tenti,
No» ci manchi pietate^ e non sia prìra
Dei largo umor ch'io bgrìme deriva.
Il Re nella spietata e dura morte ^
Di cui si duol natura e 1 Ciel si sdegna;
Magnanima virtù costante e forte
Colla sua voce a' suoi fedeli insegna:
Pietà mostra ; piangendo: ahi Cde scorte
Di seguir lui che già trionfa e regna!
Seguiam Cristo con ambe al ciel sereno:
Chi non è forte , sia pietoso almeno.
Ma chi piange? e che piange? alme pietose,
Pensate meco : è V uom che ducisi e piange
Ma Tuomo è Dio, che '1 suo €Ìivino ascose
Nel suo mortai, che s^ addolora ed ange.
Uuom freme, e freme Dio eh' a sé n'impose
Il peso, e non avvien elisegli si cange;
Ma fa li caduco eterno, ond'ei s^ adora,
Talché al piangei* dell* uom Dìo stesso or plora-
Quel che Ubrò la terra, e tanti intorno
Cieli etenii e lucenti a lei sospese;
E diede il Sol , eh' è suo gran lume , al giomo,
E nella notte altrui splendori accese;
Quel che^ ael far suo magistero adorno,
Piacque a sé stesso e sé medesmo intese;
Di sua gloria contento e di sua luce ,
Or , fatto umano , a lacrimar s^ induce.
Quel eh* è bontà sovrana e sommo amore,
Né cerca fuor di sé gioja o diletto,
Or piange e stilla in lagrimoso umore
Di nostra umanitate il puro affetto.
Deh! qual alpestro sasso intomo al core
S'accoglie? e com'è '1 gelo in lui ristretto?
Se diaspro non è eh' ivi s' impetra ,
Fonte di pianto abbia percossa pietra.
E MORALI 6o3
Ma che piange primiero il Re de^ Regi?
Piange T umanità quand'egli nasce;
Ed ornando umiltà d'eterni pregi,
Pur com' uom piange e stride in cuna e 'n fasce.
E s' altri gli aurei alberghi e gli aurei fregi ,
Per seguir lui, vien ch'abbandoni e lasce.
Gare lagrime sparga in dolci tempre,
E col pianto di Cristo il suo contempre.
Che piange il pio Signor? piange un sepolto,
E più l'altrui che la sua morte aceroa:
Piange l' amico suo da' nodi avvolto ,
A cui libera vita il Ciel riserba :
Freme l'ardente spirto e bagna il volto:
Or non si piegherà m'ente superba,
Che, sdegnando l'umana umil natura,
Sé stessa inaspra, e contra '1 duol s'indura?
Tu , che ti vanti pur d' alma tranquilla ,
E se' duro vie più di quercia o d'elee,
O di qualunque al ferro arde e sfavilla
Con varj colpi ripercossa selce;
Pietoso amore a noi dal cielo instilla
Il Re del cielo , e per suo dono ei dielce :
Perchè altero ten vai col viso asciutto,
S'al buon servo di Cristo è gloria il lutto?
Se fece al fido amico onor supremo
Di lagrime . pietosa il Re celeste.
Chi nega d'onorarlo al giorno estremo,
Quand'ei si spoglia la corporea veste?
Alii! di vera pietate o privo o scemo, _
Or chi sarà ch'in te Paòcenda e deste.
Se non se il pianto ond'il Signor c'invita
À lagrimar la morte e pria la vita?
Che piange quel che fece il cielo e '1 mondo?
Piange altera città, che, stanca alfine,
6o4 RIME SACRE
Vinta cadéo sotto 1 gravoso pondo
Delle sue minacciose alte ruinej
Ma Tuom pianto si leva, e d^atro fondo
Di gran sepolcro innalza il viso e 1 crine:
La città lagrìmata è sparsa a terra ^
Precipitando in ostinata guerra.
Ma Funo e F altra alfine in ciel risorge ,
Fatta sicura da contraria possa.
Umio e F altra s'eterna: e s'altri scorge ,
O se cerca quaggiù mine ed ossa,
Erra col volgo errante, e non s' accolse
Che toma F alma al cielo ond' ella è mossa ^
£ ch^ivi splende ancor perpaina norma
Di città non caduta*, e vera forma.
Oh di quai pietre fa novo restauro
Alle cadute mura il Fabro eterno,
Gerasalem celeste ! E F Indo e U Mauro
Elegge a prova, e non ha gente a scherno.
Oh quaU omai d^alte colonne e d^auro
Opre meravigUose in te discerno,
Perch^ io disprezzi ancor teatri e terme ,
In parti quasi soUtarie ed erme!
Ma s'è tanta virtù nel pianto amaro,
Ond' egli il volto , lagrimando , asperse ;
Se dalF oscura tomba al ciel più chiaro
Il sepolto, per lui, già gli occhi aperse;
E per lui, quanto atterra il tempo avaro,
O consuman le fiamme e Farmi avverse.
Risorge al cielo, e vie più adorno e grande.
Felici quelli a cui si versa e spande!
Or tu , che fosti eletta al grande impero
Della terra e del ciel, Roma vetusta.
Caduta spesso dal tuo seggio altero
Sotto vii giogo d' empia gente ingiusta ^
E MORALI 6o5
Risorta poi, col successor di Piero ,
In maggior gloria della gloria augusta j
Ripensa onde cadesti, e ch^or t^^stoUi,
Coronata di tempj in sette colli.
E ben chiaro vedrai che 1 sangue sparso
Di tre Decj in lor fero orribil voto,
E quel di Scipio e di Marcel fu scarso
Al tuo peccar ch^era a te stessa ignoto.
Ma poi che '1 vero lume è in terra apparso,
Non dico il sangue, il lagrimar devoto
Di que^ fedeli a cui U tuo risciiio increbbe.
Più ti difese, e più Fonor t^ accrebbe.*
Lagrimosa pietà di ben nate alme
Te difese non sol d^ estranea gente,
Ma f acquistò corone e sacre palme,
E ti fe^ lieta trionfar sovente.
Deh ! leva al ciel con gli occhi ambe le palme ,
E U pianto di Gesù ti reca a mente.
Sicché tu pianga , e dal suo duolo apprenda
Santa virtù che fera colpa emenda.
Se beato è chi piange, in largo pianto
Si strugga il tuo più denso e duro gelo 3
E Tamor tuo profan si volga in santo,
E r odio intemo in amoroso zelo.
Già di fortezza avesti e gloria e vantoj
Abbilo or di pietà chMnnalza al cielo:
Sembra Roma celeste agli occhi nostri,
Com'è Fidea negli stellanti chiostri.
FINE DEL VOLUME QUARTO.
NOTE
AGGIUNTE ED EMENDAZIONI
Fac. i56, sov. XXXIV.
N.
ella I. R. Biblioteca di Brera si conserva questo
sonetto scritto di pròprio pugno dal Tasso, è varia in
alcuni versi dalla nostra stampa come siegue :
T. 3. E '*n tal voce risuoha i «noi lamenti
V. 4- Ch^ogni odio placa , et addolcisce ogni ira,
V. 5. Chi U crederla ? %\ volge e si raggira
V. 7. Nulla fc, QuU^amor, fal^i i tormenti
V. 8. Sono , e falso è V affetto ond^ ei sospira.
V. i3. Cii^a i suoi Gdi seguaci in premio niega.
Fac, 204, sov, CXXX,
Stimiamo di far cosa grata agli studiosi trascrivendo
qui appresso tutto questo medesimo sonetto, secondo la
lezione, Tortogi'afia ed il punteggiamento (o meglio di-
remo il nessun punteggiamento) delf autografo che si
conserva nella I. R. Biblioteca di Brera.
X
AUor che ne' miri spirti intepidissi
Quel cV accendevi tu celeste foco
Pigro divenni augel di valle e roco
E vile e grave a me medcsmo vissi
Nulla poscia d^Amor cantai né scrissi
E s"* alcun detto pur formai per gioco
Scorno n^ebbi e non pregio e basso e fioco
Garrir non chiaro e nobil canne udissi
Quasi cetra son io che 'n vario suono
Hora diletta hor noja altrui si come
Vien ch^o maestra o indotta man la tocchi
Dolce e la lingua mia sol nel tuo nome
, E solo allor che canto i tuoi begF occhi
Mi detta Amor quel che di lor ragiono.
/
6o8 NOTE
Fac. %oS, iojr. CXXXI.
Questo sonetto ti legge oome sieguc nel già citato
autografo dell*!. R. Biblioteca di Brera.
Sorge lo Mfegao e in long» tdiìcn e folta
Peosicr di gloria e di Tiriate aceogUe
£ aeoo U ragion la ipada to^ie
In Incide anni di diamanlte inrolta
£coo la torba ifmrraria e stolta
Spana cader de le mie ingorde TOj^lie
E. i senti domi e di nemiohe spoglie
Leggiadra pooipa ansi il Irìonm accolta
BdU negletta ad arie atti soaW
Finta pieik sdegno tenace e dnro
Parole bor dolci hor di severo anono
Hor Texzosi sembianti bor mesti e gran
De rinimica mia Panni già foro
Et i troCù dì mia vittoria bor sodo.
Fdc. aig, son. CLX
Le varianti dì questo sonetto che si riscontrano nH-
Tautografo deii*I. R. Biblioteca di Brera, sono le se-
guenti:
T. 4* Oocolta Ta sotto nn Tettir^ negletto
T. é. Cbe ^n Tiriate . . • •
T. 7. Onesta è colei cbe con dolci arti prende
T. S. Niiralme et apre ogni più diinso petto
T« 9. £ ben Teggio bor .••••...
T. IO. Move
T. II. Cbe produce in attrai sonno ed oblio
t. i3. Che sol dentro il tao regno Amor s^ impara
T. i4« Voler per forto ciò c^ haver può in dono.
Fjc. 3i3, r. 6 e seg.
....... A voi già non 9* agguaglia
Ooella vergine antica,
1f orte , quanto pudica ,
CVandò sette anni dallo stuolo errante
Per questi mari, e fa crudel nemica.
Cosi tutte r edizioni per noi vedute, e dietro ad esse
ancor questa nostra. Ma (lasciamo stare che il dire de-
tcrminatamente dallo stuolo f senjsa che si sia accennato
AGGIUNTE ED EMENDAZIONI 609
di che stuolo si parli, è maniera niente lodeyole, — e
che la proposizione fa eruditi nemica è mancante del
termine delibazione) non ci rimembra che vi sia stata
gi£^mai una vergine la quale andasse emonie sette anni
Cer questi mari, U contesto però non lascia verun dub-
io che qui s^ allude a CamiUa, figliuola di Metabo, acer-
rima nemica de* Trojani. Ora siccome i Tix)jani andarono
sette anni errando per mare e per terra, così crediamo
che sia succeduto ne* versi arrecati im orribile guasto,
e che scabbia a leggere in questa o simile guisa:
A Toi già non s^ agguaglia
Quella vergine antica,
]*orte, quanto pudica,
Ch'halle stuolo trojan, sette auni erraule
Per questi mari, fu crudel nemica.
Fac, Zìi, str, ult,
Luci, più bel destro
Non vidi acceso mai
Ad altri cosi puri onesti rai:
Né si mirabil giro
Fa la vergine Astréa,
Volgendo intorno, o Gintìa o Citeréa: ec.
Così abbiamo noi stamnato, allontanandoci alcun poco
dair edizione del Bott^. la qual l6gge (ne par senza
senso) in questo modo:
Luci, più bel desiro
Non Me acceso mai
Ad altri cosi puri onesti rai;
Né si mirabil giro
Fé la veiigine Astrea
Volgendo intomo o Cintia, o Citcrea: ec.
Nondimeno considerando che T astronomia tolemaica
(che è quella de* nostri antichi poeti e che ancor si so^
steneva a* tempi del Tasso), anmiettendo la terra nel
centro del mondo, credea die intomo ad essa girassero i
diversi cieli de* pianeti e poi il cielo delle stelle fisse,
e quindi risultando che^ secondo quelle opinioni, doveva
Astréa (che è 1^ costellazione della Vergine nel zodiaco)
volgersi intomo alla Luna ed a Venere, ne nasce il
Tasso, FoL IV. Sq
6io NOTE
dubbio che il nostro poeta dettasse rultìiiio verso ddl^
suddetta starna in quest* altra forma:
V
Né n mirabtl giro
Fa la Teiigine Astrai
Volgendo intocno « Cìntìa o Citeiéa.
Fac. 337, r. 8.
Quanto è più interno il verno orrido a^enley
Noi abbiamo seguito in questo verso la concorde le-
zione di tutte le stampe che avevamo sotToccido, noa
ci parendo difficile il difenderla; ma potrdib* esser pisv
che il Tasso avesse scritto in ootal modo:
Quanto è più mteiuo il ▼emo orrido algeiiteu
Fac* 353,' jTiiPXiG. XIII ^ r. crrr.
Sao miracolo é questo;
Io sol r cica T^ qipresso^ di^ è ^ mio core.
Chi ha stampe più corrette che non son qodk di
noi riscontrate, o, che sarfa meglio, qualche boonna-
noscrìtto^ vegga un poco se quest* ultimo verso non sa-
nasse come siegue:
lo sol r esca V appresto, ch^ è *i nuo core.
Fac. 364.
Qui termina la scelta de* madrigali amoroà da sci
fatta suU*edizionLpiii com{)iute deU^opere del Tassa Giih
dichiam però degni che vi sieno aggiunti i due .seguenti,
pubblicati la prima volta Tanno i8ai dall^ egregio si-
gnor Giuseppe Beraardoni per le nosse di Carlo l^ramer
e Teresa oerra.
AGGIUNTE ED EMENDAZIONI 6i i
MADRIGALE XXXV.
In lode di bellissima e rispeUabilissima donna.
Xi'alma vostra bdtate^
Della divina esempio
£ di gloria immortale è vìvo tempio.
Pensier terreno ardire
Non ha di farle offesa}
\ Né basso o vii desire,
Né 6amma impura è da' begli occhi accesa 3
^ Ma in pure voglie oneste
Amor s* infiamma 9 e poi divien celeste.
Chi volge il vago sguardo
A la beltà divina,
I Com'oro in fiamma i suoi pensieri affina;
E '1 core a voi devoto
P Sensi, voglie e costumi
t Purga a sì dolci lumi ,
E riverente or si consacra in voto,
I E di sé stesso face
Tempio ed altare e simulacro e face.
^ MADMGALE XXXVL
«
Descri%fe il potere delia bella di Fillide,
' È lieta primavera
Ove Filli si mostri
Negli ombrosi, fioriti e verdi chiostri j
Pajon Ferbe smeraldi, e gemme i fiori,
Cristalli i fiumi e i fonti;
Son coronati i monti
Di verdi mirti e di frondosi allori.
Ma dove ella sen fugge
U lieto e 1 verde si consuma e strugge.
6ia NOTE
Fac, I(/S6, cjnz. XXI,
notato a pie della pagina Ifi^ che la prima
ftro& di questa canzone manca del verso ottavo in tutte
le stampe che avevamo potuto esaminare; e per modo
di congettura ardimmo propome uno da supplirvi. Es-
sendoci ora venuta alle mani T edizione del Vasalini (Fer-
rara, 1589), vi troviamo che il verso mancante è questo:
Che di troliéi più che di piante abbonda ; ce
La medesima stampa, dopo la seconda strofa, ha que-
st' altra, la quale non si legge nella edizione del Bottari,
né in quella del Segfaezzi, né in varie altre anco re-
centissime:
Vieni, Ineoéo: dal tuo ventre aspetta
ffoTÌ la terra e H del Divi ed croi;
Né mai più nobil alme in un ||[innpéstL
Oh quanto altrui più cara e più dUetta
Spiccerà la gran quercia i rami anoi^
Se di il nobH verga or tu Tinnetti!
Si Uxk il leool d^auroi e sol da questi
Avrà il mondo fl suo cibo, e certa e Tcra
Voce piena n^udrà d^ahi conaigU
Nc^ duobi e ne^ perìgli.
E dritto è ben cne nella quercia altera
L^ aquila albergo pigli :
Sacra a Giove è la quercia; e sacra a Giove
L^ aquila al proprio nido or lieta more.
Nel riportar questa strofe ci siamo ingegnati di pur-
garla dai parcccni errori che sono nella stampa onde
1 abbiam tolta.
Chi possiede T edizioni del Bottari e del Seghezzi tro-
verà mancare in questa canzone, oltre al verso 8 della
prima stix>fa, ed oltre alla strofa intera pur ora arre-
cata, ancor la penultima, la quale incomincia «= Solida
o felice spaso ^ il auto cinto *«, e scorgerà nel resto
(massime nelF edizione del Seghezzi) tali altre negligen-
ze, che è ìina compassione.
Nella nostra stampa (crediam bene d* avvertire) dopo
un certo numero d^ esemplari si spiccò via V accento aal
primo E del verso 8 a carte 468 ; né sarebbe gran fatto
che altri accenti simili avessero avuta Tegual sorte»
tanta è la fragilità della loro appiccatura.
AGGIUNTE ED EMENDAZIONI
6i3
Fac, Sfa, jm. a.
L^ aldina del i58a legge:
Ma soura mitre, e scintilar corone
S** innalza ad un gaerrier Parme honorate,
Che, scado d^ Italia, e spada, e scampa |
Per cui poteua a^ prischi honor suprèmo
Di nouo ella aspirar, ec
Ognun vede che qui il terzo verso è zoppo, — ' che
la rima del primo non trova riscontro .nel quatto > come
richiede T abitudine di tali strofe, — e soprattutto che
non c^è nodo alcuno d^idee. Così pure han T edizioni
del Bottarì e del Seghezzi, salvo cne v^è ridotto alla
giusta misura il terzo verso, •— a scampa è debitamente
sostituito scampo f •— e inoltre vi si legge scintillar con
buona ortografia in luogo di scintilar: la qual minuzia
è qui degna di considerazione, perocché quello scintilar
con sola una / conduce assai piit fiicilmente, che far non
potrebbe la medesima parola accozzata con esattezza or-
tografica, a scoprir Terrore di chi stampò o trascrisse.
Il primo ad i^rvedersi di tal errore crediamo che fosse
raoate Angelo Mazzoleni; e la correzione da lui pro-
posta nelle Rime oneste è quella che abbiam noi seguita.
INDICE
A"
lettori ». Fac. v
Prefazione delPab. Serassi n kxvii
Dedicatoria del cav. Vincenzo Monti >»xxxvu
Aminta, favola boschereccia » 3
Intermedj n 71
Amore fuggitivo. . . . • » 73
POESIE PASTOEALI
Il rogo di Corinna n 8a
La festa campestre » io5
DIALOGHI
Dialogo I in lode di D. Margherita Gonzaga du-
chessa di Ferrara n ii3
Dialogo II sullo stesso soggetto n 118
Dialogo III Convito di pastori >» 121
Dialogo IV Arezia Ninfe n lag
RIME AMOROSE
SOirXTTI
Ahi! quale angue infernale in onesto seno. ...» 2o3
AUor che ne^ miei spirti intepidissi " ixA
Amai vicino; or ardo, e le faville n 214
Amando, ardendo, alla mia donna i* chiesi ...» 186
Amore idma è del mondo. Amore è mente . . . " 149
Amor^ colei che versinella amai, ^ i4^
Amor col raggio di beltà s^ accende, » aoq
Amor non è cne si descriva o conte, *» aio
/
6i6
Amor, se fia giammai che dolce io tocchi . . FVxr. '"
Anima errante, a cpiel sereno intomo >» 85
Anna, il cor vostro, voi non mi togliete , . . . ^ 5i
Aprite gli occhi, o gente egra mortaue, •» 4^
Ardeano i tetti ; e *1 fumo e le faville ^ ^^J
Armo di ghiaccio, e inaspro il core e 1 petto; *• i>9
Arsi gran tempo, e del mio foco indegno . . • . " 200
A* servigi d^Amor ministro eletto " 176
Aura, ch^or quinci scherzi, or quindi vole . . . » 2i4
Avean gli atti leggiadri e *1 vago aspetto . ...» 166
Barbara maraviglia, a* tempi nostri * 233
Bella donna i colori^ ond^ ella vuole » fi
Bella è la donna mia, se del bel crine «» i4'
Beila guerriera mia, se *ì vostro orgoglio . . . . t 19K
Benché Fortuna al desir mio rubella m 190
Ben veggio avvinta al lido ornata nave, » in-
cantai già lieto ; e ricercai nel canto ..!....■» 224
Cercate i fonti e le scerete vene ^ 19^
Chiaro cristallo alla mia donna oflfersi v» 176
Chi è costei eh* in si mentito aspetto >» ^'9
Chi U pelago d^Amor a solcar viene, » i|o
C!hi serrar pensa a* pensier vili il core, ...».* 195
Colei che sovra ogni altra amo ed onoro . • . . *> 1 4o
Come il nocchier dagl* infiammati lampi » 146
Come la Ninfa sua fugace e schiva, » ibi
Come vento eh* in sé respiri e tomi n 206
Cortese albergatrice , ancor T imago «* 161
Costei eh* asconde un cor superbo ed empio . . » 146
Costei, che sulla fronte ha sparsa al vento ... » 191
Cmdel, potesti a dura fune avvinte n ììòÀy
Dal vostro sen, qual fuggitivo audace n aiS
Diaria un tempo nudrimmi; e cibo e vita . » . n 217
Deh ! perchè amar chi voi con pari affetto ...» 227
Della vostra bellezza il mio pensiero .......»» f^i
Deir onor simulacro è *1 nome vostro , » 240
Del più bel maiTno che nascesse in monte, ...» ^34
Del puro lume , onde i celesti giri- » 169
Dianzi, al vostro languir, parea sospesa » 16)
Di che stame ordirò la vaga rete . ^ n lóò
6i7
Di nettare amoroso ebro la mente, Fac.
Dipinto avevi Tòr de^ biondi crini, n
Di qual erba di Ponto, o di qual angue ....*§ i58
Donai me stesso; e, se sprezzasse il dono, . . . *» iq5
D^ondc ne vieni, o cor timido e solo, » loo
Donna, crudel fortuna a me ben vieta *» 172
Donna gentil, che U tuo principio avesti. .... » a38
Donna, per cui trionfa Amore e regna, " a34
Dopo così spietato e lungo scempio, ......." i83
Dove nessun teatro o loggia ingombra »» 206
Era aspro e duro, e sofFerir sì lunge " 184
Era delFetà mia nel lieto aprile » i4o
Era la notte, e sotto il manto adomo » 221
Eran velati i crespi e biondi crini, " 220
Erba felice , che già in sorte avesti " i yS
È vostra colpa, Donna, o mia sventura» .... » 209
Facelle son d^ immortai luce ai*denti » 226
Fiumi e mari e montagne e piagge apriche ...» 289
Fra due Vittorie era d onor contesa; » 227
Fra mille strali, onde Fortuna impiaga » 180
Fuggite, egre mie cure, aspri martiri, » 174
, Geloso amante apro miir occhi e giro » i4S
Giacca la mia virtù vinta e smarrita .....«.'> i4i
Giaceva esposto il peregrino Ulisse » i63
Già difendesti con ramose braccia, "214
Già il can micidiale e la neméa. » 164
Già solevi parer vermiglia rosa » 222
Giovine incauto, e non avvezzo tmcora ...,...» 167
I begli occhi ove prima Amor m^ apparse, ...» i5a
I chiari lumi onde ^1 divino Amore » 210
I freddi e muti pesci usaìi omai » 193
In queste dolci ed amorose rime »2io
In questo mar che sparge un puro argento ...» 287
lo mi credea sotto un leggiadro velo » 167
lo non cedo in amar. Donna gentile,. ....... 197
lo veggio in cielo scintillar le stelle » 178
lo veggio, o parmi, quando in voi m** affiso, . . » 191
Io vidi im tempo di pietoso affetto » i44
Tassu, Voi IV. 39*
6i8
La bella fiamma che m* ardeva il core, . . . Fac, i6e
L^alma, vaga^di luce e di belleua, ▼* i85
La man, cir avvolta in odorate spoglie n 198
L*aiira che dolci spirti e dolci odori n lo"^
Laura, che fra le Muse e nelP eletto y* tì35
Laura, del vostro lauro in queste carte n !2o8
L^aura soave, al cui spirar respira ««ai?
L^inccndio, onde tai raggi usck già fore ....«» 3i5
Mal gradite mie rime invano spese *t tqr)
M''aprc talor Madonna il suo celeste " vc>i
Mentre adoma costei di fiori e d*erba » iBH
Mentre al tuo giogo io mi sottrassi. Amore, . . «9 201
Mentre ancor non m* abbaglia il dolce lume, . . n ^33
Mentile Madonna s* appoggiò pensosa n 1^%
Men(i*e ne"* cari balli in loco adomo *» f-q
Mentre $chei*zava saettando intomo ^ \iS^
Mentre soggetto al tuo spietato regno •» 303
Negli anni acerbi tuoi purpurea rosa «» i5)
Ninfa, onde lieto è di Diana il coro, •» 1 ?3
Non fi*a parole e baci invido muro " %"%
Non ho SI caro il laccio ond*al consorte " 177
Non pili crespo oro, o d^ ambra tersa e pura, . •* 200
Non potea dotta man rìtrarci in parte ^ i63
Non sarà mai eh** impressa in me non reste . . . *» i83
Non son à vaghi i fiori onde natura ... T ... » lAS
Nudo era il viso, a cui s^ agguaglia invano • . . •» 221
O bella man, che nel felice giorno, «* 211
O chiara luce di celeste raggio, •« 239
O degna per cui sfarmi un nuovo Àldde ....*« 22^
Odi, Filli, che tuona: odi che^n gelo » t5o
Odi, Filli, che tuona; e Taer nero >» ùi
O felice eloquenza, avvinta in carmi, ^ 22(1
Onde, per consolarne i miei dolori, 99 i'*3
O nemica d*Amor, che sì ti rendi n 180
O più cnidel d^ogni altra, e pur men cruda . . •* 188
Or che Paura mia dolce altrove spira »» 14**
Or che rìede madonna al bel soggiorno, . ...» 216
Palustri valli, ed arenosi lidi, " i^
6i9
Pargoletto animai di spirto umano Fac, i53
Passa la nave mia, che porta il core, n 196
Pensier, che, mentre di formarmi tenti i> 172
Perch* altri cerchi, peregrino errante, ^ .'..».« 190
Perchè Fortuna ria spieghi le vele . . i n 178
Perchè tormenti il tornlfentoso petto, » 212
Perch^io Laura pur segua, e nel mio pianto . . »9 2t3
Per figurar Madonna al senso in temo ^ n 184
Per temprarne al bel seno, al chiaro viso, ...» 204
Per tre .sublimi vie sopra le stelle, t» 23i
Qual da cristallo lampeggiar si vede >» 212
Qual neve, che su* colli ameni fiocchi, » i52
Qualor Madonna i miei lamenti accofflie » i45
Quando avran queste luci e queste chiome ..." i8q
Quando PÀlba si leva e si rimira n 22$
Quando vedrò nel verno il crine sparso n 189
Quanto in me di feroce e di severo n 202
Quanto più nelP amarvi io son costante, » 187
Quel d^ eterna beltà raggio lucente ........ n 182
Quel d) che la mia donna a me s' offerse .... » 220
Quel labbro che le rose han colorito *» i54
Quella candida via sparsa di stelle n 170
Quella secreta carta, ove l'interno >» 199
Quel prigioniero augcl, che dolci e scorte .... » 196
Quel puro ardor che dai lucenti giri " 216
Quel vago raggio che lampeggia e splende ...» 23o
Quest'amor eh' è traslato al novo maggio, ...» 21 3
Questa è pur quella che percote e fìeue » 178
Questa leggiadra e gloriosa donna , » 237
Questa nebbia sì bella e sì vermiglia » 228
Questa rara bellezza opra è dell'alma » 174
Queste or cortesi ed amorose lodi » 2o3
Questi, che ai cori altrui cantando spira . . . . »^ iv56
Questi, che indarno ad alta meta aspira » ivi
Qui dove i sacri e verdeggianti allori » 160
Re degli altri, superbo, altero fiume, » 192
Riede la stagion lieta; e 'n vane forme " ^'9
Sabina, in cui s'onora il nome prisco, ^ 238
Saggio pittore, hai colorita in parte i » ^36
6ao
Sdamate, ir ita mia, perchè itel core Fac. iir
Sfarina lo sdegno, e *n lunga schiera e folta . . ** aoT
Sceglieva il Mar perle, rubini ed oro " iq»
Scota, suirOcedno, o dove nacque *« 2!^
Sdegno, debil guerrier, campione audace 9 ....'» 201
Secco era quasi T odorato alloro y» i\\
Se d^Amor queste son reti e legami, •* 168
S* egli avverrà eh** alta memoria antica *> 239
Scegli è pur ver ch^Aroor nel vostro petto . . . " i5i
Se la saetta. Amor, ch^al lato manco " \^\
Se U nobil corpo, ove in soavi tempre ▼* 16-1
Se mi doglio talor ch^invan io tento " 1^
Se mi trasporta a forca ovMo non voglio . • . . » l'-q
Sentiva io già correr di morte il gelo n 14^
Se Pirro, allor che diede morte acerba r» 2>3
Se tu d** ombre notturne amico e vago, t> vy
Siccome torna onde si parte il Sole, » 20-^
Si specchiava Leonora, e *1 dolce rìso vv 33a
Sta vasi Amor, quasi in suo regno, assiso . . . . n j43
Sul r ampia fronte il crespo oro lucente "218
Suore del grand^ Alfonso, il terzo giro ** 164
Tolse barbara gente il pregio a Roma *» a3)
Tra U bianco viso, eU molle e casto petto . , , y l'^i^
Tra r empie fiamme agU occhi miei lucente . . . ^ ai)
Tre gran donne vid^io, chMn esser belle • . . . n ijj
Tu parti, o rondinella, e poi ritomi '' >97
Tu vedi. Amor, come trapassi e vole 9, lìji
Umida nube se dispiega e stende »» 281
Uom di non pure fiamme acceso il core» ....•» 225
Vaghe colombe, che, giungendo i rostri, . . . . y ik^
Vago fanciul, che dalF ardor sovente " i(k>
Vecchio ed alato Dio , nato col Sole » i )8
Vedrò dagli anni, in mia vendetta, ancora . . . «« 188
Veggio, quando tal vista Amor m^ impetra, . . . «« \\\
Vere fur queste gioje e questi ardori » i3o
Vergine illustre, la beltà che accende r^ i(>3
Vissi ; e la prima etate amore e speme " * i >
Viviamo, amiamci, o mia gradita Jeile; n 1 > >
Voi clic passate, e su la destra sponda » 229
6ai/
Voi 9 che pur numerate i nostri amorì, . . . Fac, ao5
Vuol eh* io Fami costei; ma duro freno ** i47
CAlfZ051
Amor, tu vedi (e non hai duòlo o sdegno) . . . «> 241
Bella Guerriera mia, ben io vorrei » ^og*^'
Chi di mordaci ingiuriose voci n 289
Delle pìh fresche rose omai la chioma, <» 3i8
Di pregar lasso e di cantar già stanco, n ^Sg
Donna gentile, io veggio, » 3or
Donna , la vostra fama e '1 mio pensiero n 364
Donne cortesi e belle, • ^ K . , n 382
Donne, voi che superbe n 3i5
Fama, che i nomi gloriosi intomo ...» a8o
Già basso colle umde ^, n 3o6
Già il lieto anno novello 3 . 1» 285
Illustre Donna, e pih del ciel serena, *» 323
Io mi sedea tutto soletto un giorno » 254
Mentre eh* a venerar movon le genti » 292
Net mar de^ vostri onori, n 32o
O bel colle, onde lite » 261
O con le Grazie eletta e con gli Amori, " 269
O d^alta donna pargoletta ancella, . . , . x.v • • *> ^73
O felice onorato almo terreno »> 266
O nelFamor che mesci » 256
Or che lunge da me si gira il sole » 244
•
Perchè la vita è breve, » 297
Perchè r ingegno perde >» 3o3
Piante, frondose piante, » 3i3
,Qiial più rara e gentile » 246
Quel generoso mio guerriero intemo, » 249
fai
Sa» tia.. A-m àtim
^« —
T.. .k-.,^,^. k ,^i
T>(l« KrfÉ drf fk. Si* ia<&.
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1. r*« MI llll.
. . 6ii
I
6a3
Orechin , che sulla reggia Fac, 35o
= Ha gigli e rose, ed ha rubini ed oro, » SSg
: -^ Li* alma vostra beliate, «Gii
Lia natura v*annò, bella guerriera; n 35q
Lianguidetta beltà vinceva Amore, n 34o
Lasciar, nel ghiaccio o nell^ ardore, il guanto . n 36o
Mentre in grembo alla madre Amore un giorno n 349
- - « Mentre, mia stella , miri n 347
^ Non è d*Ai-abìa peregrina pianta f» 356
Non è onesta la mano » 347
Non è SI bello il rinverdir d^un faggio, ...... 355
Non fonte o fiume od aura . . . •, » 357
Occhi miei lassi, mentre ch^io vi giro n 36k
Ore, fermate il volo, » 35a
Perchè di gemme t^inooroni e d^oro, » 35k
Questa lieve zaniara •••..; » 34g
Questa pianta odorata e verginella, » 363
Questo a puro e lieto e dolce raggio n 36o
Roche son già le cetre e muti i cigni *§ 363
Sete specchi di gloria, in cui traluce » Mi
Sian vomeri II mio stile e F aureo strale # ....»» 355
Tirsi morir volea, » 348
RIME EROICHE
I
sounri
Ahi! le fiamme d* Europa, accese in questi , . . n 36q
Alban, Y ossa paterne anco non serra » 370
Alma grande a Alcide, io so che miri n 375
Alta città, più del tuo verde monte *» 385
Ardizio, come spesso aquila altera » 38a
6ii
Santa Pietà, eh* in cido Fac. ^176
Tu, eh* agguagliar ti vanti n 3g|6
Vaghe Ninfe del Po, Ninfe sorelle, n Bay
OTTAVI
Io son la Gelosia, eh* or mi rivelo, « 33i
Questa, che tanto il cieco volgo apprena, . . . •» 334
DIILOGU
Io qui, Mgnor, ne vegno, » 33g
Se coli* età fiorita " 336
Tu, ch-i più diiusì affetti » 343
scanso voinco
Darà fin presta morte al mio dolore, *> 34^
MADRIGALI
r
Colla saetta dalia punta dToro, » 3S4
Con qual focil meraviglioso. Amore, " 353
Deirarboscel e* ha si femoso nome, ^ 362
De* vostri occhi sereni il dolce umore, » 363
Dolcemente dormiva la mia Glori, *» 35i
D* onde toglieste il foco » 358
Donna beila e gentil, del vostro petto » 357
Donna, chi vi colora ** 35o
Donna gentil, mentr'io vi miro e canto, . . •^. " 354
Donna, quella saetta, ^ «> 353
Donna, sovra tutte altre a voi conviensi, ....*» 3 5H
Dov^è del mio servaggio il premio. Amore? . . » 364
]Bcco mormorar T onoe, * ** 35a
£ lieta primavera n 611
6t23
Grechili 9 che sulla reggia Fac. 35o
Ha gigli e rose, ed ha rubini ed oro, » SSg
L*alma vostra beliate, » 6i i
La natura v*arniò, bella guerriera; n 35q
Languidetta beltà vinceva Amore, n Zifi
Lasciar, nel ghiaccio o nell"* ardore, il guanto • «> 36o
Mentre in grembo alla madre Amore un giorno •» 349
Mentre, mia stella, miri » 347
Non è d'Aitibia peregrina pianta >» 356
Non è questa la mano » 347
Non è SI bello il rinverdir d^un faggio, ...... 355
Non fonte o fiume od aura • • • -, ^ 357
'f
Occhi miei lassi, mentre ch^io vi giro >» 36k
Ore, fermate il volo, » 35a
Perchè di gemme t'incoroni e d^'oro, » 35k
Questa lieve zanzara » 349
Questa pianta odorata e verginella, » 362
Questo a puro e lieto e dolce raggio » 36o
Roche son già le cetre e muti i cigni n 363
Sete specchi ^i gloria, in cui traluce » Mi
Sian vomeri il mio stile e F aureo strale # .... » 355
Tirsi morir volea, » 34B
1
RIME EROICHE
sounri
Ahi! le fiamme d'Europa, accese in questi ...» 36q
Alban, Tossa paterne anco non serra » 378
Alma grande d'Alcide, io so che miri » 375
Alta città, più del tuo verde monte » 3o5
Ardizio, come spesso aquila altera *> 38a
6^4
Cadesti, Alfonso, e ruinoso il ponte Fot, 384
Carlo, questi sei tu; che del bel volto » 38i
Chi colle fiamme qui di Flegetonte *» 36l{
Chi può temprar. Consalvo, il gran disdegno . « 389
Di pensier'* grave e d*anni, e Wermo il fianco, n 389
Di sostener, qual novo Atlante, il mondo .... » 37Ì
Divi Augusti ed eroi, paesi e regni n 36?
Donna, al pudico tuo grembo fecondo » 376
Dopo Romulo e Cosso, a Giove offerse n 379
Fabio, io lunge credea col basso ingegno . • . . n 393
Fertil pianta die svdta è da radici, n 3»
Gemma dell^ Occidente, ansi del mondo; .... n 391
Giace il Verato qui, Ac *n real veste » 3^4
Giace Ippolito qui: la toga d** ostro f> 372
Insegna a te la tua gran patria Roma n 383
Langue Vincenzo, e seco Amor, che seco ....■» 371
L* arme e *1 duce cantai che per pietate » 379
L^ invitto Alfonso, ove il suo merto è d^gno» • . n 390
L* ombra superba del crudel Peh'de, » 373
Me novello Ission rapida aggii*a r» 3*a
Mentre fulmina il Trace, e 1 monti e i campi . » 38^
Mirar due meste luci in dentro ascose, »» 388
Non fu sì chiara, per le fiamme ardenti ** 391
O di valor non già, ma sol secondo » 374
O testimoni del valore illustri , t 3>i
O tu che passi, e *1 guardo ai marmi gin ....»» 371
Per assalire il mio Signor la Morte «> 384
Perchè la lunga etate i lumi estemi, n 38o
Poiché ^n vostro terrep vii lasso alberga v, 370
Quando nel eie! tra mille aurate sedi, -^ 369
Quanto già X altra Elisa al duro amante *« 39 1
Quel che TEiuropa col mirabil ponte r» 377
625
Quest'arca fu di preziosi odori, Fac. 38o
Questa del puro ciel felice imago » SgS
Questa d^ Italia bella e nobil figlia o 894
Ridolfo e Enrico, a* quali il Signor diede .... » 388
Scipio! o pietate è morta, od è bandita *» 370
Scrissi di vera impresa e d^eroi veri, •» 378
Signor, eh* immortai laude aveste in guerra, . . n SgS
Signor, nel precipizio ove mi spinse » 376
Sotto il giogo, ove Amor teco mi strìnse,. ...» 375
Spento è il Sol di bellezza: or questi abissi ...» 387
Spirto immortai, che saggio e'nsieme ardito . . » -377
Stiglian, quel canto onde ad Orfeo «imfle .... » 3go
Terra, che'l Serio bagna e*l Brèsilbo inonda, . n 386
Tolse alle fianune il glorioso Auj^to n 368
Vasco, le cui felici ardite antenne n 383
Virtù, fra questi colli alberga, e'n prima ....>• 385
Vostro dono è s^io spiro, e dolce raggio .... » 383
cAirzoifi
Al cader d'un bel ramo che si svelse, n ^lò
Alma, eh*' aspetta il Cielo, e*l mondo onora . . » 532
Cantar non posso, e d'operar pavento » 546
Cm*o agli egri mortali il lucido auro, n 487
Celeste Musa, or che dal oiel discende » 4^o
Chi descrìver desia le vaghe stelle n 522
Chi vide il Sol lucente e puro il giorno, ....«» 4^7
Ciò che Morte rallenta. Amor restringi, n fyjZ
Come dair aureo Sole è sparsa intomo .:...." 536
Come nel fare il cielo il Fabro etemo " 4qi
Come poss' io spiegar del basso ingegno » 5^8
Com' il Sole a scoprìr T etema luce , n ^\o
Crescan le palme al Mincio e i novi allori ...» 4^4
Da gran lode immortai del Re superno ...... 4^^
Deggio forse lodar Taui-ato albergo » 4^^
6i6
Ecco già d*Orieiite i raggi ìribra I^ac. 447
Già il notturno sereno t» 46q
Già s*era intomo 4 la novella udita ......... 5i\
Già spiegava T insegne oscure ed adre » 536
Italia mia, che FÀppennin disgiunge, » 45i
Italia mia, che le più estranie genti » 414
Lascia, Imenèo, Parnaso, e qui discendi ..... i» 466
Lascia, Musa, le cetre e le piirlande 9 5io
Musa, discendi ornai dal verde monte n 431
Musa, tu che dal cielo il nome prendi» o 443
Nasd, e, del cast^% fortunato ventre .......
Nella stagion che pi^ sdegnoso il delo ••
Non è novo Tonor di lucid** ostro « 543
O del grand* Appennino » 5o8
Odo sonar d* Italia intomo i monti ......... 483
O figlie della Terra, » 54q
O figlie di Renata, .* n 5b)
O magnanimo figlio « So3
O prìncipe piti bello « $19
Qual de* tuoi duci o de* tuoi fatti illustri , ...» 4^ ^
Qual di pianta gentil felice verga . . « » 435
Quando rìtardo a* mìei pensieri il corso, . . . . ^ 4:16
Questa fatica estrema al tardo ingegno n ^o5
Santa Virtù, che dalPorror profondo, n 3g5
S*era fermo Imenèo tra Ferto monte •» 400
Spiega r ombroso velo, n 475
Spirto gentil, eh* i più lodati esempj „ 439
Talvolta sovra Pelio, Olimpo ed Ossa » 463
Terra gentil, eh* inonda » 4^8
Tu che segui la pace, e fai d* intomo 9 459
6^7
MADRIOAM .
Àure» spirate; e toi con lucid^onde, . . • . . Fac. 555
Chi la terra chiamar vuole una stelkt • " ^^
Come odorato mirto » 555
Ha Ninft adorne e belle » 553
La bella tela eletta , >» 558
Mentre in voci canore » 557
Mentre sul lido estremo » 554
Mdsola, il Po da* lati e '1 mar a fronte, .... » 553
Non è questo un morire , >*, n 558
O nipote d* Augusto -^'f •» 557
Qual è questa eh* io sento » 556
Tra queste piante ombrose n m
RIME SACRE E MORALI
SOKBTTI
Croce del Figlio, in cui rimase estinta » 565
Diva, a cui sacro è questo ostello e questa ...» 56a
Egro io languiva, e d*alto sonno avvinta . . . . m 5Q7
Francesco, inferma entro le membra inferme . . »> M
Francesco , mentre ne* celesti giri » 563
In ouesta sacra notte, in cui non osa n 564
In SI mirabil notte a mezzo il verno » m
Luce d*onor, eh* abbaglia e par ch*ofiknda ...» 565
6aff
Mentre non anco i "1 porto a te sparito . . . Fac. 566
Nobil porto dd mondo e di fortuna, . .- n 563
O Uichek» o divino ai^el beato, s» 56i
Padre del dd t or di* atra nube il calle . .... » 568
Rivolse Odia sospirando al delo « ivi
Servo di Dio , die T amor suo trafisse n S62
Uscito in guisa d* aquila volante » 566
cAjnom
Alma inferma e ddlci|te, n 569
Ecco, fra le tempeste e i fieri venti » 574
Mira devotamente, alma pentita, n 579
Quai figure , quali ombre antiche, o s^[nì, ... * Sjiè
»
Stava appresso la croce 1» 583
SCIOLTI
Dio, fra gli altri dipinti e vaghi augelli ,./..>» 5S5
OTTAVE
«
Piangete di Maria Tamaro pianto » 595
Voi, che sovente il Re d'eterno regno •> 601
Note , aliante ed emendazioni n 607
i^K
FES 2 4 t955